Fiorello, non facciamone una questione di Stato
Lo showman è un tecnico come Monti. Ma il suo non è un programma di tagli.
di Lia Celi
Fu un fisico italiano, Enrico Fermi, a dimostrare che l’atomo poteva essere diviso. Se fosse stato italiano anche l’atomo, si sarebbe diviso spontaneamente, e le particelle subatomiche si sarebbero azzuffate sui giornali con veementi articoli pro e contro Fermi, con un micidiale fallout di aria fritta.
DIVISIONI GENETICHE. Caratteristica millenaria del nostro popolo è infatti spaccarsi sempre e comunque, all’insegna del «meglio accapigliarsi su una boiata oggi che discutere di una cosa seria domani». Immaginarsi il panico alla caduta di Silvio Berlusconi, padre di tutte le liti da bar: un’insidiosa forza di coesione già ci stava spingendo gli uni verso gli altri, obbligandoci a usare collettivamente i neuroni per ragionare sulla crisi anziché per inventare nuovi insulti da scambiarci.
FIORE, INVIDIO ET AMO. Poi, miracolosamente, è apparso lui. Fiorello. Quintessenza di tutto ciò che metà degli italiani ama e l’altra metà ama odia: è aitante, ricco, abile, popolare e straordinariamente bravo. Statura a parte, è ciò che Berlusconi sarebbe potuto diventare se, a bordo di una delle navi su cui cantava da giovane, avesse incontrato Claudio Cecchetto. (Per inciso: all’inferno c’è un apposito girone per i talent scout che non hanno incoraggiato a sufficienza artisti promettenti, poi vendicatisi sull’umanità tutta. Fra i dannati, il critico d’arte che bocciò gli acquerelli di Adolf Hitler, l’editore che non commissionò al giovane Benito Mussolini il sequel di Claudia Particella, l’amante del Cardinale, l’allenatore che non disse a Deejay Francesco «hai un futuro nel badminton», ecc.).
GLI ATTACCHI BIPARTISAN. Gli ascolti strepitosi delle prime puntate de #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend sono stati festosamente salutati da scoppietti di polemiche. Da sinistra si è gridato al «nazionalpopolare» e addirittura al «Bagaglino dal volto umano», ma il dardo più acuminato è, come sempre, l’accenno agli esordi di Fiorello come animatore nei villaggi Valtur.
Si parva licet, non sarà chic rinfacciare a un regista da Oscar di aver stuprato una minorenne 30 anni fa, ma non lo è nemmeno rimproverare a uno showman di aver organizzato in gioventù giochi-aperitivo per turisti maggiorenni.
Per la destra illuminata, rappresentata da Oscar Giannino (e basta), il successo dello show di Raiuno è un allarmante sintomo dell’infantilismo degli italiani, che invece di pugnar da forti contro la recessione si consolano col varietà; di altissimo livello, sì, ma vuoi mettere con un reading di Engineering the Financial Crisis?
QUESTIONE DI TECNICA. Proviamo a ragionare. D’accordo, Fiorello non sfotte con cattiveria niente e nessuno. Non è un artista «politico» come (sembra) Maurizio Crozza. È un tecnico, il migliore sulla piazza. L’equivalente di Mario Monti nel ramo entertainment, chiamato a scongiurare il tracollo di Raiuno come l’uomo della Bocconi quello dell’economia. (Anzi, non è da escludere che dietro entrambe le nomine ci sia il Quirinale).
In quanto tecnico, Fiore può anche risultare «noiosissimo», e non solo a una satira guerriera come Sabina Guzzanti, anche perché non è umanamente possibile non sbadigliare mai durante uno spettacolo di tre ore.
Ma poiché Fiorello ha in mano un programma televisivo e non uno di tagli, è assurdo farne una questione di Stato. In fondo, per citare un illustre spettatore del Più grande governo dopo il Big Spread, «possiamo staccare la spina quando vogliamo».
http://www.lettera43.it/attualita/32293 ... -stato.htm