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L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda francini il 28/09/2008, 3:24

Il passaggio che mi ha lasciato più perplessoè questa sequenza:

<< Volgete indietro lo sguardo, seguite il percorso dell’umanità, anche solo quello degli ultimi cent’anni. Ad ognuna delle tappe più importanti, ovunque nel mondo, corrispondono le idee e l’azione dei democratici, non di altri.

Gli altri, semmai, li troverete sempre dalla parte opposta. Ad ostacolare, non a sostenere. A frenare, non a favorire il cambiamento. A tentare di conservare privilegi e condizioni date, non a cercare la strada dell’equità sociale e dell’allargamento dei diritti.

Dalla parte giusta della storia, fin da quando i “dannati della terra” e i “miserabili” cercavano nella solidarietà la risposta ai loro bisogni e alla loro volontà di emancipazione, ci sono stati i democratici, non la destra.

C’erano i democratici, non la destra, con le prime suffragette, con le donne che conquistavano il diritto di voto e che si preparavano alle tante e vittoriose successive battaglie di emancipazione.

C’eravamo noi, non la destra, quando i braccianti si battevano per la terra e i contadini fondavano le casse rurali per difendersi dal bisogno con la solidarietà. E quando in fabbrica gli operai alle rivendicazioni salariali imparavano ad unire le richieste di più diritti, più libertà, più riconoscimento della dignità del loro lavoro.

C’erano i democratici, non la destra, a battersi per far uscire il mondo dall’oscurità più profonda in cui mai l’umanità sia caduta, per far cessare il rumore delle armi e porre fine ad una guerra che aveva fatto milioni di vittime, per spegnere le fiamme di quell’inferno in terra che aveva inghiottito un intero popolo innocente.

C’erano i democratici, non la destra, a sostenere le ragioni della civiltà e del progresso quando uomini coraggiosi si battevano per chiudere i manicomi e per affermare un altro modo per curare il disagio mentale.

C’erano i democratici, non la destra, a lottare per i diritti dei neri d’America e a scrivere le leggi che iniziarono a realizzare il sogno fatto quarantacinque anni fa dal reverendo Martin Luther King.

C’erano i democratici, non la destra, a sostenere la lotta contro l’apartheid in Sud Africa e a salutare Nelson Mandela finalmente libero e poi alla guida del suo popolo riconciliato.

Ci sono i democratici, non la destra, a dire che oggi non si può lasciare il compito di proteggere i più esposti ai venti della globalizzazione a chi in realtà non si preoccupa minimamente della necessità di una crescita più uguale e di uno sviluppo sostenibile.

Questo siamo noi. Questa è la nostra storia.>>


Quasi la rivendicazione di una infallibilità che trascende le vicende storiche.
Intanto vi sono curiose omissioni.
Per esempio, nel 1948, chi erano i democratici dalla parte giusta e chi c'era dalla parte sbagliata? La "destra" o la sinistra?
E a Livorno nel 1921?

Mi sembra che qui Veltroni giochi un po' con le parole e pretende di creare concetti politici in maniera un po' troppo disinvolta. Più che un serio ripensamento della storia, mi pare una serie di rivendicazioni di sapore propagandistico: ma ad una scuola non si chiede questo. In una scuola si richiede studio e quindi prima di tutto ricerca della verità, che talvolta può essere amara e complicata, talvolta fin troppo semplice.

Non è attraverso le abili rimozioni che potrà crescere un nuova cultura politica capace di agire, di pensare il futuro, di essere autentica espressione popolare, di esprimere volontà di cambiamento.
Ultima modifica di francini il 29/09/2008, 14:58, modificato 1 volta in totale.
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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda borghinolivorno il 28/09/2008, 9:15

