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Borse e mercati

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Borse e mercati

Messaggioda franz il 11/10/2008, 8:21

Da un sondaggio di Ipr Marketing il 71% degli intervistati promuove
l'istituzione del fondo nazionale di garanzia per la copertura dei depositi

All'indomani del decreto anticrisi
gli italiani si sentono più sicuri

Migliora pertanto anche il giudizio sull'operato del governo, mentre per il 53%
è insufficiente quello dell'opposizione. Lo spauracchio peggiore rimane l'inflazione
di ROSARIA AMATO

Le Tabelle:
http://www.repubblica.it/speciale/2008/ ... tobre.html
http://www.repubblica.it/speciale/2008/ ... bre_2.html
http://www.repubblica.it/speciale/2008/ ... bre_3.html

ROMA - I provvedimenti anti-crisi varati due giorni fa dal governo hanno decisamente risollevato gli italiani, che continuano ad avere paura del futuro, ma non temono più come prima che il crollo delle Borse mondiali travolga anche i loro risparmi. Si dichiarano infatti 'molto' o 'un po' più sicuri' i tre quarti degli intervistati da Ipr Marketing nell'ambito del sondaggio commissionato da Repubblica.it, e il 71 per cento dà un giudizio positivo dell'istituzione del fondo nazionale per la copertura dei depositi, anche se poi tra elettori di centrodestra e di centrosinistra le valutazioni divergono ampiamente (81 contro 56 per cento).

Produce un effetto un po' meno rassicurante il secondo provvedimento del governo, quello che prevede l'eventuale acquisto da parte del Tesoro di azioni privilegiate delle banche in difficoltà (l'indice di sicurezza raggiunge solo il 61 per cento). Ma il giudizio rimane ampiamente positivo (60 per cento), mentre all'opposizione si rimprovera decisamente di non aver fatto abbastanza in questo delicatissimo frangente: l'operato della coalizione di centrosinistra viene giudicato insufficiente dal 53 per cento degli intervistati.

Il varo dei provvedimenti del governo rappresenta sicuramente uno spartiacque nella valutazione degli italiani dell'operato del governo, di quello dell'opposizione e delle possibili conseguenze della crisi. Infatti l'8 ottobre, giorno del varo dei provvedimenti, ma quando ancora probabilmente il loro contenuto e la loro portata non erano noti agli intervistati, giudicava 'sufficiente' l'operato del governo per contrastare la crisi solo il 42 per cento del campione. Ieri il giudizio positivo era condiviso dal 52 per cento, il 10 per cento in più, mentre la percentuale di chi dava un giudizio di insufficienza era scesa dal 47 per cento dell'8 ottobre al 34 per cento del 9.

Tutto sommato, le decisioni del governo rendono meno pesante anche il giudizio sull'opposizione. Gli italiani mostrano infatti a larga maggioranza di apprezzare la "piena disponibilità" manifestata dal segretario del partito Democratico, Walter Veltroni, al governo: secondo l'82 per cento degli intervistati il governo dovrebbe accettare la proposta. Per gli elettori del centrosinistra tale percentuale sale al 93, mentre per quelli del centrodestra scende al 68. E pertanto il 9 ottobre risulta meno severo del giorno precedente anche il giudizio sull'operato dell'opposizione: la 'sufficienza' sale dal 17 per cento dell'8 ottobre al 26 del 9, e l'insufficienza scende al 53 per cento dal 67 del giorno precedente.

C'è da sottolineare che però il contributo dell'opposizione agli interventi per contrastare la crisi non viene giudicato adeguato neanche dalla maggioranza degli elettori del centrosinistra, che lo valutano come insufficiente nel 42 per cento dei casi (contro il 57 per cento degli elettori del centrodestra, però).

Dopo i decreti del governo, comunque gli italiani hanno meno paura. La percentuale di chi ha paura di perdere i propri risparmi in seguito al fallimento della propria banca scende dal 47 per cento dell'8 ottobre al 38 per cento rilevato ieri. Mentre chi dichiara spavaldamente che "no, è un pensiero che non mi sfiora", in 24 ore passa dal 45 al 51 per cento. C'è da dire che il 30 settembre, prima della tempesta sulle Borse, tale percentuale era del 53.

Il timore maggiore diventa allora quello che ha attanagliato la vita degli italiani negli ultimi due anni, e soprattutto negli ultimi dodici mesi: l'aumento incontrollato dei prezzi che, non bilanciato da un adeguato aumento delle retribuzioni, al palo da anni, rende tutti più poveri. Infatti il maggior timore legato alla crisi finanziaria, e indicato dal 36 per cento degli intervistati, è "un aumento incontrollato dei prezzi". Segue "un futuro incerto per i miei figli e nipoti" (23 per cento) e solo dopo, a pari merito, "una sostanziale diminuzione del reddito" e "la perdita dei risparmi" (15 per cento). Sono in pochi (8 per cento) a temere la perdita del posto di lavoro.

Una curiosità: il timore di un aumento incontrollato dei prezzi è l'unica 'paura' che accumuna elettori di centrodestra e centrosinistra (rispettivamente 37 e 39 per segno), mentre sugli altri rischi ci sono molti punti di differenza tra le scelte degli intervistati disaggregate per orientamento politico.

Come sarà il futuro? Tutto sommato le cose non andranno nè meglio nè peggio per la maggioranza degli intervistati (53 per cento), anche se comunque un quarto degli italiani ritiene che "la situazione nazionale e internazionale sarà peggiore rispetto a quella che abbiamo vissuto negli ultimi dieci anni".
(10 ottobre 2008)
http://www.repubblica.it

Palazzo Chigi prevede risorse "per tutelare i risparmiatori"
Il governatore di Bankitalia Draghi: "Il nostro sistema è solido"
Il governo vara decreto anti-crisi
Un fondo per salvare le banche
Sei istituti centrali tagliano i tassi. Ma le borse europee,

ROMA - "Nessun risparmiatore italiano perderà un euro. Questo (il decreto anticrisi approvato dal consiglio dei ministri, ndr) è il timbro notarile su una cosa che era già certa". Occhiaie spesse, tono di voce molto compreso nel ruolo, Silvio Berlusconi conclude con questa rassicurazione la conferenza stampa a palazzo Chigi con cui il governo annuncia e spiega le misure decise per sostenere e proteggere le banche e i mercati finanziari dalla crisi che sta spingendo il mondo verso la recessione. Anche oggi, infatti, nonostante il taglio dei tassi deciso in simultanea da sei fra le maggiori banche centrali, Bce e Fed in testa, le borse mondiali hanno vissuta una nuova giornata nera.

