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Diritti umani, informazione e comunicazione

Informazioni aggiornate periodicamente da redattori e forumisti

Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 30/11/2011, 1:58

Ultimi appelli di Amnesty:

http://www.amnesty.it/elenco-appelli-firma-online.html

25/11/11 - Appello - Egitto: le donne pretendono uguaglianza!

Le donne egiziane hanno svolto un ruolo fondamentale nella "Rivoluzione del 25 gennaio" che ha portato alla caduta del governi repressivo di Hosni Mubarak l'11 febbraio 2011. Eppure le speranze inebrianti di quei giorni in un Egitto rispettoso dei diritti delle donne non sono state rispettate. E' ora di cambiare!

22/11/11 - Nigeria: la Shell ammetta, pulisca e paghi!

Decenni di estrazione di petrolio nel Delta del Niger hanno provocato povertà, conflitti e violazioni dei diritti umani. Per la Shell è arrivato il momento di pagare il conto!

22/11/11 - Appello - Egitto: i militari devono porre fine alle violazioni dei diritti umani

La violenza è tornata al Cairo, in piazza Tahrir, da dove è nata la rivolta. I militari devono proteggere i manifestanti come hanno promesso e devono porre fine ai processi di civili di fronte a tribunali militari.

21/11/11 - Sierra Leone: alle donne in gravidanza ancora negate cure mediche

La Sierra Leone ha uno dei tassi di mortalità materna più alti al mondo. Il governo deve rafforzare e istituire sistemi di monitoraggio e accertamento delle responsabilità per garantire che le donne e le ragazze possano accedere alle cure mediche necessarie.


15/11/11 - Azioni Urgenti Kids

È on line la nuova Azione Urgente Kids! Iscriviti e attivati subito in favore dei bambini del Ciad! Chiedi al Presidente della Repubblica del Ciad, Idriss Déby Itno, di rispettare i diritti delle bambine e dei bambini controllando che l'esercito non recluti più i minori per combattere!

11/11/11 - Azione urgente - Myanmar: prigionieri privati di acqua potabile!

Quindici prigionieri politici stanno portando avanti uno sciopero della fame nel carcere di Insein, in Myanmar. Hanno subito torture e maltrattamenti. Secondo notizie provenienti dal Myanmar, è stata loro negata l'acqua potabile e otto di loro sono tenuti in gabbie per cani.


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 02/12/2011, 1:09

http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/Ser ... vembre2011

"Ogni volta che mi sgomberavano dai campi ero molto dispiaciuto... perché non pensavo che era un campo, pensavo che era la mia casa. Era il mio posto che adoravo, dove arrivavo la sera e mi mettevo al caldo... nella casa, nella baracca".


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 09/12/2011, 13:32

http://lepersoneeladignita.corriere.it/ ... /#more-697

...
A un certo punto del ping-pong con la Corte suprema, l’Alta corte ha ammesso che durante gli interrogatori di Chiou Ho-shun la polizia aveva fatto ricorso a violenza e minacce. Come se l’è cavata l’Alta corte? Ha applicato le nuove norme adottate nel 2003? No! Ha fatto un nuovo montaggio della registrazione audio degli interrogatori, togliendo le parti in cui si udivano chiaramente le urla del prigioniero.

È emerso anche altro. Nel 1994, due magistrati e 10 agenti di polizia che avevano condotto le indagini su uno dei due omicidi del 1987 per i quali Chiou Ho-shun era stato condannato a morte, sono stati riconosciuti colpevoli di aver estorto confessioni sotto tortura. Nel 2003 un altro condannato a morte, poco prima che la sua sentenza venisse eseguita, ha ammesso di essere l’autore di uno dei due omicidi.
...