Bene. Riprendiamo il ragionamento politico sul PD.
Dopo Cortona (e le sue utopie), ecco il Veltroni Real Politic (intervista corriere della sera di oggi).
Ma parliamo della linea del PD, non di veltroni per favore!.
Io credo che più che lo scenario finalistico antropologico che ci diamo, piu' che l'esorcizzazione (o anche una corretta valutazione) dell'avversario, conti il tipo di programma che si avanza, il consenso che puo' trovare nel paese, le "cose" che piano piano si mettono su per dimostrare la capacità di governo.
Ma siamo ben lontano dall'avere un Partito ispirato a paradigmi programmatici reali (quelli apparenti, che si dicono ma non si realizzano li lasciamo sul campo delle ideologie del vecchio secolo)

paolo borghi - livorno
Allegati
veltroni28092008.doc
intervista corriere della sera 28-09-2008
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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda franz il 28/09/2008, 10:05

borghinolivorno ha scritto:Io credo che più che lo scenario finalistico antropologico che ci diamo, piu' che l'esorcizzazione (o anche una corretta valutazione) dell'avversario, conti il tipo di programma che si avanza, il consenso che puo' trovare nel paese, le "cose" che piano piano si mettono su per dimostrare la capacità di governo.

Conta anche .... soprattutto ... l'organizzazione che ci si dà per raggiungere quei fini programmatici.
Puoi avere un bel programma, ma come giudichi il segretario?
Io lo giudico non sulla base dei bei discorsi (mielosi o concreti) ma sulla base della organizzazione che sa mettere in piedi nel partito per redere il partito lo strumento adatto a fare del programma una realtà (quindi in soldoni vincere le elezioni).
Oggi cio' che mi pare carente nel partito é la organizzazione, il che venendo dalla confluenza di due partiti molto ben organizzati mi fa pensare che qualche cosa non funzioni.

Ciao,
Franz
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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda franz il 28/09/2008, 11:38

Veltroni: con Berlusconi democrazia svuotata Come la Russia di Putin
«Dove porterà la continua conversione del governo in potere?»


ROMA — Walter Veltroni, perché lei parla di «bullismo al governo »?

«Perché vedo un cambio di passo in questa legislatura, uno scarto rispetto ai governi della storia repubblicana. La società italiana e occidentale vive in uno stato di angoscia che non ho mai visto da quando sto al mondo. Mi viene in mente Dickens: "Era il migliore e il peggiore dei tempi, era il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione". Anche nel nostro tempo accadono meraviglie: la scienza, la comunicazione. Eppure in Italia vedo prevalere i segni del tempo peggiore. Sulla fiducia vincono paura, chiusura, arroccamento. E la paura è un moltiplicatore della crisi. Quando una società ha paura, è tentata dal barattare democrazia per decisione. È una sorta di maleficio: ogni volta che la crisi democratica si è saldata con la crisi sociale e con il prevalere di suggestioni populistiche e autoritarie, sono accadute le tragedie peggiori nella storia dell'umanità».

Siamo messi così male?
«Viviamo un tempo che ha in sé gravi rischi. Se non ci sarà una sufficiente controreazione, rischiamo di veder realizzarsi anche in Italia il modello Putin. È il rischio di tutto l'Occidente. Una democrazia sostanzialmente svuotata. Una struttura di organizzazione del potere che rischia di apparire autoritaria. Il dissenso visto come un fastidio di cui liberarsi, la divisione e l'autonomia dei poteri come un ostacolo da rimuovere ».

L'incapacità di decidere è stata fatale al centrosinistra.
«È vero. Sono il primo a dire che la democrazia è anche decisione. Ma la democrazia prevede che si governa pro tempore, non che si è al potere. Che si governa nell'interesse di tutti i cittadini, non di una fazione o di una persona. Loro invece si comportano come gente che ha preso il potere. Il capo del governo oscilla dal discorso alla Adenauer del primo giorno a una quotidianità in cui il capo dell'opposizione è definito ora "un fallito", ora "un funambolo", ora "inesistente". L'hanno fatto con Rutelli, con Prodi, adesso con me. Una cosa che non avviene in nessun Paese del mondo».

Dove vede i segni del «modello Putin»?