Due pilastri del provvedimento. Il consiglio era stato convocato stamani in via straordinaria. Accanto al premier, nella sala stampa di palazzo Chigi, siedono il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e il ministro dell'Economia Tremonti che in mattinata aveva tenuto una riunione al ministero per definire le linee del decreto anti-crisi. Due i pilastri del provvedimento che non prevede un vero e proprio fondo ed è piuttosto "una procedura per intervenire di volta in volta" e "garantire la stabilità delle banche e del risparmio". Primo pilastro: l'estensione della garanzia dello Stato, oltre quella già prevista dal fondo interbancario, sui depositi dei risparmiatori. Secondo pilastro: un fondo (si parla di 20 miliardi) che consenta allo Stato di partecipare alla ricapitalizzazione di banche che dovessero avere difficoltà. "Il sistema è solido, ma i riflessi della crisi stanno arrivando anche da noi: quello che bisogna fare è mettere da parte le armi che poi uno spera di non usare. E' per prudenza che si fa il decreto", ha spiegato Draghi.

Il governo nelle banche. Ma solo "temporaneamente e neutralmente" e non ci sarà quindi "nessuna gestione privata delle banche". "C'è un meccanismo - spiega Tremonti - che modifica l'ingresso eventuale dello Stato in una banca in crisi". Se una banca non ha una capitalizzazione sufficiente, "allora quella banca contatta la Banca d'Italia. Se si ritiene che è necessario più capitale, se non lo mettono gli azionisti lo metterà il governo". Tutto questo non risponde "a una logica di nazionalizzazione, non ci sarà nessun controllo, non si dà il denaro dei contribuenti a chi ha sbagliato".

Fiducia necessaria. Il presidente del Consiglio garantisce che "nessuna banca italiana fallirà e nessun risparmiatore rischia". Tremonti va oltre: "Il sistema italiano è solido e liquido". E, tanto per fare un esempio, "le Poste non falliranno mai. I governi passano, le Poste restano". A conferma del fatto che "gli italiani non devono essere preoccupati", il premier in serata, finito il Consiglio dei ministri, è andato a teatro, al Bagaglino, a vedere l'amico Mariano Apicella.

Giornata frenetica. La decisione del Consiglio dei ministri arriva al termine di una giornata convulsa, vissuta tra vertici ufficiali e consultazioni frenetiche fra Governo, Banca d'Italia e Consob. Con uno occhio sempre fisso sui terminali di borsa, che hanno descritto impietosamente l'ennesima giornata nera. Il Mibtel ha chiuso con un calo del 5,72% e lo S&P/Mib del 5,71% , nostante la decisione straordinaria di un taglio dei tassi di interesse di mezzo punto percentuale concordato da sei banche centrali, Fed e Bce in testa.

La riunione al Tesoro. In mattinata, il Tesoro aveva anticipato quella che sarebbero stati contenuti del decreto: "Il governo italiano si impegna ad adottare tutte le misure necessarie per stabilizzare il sistema finanziario e per tutelare il risparmio"; "il Ministro dell'economia e delle finanze condivide le misure preannunciate questa mattina dal governo inglese per assicurare la stabilità delle istituzioni finanziarie". Misure considerate "in linea con quanto stabilito dai capi di Stato e di governo dell'Unione Europea nella riunione del 6 ottobre".

Tutelare i risparmiatori. Tremonti sintetizza con una formula il senso dei provvedimenti della giornata: "Stabilità, liquidità e fiducia". "Molti paesi - aggiunge - sono intervenuti, noi l'abbiamo fatto perchè dovevamo, ma non lo applichiamo, pensiamo di non doverlo applicare. Abbiamo un solo obiettivo vero che non è tanto salvare le banche che si salvano da sole, ma che le banche siano così forti e liquide da continuare a servire liquidità all'economia". Molti paesi hanno alzato in questi giorni le soglie di garanzia sui depositi portandole comunque a livelli "al di sotto della soglia italiana".
(8 ottobre 2008)
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Re: Borse e mercati

Messaggioda annalu il 11/10/2008, 19:03

L COMMENTO / Non crediamo che Berlusconi parli pensando ai suoi interessi
ma sta gestendo la crisi finanziaria come fosse una campagna elettorale
Quelle parole irresponsabili
di TITO BOERI

MAI come in questi momenti è opportuno per chi ha responsabilità di governo dosare le proprie parole. Potrebbero essere male interpretate. E quelle poche parole devono impegnare chi le pronuncia, venire successivamente confermate e reiterate. La crisi in atto è una crisi di fiducia, che si combatte con la credibilità dei governi prima ancora che delle banche centrali.

Ne usciremo quando intermediari finanziari, imprese e cittadini si convinceranno che le loro aspettative di un ulteriore avvitamento della crisi sono sbagliate, che devono tornare a fidarsi gli uni degli altri. E la credibilità è un dono raro, difficile da conquistare, specie in questi frangenti in cui si è sospettosi di tutto e di tutti.

Mercoledì sera avevamo visto con soddisfazione una conferenza stampa del nostro presidente del Consiglio e del ministro dell'Economia, presente il governatore della Banca d'Italia, in cui si annunciavano i provvedimenti appena varati da un Consiglio dei ministri straordinario convocato per fronteggiare la crisi. Le parole erano misurate, i provvedimenti, oltre che largamente condivisibili, venivano spiegati con le parole giuste, poche ed efficaci. Speravamo non solo in scelte politiche finalmente adatte alla circostanze, ma anche in uno stile di governo consapevole della gravità della crisi in atto.

Ieri abbiamo dovuto ricrederci. A mercati aperti, il nostro presidente del Consiglio è riuscito ad inanellare una serie incredibili di dichiarazioni che minano la sua credibilità personale e quella dell'esecutivo e che aggiungono ulteriori preoccupazioni, se mai ce ne fosse bisogno, a chi ha i propri risparmi investiti in Borsa. Berlusconi ha innanzitutto accennato, forse ispirato da Putin che aveva chiuso nelle scorse settimane la borsa russa, all'intenzione di "sospendere i mercati per il tempo necessario a scrivere nuove regole".

Un annuncio di questo tipo equivale a sottrarre il termometro a un malato che si sente la febbre alta. Significa aggiungere un nuovo timore a quelli che assillano in questi giorni le menti di milioni di risparmiatori: quello di non poter vendere, in caso di necessità, le azioni, assistendo impotenti alla dissoluzione di risparmi accumulati in anni di duro lavoro.

L'affermazione è talmente grave che è stata la stessa amministrazione Bush a smentire di avere piani di questo tipo. È stata, peraltro, la seconda smentita della Casa Bianca in due giorni dopo quella sulla presunta agenda di Berlusconi a Washington la prossima settimana, che aveva fatto pensare a una totale improvvisazione in quel coordinamento internazionale dei capi di governo che dovrebbe gestire la crisi.

Sempre a mercati aperti Berlusconi ha ieri sostenuto anche che è "il momento di comprare azioni Eni e Enel", società controllate dal Tesoro. Qualche giorno fa Berlusconi, a margine di una conferenza stampa, aveva parlato di aziende fortemente sottovalutate, includendo nell'elenco in quell'occasione la stessa Mediaset.

Consigli d'acquisto così selettivi alimentano il sospetto che le dichiarazioni rassicuranti del nostro Presidente del Consiglio in questi giorni fossero volte principalmente a sostenere i suoi investimenti personali. Francamente non crediamo che ieri Berlusconi abbia parlato pensando ai suoi interessi personali.

