Il tema del razzismo è vasto, e ha confini vaghi.
Torna utile partire - ripartire - dalle parole di Franz: le manifestazioni di razzismo.
Queste sì "diventano", ossia prima non ci sono, poi ci possono essere: le loro gestione è un problema politico in senso operativo, ma anche le ragioni per cui ci sono è un problema politico, in senso più ampio.
E a questo livello di ragionamento è giusto tutto quello che è stato detto, compreso il meccanismo dell'eventuale insorgere di fenomeni delinquenziali, o la loro percezione debitamente pompata, e tutto il resto.
Ma in realtà il mio messaggio voleva mettere l'accento sul momento individuale della manifestazione razzista, sulla violenza, sulla devianza verso forme estreme di reazione.
Posiamo infatti discutere a lungo sulle ragioni dell'insofferenza verso "il diverso" o lo straniero, più o meno fondate, più o meno incentivate dalla stampa di parte, ma si tratta di un problema analogo a quello della ribellione verso una presenza militare straniera: c'è una reazione politica, una reazione ideale, una verbale, una comportamentale fatta di una maggiore o minore cordialità, c'è infine quella militare, che spinge alla lotta di liberazione contro l'esercito invasore. C'è però anche quella che spinge a metteere bombe sugli autobus affollati, o in una scuola, in un ospedale, a linciare soldati inermi, ad avvelenare i serbatoi d'acqua.
Intendo dire che il sadismo, la violenza materiale contro un essere umano, l'indifferenza e il godimento verso l'umiliazione di una persona che guardi negli occhi, non hanno radici in una "reazione sociologica", o ideale, in un generico stato d'animo, ma sono causate da una vocazione individuale o di gruppo.
Personalmente, sono portato - tanto per chiarire - ad avere una pena profonda per i "malfattori" di questo genere, e non ho un sentimento moralistico verso di loro: li sento soprattutto come vittime dell'ignoranza, o di una psiche coartata verso il peggio, o verso una crudezza ancestrale che nel loro ambiente assume il valore di una insopprimibile "naturalità".
C'è in questi comportamenti una radice genetica, in molti casi, e in altri una devianza culturale: possiamo riassumere entrambe le situazioni in una definizione "antropologica", la quale rispetto alla concettualità politica ha il valore di uno stato dell'essere.
In questa faccenda non c'è in ballo la delinquenza in senso lato - quella contro la proprietà, per esempio, o quella contro la persona, come l'assassinio che avviene per un momentaneo ictus della ragione - e forse nemmeno la delinquenza in sé, ma la facolta di fare del male da persona a persona, per divertimento o per essere incapaci di provare pietà.
La giustificazione pseudo-sociologica della "provocazione", data dall'eccesso di "presenza" del diverso, è semmai un'aggravante, nel senso che dimostra la tendenza a scaricare nel comportamento ignobile la tensione, e peggio ancora se mettiamo nel conto che si tratta di una tendenza ancestrale, antica.
Forse la faccenda appare più chiara, se consideriamo che questo tipo di violenza, di comportamento ignobile e demenziale, non avviene solo verso lo straniero, ma contro chiunque capiti a tiro, dal barbone che dorme nel parco alla donna che scende dalla metro, dal ragazzino troppo bravo a scuola alla "zecca" che frequenta i concerti di sinistra.