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 15/12/2011, 15:50

Dal Manifesto di Michelangelo Cocco - 15.12.2011

«Non era mai successo prima che il Partito comunista cinese perdesse completamente il controllo, i 20.000 abitanti di questo villaggio di pescatori nel Sud sono ormai apertamente in rivolta. L'ultimo di una decina di funzionari è scappato lunedì, dopo che migliaia di persone, resistendo ai gas lacrimogeni e ai cannoni ad acqua, avevano impedito agli agenti armati di riprendere il villaggio». Iniziava così ieri la corrispondenza per il Telegraph di Malcolm Moore - l'unico giornalista straniero all'interno di Wukan - che sta raccontando la sommossa contro il «furto delle terre» ad opera di funzionari corrotti.
La situazione nel piccolo centro della provincia meridionale del Guandong era tesa da tempo, ma a farla esplodere è stata la morte in carcere del 43enne Xue Jinbo, uno dei 13 «rappresentanti temporanei» della popolazione. Xue era stato arrestato la settimana scorsa assieme ad altri quattro leader della protesta, perché accusato di essere «un criminale» coinvolto nelle manifestazioni di tre mesi fa, quando Wukan si sollevò contro le autorità locali che volevano cedere ai costruttori anche gli ultimi ettari di terreno coltivabile.
Dopo tre giorni di detenzione, domenica scorsa Xue è deceduto, ufficialmente per «un malore improvviso». I parenti dell'attivista - riferisce l'agenzia Reuters - sostengono invece che sia stato percosso e torturato e chiedono che venga restituita loro la salma.
Moore descrive una Wukan sotto assedio: a nessun residente è permesso di uscire, non vengono fatti entrare cibo né acqua, centinaia di agenti in assetto anti sommossa circondano il centro. Il villaggio è in mano agli insorti: deserti gli uffici governativi, le stazioni di polizia sono state tappezzate con l'immagine e il necrologio di Xue, definito un «eroe del popolo».
«La terra è dei funzionari corrotti?» chiede retoricamente uno degli striscioni dei dimostranti, le cui foto sono apparse anche sui microblog prima di essere rimosse dalla censura. E un altro svela il carattere non anti-sistema della protesta: «Partito e governo centrale, per favore salvate la madre patria da questi rapaci insaziabili!»
«Pensiamo di poter resistere da dieci a 12 giorni - ha detto al reporter britannico Zhang Xiaoping, proprietaria di un chiosco -. Stiamo utilizzando un corridoio col villaggio vicino per far entrare con le motociclette carne e verdura, ma ogni viaggio richiede un'ora».
Gli abitanti di Wukan protestano da mesi perché - accusano - funzionari locali corrotti, in combutta con gli immobiliaristi, gli hanno sottratto centinaia di ettari di terre senza le dovute compensazioni. Una situazione comune a molte zone della Cina, dove nelle aree rurali, a riparo da occhi indiscreti, si consumano soprusi a danno di popolazioni poco consapevoli delle leggi e a volte prive della documentazione che attesti i loro diritti sulle terre.
Rivolte come questa di Wukan vengono classificate tra le decine di migliaia di «incidenti di massa» che ogni anno si verificano nella Repubblica popolare e spesso prendono di mira la condotta di funzionari locali corrotti. E anche questa volta Pechino potrebbe decidere di punire in maniera esemplare le «mele marce», venendo incontro alle richieste dei rivoltosi. Lo suggerisce il buon senso, perché nel Guandong, una delle province più popolose, ricche e industrializzate del paese, alle frequenti manifestazioni contro il «furto delle terre nelle ultime settimane si sono aggiunte le inquietudini e le proteste per il rallentamento dell'economia.
E perché i rivoltosi di Wukan non desistono: «Vogliamo che ammettano la responsabilità per quel che è accaduto a settembre, quando la polizia ci massacrò, che riconoscano la legalità delle nostre richieste e che ci restituiscano la terra».


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 16/12/2011, 18:04

http://www.corriere.it/esteri/11_dicemb ... 90ab.shtml

Pedofilia, migliaia di vittime dei preti in Olanda
Lo ha stabilito una commissione d'inchiesta all'Aja
Durante l'inchiesta individuati «800 autori di abusi»


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Turchia: giornalisti imprigionati

Messaggioda flaviomob il 25/12/2011, 16:47

Centoventi giornalisti in galera. Che succede in Turchia? E’ emergenza?

di Nicola Mirenzi

Centoventi giornalisti in galera. Che succede in Turchia? 120 giornalisti in prigione. E’ emergenza? Molti di loro sono accusati di sostenere il Pkk. E il passato non aiuta…

da Il mondo di Annibale

Ahmet Sik stava completando il suo libro-inchiesta sulla polizia turca quando venne arrestato con l’accusa di «propaganda per conto di un’organizzazione illegale» il 3 marzo di quest’anno. Il libro che stava scrivendo doveva essere pubblicato con il titolo L’esercito dell’Imam e raccontava il modo in cui – secondo l’autore – la polizia era stata lentamente infiltrata ed egemonizzata da un gruppo islamista che fa capo a Fetullah Gulen: personaggio molto discusso in Turchia, considerato da alcuni il successore della tradizione colta e moderna dell’islam anatolico, da altri la mente di una lenta e costante re-islamizzazione del paese, di cui il partito attualmente al governo sarebbe soltanto l’esecutore materiale.
L’organizzazione di cui è accusato di far parte Sik si chiama Ergenekon. Secondo la magistratura, è una struttura che cospira per rovesciare il governo democraticamente eletto di Recep Tayyip Erdogan, con mezzi legali e illegali. Ne farebbero parte giudici, ufficiali dell’esercito, professori universitari, giornalisti. Ossia il cuore sociale della vecchia elite nazionalista e laicista che si ispira ai pensieri e alle opere di Kemal Ataturk, fondatore della Repubblica turca e fervente occidentalista.

Il libro di Sik – l’arma del delitto – è stato sequestrato dalla magistratura venti giorni dopo il suo arresto, per impedire la diffusione tramite esso di idee considerate eversive. Una settimana dopo, però, il volume di Sik era completamente online e disponibile per essere scaricato, letto e diffuso dagli utenti turchi. Prima di finire in manette, infatti, il giornalista aveva spedito le bozze del volume a colleghi e scrittori, i quali, le hanno prima pubblicate online anonimamente, poi le hanno usate per far uscire, a inizio dicembre, il libro interdetto dalla magistratura. Firmando collettivamente il testo (più di cento persone) e sfidando così le autorità turche: come a dire, adesso arrestateci tutti.
Ahmet Sik è diventato il simbolo di una battaglia che le associazioni per i diritti umani stanno combattendo contro gli arresti disposti ai danni dei giornalisti: attualmente ce ne sono in galera quasi centoventi, e gli ultimi trentotto sono stati arrestati soltanto martedì. Sik comparirà davanti alla corte penale entro la fine del mese e le organizzazioni umanitarie hanno elevato il suo caso a emblema di una libertà d’espressione violata, sostenendo che un paese che aspira a diventare membro dell’Unione Europea non può permettersi di tappare la bocca ai giornalisti. Né tantomeno può usare la repressione della magistratura per limitare la libertà d’opinione e di parola. L’unico responsabile dell’arretramento della linea della libertà che viene individuato è il governo di Recep Tayyip Erdogan. Ma la realtà della situazione merita di essere trattata con un tantino di attenzione in più. Perché i giornalisti che sono in galera non lo sono per gli stessi identici motivi. La maggior parte di loro (ottanta) è in manette perché accusata di complicità con il partito dei lavoratori curdo, il famigerato Pkk, un’organizzazione considerata terroristica oltre che da Ankara anche da Stati Uniti ed Unione Europea.

Finire in gattabuia per la presunta vicinanza con il Pkk però è una cosa relativamente semplice in Turchia e, nei fatti – secondo molte organizzazioni terze, come l’International Crisis Group -, succede anche a persone che con il Pkk non hanno, e non hanno mai avuto niente a che fare. La minaccia curda è in realtà una paura con cui i turchi sono educati a crescere sin dalle scuole elementari. In suo nome, sono stati autorizzati soprusi di ogni genere e ancora oggi continua a essere un alibi per legittimare abusi di potere vari.
Ma nessuna delle forze politiche di opposizione che siedono oggi in parlamento (escluso il partito filo-curdo) – le più importanti delle quali gridano oggi alla libertà violata – è disposta a mettere in discussione i termini di legge che consentono tali limitazioni della libertà. La drammaticità della situazione sta proprio nel fatto che la maggior parte dei giornalisti che oggi è in galera rimarrebbe in galera anche se la maggioranza di governo dovesse cambiare domani mattina.
Così, se si esclude un’altra decina di giornalisti finiti in manette perché accusati di spalleggiare organizzazioni di estrema sinistra, e che alla stregua dei curdi rimarrebbero dove sono anche con un’altra maggioranza di governo, il vero nodo dello scandalo politico riguarda in realtà una dozzina di reporter – tra cui Sik – accusati di far parte, come accennavamo, dell’associazione Ergenekon. Ergenekon è una rete accusata di aver tentato di rovesciare con l’aiuto dell’esercito il governo Erdogan. Un fatto tutt’altro che insolito nella storia della Turchia, che, dalla sua fondazione a oggi, ha visto compiere ben quattro colpi di stato.
Questo, naturalmente, non giustifica nemmeno uno degli arresti che sono stati disposti. Ma la faccenda dei giornalisti in galera tocca un punto molto delicato dell’ordinamento giuridico turco. Il quale è organizzato per difendersi da minacce che a volte sono soltanto immaginarie, consentendo a chiunque sia al governo di usarle a proprio vantaggio.
La presunta illibelarità del governo Erdogan – che pure non è certo un sincero democratico – è una questione che va maneggiata con molta cautela. I primi due governi Erdogan hanno avuto infatti il merito – in contemporanea con l’entusiasmo creato dalla prospettiva dell’adesione all’Unione Europea – di aprire un sistema che è stato per decenni sotto la tutela del potere militare. La diminuzione del potere dell’esercito è stata un’operazione che il partito di governo (erede dei partiti che nella storia della Turchia sono stati chiusi con la forza, nonostante contassero sul voto dei cittadini) ha portato avanti sistematicamente: usando, anche mediaticamente, l’inchiesta Ergenekon (sostenuto, in questo, da tutti gli osservatori internazionali, inclusa l’Unione Europea). L’iniziativa di Erdogan e i suoi ha avuto il merito di metter in discussione persone posizionate a più alti gradi dell’esercito, le quali, dopo aver esercitato per anni un potere sciolto da ogni legge, sono state chiamate a rispondere delle loro azioni davanti ai tribunali (come in ogni stato di diritto).