Crediamo, invece, che fosse animato dalle migliori intenzioni, volendo contribuire, conformemente al suo ruolo istituzionale, a rasserenare i mercati. Ma questo rende il suo comportamento forse ancora più preoccupante. Significa che crede di poter gestire una crisi finanziaria come una campagna elettorale.
Repubblica.it (11 ottobre 2008)
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Contrordine compagni!

Messaggioda franz il 12/10/2008, 11:53

Visto che ora Bush, Paulson, Berlusconi e Tremonti sono tutti diventati marxisti, il titolo è appropriato!

L'Eurogruppo segue Gordon Brown
la ricetta Paulson non è più l'esempio

Sarà aumentata la vigilanza per poter avere dei "guardiani"
dei mercati in grado di controllare i colossi del credito

di FEDERICO RAMPINI

L'EUROPA si aggrappa a uno spiraglio di speranza: è un piano inglese per una potente offensiva degli Stati che aggredisca tutti i nodi del collasso finanziario. Il vertice G7 di Washington non è bastato per lanciare un'azione unificata contro la débacle del sistema finanziario mondiale. Ci riprovano oggi a Parigi i ministri economici europei in un vertice pomeridiano animato da un'urgenza febbrile.

Hanno poche ore di tempo prima della riapertura delle Borse, per scongiurare un altro lunedì nero. Il piano di Londra è la base per le decisioni che potrebbero essere approvate stasera. Al primo punto c'è l'estensione della tutela pubblica anti-crac non più soltanto ai conti correnti dei risparmiatori ma anche a tutta l'attività di prestito tra banche.

Gli Stati garantirebbero dall'insolvenza le emissioni di obbligazioni bancarie e altre operazioni a termine, quella linfa vitale che scorre nel settore del credito in tempi normali e che ora si è inaridita: il mercato interbancario. Al secondo posto c'è la ricapitalizzazione delle banche stesse, con massicce iniezioni di fondi statali. E' un'imponente nazionalizzazione o semi-nazionalizzazione, sia pure provvisoria nelle intenzioni; in attesa di una schiarita che consenta di rivendere in futuro quelle quote pubbliche ad azionisti privati. Al terzo posto viene una revisione delle norme contabili. Con questa si vuole arrestare la spirale della sfiducia provocata dal fatto che certi "titoli tossici" in questo momento non hanno più mercato. Nessuno ha idea di cosa possano valere e nell'abisso del pessimismo si tende a valutarli zero. Di conseguenza affondano i bilanci delle banche e di certe assicurazioni. Infine si dovrebbe creare una cellula europea per la vigilanza bancaria. In modo che gli Stati dell'Unione abbiano finalmente dei guardiani dei mercati di dimensioni comparabili ai colossi bancari sovranazionali, formatisi a colpi di acquisizioni straniere.

Da questa bozza di progetto resterebbe fuori invece l'idea del fondo "alla Paulson" sostenuta dall'Italia - e inizialmente anche dai francesi - ma avversata dalla Germania. Contro la proposta di replicare in Europa quel fondo americano (i 700 miliardi di dollari per riacquistare dalle banche montagne di "titoli tossici" legati ai mutui subprime) all'inizio sembrava esserci solo una forma di egoismo tedesco: il timore della Germania di doversi sobbarcare l'onere maggiore, mentre il fondo sarebbe servito a salvare anche le banche altrui. C'erano anche dubbi sulla gestione, visto che l'Europa non ha un ministero del Tesoro federale, e pochi vogliono affidare alla Commissione di Bruxelles o alla Bce poteri così importanti. Ma un colpo di scena ha creato un ostacolo nuovo sulla strada di quel fondo: il piano Paulson è stato abbandonato da Paulson.

In una débacle personale che distrugge la sua credibilità già scarsa, il ministro del Tesoro Usa ha dovuto stravolgere il suo stesso progetto, già bocciato dai mercati. Dopo averlo imposto al Congresso con un ricatto - come l'ultima speranza contro un crac generalizzato dell'economia americana - tra venerdì sera e sabato al G-7 Paulson ha fatto un voltafaccia clamoroso. Si è reso conto che l'operazione di acquisto dei titoli tossici richiederà troppo tempo e sarà tecnicamente complessa. Nell'immediato il fondo da 700 miliardi verrà usato per ricapitalizzare le banche, con nazionalizzazioni parziali o totali come quelle che hanno salvato dalla bancarotta Fannie Mae, Freddie Mac e il gigante assicurativo Aig. Anche in America lo Stato acquisterà nuove quote nel controllo azionario delle banche. Washington si adegua al modello inglese? In realtà Paulson "riscopre" una clausola del suo piano che gli fu imposta dal Congresso a maggioranza democratica: furono i parlamentari ad aggiungere un emendamento che permette di usare i 700 miliardi per acquisti di azioni nelle banche in crisi.

La ricetta inglese che raccoglie forti consensi, è però densa di incognite. Parlare di un'azione comune dell'Europa è ancora prematuro. La filosofia dominante resta quella che ciascun paese applicherà il piano al proprio contesto tenendo conto delle differenze nazionali. L'autonomia dei singoli governi può tradursi in differenze cruciali, gravide di effetti sui mercati dei capitali. Quanto ampio e costoso sarà l'ombrello di garanzia statale sui prestiti tra banche e sulle obbligazioni? La Gran Bretagna ha stanziato 250 miliardi di sterline, in Germania circolano stime di 400 miliardi di euro e si parla di estendere la protezione ai fondi comuni monetari. Altri paesi meno generosi potrebbero essere destabilizzati da fughe di capitali verso le nazioni con le banche più protette. Si rischiano nuovi episodi di concorrenza tra Stati come quando l'Irlanda varò per prima l'assicurazione illimitata sui depositi, attirando folle di risparmiatori inglesi. Sarà necessaria una vera armonia nell'applicazione del piano per impedire tensioni pericolose.

Anche la ricapitalizzazione delle banche si presta ad abusi. Vanno aiutate tutte? Solo le più grandi? O quelle meglio gestite? Se lo Stato elargisce aumenti di capitali a occhi chiusi avremo salvataggi indiscriminati. La crisi di mercato non svolgerà l'unica funzione positiva che ha: operare una selezione tra banche più solide e banche meno sane. La revisione delle regole contabili rischia di essere un altro regalo ai banchieri, che ne approfitteranno per occultare lo stato reale dei loro bilanci.

"Essere trasparenti paga" ha detto ieri il governatore Draghi a Washington, ma i nuovi criteri di contabilità possono spingere nella direzione opposta. La nuova cellula di vigilanza europea sarebbe altrettanto impotente delle authority attuali, se non viene decisa una grande riforma delle regole del settore bancario, che colpisca anche la "finanza ombra" dei derivati. E' importante che l'emergenza non spinga a salvataggi indiscriminati, che oltre ai costi enormi sui contribuenti alimenterebbero future bolle speculative, giustificate dalla certezza che i banchieri la fanno sempre franca.