«Il governo tratta il Parlamento come fosse una perdita di tempo, una rottura di scatole, un impedimento. Ora, mi è evidente la lentezza dei lavori parlamentari; ma il rimedio è ridurre le Camere a una e i parlamentari alla metà, non impedire di discutere e migliorare leggi che sono discutibili e migliorabili. Il governo ha l'obiettivo di far male ai sindacati. Ora, io sono tra coloro che stimolano il sindacato ad assumere un atteggiamento riformista. Ma indebolire i sindacati è una scelta suicida, il cui risultato è la proliferazione delle rappresentanze autonome e corporative. Il governo addita negli immigrati un nemico; ma se espelli un uomo dalla società, si comporterà come un espulso, e avremo un Paese non più sicuro ma meno sicuro, in cui già ora accadono episodi gravissimi di intolleranza, di caccia allo straniero. L'assassinio di Abdul per un pacco di biscotti è un segno del tempo peggiore. C'è tutto: la povertà, l'esasperazione, il razzismo. E i genitori che dicono: "Pensavamo di essere italiani, abbiamo scoperto di essere neri"».

Il movente razzista è stato escluso dalla Procura.
«Ma è stato ammesso da La Russa. Del resto, non ho mai sentito di un ragazzo sprangato al grido di "sporco bianco". Ancora: il governo ha nel mirino le autorità indipendenti; ora toccherà a quella per l'energia e il gas; l'indipendenza dà fastidio. Il governo muove all'attacco della magistratura. Anche noi vogliamo la riforma, convocheremo gli Stati generali della giustizia per discuterla; ma ci preoccupano i diritti di sessanta milioni di cittadini, non i problemi di uno solo. E, per la scuola, l'idea di bocciare alle elementari e alle medie i ragazzi che hanno anche solo un'insufficienza significa favorire l'abbandono e l'elusione scolastica, specie tra i più poveri; qualcosa che farebbe accapponare la pelle a un uomo come don Milani».

Di «putinizzazione» parlò in piazza Navona Flores d'Arcais. Non teme di essere accostato all'opposizione più radicale?
«Questa preoccupazione l'hanno espressa in molti, anche molti moderati. E poi non c'è nulla di più radicale di quello che stanno facendo loro. Radicalità non nel cambiamento, ma nella sistematica conversione del governo in potere. La mia non è solo una denuncia, è anche un appello. Ripristiniamo le condizioni minime, fisiologiche del confronto. Guardiamo agli Stati Uniti, dove Bush chiama e i democratici rispondono. Bush non ha insultato Obama, l'ha consultato. Così funzionano le grandi democrazie. Ci vuole un po' più di moderazione; ma la moderazione è estranea a un governo che ha un'idea sostanzialmente autoritaria delle relazioni con chi è diverso. Mi chiedo dove diavolo arriveremo».

Si è offeso per le polemiche su Alitalia?

«Guardi, qui in casa mia, su quei due divani là in fondo, si sono seduti Epifani e Colaninno, e hanno trovato l'accordo. Io ho un giudizio pessimo di come il governo ha gestito la vicenda, compresa la scelta di una cordata non si sa in base a quali principi. Avrei potuto lasciare che il governo andasse a sbattere e ne pagasse le conseguenze. Ho fatto una scelta diversa, recuperando una trattativa che era morta, con la cordata che dopo aver scaricato i debiti sui contribuenti intendeva scaricare sui lavoratori ulteriori margini di profitto. In un Paese civile, il capo del governo in questi casi dà atto al capo dell'opposizione. Costa tanto fare questo sforzo? Ma lui, che vive nel terrore della comunicazione, improvvisa uno spot a freddo contro di me, si inventa che avrei fatto saltare la trattativa che invece stavo riannodando».

Sull'Alitalia il Pd è stato a lungo in difficoltà. Del resto, il vostro ministro ombra è il figlio del capo della cordata.
«Lei non pensa che in Italia cominci a esserci un pensiero unico?

Sono stanco dell'assenza di una coscienza critica che ignora la trave e si concentra sulla pagliuzza. Il premier è padrone di mezzo Paese, sua figlia entra nel consiglio di Mediobanca, e il conflitto di interessi è quello di Matteo Colaninno? Se in passato l'egemonia della sinistra ha asfissiato la destra, ora l'egemonia della destra asfissia il Paese. C'è un clima plumbeo, conformista, come se a chi governa fosse consentita qualsiasi cosa. La Gelmini arriva a Cernobbio in elicottero, come neppure Dick Cheney. Il premier non va all'Onu, non partecipa alla trattativa Alitalia, per andare al centro Messegué; senza che nessun tg lo dica. Leggo sull'Espresso che a San Giuliano c'è stata una selezione tra gli operai, per fargli incontrare solo quelli più bassi di lui. Non so come li abbiano trovati; so che queste cose accadono nei sistemi autoritari. Ma i riflettori vengono puntati su di noi. Se un dirigente locale del Pd fa una critica, finisce in prima pagina. Se il sindaco di Roma smentisce Berlusconi sulla legge elettorale per le Europee, finisce in un colonnino».

