MESSAGGIO DI FINE ANNO
DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
Roma, 31 dicembre 2011
Buona sera e buon anno. E innanzitutto, grazie. E’ un
grazie che debbo a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e
donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese,
per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia
recato per celebrare la nascita dell’Italia unita e i suoi
150 anni di vita. Grazie per la partecipazione sentita e
significativa a quelle celebrazioni, per lo spirito di
iniziativa che si è acceso nelle più diverse istituzioni e
comunità, accompagnando uno straordinario risveglio di
memoria storica e di mobilitazione civile, e portando le
celebrazioni del Centocinquantenario a un successo, per
quantità e qualità, superiore anche alle previsioni più
ottimistiche.
Il mio è, in sostanza, un grazie per avermi trasmesso
nuovi e più forti motivi di fiducia nel futuro dell’Italia.
Che fa tutt’uno con fiducia in noi stessi, per quel che
possiamo sprigionare e far valere dinanzi alle avversità :
spirito di sacrificio e slancio innovativo, capacità di
mettere a frutto le risorse e le riserve di un’economia
avanzata, solida e vitale nonostante squilibri e punti
deboli, di un capitale umano ricco di qualità e
sottoutilizzato, di un’eredità culturale e di una creatività
universalmente riconosciute.
Non mi nascondo, certo, che nell’animo di molti, la
fiducia che ho sentito riaffiorare e crescere nel ricordo
della nostra storia rischia di essere oscurata, in questo
momento, da interrogativi angosciosi e da dubbi che
possono tradursi in scoraggiamento e indurre al
pessimismo. La radice di questi stati d’animo, anche
aspramente polemici, è naturalmente nella crisi
finanziaria ed economica in cui l’Italia si dibatte.
Ora, è un fatto che l’emergenza resta grave : è
faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto
pesantemente terreno ; i nostri Buoni del Tesoro –
nonostante i segnali incoraggianti degli ultimi giorni –
restano sotto attacco nei mercati finanziari ; il debito
pubblico che abbiamo accumulato nei decenni pesa come
un macigno e ci costa tassi di interesse pericolosamente
alti. Lo sforzo di risanamento del bilancio, culminato
nell’ultimo, così impegnativo decreto approvato giorni fa
dal Parlamento, deve perciò essere portato avanti con
rigore. Nessuna illusione possiamo farci a questo
riguardo. Ma siamo convinti che i frutti non
mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie
se l’economia riprenderà a crescere : il che dipende da
adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da
comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e
dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e
nazionale.
Parlo dei sacrifici, guardando specialmente a chi ne
soffre di più o ne ha più timore. Nessuno, oggi – nessun
gruppo sociale – può sottrarsi all’impegno di contribuire
al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso
finanziario dell’Italia. Dobbiamo comprendere tutti che
per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è
cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre
tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una
gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive.
Nella seconda metà del Novecento, il benessere
collettivo è giunto a livelli un tempo impensabili
portando l’Italia nel gruppo delle nazioni più ricche. Ma
a partire dagli anni Ottanta, la spesa pubblica è cresciuta
in modo sempre più incontrollato, e ormai insostenibile.
E c’è anche chi ne ha tratto e continua a trarne indebito
profitto : a ciò si legano strettamente fenomeni di
dilagante corruzione e parassitismo, di diffusa illegalità
e anche di inquinamento criminale. Né, quando si parla
di conti pubblici da raddrizzare, si può fare a meno di
mettere nel mirino l’altra grande patologia italiana : una
massiccia, distorsiva e ingiustificabile evasione fiscale.
Che ci si debba impegnare a fondo per colpire corruzione
ed evasione fiscale, è fuori discussione. Sapendo che è
un’opera di lunga lena, che richiede accurata
preparazione di strumenti efficaci e continuità : ed è
quanto si richiede egualmente per un impegno di
riduzione delle disuguaglianze, di censimento delle
forme di ricchezza da sottoporre a più severa disciplina,
di intervento incisivo su posizioni di rendita e di
privilegio.
Ma mentre è giusto, anzi sacrosanto, fare appello
perché si agisca in queste direzioni, è necessario
riconoscere come si debba senza indugio procedere alla
puntuale revisione e alla riduzione della spesa pubblica
corrente : anche se ciò comporta rinunce dolorose per
molti a posizioni acquisite e a comprensibili aspettative.
Per procedere con equità si deve innanzitutto stare
attenti a non incidere su già preoccupanti situazioni di
povertà, o a non aggravare rischi di povertà cui sono
esposti oggi strati più ampi di famiglie, anche per effetto
della crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile.
Ma più in generale occorre definire nuove forme di
sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore
di una copertura pensionistica più alta che in altri paesi o
anche di provvidenze generatrici di sprechi.
