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Spese militari: chi ha ragione?

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Re: Spese militari: chi ha ragione?

Messaggioda lucameni il 03/01/2012, 15:36

Ho lavorato in un'amministrazione militare e quindi un po' il polso della situazione ce l'ho.
Confermo che, a fronte di capitoli fissi, alcuni dei quali quasi azzerati, si continuano a fare spese completamente inutili, con personale civile e militare altrettanto inutile.
Mentre magari a poche centinaia di metri c'è altra amministrazione civile in gravissima carenza di personale. Penso al Ministero della Giustizia, tanto per dire.
L'esercito italiano ha ottime individualità, salvo tutte le considerazioni del caso sul magna magna e l'arroganza di certi generaloni, ma siamo ben lontani da quel modello auspicato dall'ex gen. Mini di una forza innanzitutto super-specializzata nella sicurezza (esterna, non interna dove i militari non sono in grado di fare operazioni di polizia).
Rimane il fatto che con questi chiari di luna e in costanza di un'organizzazione poco intelligente delle risorse umane e non nelle forze armate, certe spese ritengo siano davvero eccessive.
Le spese militari sono necessarie, con buona pace dei Gino Strada e dei pacifisti (gli stessi che però si esaltano con quella Resistenza che tanto pacifica - giustamente - non fu). Così no.
Viene da pensare che queste siano fatte innanzitutto per farci la cresta. Una cresta già preventivata da tempo.
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Re: Spese militari: chi ha ragione?

Messaggioda franz il 03/01/2012, 17:46

lucameni ha scritto:Viene da pensare che queste siano fatte innanzitutto per farci la cresta. Una cresta già preventivata da tempo.

Una cresta che suppongo facciano tutti in ogni angolo dell'amministrazione pubblica. Penso che quasi tutti quelli che hanno fatto il militare abbiano visto cosa succedeva la sera quando arrivavano i rifornimenti alimentari in caserma e capitani, tenenti e marescialli rimepivano i bagagliai delle loro auto. Ma si fa la "cresta" anche uscendo dall'ufficio ministeriale (civile) senza timbrare, facendo un doppio o triplo lavoro (cosa possibile visti gli orari ridotti e ridicoli) senza autorizzazione e in nero. E anche qui magari il palazzo di fronte è endemicamente in carenza di organico.
Qui però stiamo parlando della difesa, che da tempo immemorabile - decine di migliaia di anni - è la prima necessità sociale di coesione umana.
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Re: Spese militari: chi ha ragione?

Messaggioda franz il 03/01/2012, 18:02

SPESE MILITARI
Caccia F35, la protesta anche sul web
Lo studio: "In caso di rinuncia niente multe"

Un'inchiesta di Altreconomia smentisce il ministro della Difesa Di Paola. Dalla documentazione ufficiale del programma militare Joint Strike Fighter F-35, guidato dagli Usa, si evince che l'uscita del nostro Paese dall'accordo con altri 8 Stati non comporta oneri aggiuntivi. E sui social media si riaccende la discussione
di LAURA BONASERA

ROMA - Almeno quindici miliardi di euro. E' quanto costerà all'Italia l'acquisto di 131 caccia bombardieri d'attacco F35 1. Una spesa alla quale il ministro della Difesa, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, non vuole rinunciare. Nemmeno se lo scenario è quello di una manovra "lacrime e sangue". L'uscita dal programma militare "Joint Strike Fighter F-35", siglato a Washington dallo stesso Di Paola nel 2002, allora Segretario generale per la Difesa e gli Armamenti, comporta il pagamento di una penale. E il prezzo della multa sarebbe maggiore della fattura d'acquisto dei veivoli. Almeno così ha ripetuto più volte il ministro giustificando la sua scelta. Si va avanti, quindi, perché il ritiro dal programma, capeggiato dagli Stati Uniti e sottoscritto da altri 8 Paesi, farebbe uscire dalle casse dello Stato molto di più di quanto già speso e stanziato per la fase di sviluppo e pre-industrializzazione. Ma un'inchiesta del mensile Altreconomia 2 smentisce. Così, la protesta del fronte dei "no", 3 costituito da partiti politici, mondo cattolico e pacifisti, ora monta anche sui social media. E l'opinione pubblica prende forma su Twitter, dove il tema è tra i "trending topic" del giorno, e su gruppi di discussione su Facebook. Da mesi la Rete italiana per il disarmo ha messo online un appello contro l'acquisto dei nuovi caccia, oggi rilanciato sul web.

