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Paranomia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Paranomia

Messaggioda flaviomob il 25/11/2011, 0:55

dal Corriere:

Lanzetta, il superchirurgo bocciato da 9 anni
Cattedra negata. I giudici in 5 verdetti: sbagliato



Quando inventò le Loonarie collocandole nel Pacifico sud-orientale, lo scrittore Godfrey Sweven in «Riallaro, l'arcipelago degli esilii», immaginò un gruppo di isole dove trovavano rifugio i pazzi. E come spiega Anna Ferrari nel «Dizionario dei luoghi immaginari» c'erano appunto «l'Isola degli Snob, dove tutti hanno un'aria saccente» e «l'Isola del Giornalismo, dove risiedono gli affetti da grafomania» e «Satutto, l'isola i cui abitanti credono che la loro terra sia la più fertile, ricca e invidiata al mondo» e appunto «l'isola di coloro che vivono ignorando la legalità»: Paranomia.
L'avesse saputo prima, Marco Lanzetta dice che avrebbe evitato di perdere tempo con gli avvocati. Il guaio è che, pur avendo studiato, vissuto, insegnato e operato da un capo all'altro del pianeta, dal Canada alla Francia, dall'Australia all'Africa, da dove è appena tornato dopo aver passato 17 giorni di «vacanza» tentando di ricostruire le mani a decine di bambini del Togo, del Benin, del Ghana e del Burkina Faso, non immaginava che quel luogo esistesse davvero.

Tutto comincia quando il chirurgo, dopo essersi specializzato in chirurgia della mano nel New South Wales e in Quebec, aver avuto giovanissimo la direzione della Microsearch Foundation di Sydney, aver partecipato nel 1998 a Lione al primo trapianto al mondo di una mano e avere già pubblicato molti dei suoi 190 libri, capitoli di opere collettive e articoli scientifici anche sulle maggiori riviste internazionali, decide di concorrere per una cattedra di professore di ruolo di prima fascia alla «Insubria» per «malattie dell'apparato locomotore». La materia che già insegnava come «associato» alla Bicocca: «Pareva un bando studiato per me». Errore: «Era destinato ad altri».

Come ricorda l'ultimo dei verdetti giudiziari, il tormentone comincia nell'autunno 2002. Quando, esaminati i candidati alla cattedra, la commissione giudicatrice dichiara «idonei i professori Giorgio Pilato e Paolo Tranquilli Leali e non idoneo il Prof. Lanzetta». Giusto? Sbagliato? Non ci vogliamo neppure entrare. Perché se anche Lanzetta fosse ingiustamente considerato un fenomeno nel resto del mondo ma fosse in realtà un somaro casualmente finito a fare il primo trapianto di mano al mondo e gli unici trapianti simili in Italia, il punto è quello che dicevamo: le sentenze vanno rispettate sì o no anche nelle università?

Il nodo è questo: convinto che ci fosse una sproporzione abissale fra il curriculum e la mole di lavori scientifici che aveva presentato lui (soprattutto in inglese, tra i quali due saggi su «Lancet») e quelli degli altri due concorrenti, Lanzetta fa ricorso al Tar e il Tar, sia pure con tempi biblici, nel 2006 gli dà ragione «giudicando irragionevole la valutazione negativa della commissione giudicatrice sulla particolare specializzazione del Prof. Lanzetta». I due professori premiati dall'ateneo ma non dai giudici e la «Insubria» ricorrono al Consiglio di Stato, che di nuovo dà torto a loro e ragione a Lanzetta. A quel punto cosa fa il rettore? Rinnova la «procedura di valutazione», accetta le dimissioni del presidente della commissione, lo sostituisce con un altro e conferma gli altri componenti della «giuria». La quale, un anno dopo la sconfitta in appello (che fretta ci sarà mai...) torna nel novembre 2008 a dichiarare vincitori i professori Pilato e Tranquilli Leali e a bocciare Lanzetta che ha osato contestare il loro giudizio.

La cosa è così «eccentrica» che finisce sul Corriere dove Mario Pappagallo ricorda chi è il trombato («500 interventi all'anno alla mano con il suo team dell'Istituto di chirurgia della mano di Monza, con sedi anche a Milano, Bologna e Roma»), raccoglie la sua accusa contro le selezioni nostrane («Concorsi pilotati dove già si sa chi deve vincere e si agisce per demotivare chi vuole partecipare») e scrive: «Il Lanzetta non idoneo a insegnare chirurgia della mano in Italia è una vittima illustre della demeritocrazia italiana, delle lobby delle commissioni giudicanti, del nepotismo radicato nei nostri atenei». Risultato: zero. Come a niente servono le denunce dei siti web nati contro «ateneo-poli».

Cocciuto («ormai ho chiuso con l'università italiana ma questo andazzo deve finire»), Marco Lanzetta torna a fare ricorso. E il Tar, nell'aprile 2009, torna a dargli ragione disponendo «l'annullamento degli atti impugnati». E otto mesi dopo torna a fare lo stesso, stroncando il contro-ricorso della «Insubria», anche il Consiglio di Stato. Che ordina all'università «di rinnovare la procedura di valutazione comparativa annullata e di innovare la composizione della Commissione giudicatrice» per «assicurare condizioni oggettive di imparzialità» dato che già due volte la stessa commissione non aveva rispettato ciò che la magistratura aveva stabilito.

Avete perso il conto? Lanzetta batte Insubria quattro sentenze a zero. Ma non è finita. Nel 2010 l'università rifà nuovamente la selezione: sempre promossi i soliti due, sempre bocciato Lanzetta. Il quale, mai morto, torna in tribunale per l'ennesima puntata della telenovela. Questa volta, gli si schierano contro non solo l'Insubria e i docenti promossi ma anche il ministero. E siamo alla sentenza finale. Dove la prima sezione del Tar milanese, presieduta da Francesco Mariuzzo, censura che la commissione abbia «dato positivo rilievo a una monografia del Prof. Pilato («La pseudoartrosi dello scafoide») pubblicata dopo la pubblicazione del bando di concorso». Eccepisce che di quella commissione faceva parte «il prof. Gianni Zatti che, avendo collaborato con il prof. Pilato sia in ambito universitario sia nell'attività libero professionale, sia pubblicando un'opera come coautore, sarebbe stato incompatibile alla carica». E infine scrive nero su bianco che certo, una commissione ha «ampia discrezionalità tecnica». E ovviamente «il giudice non può sostituirsi». Però «è anche incontestabile» che «egli non può esimersi dall'accertare l'eventuale erroneità dell'apprezzamento da essa condotto, ove tale erroneità sia in concreto individuabile». Per capirci, se emergono storture macroscopiche «al di fuori dell'ambito dell'opinabilità» allora il magistrato ha sì il diritto e il dovere di intervenire.

Un esempio? «La tecnica del trapianto della mano (esperienza vantata solo dal candidato Lanzetta) non appare essere stata valorizzata rispetto alle diverse esperienze degli altri candidati». Un altro? «In 13 delle 15 pubblicazioni presentate il nome del Prof. Lanzetta figura per primo» e c'è una evidente sproporzione rispetto «alla borsa di studio assegnata al candidato Giorgio Pilato dal governo giapponese».

Insomma, dice l'ultima sentenza, l'ultima selezione della Insubria «riproduce i medesimi vizi» delle altre annullate, è «in contrasto» con ciò che aveva disposto il giudice e pur eseguendo formalmente quegli ordini «tende in realtà a perseguire l'obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo». Quindi l'intera procedura «deve essere annullata». Risultato finale: Lanzetta batte Insubria 5-0. In un Paese serio, davanti a un risultato così, si dimetterebbero il rettore, i commissari, i professori dichiarati vincitori, tutti. Ma questo, si capisce, in un Paese serio e non a Paranomia...

Gian Antonio Stella


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Re: Paranomia

Messaggioda franz il 26/11/2011, 10:22

Questo arcipelago degli esili ricorda tanto i gironi danteschi.
In fondo il concetto è lo stesso: si tratta di individuare dei peccati e confinare nello stesso luogo le persone che li hanno compiuti (soprattutto se ne abusano in modo compulsivo, come pare accada all'università dell'insubria e piu' in generale in Italia).
Orbene scopriamo quindi che l'Italia è un inferno, anche perchè a vedere chi popola le altre isole, noi abbiamo validi esponenti da mandare un po' ovunque. Siamo degnamente rappresentati in ogni isola/girone.

L'aspetto pero' centrale della situazione è che qui si presenta, come spesso in Italia, un conflitto tra poteri.
Da un lato abbiamo che giustamente chi non è soddisfatto dell'esito di un concorso puo' fare ricorso al TAR, dall'altro abbiamo un'università che altrettanto giustamente ha la sua (sudata) autonomia e quindi decide di diritto su chi vuole assumere in funzione del concorso che ha predisposto.

Magari decide male, decide sbagliando, ma imparerà dai propri errori. Nel caso specifico leggo che la cattedra da assegnare riguardava ortopedia e traumatologia, dove la mano è una parte piccola degli interventi totali su cui ci si deve specializzare. Ora è chiaro che questo Lanzetta è ultraspecializzato in una pratica particolare (la ricostruzione della mano) ma una cattedra di ortopedia e traumatologia deve occuparsi anche di femori, schiena, bacino, arti superiori, cranio, che sono statisticamente piu' rilevanti e dove gli specializzandi si attendono di avere un professore che sappia illustrare bene tutto, non solo le tecniche sulla mano.

Ecco che forse (dico forse, perché non ho tutti gli strumenti di valutazione) l'università puo' avere ragione a voler scegliere docenti meno specializzati su un particolare (e con meno references) e piu' generalisti. E naturalmente qui non stiamo parlando di un ospedale o di una clinica, dove naturalmente a Lanzetta dovremmo spalancare tutte le porte ma dell'insegnamento, unito naturalmente alla pratica chirurgica.

Allora come se ne esce? In un paese civlie dovrebbe bastare il buon senso. Se cercano un docente di fisica per un liceo, non si presenta Rubbia con un Nobel alle spalle (estremizzo per capirci). Una volta capito questo, è normale che quel liceo voglia persone meno specializzate. Tutti dovrebbero capirlo, sia chi si sente escluso (pensava che il posto fosse per lui) sia i gornalisti che ci montano un caso, sia i giudici amminitrativi che esaminano un eventuale primo ricorso.
In un paese incivile si va avanti a carta bollata e ricorsi in tribunale, ingolfando per nove anni le aule di giustizia.

Ed è questo il vero girone in cui siamo.
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Re: Paranomia

Messaggioda flaviomob il 26/11/2011, 12:16

Paradossale. Se Rubbia volesse insegnare in un liceo, perché non potrebbe farlo, visto che è uno dei migliori?
Mah.

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http://www.centroriformastato.org/crs2/ ... article306

