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Borse e mercati

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 23/09/2008, 10:01

Decisamente anomalo il movimento del prezzo del petrolio. L'enorme spostamento dei prezzi, il più forte di sempre, è avvenuto in pochi minuti. Le spiegazioni che girano sui giornali e sulle Tv non sono credibili. Probabilmente ci vorrà qualche giorno prima che trapeli da qualche sala operativa cosa è realmente successo.

La novità sulle borse è il blocco delle vendite allo scoperto praticamente in tutto il mondo. Mancando una autorità centrale di coorrdinamento ognuno ha fatto di testa sua. Il rischio in questo modo di procedere è che si creino particolari possibilità di arbitraggio tra un mercato e l'altro, tra un'attività finanziaria e l'altra, con il rischio di destabilizzazione di segmenti particolari dei mercati.

ciao
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Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 23/09/2008, 11:47

Eccola la spiegazione del balzo del petrolio. Provo a spiegarlo, se capisco bene. Era la scadenza del future di ottobre e c'erano molte posizioni short sul future. Sul mercato dell'oklahoma che fa da riferimento per la consegna del petrolio fisico al nymex, c'erano poche scorte a causa dell'uragano. Chi era scoperto di petrolio (l'aveva venduto senza averlo), l'ultimo giorno prima della consegna è stato costretto a ricoprirsi (comprarlo) a qualunque prezzo per far fronte alla consegna e questo ha provocato l'enorme spinta sui prezzi.
ciao
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(marketwatch) (..)Complicating matters on Monday was trader short covering related to the expiration of the October crude contracts on Nymex, analysts said.
"Some folks got caught short," said James Williams, an economist at WTRG Economics. "The stocks at Cushing [Okla.], which is the delivery point for Nymex, will be low because they have been drawn down because of the hurricane."
So "if you are short on the last day of trading you have to either buy back the contract or make physical delivery and it is probably difficult to get spot oil at Cushing to make physical delivery," (..)
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Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 29/09/2008, 10:22

il testo completo della proposta di legge "Emergency Economic Stabilization Act of 2008" per il salvataggio delle banche americane:



http://graphics8.nytimes.com/packages/p ... t_text.pdf
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Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 29/09/2008, 20:15

La Camera USA ha bocciato il piano da 700 miliardi sui mercati il caos è stato immediato Wall Street sprofonda il petrolio perde 9 $ al barile, sui cambi la tensione è altissima.
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Re: Borse e mercati

Messaggioda franz il 30/09/2008, 7:23

trilogy ha scritto:La Camera USA ha bocciato il piano da 700 miliardi sui mercati il caos è stato immediato Wall Street sprofonda il petrolio perde 9 $ al barile, sui cambi la tensione è altissima.


I voti contrari sono stati 228, quelli a favore 205. Erano necessari 218 sì
Crolla Wall Street: DJ a -5,8% e Nasdaq a -9,14%. Giù anche il petrolio

Crisi mutui, no della Camera Usa
al piano da 700 miliardi di dollari

Bush, "molto contrariato", riunisce lo staff. Paulson: "Faremo di tutto"
Appello di Obama ai mercati: "Calma e nervi saldi". Ma McCain lo attacca
Crisi mutui, no della Camera Usa al piano da 700 miliardi di dollari

WASHINGTON - La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha bocciato il pacchetto da 700 miliardi di dollari approntato dal Tesoro per salvare il sistema finanziario americano. E' mancato il quorum per un pugno di voti. I contrari sono stati 228, i favoreli 205. Per far passare il provvedimento erano necessari 218 voti favorevoli. La notizia ha fatto sprofondare Wall Street: il Dow Jones ha chiuso in calo del 5,8% a quota 10.486,43 mentre il Nasdaq ha lasciato sul terreno il 9,14% a 1.983,73 punti e lo S&P500 è arretrato del 7,34% a 1.123,94.
...
La debolezza di Bush. Il clamoroso 'no' della Camera è stato innescato da un ripensamento in extremis di una dozzina di deputati repubblicani e dalla incapacità del leader democratico Nancy Pelosi di controllare il voto dei suoi deputati.
...
http://www.repubblica.it/2008/09/sezion ... bocca.html
( 29 settembre 2008)
http://www.repubblica.it