L'inchiesta. Dall'analisi del "Memorandum of Understanding", il documento che sancisce l'accordo tra paesi compartecipanti, firmato dall'Italia nel 2007 sotto il governo Prodi, emerge che qualsiasi Stato partecipante può ritirarsi dall'accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificare poi agli altri Stati. Ma non si parla di multe: il Paese che decide di lasciare il Consorzio dovrà soltanto continuare a fornire il proprio sostegno finanziario e operativo fino alla data effettiva di ritiro. Non sono contemplati nemmeno i costi di chiusura della linea produttiva dei veivoli. Tenuto conto, poi, del principio della distribuzione degli oneri tra i partecipanti, si stima che per l'Italia la spesa massima totale del ritiro al programma militare possa ammontare a 904 milioni. Molto meno quindi della spesa prevista. Inoltre, il costo delle fasi già attuate costano al contribuente già 2,7 miliardi di euro. Con l'acquisto degli aerei, nota lo studio di Altraeconomia, la cifra è ovviamente destinata a lievitare.

La perplessità dei Paesi. L'Italia non sarebbe la prima a fare un passo indietro. Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno già fatto da apripista. Di recente, infatti, questi Stati hanno messo in discussione la loro partecipazione al programma, arrivando in qualche caso ad una sospensione. Persino il Pentagono ha espresso grande preoccupazione sul suo proseguimento: 4 troppi problemi tecnici, ritardi e costi crescenti del progetto.

I costi. L'Italia dovrebbe iniziare ad acquistare i primi quattro aerei quest'anno. Gli altri, entro il 2023. La spesa totale prevista è di 13 miliardi di euro. Una cifra che era stata stanziata già dall'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Ma le più recenti stime basate sui dati del Pentagono - secondo il mensile - proiettano il costo finale di ciascun veivolo a più del doppio dell'ipotesi iniziale. Questo significa che per l'Italia la spesa potrebbe ammontare almeno a 15 miliardi di euro considerando che per i progetti aeronautici, i costi maggiori si hanno proprio per il mantenimento e la gestione dei mezzi aerei. I veivoli dovranno essere consegnati due anni dopo la firma del contratto d'acquisto. In termini monetari, ciò si traduce in un costo annuo medio per l'Italia di 1.250 milioni. Dal 2012 al 2023, infatti, la spesa va dai 460 ai 1.495 milioni di euro all'anno.

Stime occupazionali e industria. Le parti sociali sostengono che siano 200 i posti di lavoro creati nella struttura Faco di Cameri, invece, il Ministero della Difesa ne conta 600. Una cifra nettamente inferiore rispetto a quella dei proclami di politici e manager che ne vantavano 10 mila. Alla fine del'inchiesta viene avanzata una proposta: spostare un miliardo di dollari dalla Difesa al comparto delle energie rinnovabili. Aumenterebe del 50% il tasso di occupazione, addirittura si arriverebbe al 70% se reinvestiti in ambito sanitario.

(03 gennaio 2012) http://www.repubblica.it


Vero, non si parla di penali tuttavia chi abbandona il progetto deve sostenere le spese che gli altri avranno per prendere il nostro posto. Questo è il documento dell'accordo (firmato allora dal governo di centrosinistra, anzi Ulivo) http://www.scribd.com/fullscreen/37886818
A pagina 82 (punto 19.4) è scritto chiaramente che non ci sono penali ma ...

NfA ha scritto:[il documento...] citato prima (pagina 82) non prevede penali esplicite di uscita. Ciò non significa che la nostra eventuale uscita sarebbe eventualmente economica. Infatti, l'accordo sancisce che il contraente uscente dovrà sostenere tutti i costi della sua uscita e quelli che gli altri membri del consorzio dovranno sostenere per via di questa scelta. [...] temo che le cifre potrebbero essere astronomiche. Si pensi solo al centro di Cameri, costruito per il programma F-35. L'Italia non solo finirebbe per pagare quel centro da sola, ma dovrebbe poi pagarne uno alternativo agli altri membri del consorzio. O si pensi a tutte le spese legali per rinegoziare gli accordi industriali.

In pratica ogni spesa che l'Italia ha fatto sul suo territorio non sarà piu' condivisa con gli altri partner e rimarrà sul groppone itaalico ed inolter dovremo pagare le spese che gli altri dovranno sostenere per sopperire alla nostra uscita.
Inoltre dobbiamo comunque sostituire gli aerei che abbiamo (Tornado, Harrier etc ormai arrivati a fine vita) per cui non è rinunciando agli F-35 che risolviamo il problema. Dovremo spendere altri soldi per altri aerei (quai?) e visto che tutti per ora hanno puntato sull'F-35 sembra evidente proseguire su quella strada. O vogliamo rimanere senza aviazione e solo con qualche savoia marchetti in tela cerata di fantozziana memoria?
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