Infine cresce la possibilità che i salvataggi statali vengano richiesti ben oltre il settore bancario. Le nuove convulsioni di crisi nell'industria automobilistica americana, per esempio, ricordano di colpo ai governi che esiste un'economia reale anch'essa in sofferenza, e quest'ultima potrebbe ben presto presentare un conto pesante in termini di occupazione. La focalizzazione sui problemi del credito allora apparirà troppo limitata. Dal piano europeo ci si aspettano risposte anche sulla strategia anti-recessione.
(12 ottobre 2008)


Alla vigilia del summit di Parigi l'ipotesi di ingresso statale nel capitale delle banche
Incontro preliminare tra il presidente francese e il cancelliere tedesco

Eurogruppo al lavoro contro la crisi
Merkel-Sarkozy: "Identità di vedute"

Allarme Confindustria: "Il Pil nel 2009 sarà negativo, meno 0,5%"
Tremonti: "Non lasceremo fallire nessun istituto di credito"

ROMA - Nel pieno della crisi finanziaria mondiale, c'è molta attesa per il vertice che si terrà domani a Parigi, all'Eliseo, e a cui parteciperanno i capi di Stato e di governo dell'Eurogruppo (cioè dei paesi aderenti alla moneta unica) insieme al presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, e al numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet. Un vertice che segue l'incontro del G7 a Washington, durante il quale è stato elaborato un documento in cinque punti. Secondo il ministro dell'Economia francese, Christine Lagarde, tra le ipotesi al vaglio c'è quella di un ingresso degli Stati nel capitale delle banche. Il tutto in un quadro sempre più fosco, per l'economia del Vecchio continente: in Italia, in particolare, Confindustria lancia l'allarme recessione, con un Pil a -0,5% il prossimo anno.

Il piano tedesco. Il governo di Berlino sta preparando un piano d'urgenza per consolidare il sistema bancario del Paese: il cancelliere Angela Merkel, secondo indiscrezioni di stampa, potrebbe già presentarlo lunedì. Una brusca inversione di marcia per il cancelliere tedesco, che aveva recentemente escluso un intervento statale di salvataggio delle banche.

E quello dell'Eurogruppo. Ma, soprattutto, secondo il quotidiano francese Le Figaro, tra i paesi dell'Eurogruppo si sta facendo strada l'idea di un piano di salvataggio sul modello di quello annunciato dal Regno Unito. Si tratterebbe di generalizzare in Europa il principio di una garanzia pubblica di prestiti interbancari e di debiti obbligazionari emessi dalle banche per rilanciare il credito. Il piano dovrebbe essere accompagnato, sempre secondo indiscrezioni di stampa, da una revisione delle norme contabili e dalla creazione di una cellula di sorveglianza in Europa.

Incontro Merkel-Sarkozy. Il cancelliere Merkel ha discusso della crisi finanziaria e molto probabilmente della messa a punto del piano di salvataggio europeo oggi con il presidente francese Nicolas Sarkozy. I due capi di Stato solo alcuni giorni fa sembravano in profondo disaccordo sulle misure da prendere per far fronte alla crisi finanziaria. Ma le posizioni si sono chiaramente avvicinate: Sarkozy ha detto di non aver mai pensato a un fondo di salvataggio sul modello di quello statunitense. Ma anche la Merkel ha riconosciuto la necessità di una strada comune, da percorrere insieme ai partner europei.

"Perfetta identità di vedute". Al termine dell'incontro, Merkel e Sarkozy hanno affermato di aver riscontrato una "perfetta identità di vedute". "Tutte le analisi sulla crisi le faremo insieme - ha annunciato Sarkozy - così come studieremo insieme le sue ragioni, le conseguenze a breve, medio e lungo termine". "In questo momento - ha concordato la Merkel - l'Europa vive eccessi di mercati che devono essere corretti. Ci riusciremo soltanto se la Francia e la Germania lavoreranno saldamente insieme. Siamo su una strada comune per mettere in piedi una reazione concertata e coerente nella zona euro alla crisi finanziaria internazionale".

Tremonti: "Salveremo tutte le banche". Una tendenza, quella europea, che trova piena applicazione anche nel nostro Paese. E infatti il ministro Giulio Tremonti, a margine del summit del G7, ha dichiarato: "L'obiettivo del governo italiano è salvare tutte le banche", e non solo quelle più grandi. "O tutte le banche sono sistemiche o viene fuori un caos sistemico", ha spiegato.

Il pessimismo di Confindustria. Le previsioni dell'associazione degli imprenditori sul Pil del 2009, che saranno annunciate ufficialmente lunedì, indicano il segno meno: precisamente, meno 0,5%. "Eravamo stati ottimisti e avevamo indicato un più 0,4 - ha detto - ma dobbiamo rivedere le previsioni al ribasso. L'impatto della crisi finanziaria sull'economia reale è in arrivo e sarà significativo".
( 11 ottobre 2008)
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Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 12/10/2008, 12:34

Visto che le enormi iniezioni di liquidità da parte delle Banche centrali e i salvataggi non sbloccano la situazione sul mercato monetario, ai governi rimane solo di garantire i prestiti nell'interbancario, cioè i prestiti tra banche, e ricapitalizzarle con vari sistemi.
Una misura che può essere solo temporanea perchè ha costi enormi e andrebbe a stravolgere il comportamento degli operatori aumentando la propensione al rischio, tanto garantisce lo Stato.

E' interessante notare quelli che per anni, di qua e di la' dall'oceano, hanno parlato di riduzione del ruolo dello Stato nell'economia, di deregulation, oggi sono costretti a varare il più grande intervento pubblico di tutti i tempi e a chiedere una conferenza internazionale per riscrivere le regole che fino a ieri non volevano. Per non parlare del tanto vituperato euro. Se oggi non fossimo dentro la moneta unica le nostra banche e il nostro paese sarebbero al centro di una crisi speculativa spaventosa.



ciao
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Re: Borse e mercati

Messaggioda franz il 12/10/2008, 19:26

trilogy ha scritto:Visto che le enormi iniezioni di liquidità da parte delle Banche centrali e i salvataggi non sbloccano la situazione sul mercato monetario, ai governi rimane solo di garantire i prestiti nell'interbancario, cioè i prestiti tra banche, e ricapitalizzarle con vari sistemi.
Una misura che può essere solo temporanea perchè ha costi enormi e andrebbe a stravolgere il comportamento degli operatori aumentando la propensione al rischio, tanto garantisce lo Stato.

E' interessante notare quelli che per anni, di qua e di la' dall'oceano, hanno parlato di riduzione del ruolo dello Stato nell'economia, di deregulation, oggi sono costretti a varare il più grande intervento pubblico di tutti i tempi e a chiedere una conferenza internazionale per riscrivere le regole che fino a ieri non volevano. Per non parlare del tanto vituperato euro. Se oggi non fossimo dentro la moneta unica le nostra banche e il nostro paese sarebbero al centro di una crisi speculativa spaventosa.

ciao
trilogy

Infatti vedo che la manovra è temporanea (2009) ... i costi (e l'efficacia) li conosceremo solo poi. Il che non è esaltante.
Sulla deregulation è chiaro che dove è stato "deregolamentato" troppo, adesso si paga il conto, con un eccesso di regolamentazione statale. Un po' per chiudere le stalle, un po' per evitare che scappino altri buoi.
MA un po' come una sinusoidale che sale e scende, meglio sarebbe una regolazione piu' "fine".
Sull'euro, pefettamente d'accordo. Basta vedere l'Islanda. Noi non siamo certo il regno unito, con la sua sterlina (UK che oggi si persenta come modello forse vincente per la soluzione della crisi) e saremmo affogati.

Ciao,
Franz


Domani mattina decidono le Borse
di EUGENIO SCALFARI

Si aspetta con il fiato in gola la campanella d'avvio delle Borse europee di domani mattina. Dopo il G7 di ieri e il vertice europeo di oggi saranno infatti domani i mercati a giudicare l'efficienza delle decisioni raggiunte dai cosiddetti Grandi. Anche questa qualifica è in discussione: se i mercati non avranno recuperato la fiducia nonostante le decisioni di Washington e di Parigi vorrà dire che i Grandi sono ormai considerati come maschere del teatro dei pupi, prive di credibilità e di forza. Speriamo che non sia così perché l'alternativa sarebbe una catastrofe planetaria.
Le conclusioni dei due incontri di Washington e di Parigi si possono così sintetizzare (per quel tanto che finora se ne sa perché quello di Parigi è in corso mentre leggete queste righe):
1. Uno scudo generale di protezione dei depositi bancari garantito dai governi dei paesi del G7 e della Ue.
2. Un secondo scudo che fa capo anch'esso ai governi, che garantisce la solvibilità delle banche e la loro forza patrimoniale. Qualora venissero meno queste condizioni i governi interverrebbero a ripristinarle turando ogni falla che dovesse manifestarsi.
3. Le garanzie fin qui elencate si estendono anche ai prestiti interbancari che rappresentano il punto più sensibile del sistema. Le banche, da quasi un mese, non si prestano più soldi reciprocamente nonostante le continue iniezioni di liquidità effettuate dalle Banche centrali. Si è creato un gigantesco ingorgo che genera conseguenze di estrema pericolosità.
4. In Usa il piano Paulson prevede anche un intervento (i famosi 700 miliardi di dollari) per l'acquisto da parte del Tesoro dei titoli-spazzatura ancora in corpo alle banche.

Questa legge, approvata dal Congresso con molte modifiche e dopo dieci giorni di discussioni, non potrà però entrare in azione prima di un mese perché la sua messa in opera è tecnicamente complessa. Perciò il suo effetto sul mercato è stato finora nullo. Tuttavia il Tesoro americano la considera uno strumento aggiuntivo da mettere comunque in opera appena possibile.

Qualche commento sul complesso delle difese finalmente concordate dai Grandi dell'Occidente si può fare anche se sarà l'appuntamento di domani la prova decisiva.

Anzitutto sulle dimensioni di questo piano: sono immense e illimitate. Non sono state fatte cifre perché non si potevano fare. Nessuno è in grado di conoscere l'ammontare dei titoli-spazzatura in corpo alle banche di tutto il mondo e nessuno può valutare le altre fonti di indebitamento che in una emergenza così acuta possono cumularsi l'una con l'altra a cominciare dalle carte di credito, dalle sofferenze più rischiose, dalle cambiali di carta straccia, dai collocamenti e dalle cartolarizzazioni di più dubbia solvibilità, dalle ipoteche non eseguibili. Il Fondo monetario internazionale azzardò poco tempo fa la cifra di 1.400 miliardi di dollari come ammontare complessivo, ma era una valutazione limitata ai titoli spazzatura connessi ai "subprime" immobiliari.

Qui è invece in discussione la fiducia dei depositanti e dei risparmiatori di due continenti. Perciò non è questione di cifre. Se sulla base degli impegni presi dai governi la fiducia tornerà sui mercati i governi stessi non dovranno sborsare nemmeno un soldo o pochissimi spiccioli come mastice per otturare qualche fessura locale e marginale.

Ma se la fiducia non tornerà non c'è diga costruita dai governi più forti del pianeta che possa resistere all'impatto dell'ondata dei mercati. Questo per dire che è la credibilità dei governi a decidere una partita che si gioca tutta sulla parola più che sui capitali disponibili.

Quanto a credibilità, Bush ne ha ben poca e il suo ministro del Tesoro meno ancora di lui. Per di più tra venticinque giorni da oggi sarà stato eletto un nuovo presidente degli Stati Uniti e tutto il personale politico cambierà. Per conseguenza gli impegni presi oggi dal governo americano saranno attuati da altre persone.

Tuttavia gli Stati Uniti d'America sono una potenza planetaria che si sostiene con il suo stesso peso. Le consultazioni tra lo staff attualmente in carica e i due candidati alla presidenza sono continue e così pure i piani di lavoro elaborati dai rispettivi collaboratori.

I mercati conoscono queste situazioni e le terranno nel debito conto anche se la coincidenza tra la crisi in corso e l'avvicendamento presidenziale non è certo tra le più felici.

* * *

La credibilità del nostro governo, malgrado gli sforzi di Tremonti e la presenza di Draghi alla guida della Banca d'Italia, non è certo un "asset" molto spendibile. Purtroppo è bassa dovunque, in Europa come in America e non bastano certo gli inviti estivi e i rapporti personali di Berlusconi con Bush e con Putin a ravvivarla.

In mezzo al fragore della tempesta che sta sconvolgendo il mondo fa una certa impressione osservare gli alterni comportamenti del nostro capo di governo. In una società dove lo spettacolo di massa ha ormai occupato interamente lo spazio pubblico Silvio Berlusconi grandeggia, l'aspetto ludico è quello che meglio gli si confà e dove dà il meglio di sé e in queste giornate lo applica al dramma delle Borse in picchiata continua. Venerdì scorso ha toccato culmini difficilmente raggiungibili. Ha suggerito quali titoli sarebbe più opportuno comprare, l'Eni e l'Enel. Tre giorni prima, aveva perfino citato Mediaset in conferenza stampa. Poi ha aggiunto che forse a partire da domani le Borse saranno chiuse fino a quando i Grandi avranno concordato nuove regole. Infine, essendo stato immediatamente smentito perfino dalla Casa Bianca, ha smentito se stesso come d'abitudine.
Un uomo così verrebbe interdetto dai suoi familiari. A maggior ragione se è il capo dell'Esecutivo dovrebbe esser sottoposto a "impeachment". Ma poiché piace al pubblico del Bagaglino lui continua e i "media" compiacenti applaudono le sue esibizioni.

Nel frattempo, forse per allentare la tensione, si fa strada la tesi della "distruzione creatrice" di schumpeteriana memoria. Secondo questa scuola di pensiero non tutto il male viene per nuocere: il cataclisma finanziario di queste settimane altro non sarebbe che il normale succedersi dei cicli economici che costituiscono l'ossatura del capitalismo. L'economia un po' va su e un po' va giù e quando va giù serve a ripulire il terreno dalle vecchie impalcature e a preparare nuovi e ancor più promettenti scenari.
Forse sarà così, ma dubito molto che i milioni di persone la cui esistenza viene distrutta si consolino al pensiero che in futuro quell'operazione sarà creatrice di lontane felicità.