Commento personale,
visto il noto legame dei parlamentari americani con gli ambienti economici (lobbismo piu' o meno trasparente) credo che si dovrebbero esaminare i legami di chi ha votato contro (in estremis o no) per vedere se il crollo è funzionale agli interessi di qualcuno interessato a ricomprare asset di basso costo. Non escluderei che giovedi', con un nuovo voto (positivo) qualcuno legato in qualche modo a quei parlamentari guadagnasse fortune. Oppure importanti istituti finanziari, indeboliti dal nuovo crollo, potrebbero essere comprati da altri.

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Re: Borse e mercati

Messaggioda trilogy il 30/09/2008, 10:09

franz ha scritto:
trilogy ha scritto:La Camera USA ha bocciato il piano da 700 miliardi sui mercati il caos è stato immediato Wall Street sprofonda il petrolio perde 9 $ al barile, sui cambi la tensione è altissima.


I voti contrari sono stati 228, quelli a favore 205. Erano necessari 218 sì
Crolla Wall Street: DJ a -5,8% e Nasdaq a -9,14%. Giù anche il petrolio

Crisi mutui, no della Camera Usa
al piano da 700 miliardi di dollari

Bush, "molto contrariato", riunisce lo staff. Paulson: "Faremo di tutto"
Appello di Obama ai mercati: "Calma e nervi saldi". Ma McCain lo attacca
Crisi mutui, no della Camera Usa al piano da 700 miliardi di dollari

WASHINGTON - La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha bocciato il pacchetto da 700 miliardi di dollari approntato dal Tesoro per salvare il sistema finanziario americano. E' mancato il quorum per un pugno di voti. I contrari sono stati 228, i favoreli 205. Per far passare il provvedimento erano necessari 218 voti favorevoli. La notizia ha fatto sprofondare Wall Street: il Dow Jones ha chiuso in calo del 5,8% a quota 10.486,43 mentre il Nasdaq ha lasciato sul terreno il 9,14% a 1.983,73 punti e lo S&P500 è arretrato del 7,34% a 1.123,94.
...
La debolezza di Bush. Il clamoroso 'no' della Camera è stato innescato da un ripensamento in extremis di una dozzina di deputati repubblicani e dalla incapacità del leader democratico Nancy Pelosi di controllare il voto dei suoi deputati.
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Si, non lo escluderei, devono aver pesato anche le manifestazioni popolari contro la politica "socialista" di Bush (ce ne sono state oltre 200 negli USA) .

Carino il commento di Paul Krugman: "OK, we are a banana republic" al Congresso c'è un quorum di pazzoidi"

http://krugman.blogs.nytimes.com/2008/0 ... -republic/

ciao
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"Mele marce? No: è il sistema"

Messaggioda franz il 01/10/2008, 8:05

L'analisi di uno psicologo in un saggio di prossima pubblicazione
"Atleti e manager sotto pressione e allettati da premi e stock options"

I crack finanziari come il doping
"Mele marce? No: è il sistema"

Bilanci gonfiati e frodi garantiti da una sostanziale impunità per i responsabili
Le soluzioni? "Quelle dettate dal buon senso: controlli veri, riduzione degli incentivi"
di ROSARIA AMATO

ROMA - I crack finanziari come i casi di doping nello sport. E' la teoria di Alberto Cei, professore di psicologia all'Università di Tor Vergata (Roma) e di Cassino. Il meccanismo è lo stesso: un sistema che spinge a ottenere il massimo dei risultati, non importa come, in barba alle regole. Perché le regole sono altre: non quelle dettate da leggi e regolamenti che valgono soltanto per i fessi. I vincenti agiscono in un altro modo: puntano dritti agli obiettivi, quelli veri, da raggiungere a qualunque costo. Sono "I Signori dei tranelli", i protagonisti del saggio che Cei pubblicherà tra poche settimane.

Da cosa nasce il suo parallelo tra sport ed economia?
"Parliamo sempre di persone di successo: atleti che vincono le Olimpiadi, multimiliardari. Per esempio Barry Bond, campione americano di baseball, si è imbottito di steroidi, arrivando al discredito, perché era secondo e voleva diventare il primo nella classifica del record dei lanci fuori campo".

Chi sono i signori dei tranelli?
"Sono le persone di successo che ritengono di non poter mai essere perseguite, che vivono in un ambiente nel quale si sentono sicure. Al tempo stesso, su di loro grava una forte pressione sociale che li spinge a ottenere il massimo, anche illegalmente. Hanno anche una serie di premi, stock options per i manager, che incentivano ancora di più questo atteggiamento. La loro è un'attività intenzionale: non sono mele marce, sono persone assolutamente brillanti, oltre a essere socialmente ben posizionate".

Se quindi agiscono secondo una sorta di mandato, e non a scopo personale, perseguirli per aver violato la legge potrebbe apparire quasi come un'ingiustizia.
"La frode è stata istituzionalizzata in qualche modo: si creano scatole cinesi per cui non si capisce più niente, nessuno è in grado di risalire all'origine, e capire di chi è la colpa. Di conseguenza, si sta cercando di far passare il principio che se non si salvano le società sull'orlo del baratro sarà peggio per l'intero sistema. E così, per salvare il rapporto di fiducia tra i cittadini e gli intermediari finanziari, lo Stato diventa un azionista".

E' una buona soluzione, o ci sono altre terapie meno costose?
"Le terapie migliori sono quelle legate al buon senso, come quella suggerita da Joseph Stiglitz (Premio Nobel per l'Economia 2001, ndr): non più incentivi annuali, ma quinquennali, per evitare di mettere sotto pressione i manager e valutare gli effetti della loro gestione nel lungo periodo. E poi i controlli: è ampiamente emerso che quelli esistenti non funzionano, e infatti la maggior parte delle frodi finanziarie sono state scoperte per caso, da Parmalat in Italia a Enron negli Stati Uniti. La Grant Thornton per Parmalat e la Arthur Andersen per Enron erano conniventi. Si era di fronte a sistemi d'interconnessione. Anche l'immagine pubblica di queste grandi aziende era assolutamente positiva. Si creava una sorta di pace sociale: la Enron era perfettamente a posto anche dal punto di vista della beneficenza. Una truffa istituzionalizzata, un impegno quotidiano non certo opera esclusiva di manager come Tanzi: non si tratta di frodi singole, è un sistema che va mantenuto in piedi con il lavoro quotidiano di molte persone".

Un sistema che si basa, scriveva qualche giorno fa l'Herald Tribune, su una filosofia da tempo imperante, che mette al centro di tutto "l'ottimismo".
"Quello che conta è la ricerca del risultato ad ogni costo. Sicuramente ottenere i risultati è un fatto auspicabile, come lo è vincere nello sport: è il come che è diventato patologico. L'assenza totale di controlli, l'esaltazione dell'orientamento al rischio, la pressione sociale si uniscono al desiderio legittimo di vincere e di accumulare denaro. Ha prevalso una sorta di cultura dell'arroganza. Non era sbagliato l'obiettivo, ma il modo, unito alla consapevolezza che i controlli sono inesistenti. I controlli costituiscono un forte elemento di deterrenza, perché "i signori dei tranelli" non vogliono perdere la faccia di fronte al proprio ambiente sociale: puoi fare quello che vuoi, ma se vieni scoperto vuole dire che non sei stato abbastanza bravo e vieni eliminato. Però non vanno bene il controlli solo alla fine: le persone così non hanno un argine".

L'aver scoperto fin troppe frodi finanziarie, il discredito sociale caduto addosso a persone che fino a poco tempo fa erano considerati i maghi della finanza, potrebbe aiutare a far cambiare le regole del gioco?
"Io sarei pessimista su questo. Le soluzioni ci sarebbero, ripeto: controlli indipendenti, togliere gli incentivi annuali, introdurre una sorta di educazione dei dipendenti delle società finanziarie ad essere socialmente responsabili. E invece già si sente dire che "i migliori" della Lehman Brothers verranno sicuramente riassunti, troveranno subito un altro ottimo lavoro. I migliori in che cosa? Non lo sapremo mai. Non si tratta di chi ha avuto il miglior dottorato a Princeton. Secondo me non c'è un'alternativa: trovarla dovrebbe essere la funzione dello Stato, ma stiamo vedendo che non si è pronti".

Cosa dovrebbe fare lo Stato?
"Cambiare le regole oppure utilizzare le regole che ci sono, è questa la strada da percorrere. In Italia ha sempre prevalso il principio dell'impunità per chi commette dei reati, si è rassegnati a questo. Sono curioso di vedere quello che succede negli Stati Uniti, alla fine quella può essere un'occasione per far crescere un'opinione pubblica, anche se mi sembra complicato. Mi sembra l'unico posto al mondo dove questo potrebbe accadere: noi siamo rassegnati su tutti i fronti, in Italia nessuno fa causa perché si sa che la causa finirà tra 30 anni e semmai ne beneficeranno i nipoti".
(30 settembre 2008)
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La rivolta «bipartisan» dell’America

Messaggioda franz il 01/10/2008, 14:58

La rivolta «bipartisan» dell’America

Gerardo Morina
La cultura politica americana, formata sulla base dei principi (etici, morali, religiosi e sociali) dei Padri Fondatori, dispone di un sistema di freni e contrappesi («checks and balances») che non soltanto si applica ufficialmente alla separazione dei poteri, ma che entra in azione ogniqualvolta viene avvertito un incrinamento o uno squilibrio dello spirito nazionale.

Si spiega così la rivolta «bipartisan» di 133 deputati repubblicani e 95 democratici responsabile di aver respinto lunedì sera alla Camera dei Rappresentanti il piano di salvataggio di 700 miliardi di dollari che la Casa Bianca aveva presentato per salvare il Paese dal collasso finanziario.

Un no che la dice lunga su una serie di fenomeni innescati dal panico e dalla disperazione legati alla grave crisi dei mercati finanziari: un preoccupante vuoto di leadership,a partire dai vertici dell’amministrazione fino ai singoli deputati e senatori e passando anche per i due presidenti in pectore, il repubblicano John McCain e il democratico Barack Obama, il cui invito a promuovere il piano di salvataggio in uno spirito per una volta «bipartisan» è rimasto inascoltato; una crisi di autorità istituzionale dei vertici repubblicani e democratici incapaci non solo di tenere sotto controllo i propri deputati ma di offrire alla nazione almeno una base di fiducia del tipo che fece grande – e autorevole – la presidenza di Franklin Delano Roosevelt in un’America piombata quattro anni prima nella storica crisi finanziaria del 1929; infine, l’incapacità della politica, sia di quella in atto sia di quella in prospettiva, di agire con tempestività ed efficacia con i meccanismi di cui dispone per far fronte ad emergenze finanziarie di portata eccezionale.

Se non si è verificata quella coesione che altre volte è scattata in cupi momenti della storia americana è perché questa volta i principi della profonda America hanno prevalso su ogni iniziativa di unione e solidarietà. Il comportamento dei deputati che hanno – forse non definitivamente – affossato il piano risponde alla loro paura di non essere rieletti non dando seguito alle numerose telefonate ed e-mail degli elettori delle rispettive circoscrizioni che invitavano a votare no al salvataggio. Hanno così finito per far prevalere la propria voce due differenti tipi di America il cui voto contrario è stato dettato da opposti motivi.

I repubblicani ribelli sono stati quelli della base più liberista del partito, spaventata dal fatto che il «bail-out plan» di Bush e del suo ministro del Tesoro Paulson avrebbe comportato quella che avvertivano come una forte ingerenza dello Stato in un meccanismo finanziario di salvataggio che sarebbe stato la negazione dello spirito di libertà e responsabilità individuale (nel successo e nel fallimento) connaturato con i canoni del sistema capitalistico americano.

La seconda America che ha votato contro è stata invece rappresentata da quella base democratica che considerava iniquo il pacchetto di misure di salvataggio in quanto mirava solo a salvare Wall Street e gli «ingordi» banchieri con le loro buonuscite miliardarie (i cosiddetti «golden parachutes») alle spalle di una classe media americana che si trova oggi in gravi difficoltà finanziarie. In questa comune reazione le due Americhe hanno stabilito ciò che nella sua essenza andava invece secondo loro veramente salvato. Anche a costo di essere accusate di nichilismo.
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crolli e rendimenti

Messaggioda franz il 04/10/2008, 16:55

Lette un po' ovunque le discussioni di chi a fronte della crisi del 2008 (come già nel 2000-2001) mette in discussione i rendimenti del mercato finanziario, sono andato a calcolarmi i rendimenti sul lungo periodo. Quello che ho trovato, su http://www.msci.com è un periodo di 38 anni e 9 mesi, valutato sia in dollari che in moneta locale.
A questi rendimenti va naturalmente tolta l'inflazione che nello stesso periodo avrebbe eroso buona parte se non tutto il valore dei 100 dollari (o machi, franchi, lire, sterline, jen) iniziali, se non investiti ma lasciati sotto il classico materasso.

Nelle prime righe (dalla 3 alla 12) potete vedere il rendimento totale e quello medio annuo ottenibile da chi aveva 100 dollari alla fine del 1969. Potrebbe essere un lavoratore con il suo fondo pensione USA o qualsiasi altro investitore in dollari. Se incassasse oggi, dopo 38 anni e 9 mesi, quelli sarebbero i rendimenti reali.

Dalla tabella appare chiaro che ben pochi investirebbero in Italia. Mete preferibili sono Svizzera, Giaappone, Germania e Francia. Oppure Investimenti bilanciati in Europa. A livello mondiale, per tutte le piazze finanziarie, asiatiche comprese, il rendimento medio è del 28% all'anno. A questo va tolta l'inflazione. Bisognerebbe calcolare l'inflazione del paese dell'investorire ma questo non possiamo conoscerla (potrebbe essere di qualsiasi paese). Osservando la seconda parte, in valuta locale (righe dalla 16 alla 25) pero' appare chiaro che ad un investitore americano conviene poco investire dollari nella borsa americana (26% di guadagno) perché in media puo' ottenere di piu' in europa ed in giappone.
Per la valuta locale possiamo considerare la convenienza degli investitori locali ed i rendimenti sembrano piu' eguali tra la varie piazze. Tuttavia va considerato per esempio che giappone, germania e svizzera sono sempre stati paesi a bassa inflazione per cui rendimenti del 15-20% in quei paesi non sono paragonabili al 20% italiano (per gli investori locali).

Le cose cambiano ovviamente se consideriamo come data di partenza il 2000 oppure il 2007.
Qui è chiaro che oggi un investiore è in grossa perdita, virtuale. Tuttavia i conti sul rendimento di lungo periodo (per esempio previdenziale) dovranno essere fatti per loro solo nel 2039 o nel 2046.

La stima è che tutti i periodi di 40 anni, pur contenendo alti e bassi anche di grande entità, alla fine garantiscono i rendimenti indicati.

Per il dato italiano abbiamo i dati di inflazione e nello stesso periodo del piccolo studio che ho fatto le 100 lire iniziali sarebbero diventate molto poche dopo 38 anni e 9 mesi. Lasciate sotto il materasso quelle 100 lire avrebbero perso il 97% del loro valore, al ritmo di perdita del 2.4% all'anno (dati istat).
Pur essendo una piazza poco redditizia l'investimentimento nella borsa di Milano invece di far perdere il 2.4% all'anno ne fa guadagnare (crolli compresi) il 20.68%. Il guadagno netto, malgrado tutto, è nel lungo periodo, molto interessante anche da noi. Altrove molto di piu'.

Ciao,
Franz
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Re: Borse e mercati

Messaggioda franz il 06/10/2008, 9:30

L'ANALISI / Negli Usa intanto crescono i dubbi
sulla efficacia del piano Paulson da 700 miliardi

Le fragili difese dell'Europa
alla prova dello tsunami globale

di FEDERICO RAMPINI

"Vogliamo che da questa crisi esca un mondo nuovo". L'ambizioso proclama di Sarkozy al G4 da oggi affronta il test severo del mondo reale: tra nuovi salvataggi bancari, la recessione, e presto un summit mondiale sull'emergenza economica.

Il calendario offre a Sarkozy e ai suoi colleghi Merkel, Brown e Berlusconi l'opportunità di cimentarsi subito con quella sfida: "Ricostruire le fondamenta del sistema finanziario internazionale". L'audacia verbale del presidente francese si è spinta fino a prefigurare una nuova Bretton Woods, la conferenza internazionale che durante la seconda guerra mondiale (1944) disegnò l'architettura dell'ordine economico post-bellico sotto la leadership di Franklin Roosevelt e l'ispirazione teorica di Keynes.

Stavolta, è il messaggio venuto da Parigi, tocca all'Europa segnare la strada anziché agli Stati Uniti, principali responsabili dell'attuale disastro. L'idea è che il capitalismo finanziario - un mostro generato dall'America - vada castigato per ridare la priorità all'industria, all'economia reale, alla creazione di una ricchezza non fasulla. Ma il summit di Parigi è stato avaro di proposte concrete su come arrivare da qui a là: con quali nuove regole, e con quale consenso politico.

La sfida lanciata dal G4 fin da oggi farà i conti con il problema del consenso su scala europea: il vertice dei 27 ministri economici dell'Eurogruppo dovrà dare il via libera alla "interpretazione flessibile" del Patto di stabilità, e ufficializzare una maggiore indulgenza dell'Unione verso gli aiuti di Stato alle imprese in difficoltà.

Poi si apre il summit del Fondo monetario internazionale a Washington, a metà settimana: per la prima volta da quando la crisi è entrata nella sua fase più acuta, l'Occidente potrà confrontarsi con le potenze emergenti Cina, India, Russia. Se l'Europa ha in tasca un disegno per riformare le regole del capitalismo e inaugurare una nuova governance globale, quella sarà la sede ideale per conquistare appoggi. Ammesso che in questi giorni i governi europei non siano troppo affannati a rincorrere altri focolai di crisi: come l'improvvisa débacle del piano di salvataggio di Hypo Real Estate, il colosso tedesco dei mutui (400 miliardi di euro di esposizione, quasi le dimensioni del piano Paulson).

Angela Merkel interpreta i sentimenti dei tedeschi opponendosi a un maxifondo "salvabanche" su scala europea, copiato dal piano americano. Popolo di risparmiatori, i tedeschi guardano con diffidenza al "capitalismo dei debiti" made in Usa; stigmatizzano quei loro finanzieri che si sono fatti ipnotizzare dal modello americano e hanno zavorrato i bilanci delle banche tedesche con i titoli tossici. Ma più che al rigore morale della Merkel, figlia di un pastore luterano, la mancata approvazione di un piano europeo si deve a ragioni concrete evocate dal presidente della Banca centrale europea.

"Noi non abbiamo un bilancio federale - ha detto Trichet - per cui l'idea di replicare ciò che si sta facendo sull'altra riva dell'Atlantico è incompatibile con la struttura politica dell'Europa". È qui che i proclami di Sarkozy ("rifare il capitalismo mondiale") si scontrano con i ritardi della politica. Dopo aver costruito la moneta unica, dopo avere spinto le banche europee a diventare dei giganti transnazionali a furia di fusioni e acquisizioni, fino a perdere capacità di controllo sulle loro attività, le nazioni europee contemplano le conseguenze della loro mancata integrazione politica.

La guerricciola dei depositi tra Inghilterra e Irlanda - i risparmiatori britannici in fuga verso le banche di Dublino che da pochi giorni offrono una garanzia statale illimitata sui depositi - secondo Willem Buiter della London School of Economics "è l'equivalente delle reazioni medievali durante le epidemie di peste bubbonica, quando le armate lanciavano i cadaveri infetti dentro le mura delle città nemiche".

Anche se passa una moratoria del rigore di bilancio, per consentire temporanei sforamenti dei deficit pubblici e contrastare la recessione, questo potrà avere effetti di ulteriore divaricazione dentro l'Europa. Paesi come la Germania arrivano alla crisi con finanze pubbliche più solide, e potranno usare i margini di elasticità per politiche di sostegno alla domanda.

Nazioni come l'Italia sono afflitte da un debito pubblico il cui rifinanziamento è diventato ancora più pesante (la crisi ha allargato la forbice dei tassi fra i nostri Bot e i Bund tedeschi). Come ha detto il numero uno dell'Ocse: "Quando c'è il sole bisogna risparmiare per i giorni di pioggia. Ora diluvia ma alcuni paesi hanno ombrelli molto piccoli". I quattro leader europei riuniti a Parigi non sono riusciti ad annunciare una vera vigilanza bancaria su scala europea, né regole comuni per prevenire futuri disastri finanziari. Neppure un unico livello per la garanzia statale sui depositi in caso di fallimento di una banca nel territorio dell'Unione.

Sono d'accordo per tagliare le liquidazioni ai banchieri incompetenti - doverosa sanzione - ma al tempo stesso promettono regole più "elastiche" sulla contabilità, che consentiranno alle banche di rinviare l'operazione-verità sulle perdite.

La fragilità della diga europea contro lo tsunami finanziario accentua i timori sul contagio americano. C'è poca speranza che l'America abbia finito di esportare danni. La sua economia reale perde colpi su tutti i fronti: sale la disoccupazione, scendono i consumi e gli investimenti, diminuiscono perfino le spese sociali degli Stati (alcuni dei quali rischiano la bancarotta, come la California), cioè lo "stabilizzatore" automatico che Keynes inventò contro la depressione degli anni Trenta. E col passare dei giorni i dubbi sull'efficacia del piano Paulson aumentano.

Non giova il fatto che il ministro del Tesoro, già numero uno della Goldman Sachs, stia assumendo proprio dalla sua ex banca d'affari gli "esperti" che dovranno spendere 700 miliardi di dollari per comprare dagli istituti di credito i titoli-spazzatura. Il groviglio di conflitti d'interessi che da anni ha minato la solidità del sistema finanziario americano, rischia di riprodursi nella gestione di quel fondo. Un'improvvisa fame ha scatenato alcuni colossi (Bank of America, Citigroup, JP Morgan Chase) in cerca di banche decotte da acquistare.

È perfino scoppiata una guerra giudiziaria tra Citigroup e Wells Fargo su chi si prenderà il "cadavere" della banca Wachovia. Tanto ardore alimenta un sospetto: i banchieri considerano che il fondo Paulson sarà una cuccagna per loro. Anziché lasciar fallire le mele marce, ne accaparrano il maggior numero possibile, per rivenderle a caro prezzo ai contribuenti americani. Il nuovo presidente Usa non assumerà i poteri fino a gennaio, in tre mesi tutto è possibile. Sarebbe questo il momento per riempire il vuoto di leadership americana con una iniziativa europea. Che unisca sostanza, contenuti, e tempi rapidi, oltre alle "visioni" di Sarkozy.
(6 ottobre 2008)
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