Lei teme anche per l'indipendenza dei giornali?

«Sì. È giusto che il governo cambi con un provvedimento amministrativo le regole di erogazione dei fondi pubblici ai quotidiani, riportandolo sotto il suo controllo? È giusto che, in questo clima asfissiante, chiudano il manifesto, il Secolo, Liberazione, Europa? Un clima in cui il sedicente portavoce del governo definisce Leoluca Orlando "esponente di un partito contrario ai valori della libertà e della democrazia". Come se spettasse al dottor Bonaiuti dare patenti di libertà e democrazia».

A proposito di Rai, qual è il vostro candidato alla presidenza?
«Il presidente è un tassello di un percorso. Che deve cominciare con l'elezione di Orlando alla Vigilanza. Noi accettammo Storace; perché loro non possono accettare un esponente del partito di Di Pietro, cui Berlusconi offrì il Viminale? Poi occorre riformare la governance della Rai. Se le regole non cambiano, e se c'è il consenso sul nome di Petruccioli, per noi va bene. Ma è la destra a essere divisa: tra chi vuole alla direzione generale Parisi e chi vuole Gorla, tra chi vuole dare al direttore generale più poteri e chi no. Io non mi opporrei a rafforzarlo, se questo significa ridimensionare il peso dei partiti in Rai. Purtroppo il pensiero unico prevale anche in televisione. Al riguardo, non può non essere visto con grande preoccupazione l'annuncio de La7 di voler licenziare 25 giornalisti; di tutto c'è bisogno in Italia tranne che di limitare ulteriormente la libertà d'informazione».

È sicuro di aver fatto bene a lasciare il comitato per il museo della Shoah?
«Sì. Al clima plumbeo concorre pure la rivalutazione del fascismo. Il museo della Shoah era un'idea della comunità ebraica e mia. Il nuovo sindaco ha fatto l'apologia di un regime che, ben prima delle leggi razziali, ha provocato la morte di tutti i capi dell'opposizione: il liberale Gobetti, il comunista Gramsci, il socialista Matteotti, il cattolico don Minzoni, gli azionisti Carlo e Nello Rosselli. Il giorno dopo, anziché correggersi ha aggravato le cose, condannando l'esito ma non la natura del fascismo. Con un sindaco che non si mette a urlare di fronte ai saluti romani, gli stessi saluti che hanno accompagnato gli uomini che andavano a morire a via Tasso o alle Ardeatine, per me è difficile discutere della Shoah».

Non la preoccupa anche lo stato del Pd? I prodiani la attaccano e Prodi tace. Il partito è diviso in ogni regione, in Sardegna la bega finisce in tribunale. Dopo D'Alema, pure Rutelli annuncia la sua corrente.

«No, non sono preoccupato. Lo ero sino ad agosto. Ma da settembre, dalle feste e dalla summer school, dal contatto con il nostro popolo, credo siamo usciti tutti convinti che va benissimo il pluralismo culturale, non il correntismo esasperato. Abbiamo una base molto forte e molto sana. Nei sondaggi stiamo risalendo. Il clima sta cambiando. Lo vedremo quando tra quattro settimane manifesteremo contro la politica economica di un governo che occulta la povertà, non si occupa di prezzi e salari, fa sparire pure i soldi della social card. La destra pagherà la sua confusione culturale, il passaggio brusco e zuzzurellone da Reagan a Zhivkov, dalla deregulation allo statalismo. Il tempo migliore può ancora prevalere sul tempo peggiore».