* * *

Due giorni prima dei vertici internazionali di sabato e di oggi il nostro governo ha varato un decreto a somiglianza di quanto contemporaneamente facevano i governi inglese, tedesco, francese, spagnolo per erigere lo scudo di garanzia dei depositanti e le misure per rafforzare il capitale delle banche che ne avessero avuto bisogno. Si tratta appunto di quegli stessi provvedimenti che i vertici internazionali hanno infine coordinato, ma ciascun governo li ha modellati con varianti non marginali.

Per quanto riguarda il rapporto con le banche il nostro governo ha scelto di fatto la nazionalizzazione temporanea degli istituti in difficoltà. Bisognava però definire un indicatore oggettivo per limitare la discrezionalità attribuita al ministro del Tesoro.
L'indicatore scelto dal governo è il patrimonio delle banche. Se è sceso al di sotto di una certa soglia e la banca non è in grado di fare ricorso ai propri azionisti, può chiedere l'intervento del Tesoro; il Tesoro dal canto suo può anche intervenire d'ufficio se la Banca d'Italia ravvisa uno stato di sofferenza grave in un istituto di credito e la necessità d'un intervento pubblico.

A quanto ammonta il fabbisogno di questo decreto e quindi la sua copertura? Nessuno può saperlo perché nessuno sa quali sono le banche in pericolo e per quale ammontare. Quelle sotto alla soglia patrimoniale stabilita dalla Banca d'Italia sono poche e i loro azionisti sono abbastanza forti per mettersi in regola, ma si tratta di una speranza e non di una certezza.
In queste condizioni era impossibile cifrare la copertura e d'altra parte il Tesoro non ha risorse da mobilitare, perciò Tremonti ha scelto la sola strada possibile: la copertura si avrà spostando le risorse dei capitoli di bilancio o con emissione di titoli pubblici senza limitazione.

Spostare i capitoli di bilancio senza limite di cifra significa di fatto riscrivere la legge Finanziaria e la legge di Bilancio che andranno in discussione in Parlamento tra venti giorni ma che, nella sostanza, sono già state approvate con validità triennale fin dal luglio scorso. Si può fare un'operazione del genere senza coinvolgere il Parlamento? Senza che esista neppure la parvenza d'un coinvolgimento dell'opposizione?

Poi c'è il problema dei manager "colpevoli". Il governo aveva surrettiziamente cercato di graziarne alcuni infilando un emendamento nella legge sull'Alitalia. Se n'è accorta la giornalista Gabanelli di Report e le ha dato voce Repubblica di giovedì scorso. Scoperto l'inganno nessuno del governo ne ha rivendicato la paternità, Tremonti meritoriamente ha posto l'aut aut: o cancellare l'emendamento o le sue dimissioni. Così è avvenuto e l'emendamento è stato cancellato. Quindi i manager colpevoli saranno perseguiti. Ma da chi e per quali colpe?

L'emendamento ora soppresso erigeva uno scudo legislativo contro la magistratura che perseguiva reati attribuiti a Tanzi, Cragnotti, Geronzi. Il decreto Tremonti punta invece ad un altro tipo di colpevolezza che non comporta necessariamente un reato ma piuttosto una politica aziendale poco efficace o sbagliata. Il Tesoro insieme alla Banca d'Italia avranno il potere di stabilire a propria discrezione se quella politica era sbagliata e se i responsabili dovranno esser cacciati. Ciò significa usare una situazione di emergenza per fare piazza pulita dei manager sgraditi al potere. Non mi pare un criterio accettabile. Si prende un possibile dissesto aziendale come occasione per metter le mani sul credito bancario.

Ma c'è una ciliegina in più su questa torta di assai dubbia fattura ed è la presenza di Mediobanca nella cosiddetta "unità di crisi" composta dal Tesoro, dall'Abi, dalla Confindustria e per l'appunto da Mediobanca di Geronzi. Mediobanca sarebbe dunque uno dei soggetti che elabora la politica bancaria del governo, come se quell'istituto fosse un'autorità neutrale e di garanzia. Scorrete l'elenco degli azionisti di Mediobanca e scorrete anche la biografia professionale e giudiziaria del suo presidente e vedrete che non è così. Tutto ciò è molto preoccupante.

* * *

Al di là di questa matassa di problemi resta il fatto che la crisi non accenna a spegnersi e la ragione è molto chiara: si chiama recessione, si chiama caduta della domanda nel mondo occidentale e qui in Italia, si chiama insolvenza dei consumatori. La gente non ha soldi, le imprese hanno i magazzini pieni di prodotti invenduti, la Cassa integrazione ospita sempre maggiori unità disoccupate, i grandi magazzini vendono di meno per la prima volta da quando esistono, le spese "opzionali" vengono tagliate per poter soddisfare i bisogni primari, la dieta delle famiglie si impoverisce.

L'altro giorno il presidente del Consiglio ha detto: "Adesso diminuiremo le tasse". Doveva pensarci quando poteva ancora farlo, nel giugno scorso al momento in cui il suo governo fu insediato. Invece abolì l'Ici sulla prima casa e sulle case ex rurali e detassò gli straordinari. L'Ici però ha lasciato a secco i Comuni e il governo ha dovuto indennizzarli per l'ammontare integrale che gli aveva sottratto altrimenti il federalismo non avrebbe mosso neppure il primo passo. Perciò tutto si è risolto in una partita di giro puramente mediatica. Quanto alla detassazione degli straordinari le imprese non ne fanno più perché non c'è domanda. Non domanda, non produzione, non detassazione. Questo balletto mediatico non è più sostenibile. Adesso occorre la detassazione sul serio e non soltanto per ragioni di equità sociale ma per frenare il bulldozer della recessione.

Ci troviamo in brutte acque: dobbiamo detassare ma l'erario è a secco; tagliare la spesa senza colpire l'occupazione, fare i contratti di lavoro aumentando le retribuzioni ma con riguardo alle imprese e alla produttività. Questo governo del fare finora ha fatto assai poco: molti annunci, poche cose buone e molte sballate, dall'Alitalia ai grembiulini della Gelmini.
Adesso bisogna fare uscire il paese dalla tempesta e non sarà certo un gioco.
(12 ottobre 2008)
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Gli errori di Washington (KRUGMAN, Nobe economia)

Messaggioda franz il 14/10/2008, 11:47

Gli errori di Washington
di PAUL KRUGMAN

IL PRIMO ministro britannico Gordon Brown ha salvato il sistema finanziario mondiale? La domanda forse è prematura: non conosciamo le modalità precise di intervento del piano di salvataggio in Europa né di quello negli Stati Uniti, e non abbiamo nemmeno la più pallida idea se funzioneranno davvero. Sappiamo però che Brown e Alistair Darling, il Cancelliere dello Scacchiere, hanno delineato il modello di intervento di salvataggio mondiale e le altre nazioni ricche lo stanno adottando.

