La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Numeri e bugie

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Numeri e bugie

Messaggioda flaviomob il 28/04/2011, 10:10

http://triskel182.wordpress.com/2011/04 ... ll-emmott/

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplR ... 9&sezione=

Le bugie sui conti dell’Italia (BILL EMMOTT).
24/04/2011

E’ normale aspettarsi dai politici mezze verità quando non addirittura bugie: in questo l’Italia non è unica, anche se resta un’eccezione la capacità del suoi leader di dire qualcosa un giorno per negarlo il giorno dopo, nella peraltro giustificata convinzione che le loro parole verranno comunque rapidamente dimenticate. Ma non mi aspettavo che questo fenomeno riguardasse anche l’economia, campo dove è facile verificare come stanno davvero le cose. Eppure, andando in giro per l’Italia, mi sono accorto che dichiarazioni false sull’economia nazionale vengono prodotte ogni giorno non solo dai politici, ma anche da banchieri, imprenditori e perfino esponenti del governo.E’ vero che alcune di queste dichiarazioni potrebbero venire catalogate più come opinioni che come constatazioni dei fatti, in quanto l’economia possiede aspetti soggettivi e spesso il dibattito riguarda un futuro imprevedibile sul quale non si dispone di certezze. Eppure mi sembra che ci sia qualcosa di più, visto che il ricorso a dichiarazioni false, anche sul presente e sul passato, resta così diffuso. Così ho prodotto una teoria: si tratta di una forma di auto-illusione nazionale, nel tentativo di sfuggire alla dolorosa realtà.

Permettetemi di spiegarla. Il primo mito che ho sentito decine di volte ripetere agli imprenditori è che l’Italia è nell’ottima posizione della seconda «economia d’esportazione» d’Europa, dopo la Germania.

L’ultima volta l’ho sentito il 3 marzo, quando il Sole – 24 Ore ha organizzato un dibattito con me e Marco Fortis della Fondazione Edison sull’economia italiana, e nella loro introduzione all’articolo in merito i giornalisti del quotidiano economico hanno scritto: «Le esportazioni, invece, viaggiano a ritmo sostenuto, seconde soltanto a quelle della Germania». Ciò nonostante il fatto che durante il dibattito io e Fortis ne abbiamo parlato e abbiamo convenuto che non era vero.

L’idea è bella, ma purtroppo le esportazioni annue dell’Italia la collocano non al secondo, bensì al quarto posto nell’Ue, con il sorpasso della Francia e dei Paesi Bassi. Se poi, come si dovrebbe fare se si misurano le entrate reali dalle esportazioni, si includono nel calcolo anche i servizi, l’Italia scende al quinto posto, battuta anche dal Regno Unito. Si potrebbe anche ammettere che nel caso dei Paesi Bassi alcune esportazioni sono in realtà re-esportazioni in quanto si tratta di prodotti trasportati su per il Reno e lavorati laggiù, ma anche con questa correzione l’Italia non riesce a riguadagnare il secondo posto.

Si potrebbe obiettare che sono soltanto dettagli statistici, che le esportazioni italiane restano forti e che i giornalisti del Sole si riferivano alla loro variazione di crescita piuttosto che al loro livello in termini assoluti. Questa affermazione è stata recentemente fatta nientemeno che da Antonio Vigni, presidente della terza banca italiana, Monte dei Paschi di Siena, in un’intervista («View from the Top», 15 aprile 2011) al Financial Times. In questo breve colloquio ha opportunamente ripetuto tre dei miei miti preferiti sull’economia italiana. Ha detto che la crisi economica ha «messo alla prova la forza del nostro sistema industriale», che stiamo assistendo a «un balzo del livello delle esportazioni e della ripresa», e che la situazione delle famiglie italiane è «positiva per l’economia» a causa del loro basso livello di indebitamento e alto tasso dei risparmi.

Non voglio prendermela con Vigni: ha solo ripetuto quello che dicono in tanti, anche se da un banchiere mi sarei aspettato che ogni tanto desse un’occhiata ai numeri. Per quanto riguarda la prima affermazione, che il sistema industriale italiano ha dimostrato la sua forza, basta andare a guardare l’ultimo Bollettino economico prodotto dalla Banca d’Italia, dove si dice che «la crescita del settore manifatturiero è stata meno robusta rispetto ai principali Paesi della zona dell’euro: rispetto al livello pre-crisi, nel febbraio 2011 la produzione industriale in Italia era scesa circa del 18%, contro il 9% in Francia e il 5% in Germania». Numeri che fanno apparire il «sistema industriale» italiano debole più che forte.