Aldo Cazzullo
28 settembre 2008
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Il riformismo bocciato

Messaggioda franz il 28/09/2008, 12:13

DEMOCRATICI E CASO SCUOLA
Il riformismo bocciato

di Angelo Panebianco

Walter Veltroni, nell'eccellente discorso del Lingotto (27 giugno 2007) con cui ufficializzò la sua candidatura a leader del Partito democratico, e nei discorsi dei mesi successivi, mise a punto la carta di identità di una moderna sinistra riformista proponendola al neonato partito. Veltroni batteva allora con vigore su un tasto: il Partito democratico avrebbe sviluppato una reale capacità di intercettare le aspirazioni degli elettori e dei ceti sociali più dinamici e orientati alla modernizzazione del Paese, solo se avesse abbandonato, su un ampio arco di problemi, le posizioni conservatrici che avevano in passato caratterizzato la sinistra. La visione articolata da Veltroni appariva allora forte ed efficace ma restavano sospesi due interrogativi. Sarebbe egli riuscito a imporre un così radicale cambiamento di prospettiva a tanti militanti fino ad allora di diverso orientamento? Sarebbe riuscito, soprattutto, a ottenere un riposizionamento e un rinnovamento, culturale e di proposte, di quel sindacato (la Cgil in primo luogo) il cui appoggio è necessario a un partito di sinistra riformista? Non solo quel riposizionamento del sindacato non c'è stato ma è lo stesso Partito democratico a reagire oggi alle difficoltà suscitate dalla sconfitta ritornando sui propri passi, abbandonando la strada del rinnovamento, ridando spazio a quelle posizioni conservatrici che il Veltroni del Lingotto sembrava determinato a combattere.

Il miglior test per sondare lo «spessore riformista » di un partito italiano consiste nel valutare le posizioni che esso assume sulla scuola. La scuola pubblica è come l'Alitalia: rovinata da decenni di management interessato a garantirsi clientele e da un sindacalismo cui si è consentito di cogestirla con gli scadenti risultati (in tema di preparazione dei ragazzi) che i confronti internazionali ci assegnano. Solo che nel caso della scuola pubblica non ci sono cordate di imprenditori o compagnie straniere cui affidarla. Proprio nel caso della scuola il Partito democratico sta fallendo il test sullo spessore riformista. Perché ha scelto ancora una volta (come faceva il Pci/Pds/Ds) di accodarsi acriticamente alle posizioni della Cgil, di un sindacato che, in concorso con altri, porta pesanti responsabilità per lo stato disastrato in cui versa la scuola, un sindacato interessato solo alla difesa dello status quo (come è successo, del resto, nel caso di Alitalia fin quando ha potuto). Prendiamo la questione del ritorno al maestro unico deciso dal ministro Gelmini. Sembra diventato, per la sinistra, sindacale e non, il simbolo del «vento controriformista» che soffierebbe oggi sulla scuola. Al punto che, come è accaduto a Bologna, si arriva persino a far sfilare i bambini contro il ministro (nel solco di una tradizione italiana, antica e spiacevole, di uso dei bimbi per fini politici). Si fa finta di dimenticare che la riforma della scuola elementare del 1990, quella che abolì il maestro unico, fu un classico prodotto del consociativismo politico-sindacale che caratterizzava tanti aspetti della vita repubblicana. Nel caso della scuola funzionava allora un'alleanza di fatto fra Dc, Pci e sindacati. L'abolizione del maestro unico fu dettata esclusivamente da ragioni sindacali.

E' antipatico citarsi ma alla vigilia dell'approvazione della legge scrissi su questo giornale: «Nonostante le nobili e altisonanti parole con cui l'operazione viene giustificata la ratio è una soltanto: bloccare qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del personale scolastico come conseguenza del calo demografico e anzi porre le premesse per nuove, massicce, assunzioni di maestri. Non a caso sono proprio i sindacati i più entusiasti sostenitori della riforma (…) Questa classe politica ha sempre trattato così la scuola, incurante delle esigenze didattiche ma attentissima a quelle sindacali» (Corriere della Sera, 22 novembre 1989). Veltroni e il Partito democratico dovrebbero spiegarsi: è quella cosa lì che, ancora una volta, vogliono difendere? Per il futuro vedremo ma la verità è che, fino a questo momento, il ministro Gelmini ha fatto pochi errori. I provvedimenti fino ad ora adottati sono di buon senso e per lo più tesi ad arrestare il degrado della scuola. Ma, anziché riconoscerlo e dare il proprio contributo di idee e di proposte (come dovrebbe fare un vero partito riformista, ancorché all'opposizione), il Partito democratico preferisce ripercorrere l'antica strada: quella della «mobilitazione», della sponsorizzazione dei sindacati, anche quando questi difendono posizioni indifendibili.

Non è casuale che proprio sulla scuola la Cgil si appresti a fare lo «sciopero generale ». Difende un potere di cogestione che viene da lontano e che ha contribuito a danneggiare assai la scuola (dove la quasi totalità delle risorse se ne va in stipendi a insegnanti troppo numerosi, mal pagati e mal selezionati). Un potere di cogestione che fino ad oggi ha sempre potuto contare sulla complicità di governi e opposizioni. Non è plausibile che nel Partito democratico siano tutti felici di queste scelte (che danno un brutto colpo alla credibilità del Pd come partito riformista). E infatti non è così. Ricordo un intervento critico di Claudia Mancina ( Il Riformista) sulle attuali posizioni del Pd sulla scuola. O le parole per nulla critiche nei confronti della Gelmini pronunciate (a proposito della polemica sull' impreparazione di certi insegnanti meridionali) da uno che di scuola se ne intende: l'ex ministro dell'Istruzione Luigi Berlinguer. Sarebbe bene che anche molti altri, dentro il Partito democratico, venissero allo scoperto. Ha senso continuare a trattare la scuola pubblica come un «dominio riservato» del sindacalismo?

28 settembre 2008
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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda matthelm il 28/09/2008, 13:36

Purtroppo Panebianco ha ragione ed il PD dovrebbe fare sue alcune osservazioni.

La CGIL difende i posti di lavoro, il PD dovrebbe difendere innanzitutto la Scuola non viceversa.
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda pierodm il 29/09/2008, 16:01

Le critiche al discorso di Veltroni - comprese le mie - vertevano in sostanza su ciò che mancava, non su quello che c'era.

Adesso, grazie a dio, abbiamo anche il rifiuto di ciò che Veltroni ha detto, ossia di quello che nel discorso c'era.

Ovviamente, ciò che viene contestato è qualcosa difficilmente contestabile, ossia qualcosa che per chi sta nella coalizione e frequenta questo forum dovrebbe essere condiviso come fatto storicamente acquisito.
Sto parlando della rivendicazione fatta da Veltroni del fatto che ogni progresso degli ultimi duecento anni ha visto come sostenitori o promotori i "progressisti", che il segretario chiama per evidenti ragioni "democratici".

Come si possa avere un minimo dubbio in merito mi riesce difficile da capire, e oltre tutto dopo che Veltroni ha avuto cura di elencare diversi di quei passaggi storici sui quali si fonda la sua rivendicazione.

Quanto alla rituale - per alcuni - litanìa sul "dopoguerra", innanzi tutto si allude al PCI, e non a ai progressisti in generale, come intendeva Veltroni: lo dico solo per la necessaria precisione.
In secondo luogo, le posizioni della sinistra, compreso il PCI, anche nel dopoguerra hanno accompagnato la democratizzazione della società, in assoluta continuità con il passato: il legame con i paesi del cosoddetto "socialismo reale" hanno la loro storia e sono stati un grande errore, che però incide assai poco nel discorso complessivo che fa Veltroni.
Sarebbe il caso, oltre tutto, che chi ama confondere i diversi piani della storia e della politica spiegasse con i medesimi criteri non solo le contraddizioni della sinistra, ma anche quelle dei paesi occidentali, della DC, dei "laici", della Chiesa romana, che da un lato hanno partecipato con alterne virtù alla democratizzazione del nostro paese o ad una visione caritativa e solidale della società, mentre dall'altro hanno sostenuto o mostrato amicizia, o complcità per omissione, con numerosisissimi "stati canaglia", con caudilloso e assassini in ogni parte del mondo, nel gioco cinico della guerra fredda o forse anche dell'opportunismo economico.

