Come dargli torto???
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Politica
08/10/2011 - OPPOSIZIONE LE NUOVE STRATEGIE- INTERVISTA
Veltroni: "No alle elezioni Un governo che salvi l’Italia"
Il deputato del Pd, Walter Veltroni: «Inutile parlare solo di alleanze future, prima dobbiamo metterci d'accordo sulle sei-sette cose da fare»
«I punti forti: l’avvio degli interventi anti-crisi e la riforma della legge elettorale»
FEDERICO GEREMICCA
ROMA
Il Pd non vuole le elezioni anticipate. E non le vuole - o non dovrebbe volerle - per un mucchio di ragioni che Walter Veltroni, stavolta, elenca con un puntiglio e una pignoleria che ricordano assai poco le sue sperimentate capacità affabulatorie. Si comincia dalle elezioni e dal Pd perché, ad esser onesti, il Partito democratico è apparso visibilmente oscillante, sul punto: a seconda di questo o quel dirigente, un giorno è meglio andare a votare e quello dopo - invece - diventa preferibile un nuovo governo variamente definito (di transizione, di decantazione, tecnico, etc).
Molte manovre - a partire dalle candidature alla premiership - si intrecciano intorno alla data del voto: e così, a dirla tutta, perfino le conclusioni dell’ultima Direzione del Pd sarebbero state - secondo alcuni - assai ambigue, sul punto. Walter Veltroni c’era: chiediamo a lui, dunque, come stanno le cose.
Fuori da ogni ironia: è possibile capire qual è, sul punto, la linea emersa in Direzione?
«Al di là della posizione favorevole alle elezioni anticipate legittimamente espressa da qualcuno, come La Torre, le conclusioni sono state chiare: il Pd si impegna a costruire le condizioni per la nascita di un governo di transizione e considera per ragioni che se vuole poi le illustrerò - il voto anticipato come soluzione estrema».
Le illustri pure, così diradiamo qualche nebbia.
«Guardi, lo ha detto bene Montezemolo, l’altro giorno: il Paese è a un passo dal baratro. E se la situazione è questa - ed è certamente questa noi non possiamo rispondere né con “forza gnocca” né precipitando l’Italia verso elezioni che sarebbero precedute, nel pieno di questa devastante crisi, da mesi di confusione e rissa politica».
Dunque, meglio lasciare in carica il governo che c’è?
«Questo è quel che pensa Berlusconi, magari, non noi. Il Pd - e non solo il Pd - ritiene che quel che occorre sia un governo di transizione che abbia in agenda tre cose: il varo degli interventi economico-sociali più urgenti per fronteggiare la crisi; l’avvio di almeno alcune delle riforme suggerite all’Italia dalla Bce e di quei provvedimenti strutturali richiamati proprio oggi da Mario Draghi; l’approvazione di una nuova legge elettorale. Già queste poche cose, da sole, raffredderebbero le tensioni che attraversano il Paese e ci ridarebbero prestigio all’estero».
E’ un anno che chiedete l’avvento di un governo diverso, senza cavar fuori - come si dice - un ragno dal buco.
«Non sono d’accordo. E’ cronaca di questi giorni, di queste ore: qualche risultato inizia a vedersi e qualcosa comincia a muoversi. La consapevolezza che così non si possa andare avanti è molto cresciuta anche tra le forze di maggioranza. Io ne scrivevo già un anno fa, e con Beppe Pisanu ci sono tornato più di recente. Naturalmente, il processo che può portare alla nascita di un nuovo governo diventa tanto più difficile quanto più si evocano le elezioni. Anzi, il solo parlarne è il modo migliore per blindare Berlusconi lì dov’è».
Per la verità, qualcuno sostiene che il Pd - prigioniero delle sue manovre - avrebbe rinunciato a chiedere il voto anticipato perché non pronto all’appuntamento: né sul piano delle alleanze con cui andare alle elezioni né su quello della scelta del candidato premier. Come risponde?
«Sono due questioni distinte. Sulle alleanze io resto della mia idea: la strada è partire dalle cose da fare. Siamo d’accordo che in politica estera, per esempio, la partecipazione alle nostre missioni in corso all’estero resta un impegno da rispettare? E ancora: c’è intesa sul fatto che in questo Paese i diritti civili di tutti e delle donne in particolare vadano difesi dove attaccati ed estesi ove necessario? Oppure: si concorda sul fatto che l’accordo del 28 giugno tra Confindustria e sindacati traccia una via che è giusto seguire?».
Perché fa questo elenco?
«Perché nella prossima legislatura il governo eletto avrà da fare sei o sette cose ormai decisive per il Paese, e la prima è certamente un radicale abbattimento del debito che ci strozza. Ecco: io dico che delle alleanze bisogna fare una funzione, non una priorità. In fondo, è l’idea centrale della cosiddetta vocazione maggioritaria, che non è mai stata voler andar da soli a tutti i costi».
E lei pensa che sulle questioni elencate sia possibile metter d’accordo Vendola, Di Pietro e Casini? Finora non è accaduto: e forse anche non esser riusciti a offrire una via alternativa dentro la crisi è una bella responsabilità...
«Questo è il vero problema politico. E cioè: perché perfino nel pieno del declino del berlusconismo - privato e di governo - le forze riformiste non riescono a mettere in campo scelte programmatiche chiare e un profilo credibilmente innovatore? Naturalmente non è un problema che nasce oggi, visto che in questo Paese il centrosinistra, anche quando ha vinto le elezioni, non è mai stato davvero maggioranza...».
Da settimane, però, i sondaggi dicono che siete in vantaggio.
«Sì, ma quel che sorprende e preoccupa è che, come tutte le analisi confermano, il passaggio di consensi dalla maggioranza all’opposizione è minimo, di fatto inesistente: i voti in uscita dalla destra finiscono nel Grande Magazzino dell’Astensionismo. Dobbiamo riuscire a tirarli fuori dal lì, altrimenti rischiamo un paradosso che alcuni già profetizzano: che tornino ad un centrodestra liberato da Berlusconi».
E questo non dovrebbe spingervi a chiedere elezioni nel tempo più breve possibile?
«Una delle regioni per le quali sono contrario al voto anticipato è che non si può tornare alle urne con questa legge per avere un altro “Parlamento dei nominati”. So che dire questo può sembrare far l’occhiolino alla cosiddetta antipolitica: ma bisognerebbe ricordare che l’antipolitica non nasce dal nulla, ma dalla cattiva politica. Io chiedo: andiamo a votare con questa legge dopo che un milione e 300mila italiani hanno firmato per un referendum che chiede di abolirla? Commetteremmo un errore molto grave».
Nulla ci dice, però, della candidatura a premier del centrosinistra, che è un altro bel problema. Perché? A parte Bersani, si candidano tutti: Vendola, Serracchiani, Renzi...?
«Non ne parlo perché, visto che non vogliamo le elezioni anticipate, penso sia più utile dedicarsi a cose concrete. E dunque su questo, almeno a me, non strapperà una sola parola...».