E' una svolta a dir poco inattesa. Il governo britannico dopotutto è un partner di recente acquisizione per ciò che concerne gli affari economici mondiali. Londra è sì uno dei centri finanziari più importanti al mondo, ma l'economia britannica è di gran lunga più piccola di quella statunitense, e la Banca di Inghilterra non ha nemmeno lontanamente l'influenza della Fed o della Bce.

Non ci si aspetterebbe di vedere la Gran Bretagna assumere un ruolo leader. Il governo Brown ha mostrato di aver riflettuto con chiarezza e di voler agire sollecitamente in base alle conclusioni raggiunte. Nessun altro Paese, tantomeno il nostro, ha saputo abbinare chiarezza e determinazione con analogo successo.

Come fare per attenuare la crisi? Gli aiuti ai proprietari di case, per quanto auspicabili, non servono a precludere forti perdite per i cattivi prestiti, e in ogni caso avranno effetto troppo lentamente per risultare utili nell'attuale panico. L'intervento più naturale è affrontare il problema dell'inadeguatezza di capitali facendo sì che i governi forniscano agli istituti più capitali in cambio di una quota di proprietà.

Questa temporanea seminazionalizzazione è la soluzione alla crisi caldeggiata da molti economisti. Secondo alcune fonti questa era la formula segretamente preferita da Bernanke, presidente della Fed. Eppure, quando Paulson ha annunciato il programma di salvataggio ha respinto questo ovvio iter dichiarando: "Ciò è quanto si fa quando si fallisce".

Egli al contrario ha esortato il governo ad acquistare pessimi titoli garantiti da prestiti ipotecari, basandosi sulla teoria che... beh, non è mai stato molto chiaro a quale teoria facesse riferimento. Nel frattempo il governo britannico è andato direttamente al nocciolo del problema e lo ha affrontato con strabiliante velocità.

Mercoledì i collaboratori di Brown hanno annunciato un piano mirante a iniettare ingenti capitali nelle banche britanniche, sostenuto dalle garanzie sul debito bancario, che dovrebbe consentire alle banche di ripristinare il sistema di prestito reciproco di denaro, parte critica del meccanismo finanziario. A distanza di cinque giorni dall'annuncio arriva il primo grosso impegno di finanziamento, e le più importanti economie d'Europa si dicono pronte a seguire l'esempio della Gran Bretagna iniettando centinaia di miliardi nelle banche e a garantirne i debiti.

Guarda un po', dopo aver sprecato parecchie settimane preziose, anche Paulson adesso ha cambiato idea: sta meditando di comperare partecipazioni azionarie invece di nocivi titoli garantiti da prestiti ipotecari, anche se risulta che si stia muovendo con una lentezza esasperante.

Questa politica economica pare ispirata da una chiara visione di ciò che occorre fare. Il che ci porta inevitabilmente a formulare la seguente domanda: perché mai questa chiara visione è dovuta arrivare da Londra, invece che da Washington? È difficile eludere la sensazione che la reazione iniziale di Paulson sia stata distorta dall'ideologia. Non dimentichiamo che Paulson lavora per un'Amministrazione la cui filosofia di governo potrebbe essere sintetizzata in questi termini: "Il privato è bene, il pubblico è male".

Da tutto il ramo esecutivo sono stati allontanati i professionisti esperti e competenti e può anche darsi che al Tesoro non sia rimasto nessuno con la levatura e il background necessari a dire a Paulson che ciò che stava facendo non aveva senso. Per buona sorte dell'economia mondiale, Gordon Brown e il suo staff hanno preso una decisione sensata e opportuna. Forse ci hanno indicato come uscire da questa crisi.
Traduzione di Anna Bissanti
Copyright The New York Times
(14 ottobre 2008)
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Grande critico del presidente Bush, l'economista viene definito un neo-keynesiano
Professore a Princeton, in passato al Mit, è anche editorialista del New York Times

Il Nobel per l'economia a Krugman
per gli studi sulla globalizzazione

Ha rivoluzionato le teorie classiche sugli scambi commerciali
Il commento: "Credo nel mio lavoro, spero che il premio non cambi troppo le cose"
di ROSARIA AMATO

STOCCOLMA - Il premio Nobel per l'Economia è stato assegnato quest'anno allo statunitense Paul Krugman, storico oppositore della politica economica ed estera di Bush e noto come economista neo-keynesiano, teorico cioè dell'intervento dello Stato per regolare il mercato. Il riconoscimento, ha reso noto l'Accademia Reale Svedese delle scienze, è stato attribuito all'economista per i suoi lavori sugli scambi commerciali internazionali. ''Credo molto nel proseguimento del mio lavoro. Spero che questo non cambi troppo le cose'', è stato il commento a caldo di Krugman all'assegnazione del prestigioso premio, istituito nel 1969.

Nato nel 1953 a Long Island, Krugman è professore all'università di Princeton (ma per molti anni ha insegnato al Mit) ed editorialista del New York Times. Krugman è anche uno dei pochi studiosi che aveva osservato con largo anticipo i rischi che hanno poi generato la crisi finanziaria. Profetico il suo libro scritto nel 2001 "Il ritorno dell'economia della depressione. Stiamo andando verso un nuovo '29?'. Nel 1991 ha ottenuto il prestigioso riconoscimento John Bates Clark Medal dall'Associazione americana per l'economia. E' diventato molto popolare, molto conosciuto al grande pubblico, soprattutto per i suoi attacchi a Bush, in particolare in occasione del taglio delle tasse (inutilmente gravoso per il bilancio pubblico, a detta di Krugman) e della guerra in Iraq.

Ma non bisogna confondere l'assegnazione del Nobel con una 'discesa in campo' contro il presidente americano e a favore di un intervento statale nell'economia da parte dell'Accademia delle scienze svedese, afferma Francesco Daveri, professore ordinario di Politica Economica presso la Facoltà di Economia dell'Università di Parma e redattore del sito economico Lavoce.info.

"Non credo che l'Accademia delle Scienze faccia scelte di campo, - osserva Daveri - semplicemente ha dato il premio Nobel a chi ha cambiato il modo in cui gli economisti pensavano alla globalizzazione. Dopo le sue pubblicazioni, lo studio dell'economia internazionale non è stato più lo stesso. Nel momento in cui lui ha iniziato a studiarla, molti avevano sfiducia nella globalizzazione e nelle sue conseguenze. Lui non l'ha certo presa come oro colato, i suoi studi dimostrano anche che il mondo globale è molto più soggetto alle crisi. Ma è riuscito a valutarlo in tutta la sua complessità. Scoprendo, per esempio, che non valeva più la teoria dei rendimenti costanti di scala, in base alla quale che un'azienda fosse piccola o grande non faceva differenza ai fini della competizione. Invece quelle che riescono a esportare meglio delle altre, e quindi a competere, sono proprio le grandi aziende che diventano multinazionali. Una considerazione che sembra banale, però prima di lui per qualche strana ragione gli economisti non ci avevano pensato, e se ci avevano pensato non avevano superato le difficoltà di ordine tecnico che impedivano di sviluppare dei modelli".

Teorico della globalizzazione, e del commercio internazionale, ma non paladino delle barriere doganali, a differenza di quanto qualcuno per un certo tempo ha interpretato. "Le sue teorie economiche erano state interpretate erroneamente come un modo per fornire un supporto a politiche protezioniste, - ricorda Daveri - si diceva che se quello che conta è avere aziende grandi, allora occorre proteggerle finché non sono grandi, è la teoria dell'infant industry. Però lui ha anche spiegato che si trattava di una vecchia tesi degli anni '50, non più valida. Un'efficienza protetta produrrà Alitalia, non certo Wal-Mart o Nokia".

Altra scoperta fondamentale della teoria economica di Krugman è quella relativa alla concorrenza nei mercati globali: "Prima dei suoi studi - spiega Daveri - l'ipotesi era che tutti i mercati fossero in concorrenza perfetta. Krugman ha dimostrato che molto spesso sono invece oligopoli, ognuno vende un prodotto un po' differente dagli altri e questo lo rende oligopolista, anche perché i consumatori si affezionano ad alcuni beni, che comprano più volentieri. E allora come fanno le imprese a commerciare? Questa teoria dimostra che pertanto esistono buone ragioni per specializzarsi e per commerciare con molti Paesi, e per avere economie aperte, non difese dai dazi. I gusti delle persone sono variegati, ecco perché conviene il commercio internazionale".

Al di là del peso delle sue teorie economiche, Krugman è decisamente un economista 'alla moda', i suoi commenti sono molto letti. E tutto sommato, nonostante gli attacchi a Bush e la vicinanza al Partito democratico, può essere considerato in parte politicamente 'trasversale', essendo stato, anche se per un breve periodo, consigliere dell'allora presidente repubblicano Ronald Reagan. "La sua posizione di fustigatore dei tagli di tasse di Bush, le forti critiche verso l'atteggiamento repubblicano che nega anche l'esistenza di una spesa pubblica e il ruolo del governo dell'economia non c'entrano niente con la sua teoria sul commercio internazionale. - chiarisce Daveri - Però sicuramente c'è un collegamento tra le sue teorie e la crisi internazionale che in questo momento stanno attraversando i mercati. Krugman ha studiato come possano insorgere molto rapidamente e in modo improvviso crisi là dove per molto tempo non è emerso niente, come situazioni che sembravano tollerabili possano diventare drammatiche. In questi casi, le sue 'ricette' sono però molto ortodosse. In questi giorni ha mostrato di apprezzare gli interventi dei governi europei, meno quello di Paulson. In generale, Krugman ha una buona fiducia nell'intervento statale di carattere temporaneo".
( 13 ottobre 2008)
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Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 16/10/2008, 22:23

il Petrolio chiude la giornata sotto i 70 dollari al barile

(ANSA) - ROMA, 16 OTT - Il petrolio in chiusura a New York e' rotolato del 6,3% a 69,87 dollari
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"Ricapitalizzazione? No grazie"

Messaggioda franz il 23/10/2008, 8:33

Il rifiuto della banche a Berlusconi
Gli istituti di credito contrari all'intervento statale ipotizzato dal premier
Abi: "Non sappiamo assolutamente cosa significhi quello che ha detto"

ROMA - E' un no compatto quello che il mondo bancario riserva a Silvio Berlusconi. Le parole del premier che aveva parlato di "2 o 3 istituti di credito da ricapitalizzare" vengono rispedite al mittente. "Non so assolutamente cosa significhi quello che ha detto Berlusconi - taglia corto il presidente dell'Abi, Corrado Faissola - Peraltro il problema non riguarda l'Abi ma le singole banche: noi non abbiamo mai interferito nelle scelte degli associati, anche perché chi è preposto al controllo del livello di patrimonializzazione è la Banca d'Italia".

Insomma, niente intervento dello Stato. Per adesso le banche, assicura il direttore generale dell'Abi Giuseppe Zadra, mostrano serenità: "I banchieri nella riunione di oggi erano tutti tranquillissimi".

Una tranquillità che trova conferma nelle parole dell'ad di Intesa San Paolo, Corrado Passera: "Non sono per niente intimorito, pensiamo di avere una struttura patrimoniale adeguata e il piano d'impresa che stiamo attuando la rafforzerà ulteriormente".

Lapidario il presidente di Bpm, Roberto Mazzotta, che si lascia scappare solo un liberatorio "ma per l'amor di Dio". No grazie anche da Emilio Zanetti, presidente del consiglio gestione di Ubi Banca: "Siamo uno degli istituti più capitalizzati, non abbiamo assolutamente bisogno di ricapitalizzazioni". Solo leggermemte più possibilista Giovanni Berneschi, presidente Carige: "Ricapitalizzazione? Grazie al cielo no, ma non si sa mai".

E c'è anche chi non ritiene di dover spendere una parola sul'argomento: "Abbiamo ampiamente affrontato tutti questi temi" dice Fabio Innocenzi, amministratore delegato del Banco Popolare.
( 22 ottobre 2008)
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Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 24/10/2008, 11:05

Il caos sui mercati finanziari prosegue nonostante il rimbalzo di ieri a Wall Street. I mercati asiatici hanno accusato perdite pesantissime con Tokyo a -9,6%. La preoccupazione dei mercati è rivolta sempre di più al "rischio sovrano" cioè alla possibilità che qualche Stato sia insolvente. Le preoccupazioni che, nei giorni scorsi, erano rivolte principalmente a Islanda, Argentina, si sono estese a Bielorussia, Ungheria, Ucraina, Pakistan che sono stati costretti a chiedere aiuti al FMI.
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Re: Borse e mercati

Messaggioda franz il 24/10/2008, 17:33

Washington, 16:07
USA: VENDITA CASE ESISTENTI SETTEMBRE +5,5% OLTRE ATTESE

Le vendite di case esistenti negli Usa hanno segnato a settembre un aumento del 5,5% a un tasso annualizzato complessivo di 5,18 milioni di unita'. Gli analisti prevedevano che si attestasse a 4,93 milioni di unita' contro i 4,91 milioni dello scorso agosto (quando si assistette a un calo del 2,2%). Lo ha reso noto la Nar (National Association of Realtors). Si tratta dell'incremento percentuale piu' consistente dal luglio 2003, quando la vendita di case esistenti registro' una crescita del 5,6%. Per quel che riguarda il tasso annualizzato, quello di settembre scorso e' il maggiore da agosto 2007, allorche' si attesto' a 5,5 milioni di unita'.



Commento
Oltre a questo da notare che sta salendo moltissimo la popolazione americana in affitto.
I due fenomeni sono correlati.
Molti lasciano la casa, vendendola e smettendo di pagare il mutuo e passano all'affitto.
Questa abbondanza di case vuote, unita al calo dei prezzi delle case, ha stimolato l'acquisto delle case esistenti.
Alcuni semplicemente cambiano casa rimanendo proprietari della nuova (ad un prezzo piu' basso) affitando la vecchia o lasciandola in vendita.
Altri lasciano casa e vanno in affitto per la nuova, risparmiando.
Questo riduce l'indebitamento delle famiglie a rischio.

Ciao,
Franz
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