Tra l'altro, chi ha vissuto senza salame sugli occhi e tappi nelle orecchie i passati decenni, sa benissimo che le contraddizioni di cui sopra hanno lacerato la coscienza della sinistra, portando a scissioni, ripensamenti e infinite discussioni critiche d'ogni genere. Un insieme che dimostra - come minimo - che una coscienza esisteva.
Non ricordo analoghe prese di coscienza, e analoghe lacerazioni, in altri partiti e in altre correnti di pensiero, alle quali mostrano di appartenere i neofiti dell'intransigenza morale che adesso fanno le pulci alla sinistra: prese di coscienza, beninteso, in merito alle malversazioni e alle contraddizioni di quella che consideravano al tempo la loro "parte giusta".

A mio modestissimo parere, sarebbe il caso di piantarla con questa litanìa.

Quanto all'intervista, è un fatto positivo: possiamo considerarla un'integrazione (impropria e indiretta) al discorso della "scuola" sul quale discutiamo.
Veltroni, però, deve decidersi, perché non può oscillare tra il dialogo e il buonismo, da una parte, e la durezza degli argomenti dell'intervista, dall'altra.
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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda ranvit il 29/09/2008, 19:03

>Tra l'altro, chi ha vissuto senza salame sugli occhi e tappi nelle orecchie i passati decenni, sa benissimo che le contraddizioni di cui sopra hanno lacerato la coscienza della sinistra, portando a scissioni, ripensamenti e infinite discussioni critiche d'ogni genere. Un insieme che dimostra - come minimo - che una coscienza esisteva.
Non ricordo analoghe prese di coscienza, e analoghe lacerazioni, in altri partiti e in altre correnti di pensiero, alle quali mostrano di appartenere i neofiti dell'intransigenza morale che adesso fanno le pulci alla sinistra: prese di coscienza, beninteso, in merito alle malversazioni e alle contraddizioni di quella che consideravano al tempo la loro "parte giusta".

A mio modestissimo parere, sarebbe il caso di piantarla con questa litanìa.<


E chi vive OGGI senza salame sugli occhi...dovrebbe riconoscere che decenni di prese di coscienza non sono bastate alla sinistra di provenienza Pci di piantarla con quella "puzza al naso" che ancora oggi, dopo 15 anni di pesanti sconfitte elettorali e di governo, alimentano quell'antiberlusconismo fine a se stesso (che anche Veltroni ha rispolverato ancora ieri....poverino è messo proprio male!), che è causa prima di un mancato consenso nel Paese. Che aumenta ancora.

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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda lucameni il 29/09/2008, 19:18

Effettivamente se non si riesce a vedere l'assurdità della situazione italiana e si persiste nel censursi, nell'inciuciare e nel guardarsi bene dal solo criticare Berlusconi, siamo messi veramente molto male.
Che opposizione sarebbe?
Vuol dire che per essere sinistra "moderna" bisogna fregarsene della legalità, dei conflitti d'interesse, del disprezzo per le istituzioni? (Berlusconismo fine a se stesso? E che vuol dire?)
A quanto pare per molti è così.
Una sinistra in queste condizioni, brutta copia del PDL, tenetevela pure.
Di una cosa sono ormai certo: il virus berlusconiano ha attecchito da tempo anche a sinistra e molti non se ne rendono conto.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: L'INTERVENTO DI VELTRONI (I CARE)

Messaggioda ranvit il 29/09/2008, 19:58

La legalità in Italia è garantita da varie istituzioni, nazionali ed anche europee, e aldilà delle fisime di molti a sinistra non mi pare (e non pare neanche al Presidente della Repubblica) che sia stata violata.

Certo, se invece per legalità s'intende quella scritta non si sa dove da chi continua ad affettare salame....allora è un altro discorso, ma compete alla sfera del "cervello portato all'ammasso".

Ci sarebbe anche da aggiungere che la politica di destra come di sinistra, di oggi come di ieri, non è fatta per stomaci delicati e/o sognatori vari.

Ma il problema principale è un altro : ci sono problemi, vanno risolti. I problemi non sono nè di destra nè di sinistra, le soluzioni differiscono.....ma le soluzioni, non le chiacchiere!

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Torna a Ulivo e PD: tra radici e futuro

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