Ma tanto le esportazioni sono tornate a crescere, no? E’ vero che l’export di beni e servizi dall’Italia è aumentato nel 2010 dell’8,9%. Ma nello stesso periodo la Francia ha visto un aumento del 10,1%, il Belgio del 10,2% e la Germania del 14,1%. A essere onesti, Vigni ha dato questa risposta alla domanda se fosse possibile paragonare l’Italia al Portogallo, alla Grecia, all’Irlanda e alla Spagna, le economie della zona euro che non fanno dormire gli investitori. Diamo però un’occhiata ai tassi di crescita delle esportazioni portoghesi (8,7%) e spagnole (10,3%) del 2010, e la presunta potenza esportatrice dell’Italia non appare più così convincente. Senza poi menzionare il fatto che l’Italia nell’ultimo decennio ha avuto un deficit commerciale, in quanto importa più di quanto esporta.

Allora Vigni ha ragione ad affermare che le famiglie italiane sono un fattore positivo, con i loro debiti bassi e i risparmi cospicui? E anche quando dice che il sistema bancario italiano è più stabile di quello di molti altri Paesi europei? Entrambe queste affermazioni così diffuse sono vere, ma non contano molto. Potevano suonare rassicuranti durante la tempesta finanziaria del 2008-9, quando l’alto indebitamento delle famiglie, il basso tasso di risparmio o banche propense ad avventure internazionali erano fattori di rischio, minacciando la riduzione dei consumi o il collasso del sistema bancario. Ma oggi, la tempesta è passata.

Le famiglie italiane possiedono un patrimonio di ricchezza impressionante. Ma le loro spese di consumo non sono molto positive per l’economia, per la semplice ragione che le entrate in termini reali (tenendo conto dell’inflazione) e dopo il pagamento delle tasse sono scese per tre anni consecutivi, dal 2008 al 2010. Il consumo delle famiglie si è ridotto meno delle entrate nel 2008-9 e si è rianimato nel 2010, in quanto la gente ha deciso di mettere da parte meno di prima. Di fatto, il famigerato tasso di risparmio delle famiglie italiane (un autentico fattore di forza nel passato) sta scendendo dal 2002, e nel 2010 è stato – secondo i dati dell’Istat – inferiore sia a quello della Germania che a quello della Francia. L’abitudine a spendere i risparmi può mantenersi, ma in questo caso in breve tempo l’Italia non vanterà più un alto tasso di risparmio. E’ quello che è accaduto in Giappone negli ultimi 20 anni.

La questione della forza e del peso dei risparmi delle famiglie ci fa capire perché le illusioni sull’economia italiana sono così diffuse e radicate. Esse sono un modo per non vedere le debolezze, in questo caso il fatto che i redditi delle famiglie stanno scendendo e sono deboli ormai da più di un decennio. Questo è stato vero perfino nei periodi di riduzione del tasso di disoccupazione, in quanto era dovuto essenzialmente alla creazione di milioni di impieghi precari e a bassa retribuzione. Ora che la disoccupazione è tornata a crescere, e per ora non accenna a diminuire, la politica e l’opinione pubblica dovrebbero concentrarsi proprio su questa incapacità di creare posti di lavoro che producano un aumento del reddito delle famiglie.

Lasciamo in pace il signor Vigni, l’ho torturato abbastanza. La mia prossima vittima sarà un rappresentante molto importante del Tesoro, di cui non posso fare il nome in quanto le parole che sto per citare sono state pronunciate «off the record» a un seminario per giornalisti britannici tenutosi a Venezia in gennaio. La sua dichiarazione comunque è apparsa in un articolo sull’economia italiana nella rivista di cui sono stato direttore, The Economist, e naturalmente ha attratto la mia attenzione. Questo signore ha detto ai giornalisti che l’economia italiana dovrebbe venire calcolata come divisa nel Nord, che cresce del 3% l’anno, e il Sud che scende del 2% annuo, risultando nell’apparentemente debole tasso annuale dell’1%.