Bisogna dunque ripensare e rinnovare le politiche
sociali e anche, muovendo dall’esigenza pressante di un
elevamento della produttività, le politiche del lavoro :
per la fondamentale ragione che il mondo è cambiato,
che l’epicentro della crescita economica – e anche di
quella demografica – si è spostato lontano dall’Europa, e
non solo il nostro paese, ma il nostro continente vedono
ridursi il loro peso e i loro mezzi, e debbono rivedere il
modo di concepire e distribuire il proprio benessere, e
concentrare i loro sforzi nel guadagnare nuove posizioni
e opportunità nella competizione globale. Senza mettere
in causa la dimensione sociale del modello europeo, il
rispetto della dignità e dei diritti del lavoro.
Mi si consenta una piccola digressione personale :
vengo da una lontana, lunga esperienza politica
concepita e vissuta nella vicinanza al mondo del lavoro,
nella partecipazione alle sue vicende e ai suoi travagli.
Mi sono formato, da giovane, nel rapporto diretto,
personale con la realtà delle fabbriche della mia Napoli,
con quegli operai e lavoratori. E’ un sentimento e
un’emozione che ho visto rinnovarsi in me ogni volta che
ho visitato da Presidente una fabbrica, incontrandone le
maestranze. Comprendo dunque, e sento molto, in questo
momento, le difficoltà di chi lavora e di chi rischia di
perdere il lavoro, come quelle di chi ha concluso o sta
per concludere la sua vita lavorativa mentre sono in via
di attuazione o si discutono ancora modifiche del sistema
pensionistico. Ma non dimentico come nel passato, in più
occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso
dell’Italia la capacità dei lavoratori e delle loro
organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel
confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e
anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello
stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo
nazionale.
Non è stato forse così negli anni della ricostruzione
industriale, dopo la liberazione del paese? Non è stato
forse così in quel terribile 1977, quando c’era da
debellare un’inflazione che galoppava oltre il 20 per
cento e da sconfiggere l’attacco criminale quotidiano e
l’insidia politica del terrorismo brigatista?
Guardiamo dunque con questa consapevolezza alle
grandi prove che abbiamo davanti : come superare i
rischi più gravi di crisi finanziaria per il nostro paese, e
come reagire alle minacce incombenti di recessione.
L’Italia può e deve farcela ; la nostra società deve
uscirne più severa e più giusta, più dinamica,
moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa.
Rigore finanziario e crescita. Crescita più intensa e
unitaria, nel Nord e nel Sud, da mettere in moto con
misure finalizzate alla competitività del sistema
produttivo, all’investimento in ricerca e innovazione e
nelle infrastrutture, a un fecondo dispiegarsi della
concorrenza e del merito. E’ a queste misure che ha
annunciato di voler lavorare il governo, nel dialogo con
le parti sociali e in un rapporto aperto col Parlamento.
Obbiettivo di fondo : più occupazione qualificata per i
giovani e per le donne.
Si è diffusa, ormai, la convinzione che dei sacrifici
siano inevitabili per tutti : ma la preoccupazione
maggiore che emerge tra i cittadini, è quella di assicurare
un futuro ai figli, ai giovani. E’ questo obbiettivo che
può meglio motivare gli sforzi da compiere : è questo
l’impegno cui non possiamo sottrarci.
Perseguire questi obbiettivi, uscire dalle difficoltà in
cui non solo noi ci troviamo è impossibile senza un più
coerente sforzo congiunto al livello europeo. E’
comprensibile che anche in Italia si manifesti oggi
insoddisfazione per il quadro che presenta l’Europa
unita. Ma ciò non deve mai tradursi in sfiducia verso
l’integrazione europea.
Quel che abbiamo costruito, insieme, tenacemente, è
stato decisivo per garantirci sempre di più pace e unità
nel nostro continente, progresso in ogni campo, crescente
benessere sociale, salvaguardia e affermazione nel
mondo dei nostri comuni interessi e valori europei.
E oggi, ben più di cinquant’anni fa, solo uniti
potremo ancora progredire e contare come europei in un
quadro mondiale radicalmente cambiato. All’Italia tocca
perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una
più conseguente integrazione europea, e non indietro
verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali.
Occorrono senza ulteriori indugi scelte adeguate e
solidali per bloccare le pressioni speculative contro i
titoli del debito di singoli paesi come l’Italia, perché il
bersaglio è l’Europa, ed europea dev’essere la risposta.
Risposta in termini di stabilità finanziaria e insieme
di rilancio dello sviluppo. E non ci siamo.
Particolarmente sottovalutata è la prospettiva della
recessione, con tutte le sue conseguenze. In quanto
all’Italia, è tempo che da parte di tutti in Europa si
prendano sul serio e si apprezzino le dimostrazioni che il
nostro paese ha dato e si appresta a dare, pagando prezzi
non lievi, della sua adesione a principi di stabilità
finanziaria e di disciplina di bilancio, nonché del suo
impegno per riforme strutturali volte a suscitare una più
libera e intensa crescita economica. Abbiamo solo da
procedere nel cammino intrapreso, anche per far meglio
sentire, in seno alle istituzioni europee – in condizioni di
parità – il nostro contributo a nuove, meditate decisioni
ed evoluzioni dell’Unione.
In questo senso sta svolgendo il suo mandato il
governo Monti, la cui nascita ha costituito il punto
d’arrivo di una travagliata crisi politica di cui il
Presidente del Consiglio, on. Berlusconi, poco più di un
mese fa, ha preso responsabilmente atto. Si è allora
largamente convenuto che il far seguire
precipitosamente, all’apertura della crisi di governo, uno
scioglimento anticipato delle Camere e il conseguente
scontro elettorale, avrebbe rappresentato un azzardo
pesante dal punto di vista dell’interesse generale del
paese. Di qui è venuto quel largo sostegno in Parlamento
al momento della fiducia al governo, con una scelta di
cui va dato merito a forze già di maggioranza e già di
opposizione.
E’ importante ora che l’Italia possa contare su una
fase di stabilità e di serenità politica. Ciò non toglie che
ogni partito mantenga la sua fisionomia e si caratterizzi
in Parlamento con le sue proposte rispetto all’azione che
l’esecutivo deve portare avanti. Soprattutto, un vasto
campo è aperto per l’iniziativa dei partiti e per la ricerca
di intese tra loro sul terreno di riforme istituzionali da
tempo mature. Queste sono necessarie anche per creare
condizioni migliori in vista di un più costruttivo ed
efficace svolgimento della democrazia dell’alternanza
nello scenario della nuova legislatura dopo il ritorno alle
urne.
Mi auguro che i cittadini guardino con attenzione,
senza pregiudizi, alla prova che le forze politiche
daranno in questo periodo della loro capacità di
rinnovarsi e di assolvere alla funzione insostituibile che
gli è propria di prospettare e perseguire soluzioni per i
problemi di fondo del paese. Non c’è futuro per l’Italia
senza rigenerazione della politica e della fiducia nella
politica.
Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all’altezza
di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e
vanno al di là di pur scottanti emergenze. Avvertiamo
quotidianamente i limiti della nostra realtà sociale,
confrontandoci con la condizione di quanti vivono in
gravi ristrettezze, con le ansie e le incertezze dei giovani
nella difficile ricerca di una prospettiva di lavoro. E
insieme avvertiamo i limiti del nostro vivere civile,
confrontandoci con l’emergenza della condizione
disumana delle carceri e dei carcerati, o con quella del
dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il
nostro territorio, o con quella di una crescente presenza
di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri
senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare.
Ci si pongono dunque acute necessità di scelte
immediate e di visioni lungimiranti. Occorre una nuova
“forza motivante” perché si sprigioni e operi la volontà
collettiva indispensabile ; occorrono coraggio civile e
sguardo rivolto “con speranza fondata verso il futuro”.
Questo ci hanno detto nei giorni natalizi alte voci
spirituali. Esse si sono in effetti rivolte al più vasto
mondo in cui si collocano i travagli della nostra Italia e
della nostra Europa. Un mondo nel quale sono emerse di
recente nuove correnti e forze portatrici di aspirazioni
alla libertà e alla giustizia, ma anche difficoltà e
tensioni, e ancora feroci repressioni. Mentre restano
aperti antichi focolai di contrapposizione e di conflitto, e
si manifestano ciechi furori religiosi, fino a dar luogo a
orribili stragi di comunità cristiane.
L’Italia non può restare, e non resta, estranea a ogni
possibile iniziativa di pace e umanitaria : come dice la
nostra partecipazione – anche con dolorosi sacrifici di
giovani vite – a quelle missioni militari e civili
internazionali che vedono migliaia di nostri connazionali
farsi onore. Nel salutarli e ascoltarli in occasione del
Natale, ho colto accenti confortanti di alto senso di
responsabilità e di forte vocazione al servizio del bene
comune.
Sono accenti che colgo, qui in Italia, in tante
occasioni di incontro con le molteplici espressioni
dell’universo della solidarietà, del volontariato,
dell’impegno civile. Sono accenti che trovo in lettere
toccanti che mi vengono indirizzate da persone anziane,
da giovani e ragazzi, da uomini e donne che raccontano i
loro propositi operosi e le loro esperienze. Lasciatemi
dunque ripetere : la fiducia in noi stessi è il solido
fondamento su cui possiamo costruire, con spirito di
coesione, con senso dello stare insieme di fronte alle
difficoltà, dello stare insieme nella comunità nazionale
come nella famiglia.
E allora apriamoci così al nuovo anno : facciamone
una grande occasione, un grande banco di prova, per il
cambiamento e il nuovo balzo in avanti di cui ha bisogno
l’Italia.
A voi tutti, con affetto, buon 2012 !