Indubbiamente. Ma alla base di tutto c'è che l'Occidente è un' area ampiamente satura, da tutti i punti di vista e l'ostinazione a cercare la crescita continua. Questa spasmodica corsa ha avuto la necessità di inventarsi mezzi finanziari....frou frou.
Ha ragione chi dice che "questo" capitalismo è arrivato alla fine....
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Nel frattempo ci si inventa di tutto per sopravvivere:
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplR ... icolo=932516/10/2011
Il pianeta è in prognosi riservata
FRANCESCO GUERRERA
Mi sento solo». L’sms del tostissimo banchiere di Wall Street – che non sapevo capace di sentimenti umani – mi ha colpito. Laconico, malinconico, è il grido di dolore di uno dei milioni di Blackberry-dipendenti privati d’e-mail da un blackout senza precedenti.
Ma nelle circostanze attuali, le parole del finanziere senza cuore colgono perfettamente lo spirito dei nostri tempi, con o senza e-mail. Con gli Usa in difficoltà, l’Europa in crisi e la Cina ed altri Paesi emergenti non ancora in grado di prendere la guida dell’economia mondiale, ci sentiamo tutti soli.
Governi ed altri centri di potere – dalle banche centrali alle chiese – sono stati finora incapaci di fornire soluzioni adeguate, o anche solo di alleviare l’ansia collettiva che accompagna questo malessere economico. Con le istituzioni in latitanza, le risposte ad una crisi che sta attaccando sia l’alta finanza sia l’economia reale devono quindi venire da individui o piccoli gruppi.
Alcuni, come gli indignados europei, ed il movimento «Occupy Wall Street» in America, si mettono a protestare – una reazione legittima e comprensibile che però non porta alla risoluzione dei problemi. Altri si stanno rimboccando le maniche. Sulle due sponde dell’Atlantico, esponenti del mondo aziendale, universitario e della società civile stanno tentando di riempire il vuoto lasciato da governi incompetenti e inattivi.
Incominciamo dall’Unione Europea. Per mesi, un gruppetto di società finanziarie tedesche si è mosso dietro le quinte per promuovere un piano di azione sulla questione del debito pubblico dell’Ue.
Nelle ultime settimane, questo progetto, che fino ad ora non era uscito dai grattacieli di Francoforte, è incominciato a girare nei corridoi di Parigi, Berlino e Bruxelles (e New York, dove l’ho intercettato).
E ieri per la prima volta è spuntato sulle agenzie di stampa, alla fine del summit del Gruppo dei 20 a Parigi, anche se con pochi dettagli. Il problema dei governanti europei è ben noto: non ci sono abbastanza soldi per salvare tutti. I 440 miliardi di euro dati all’European Financial Stability Facility (Efsf)– una nuova istituzione con acronimo scioglilingua – serviranno a poco se Paesi come la Grecia, l’Italia e la Spagna si dovessero trovare sull’orlo della bancarotta.
Un grande banchiere europeo mi ha detto che ci vorrebbero almeno 2 mila miliardi di euro per salvare le banche di quei Paesi, senza contare i miliardi e miliardi di obbligazioni del tesoro emesse dai governi. «Ma lei questo non lo scriva – ha aggiunto -. Perché altrimenti si vede che l’imperatore non ha vestiti». Il piano delle aziende tedesche rivestirebbe l’imperatore, anche se con abiti di taglio teutonico, non proprio all’ultima moda. Funziona così: invece di spendere tutti i 440 miliardi per ricapitalizzare le banche europee o comprare miliardi di obbligazioni senza valore, il denaro verrebbe messo in un fondo d’assicurazione per investitori.
Il patto tra governi ed i mercati sarebbe che, in caso di default da parte di uno dei Paesi membri, l’Ue garantirebbe il primo 15-20 per cento di perdite agli investitori che hanno obbligazioni delle nazioni in bancarotta. Se, per esempio, i buoni del Tesoro greci dovessero scendere del 15 per cento sotto il prezzo a cui sono stati acquistati, gli investitori verrebbero indennizzati dai fondi europei.
Il bello del piano è che permette all’Ue di allungare una coperta troppo corta: garantire il 20 per cento delle perdite significa che i 440 miliardi possono essere utilizzati per coprire più di 2 mila miliardi di obbligazioni. L’altro vantaggio è che le banche europee sono tra i principali detentori di buoni del Tesoro dell’Ue. Indennizzare gli investitori consentirebbe quindi di ricapitalizzare le banche più deboli. Se il piano fosse accettato, lancerebbe una scommessa psicologica tra governi e mercati con in gioco le sorti dell’euro.
La speranza del governo francese e tedesco è che la semplice presenza di un fondo d’assicurazione metterebbe fine alla corsa al ribasso di titoli greci ed affini ed allo stillicidio di paure sulla condizione finanziaria delle banche europee senza spendere nemmeno un euro.
Purtroppo, però, nessuno può dire con certezza se un piano del genere basterebbe a calmare la frenesia dei mercati. E non c’è dubbio che le istituzioni finanziarie che stanno spingendo per questo progetto non lo fanno per altruismo ma perché hanno miliardi di obbligazioni del Tesoro e di azioni di banche europee sui loro bilanci e vogliono ridurne la «tossicità» al più presto.
«Non è una soluzione perfetta ma è molto meglio di quello che abbiamo fatto sino ad ora». mi ha detto uno degli ideatori la settimana scorsa ed è difficile dargli torto. In America, gli sforzi intellettuali sono puntati tutti sulla macro-economia. Con Washington paralizzata dalla campagna elettorale per le presidenziali del novembre 2012 ed un presidente Obama sempre più «anatra zoppa», lo sguardo è rivolto al lungo termine.
Il dilemma economico degli Usa fa spavento: come far crescere l’economia ed allo stesso tempo ridurre la montagna di debiti, pubblici e privati, che hanno provocato la crisi del 2008-2009 e più di recente l’umiliante «downgrade» del debito americano? L’austerità e la crescita non sono compagne di strada e favorire l’una di solito porta alla distruzione dell’altra.
A meno che... A meno che non sia possibile trovare un giusto mezzo tra spendere e spandere e tirare la cinghia. E’ questo l’obiettivo di una nuova proposta presentata da un gruppo di finanzieri ed accademici – tra cui il famoso Nouriel Roubini, questa settimana. Intitolato «Andare Avanti», il piano è metà Franklin Delano Roosevelt e metà Margaret Thatcher. Dal «New Deal» del Presidente americano, la proposta ha preso in prestito l’idea di spendere migliaia di dollari - 1200 miliardi durante cinque anni per essere precisi – per migliorare infrastrutture e servizi pubblici. I lavori di Stato dovrebbero creare più di 5 milioni di nuovi posti di lavoro l’anno, secondo gli ideatori del piano. E dalla lady di ferro, il piano di Roubini ed altri ha copiato delle misure di austerità destinate a ridurre l’indebitamento pubblico e privato – un obiettivo non facile soprattutto senza toccare il tabù della politica americana: alzare le tasse.
In un mondo in condizioni serissime e con la prognosi riservata, nessuna medicina è ideale. Ma parlare di cure con persone razionali ed intelligenti serve almeno a sentirsi meno soli.
Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario
del Wall Street Journal a New York.
francesco.guerrera@wsj.com
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.