Questa dichiarazione è assurda comunque la si guardi, ma soprattutto è pericolosa e fuorviante. E’ assurda in termini matematici: in quanto il Sud ha un Pil minore, ci vorrebbe molto più di una riduzione del 2% annuo per neutralizzare su scala nazionale l’effetto della crescita del 3% del Nord. Ma è assurda anche in termini fattuali: nell’ultimo decennio, il Pil del Sud è sceso solo due volte: di poco nel 2003, e poi nel biennio 2008-9, quando comunque si è ridotto meno di quello del Nord. In nessun anno dell’ultimo decennio il Centro-Nord è cresciuto più del 2%.

Tutto questo non è per negare che il Sud resta un problema. La sua crescita economica dovrebbe in effetti essere più rapida di quella del Nord, in quanto ha un minore costo del lavoro e parte da una posizione più bassa. Ma il punto è un altro: questo funzionario molto importante del Tesoro ha usato questo falso per dire che non era richiesto alcun intervento nel cuore dell’economia italiana, il cui tasso di crescita e la ricchezza sono già a livelli tedeschi. In realtà questo si può affermare soltanto per alcune zone dell’Italia settentrionale, escludendo non solo il Sud, ma anche il Centro e pure diverse regioni del Nord. Metterla in questi termini equivale a dire che l’America sta andando bene perché Silicon Valley ha ricchezza e successo, o che l’economia britannica è sana perché Londra è una città ricca.

E’ un modo di distrarsi, intento ad auto-ingannarsi. Perfino il settore manifatturiero non sta andando bene quanto i corrispettivi in altri Paesi europei, ma concentrarsi solo su questo significa perdere di vista il quadro generale: che non vengono creati posti di lavoro, che la produttività non sale, così come non aumentano il reddito e gli standard di vita. Questa debolezza è evidente sia nel settore dei servizi che in quello manifatturiero. Diverse società incontrano troppi ostacoli per crescere, burocrazia, legislazione sul lavoro, accordi sindacali, tasse, privilegi di varie categorie, monopoli, istruzione mediocre e tanti altri.

Questi fattori rendono statisticamente falsa anche la fondamentale asserzione sull’Italia, che la sua forza maggiore sono i suoi imprenditori: il tasso di nascita di nuove imprese in Italia negli anni precedenti alla crisi è stato inferiore sia a quello della Francia che a quello della Germania. Ma decidere di rimuovere questi ostacoli, rischiando di infastidire quelli che ne beneficiano, sarebbe difficile, forse anche doloroso. Dunque, meglio attaccarsi alle illusioni di forza ed elasticità come virtù nazionali.

da la Stampa del 24/04/2011.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Numeri e bugie

Messaggioda franz il 28/04/2011, 21:13

Il punto centrale del discorso è che si possono anche raccontare palle ma c'è chi possiede l'autorevolezza per mostrarle per quello che sono. Appunto: palle. Il fatto dei numeri è secondario. Chi racconta palle (che ci creda in buona fede o che lo faccia coscientemente) usa tutta una serie di metodi, tra cui anche esporre numeri che sono parziali o fuorvianti (che si riferiscono ad altre cose).
L'arretramento dell'export italiano è noto e drammatico. Tutti i paesi, nel 2008 e 2009, hanno visto un crollo delle loro esportazioni. Tutti ora stanno risalendo. Anche l'Italia. Ma meno degli altri.