La meritocrazia

8 novembre

La parola “merito” è vittima dei propri meriti. Che sono tanti in un paese dominato da corporazioni, rendite e oligarchie senza merito. Nel suo significato è implicita una lotta contro tutto ciò che blocca la società italiana impedendone l’innovazione, il ricambio generazionale e la mobilità sociale. Nel sostenere una semantica di carattere polemico la parola si è però molto affaticata. Anche le parole si stancano, dice il Qoéhlet. Si è portati a prendere partito in questa lotta “giusta” e ad approvare indiscutibilmente la parola che ne costituisce il vessillo. L’uso mediatico appiattisce ancora di più il significato, privandolo di senso critico. La mancanza di limiti va a discapito della precisione linguistica. “Sostenere il merito” è come dire “volere bene alla mamma”, senza precisare se la mamma è soddisfatta e senza poter distinguere il figlio amoroso da quello ingrato. Al cattivo uso delle parole seguono spesso politiche sbagliate. Di recente, ad esempio, la Gelmini ha voluto tributare onore al merito intitolandogli addirittura una Fondazione. Si è creato un nuovo carrozzone pubblico, proprio mentre vengono eliminate istituzioni culturali, che dovrebbe assegnare borse di studio esclusivamente in base al merito, senza alcun riguardo per le condizioni di reddito. Il meritevole figlio di papà otterrà un sussidio statale di cui non ha certo bisogno, mentre già oggi non ci sono soldi per dare la borsa ai figli altrettanto meritevoli delle famiglie povere o del ceto medio in difficoltà. Con la retorica del merito si toglie a chi ha bisogno per dare ai ricchi. Il carattere polemico della semantica è ancor più evidente nella tendenza della parola a prendere il potere, trasformandosi in “meritocrazia”. Nell’interpretazione in buona fede si tratta di un potere spirituale inteso come primato morale del merito nell’organizzazione sociale. Ma l’alleanza con il potere non è mai innocua e il significato ne risulta radicalmente deformato. Che cosa significa dare il potere al merito? Nell’accezione più benevola è il demos che tramite elezioni affida le decisioni alle persone migliori. In questo caso “meritocrazia” indica il buon funzionamento della rappresentanza, ma diventa anche un inutile sinonimo di democrazia. Nell’interpretazione più radicale, invece, i meritevoli scalzano il demos instaurando una tecnocrazia. E qui la fortuna della parola incrocia un mito dei nostri tempi condividendone i trionfi e le sconfitte. Solo dieci anni fa Alan Greenspan, capo della Federal Reserve, era il “migliore” al comando dell’economia mondiale e c’è voluta la crisi per rivelare i suoi tragici errori. L’irresponsabilità democratica di questa meritocrazia può essere molto dannosa. Infine, nell’accezione più ambigua, chi detiene il comando si autodefinisce anche meritevole. La gestione del potere è sempre in cerca di giustificazioni. Nell’Italia di oggi molte sedicenti iniziative di eccellenza servono solo a coprire le vecchie speculazioni. Una mistificazione di lungo corso, sfruttata anche dal potere in fabbrica, come ricordava Bruno Trentin nel suo ultimo articolo per l’Unità (13-7-2006). Inutile, dannoso e mistificante - come si vede il “merito” ha solo da perdere nell’alleanza col kratos. In un libro sulla Meritocrazia di grande successo mediatico – già un indizio di scarso merito – Roger Abravanel annuncia che “la performance di un bambino di sette anni in lettura/scrittura offre un’ottima previsione del suo reddito a trentasette anni”. Si dovrebbero quindi selezionare questi bambini con appositi quiz , per aiutarli a diventare ricchi senza preoccuparsi degli altri. È l’esito orwelliano previsto da Michael Young, il quale ha inventato la parola nel suo The Rise of Meritocracy 1870-2033 proprio per denunciare il potere che si impossessa del merito per conservare se stesso. Era “a satire meant to be a warning”, come disse in polemica con Tony Blair poco prima di morire. Abravanel ne fa il proprio testo fondamentale senza averne compreso neppure l’ironia critica. D’altronde, per quale motivo il merito dovrebbe allearsi col potere? È già abbastanza potente, e ha solo bisogno di riconoscimento. Svolgere con competenza un’attività è un’azione meritoria in quanto si offre alla considerazione degli altri. E non riguarda solo le opere di ingegno, né solo quelle utilitaristiche. C’è molto merito nella carezza dell’infermiere verso un paziente, nel ricordo indelebile che la brava maestra lascia nella vita di un persona, nel contadino che pianta gli alberi creando un paesaggio. In tal senso alla “meritocrazia” Stefano Zamagni contrappone la “meritorietà”, che ha l’unico difetto di essere una parola legnosa. Però dice l’essenziale: il merito è un bene relazionale, sempre proteso al riconoscimento. E tende ad assicurarselo con l’avere, il potere e il valere. Nell’ancien regime l’eredità era un merito. La modernità ha risposto inventando il potere del merito. Ma la vera essenza del merito è il valere, la stima di sé che si offre alla grazia del riconoscimento altrui. È una relazione di qualità tra le persone che rifugge sia il possesso sia il dominio. Per questo motivo la parola deve avere un alto rango nel lessico della sinistra. Libera dalla retorica degli incauti ideologi dei nostri tempi.


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Re: Paranomia

Messaggioda franz il 26/11/2011, 12:52

flaviomob ha scritto:Paradossale. Se Rubbia volesse insegnare in un liceo, perché non potrebbe farlo, visto che è uno dei migliori?
Mah.

Ma chi l'ha detto? E uno dei migliori fisici ma non è detto che sia un buon professore di liceo.
Per insegnare bisogna non solo sapere la materia, ma anche saper insegnare (che un sapere tutto particolare, soprattutto rispetto all'età delle persone a cui insegni) e poi saper insegnare tutta la fisica, anche quella base, non solo parlar di Torio e di Energia.
Per cui ... vero! È paradossale ma Rubbia eventualmente potrebbe insegnare all'uni in una cattedra iper specialistica, che valuti bene le sue conoscenze, non in un liceo. Per i licei ci sono ottimi professori che potrebbero passargli davanti in un concorso.

Interessante il testo riportato. Vero, il contatto del merito con il potere non è mai neutro e tanto meno innocuo, perché il potere è basato anche sull'ideologia per cui se appartieni ad una certa idelogia ed è la stessa del potere, prendi punti "immeritati". Poi si scopre, come con Greenspan (paragone adatto ma Lysenko li batte tutti) che in realtà non c'era merito nella persona se non nell'adesione ad una idelologia priva di merito.
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