Quando il processo di adesione all’unione Europea ha cominciato a bloccarsi, per veti politici e culturali, l’avviata apertura del sistema politico turco ha iniziato a rallentare a sua volta. L’inchiesta Ergenekon ha sempre di più assunto i tratti di un teorema e molto più frequentemente le persone hanno cominciato a essere private della libertà sulla base di prove anche deboli e spesso costrette a lunghi arresti preventivi. Il paradosso di un paese che chiede di aderire all’Unione Europea ma che consente che accadano cose che nell’unione Europea non potrebbero mai accadere è visibile anche a occhio nudo. Ma chi conosce la Turchia da abbastanza tempo sa che il solo sperare di poter fare parte, prima o poi, dell’UE ha innescato nel paese dei cambiamenti democratici che sembravano impensabili sino a pochi anni prima. Se dunque oggi si è arrivato a registrare un arretramento della linea della libertà, non a caso in contemporanea con lo stallo dei negoziati europei, non bisogna certo togliere responsabilità a chi questo arretramento l’ha determinato. Ma bisognerebbe quantomeno non far finta di non vedere che chiudere le porte dell’Unione in faccia, dopo averle aperte, sta avendo delle ricadute molto gravi in termini di libertà. Non solo. Sta lentamente facendo passare l’idea – molto dannosa – che non è la democrazia il vero requisito per guadagnarsi l’Unione Europea. Mentre da parte loro, le classi dirigenti europee, farebbero bene a non usare la matita rossa solo quando gli errori sono imputabili agli altri.

http://www.articolo21.org/4465/notizia/ ... de-in.html


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 28/12/2011, 9:19

http://video.repubblica.it/mondo/nord-c ... ef=HREC1-1

Nord Corea: l'incubo dei campi di concentramento


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 30/12/2011, 1:02

Morti nel carcere. Brutte storie, che non finiscono mai

di Valter Vecellio


Questa storia è davvero una brutta storia. Una brutta storia come quelle – chi ha i capelli bianchi le ricorderà – di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico volato giù da una finestra della questura di Milano, la sera del 15 dicembre 1969; un uomo, ha detto il presidente Giorgio Napolitano, “di cui va riaffermata e onorata la linearità, sottraendolo alla rimozione e all’oblio”. Una brutta storia come quella di un altro anarchico, un ragazzo che si chiamava Franco Serantini, riempito di botte e lasciato morire in carcere. E quante se ne potrebbero citare, di queste brutte storie: Salvatore Marino, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi… Queste brutte storie e altre, sono raccontate in un bel libro di Luigi Manconi e Valentina Calderone, “Quando hanno aperto la cella” (Il Saggiatore, pagg.244, 19 euro). Un libro che a leggerlo uno sta male, o almeno ci si augura che faccia male. Tra queste storie c’è anche quella di Giuseppe Uva, “La notte che non finisce più”. Di Giuseppe ha scritto Claudia Sterzi su “Notizie Radicali” di ieri. Davvero una brutta storia. Ma non è finita. Non finisce mai.
Il pomeriggio del 23 dicembre da Milano si viene avvertiti di una svolta nella vicenda. La notizia non è ancora stata diramata dalle agenzie, ma circola, viene data per sicura: Giuseppe, morto all’interno di una caserma dei carabinieri di Varese tre anni fa, ha subito sicuramente violenze e torture anche di carattere sessuale. La cosa emerge dall’esame dei reperti. La cosa costituisce una svolta, la conferma di quello che famiglia e amici sospettano, dicono a mezza voce, chiedendo che su quella brutta storia sia fatta luce, e invece di tutto si fa per affossarla. E’ il 23 dicembre, quando la notizia comincia a circolare. E prudenzialmente, in attesa di conferme e riscontri, aspettiamo. E arriva sabato 24. L’indiscrezione del giorno precedente è confermata. La brutta storia diventa orribile. Ma il 25 è Natale, i giornali non escono; e non escono neppure il 26. Ne riferisce qualche notiziario televisivo, ma come di cosa che capita, un incidente…
Il 27 dicembre i giornali sono in edicola. Di questa brutta, orribile storia non una riga. Provate a fare una ricerca su Google, digitando “Giuseppe Uva”. Prima notizia, l’articolo di Claudia Sterzi su “Notizie Radicali”. Poi un articolo dal sito della “Provincia di Varese”. Si riporta la conclusione del professor Adriano Tagliabracci dell’università di Ancona incaricato della perizia: “Sono presenti tracce biologiche in particolare sulla scarpa sinistra. Sui jeans marca Ram tracce ematiche e salivari di Uva. Materiale biologico non identificato diverso dal sangue, sperma e urine appartenenti a Giuseppe Uva. In regione sacroperineale paramediana destra, oltre a sangue sono presenti cellule pavimentose con nucleo che possono essere derivate dalla regione anale o dalle basse vie urinarie. Il materiale risulta appartenere a Giuseppe Uva. Sui jeans tracce bio di altri soggetti in alcuni casi misto a quello di Uva”. La storia, come s’è detto fin dall’inizio, è una brutta storia, una storia orribile. D’accordo, è Natale. D’accordo, dobbiamo mostrarci tutti buoni e occupati a divertire e a divertirci. E poi c’è stata la strage a Genzano di Lucania, la mattanza in Nigeria, la morte di Giorgio Bocca; e come non preoccuparci del principe Filippo d’Inghilterra ricoverato, e visitato – notiziona! – il giorno di Natale dalla regina Elisabetta, che significa semplicemente che la moglie è andata a trovare il marito?
Però questa brutta, orribile storia di Giuseppe Uva l’hanno ignorata un po’ tutti. Cos’è accaduto, in quella caserma dei carabinieri di Varese? Varese, si puo’ ricordarlo?, la citta’ dell’ex ministro dell’Interno… La sorella Lucia racconta i terribili minuti di quando le viene mostrato il corpo di Giuseppe: “…Su tutto il fianco era blu, sono sicura che non erano i segni dell’ipostasi, io ne ho visti di morti, ho vestito mio zio, mia zia, e quei segni erano lividi. Poi vedo il pannolone. E mi chiedo: perché aveva il pannolone? Mia sorella prende il sacchetto in cui c’erano i pantaloni e li guardiamo. Erano pieni di sangue sul cavallo. Metto via i pantaloni e guardo le scarpe da ginnastica che gli avevo comprato io dieci giorni prima e che adesso erano tutte consumate. Gli slip non c’erano. Gli ho tolto il pannolone e ho visto il sangue. Gli sposto il pene e vedo che aveva tutti i testicoli viola e una striscia di sangue che gli usciva dall’ano. Da quel momento ho giurato che avrei fatto tutto il possibile per arrivare alla verità sulla sua morte, un simile scempio non può restare impunito”.

http://www.articolo21.org/4483/notizia/ ... e-non.html


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Rai: poca attenzione ai non udenti

Messaggioda flaviomob il 30/12/2011, 11:48

Sottotitoli Rai, Ente sordi: "Servizio insufficiente". L'Ens denuncia: sottotitolato il 30-35% della programmazione, invece del 60% previsto e per nessun tg regionale è attiva la pagina 777. "Positivo l'interessamento del direttore generale Masi".

Pagina 777, i guai non finiscono mai. E' ancora costantemente sotto gli standard definiti dal Contratto di servizio firmato dalla Rai il servizio di sottotitolazione riservato alle persone sorde e con difficoltà sensoriali.

Il documento, che scadrà il prossimo 31 dicembre, prevede una quota pari al 60% di programmazione sottotitolata e tradotta in Lis (Lingua dei segni italiana) per le persone sorde, ma attualmente viale Mazzini non riesce a superare il 30-35%, così come indicato dal direttore generale Mauro Masi alla Commissione di Vigilanza due giorni fa. Una carenza peraltro non solo quantitativa, ma anche qualitativa, denunciata più volte negli ultimi mesi dall'Ens, l'Ente nazionale sordi, che ricorda oggi in una nota che "nessun Tgr viene sottotitolato nonostante, sempre secondo il contratto di servizio, avrebbero dovuto essere accessibili in tutte le Regioni da oltre un anno".

Il giudizio dell'Ens sull'operato della Rai è dunque ancora negativo, ma dopo le parole del direttore generale di fronte alla Vigilanza c'è la speranza che qualcosa possa cambiare: "Alla luce dell'interesse dimostrato dal Direttore Generale nei confronti dell'accessibilità della programmazione per i disabili sensoriali, elemento innovativo e positivo rispetto al passato - si legge nella nota dell'Ens - l'Ente nazionale sordi torna a sollecitare la necessità e l'urgenza di un incontro su questi temi e sul rinnovo del contratto di servizio". (ska)

Fonte: superabile.it


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Il femminicidio italiano continua...

Messaggioda flaviomob il 30/12/2011, 13:16

Stefania Noce, l’ultima vittima di una violenza non tollerabile

- di Massimo Malerba -



Sui giornali di ieri l’uccisione di Stefania Noce (e di suo nonno che ha provato inutilmente a difenderla) e, fatta eccezione per qualche blog più attento, è stata liquidata in tre righe con la odiosa e sbrigativa etichetta di omicidio passionale. Un po’ come quando chiamano “morti bianche” gli omicidi sul lavoro. Un modo come un altro per rendere lessicalmente accettabili fenomeni che chiamano in causa responsabilità collettive, “timidezze” normative e precisi schemi culturali. Ha ragione Dafne Anastasi quando invoca “un po’ di purificazione lessicale nel descrivere le tragedie”. E ha ragione Roy Paci quando, a commento di un post pubblicato sulla nostra pagina, scrive che “chi parla di istigazione alla violenza da parte delle donne andrebbe denunciato perché pericoloso”. Dovremmo cominciare un po’ tutti a chiamare le cose col proprio nome: quello di ieri, a Licodia Eubea, è l’ennesimo femminicidio, il numero 93 dall’inizio dell’anno. E poi, dovremmo cominciare a rendere giustizia alla memoria di queste donne, a rivestirle di storia, a raccontarle nella loro dimensione umana e sociale, a ricordarle.Vorrei provarci con le poche testimonianze che seguono. Ho conosciuto Stefania via Facebook: mi contattò alla vigilia del referendum per chiedermi dei volantini da distribuire nel suo paese, Licodia Eubea, in provincia di Catania. Stefania era una ragazza impegnata in molte battaglie civili, ha partecipato alle manifestazioni delle donne di “Se Non Ora Quando”. I suoi amici, su Facebook, la ricordano con un collage di foto che testimonia il suo impegno in Abruzzo a favore delle vittime del terremoto .
Il Movimento Studentesco Catanese ha aperto una bacheca di messaggi per ricordarla. L’ultimo articolo di Stefania “Ha ancora senso essere femministe?”

Bene ha fatto il Popolo Viola a segnalare con forza questa vicenda. E condiviamo l’appello ad evitare un lessico sbagliato e fuorviante. E non vi è dubbio che l’espressione “delitto passionale” come quella “morti bianche” rischia di indurre in errore, sminuire, quasi creare un alibi. Per questo ci permettiamo di rivolgere un appello a tutti i media affinchè parlino di questa vicenda che è stata liquidata in poche righe e lo facciano utilizzando le parole giuste… (Giuseppe Giulietti, Stefano Corradino)



http://www.articolo21.org/4490/notizia/ ... lenza.html


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