Si dà il caso che ora la locomitiva d'europa (la Germania) abbia tornato a tirare.
Esporta tantissimo. In Francia, USA, Olanda, Regno Unito, Italia.
C'è un piccolo problema. Se esporti tanto, devi anche importare altrettanto. Magari non si riesce a pareggiare export e import, ma l'obbiettivo è quello. Infatti la germania importa tantissimo. Da Olanda, Cina, Francia USA, Italia.
La ripresa delle esportazioni germaniche ha coinciso con la ripresa delle loro importazioni. Se vediamo la cosa dal punto di vista dell'Italia, la germania è in nostro primo partner sia per le importazioni, sia per le esportazioni. Quindi se importiamo tanti prodotti dalla germania, tendiamo anche ed esportare di più. Se vediamo il volume delle nostre esportazioni rispetto all'europa, siamo terzi (con la piccola olanda ad un'incollatura, tanto che basta pocchissimo per il sorpasso) e siamo settimi nel mondo. Comunque la si veda pero' la nostra crescita è legata al fatto che gli altri, esportano tanto, devono anche importare e se vogliono esportare in Italia devono anche essere pronti ad importare prodotti italiani. Tuttavia mentre la germnaia esporta tantissimo e non riesce a starci dietro con le importazioni (esporta di piu' di quanto importa) per l'Italia è in caso inverso. Importiamo di piu' di quanto esportiamo. Inoltre l'altro aspetto, oltre al volume totale, è dato dal trapporto tra esportazioni e PIL. Quello italiano, una volta molto alto. ora è crollato. Segno del calo della nostra produttività e della appetibilità dei nostri prodotti.
Il fatto finale è che chiunque oggi sia dotato di un collemento internet ed usi un motore di ricerca, questi dati puo' calcolarseli da soli. Senza aver bisogno di giornalisti.

Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Numeri e bugie

Messaggioda cardif il 29/04/2011, 0:32

Dell'articolo sottolineo questo passaggio:
"la situazione delle famiglie italiane è «positiva per l’economia» a causa del loro basso livello di indebitamento e alto tasso dei risparmi....
Le famiglie italiane possiedono un patrimonio di ricchezza impressionante. ... Ma le loro spese di consumo non sono molto positive per l’economia, per la semplice ragione che le entrate in termini reali ... sono scese per tre anni consecutivi, dal 2008 al 2010.
Il consumo delle famiglie si è ridotto meno delle entrate nel 2008-9 e si è rianimato nel 2010, in quanto la gente ha deciso di mettere da parte meno di prima.
Di fatto, il famigerato tasso di risparmio delle famiglie italiane ... sta scendendo ... L’abitudine a spendere i risparmi può mantenersi, ma in questo caso in breve tempo l’Italia non vanterà più un alto tasso di risparmio.
"

Due o tre decenni fa un lavoratore medio, con la buonuscita e/o i risparmi, poteva comprare una casa al figlio.
Nel decennio corrente con lo stesso importo compre metà del mutuo.
Tra uno o due decenni, con la riduzione della possibilità di risparmio per la riduzione del potere d'acquisto, le famiglie non potranno fare nemmeno questo.
Che ne sarà della terza generazione?
E forse ci sarà un problema anche per lo Stato. Fino ad oggi vende ancora titoli per metà ai risparmiatori italiani.
Ce la farà in futuro a venderli per coprire le richieste di incasso? O i risparmiatori opteranno per altri lidi?
Questa erosione dei risparmi delle famiglie italiane sarà un problema anche per le casse dello Stato, penso.
Ma dato che questo è lontano nel tempo, i nostri politici non se ne interessano.
cardif
Ma mo' mi so' capito bene?
cardif
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 1700
Iscritto il: 13/04/2009, 18:29

Re: Numeri e bugie

Messaggioda pianogrande il 29/04/2011, 9:41

Ce la farà in futuro a venderli per coprire le richieste di incasso? O i risparmiatori opteranno per altri lidi?
Questa erosione dei risparmi delle famiglie italiane sarà un problema anche per le casse dello Stato, penso.
Ma dato che questo è lontano nel tempo, i nostri politici non se ne interessano.
cardif


Secondo il mio personale istituto di rilevazioni, i risparmiatori stanno già cominciando ad optare per altri lidi.
La home banking (internet, insomma) sta attuando una rivoluzione stravolgente che le anemiche e frammentate associazioni consumatori del nostro paese neanche potevano sognarsi.
Anche le banche non possono ostacolarla più di tanto nonostante tentino di intimidire con questionari e richiami vari alla loro sedicente consulenza.
Potendo informarsi ed operare da casa, i risparmiatori più evoluti comprano, ad esempio, titoli in Euro dove la scelta è condizionata sopratutto dal rating.
Non sono più sottoposti all'oppressione del funzionario bancario che, ad ogni operazione, gli martellava i santissimi con proposte più o meno oscene.
Ho sentito, addirittura di banche che "come politica" non permettono di investire con internet ma preferiscono il contatto con il cliente.
A medio termine, penso che ne vedremo delle belle anche sui titoli italiani.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10611
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52


Torna a Economia, Lavoro, Fiscalità, Previdenza

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti