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Censis: società senza regole e sogni

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda franz il 04/12/2010, 10:34

RAPPORTO ANNUALE
Censis: società senza regole e sogni
che non crede più nel carisma del capo

"Berlusconi è l'icona del soggettivismo, un ciclo che si è esaurito". Gli italiani vorrebbero maggiore onestà nella vita pubblica, ma la volontà è fiaccata, e non solo dalla crisi. Viviamo in una società "appiattita". De Rita: "Bisogna rilanciare la legge, e ridare fiato al desiderio" di ROSARIA AMATO

ROMA - Non è stata affondata dalla crisi, anche se l'economia stenta a ripartire 1, ma la società italiana non può certo dirsi sana. "Si sono appiattiti i nostri riferimenti alti e nobili", rileva il Censis nel 44° Rapporto Annuale sulla situazione sociale del Paese, ma anche quelli venuti dopo, dal "primato del mercato" alla "verticalizzazione e personalizzazione del potere", si sono lasciati dietro solo una scia di delusione. Chi doveva decidere alla fine non ha deciso, e il 'carisma' del leader di turno si è rivelato solo un bluff, le promesse non sono state mantenute. "Silvio Berlusconi è l'icona del soggettivismo", un ciclo "cominciato 50 anni fa e che ora ha esaurito la sua potenza", ha detto De Rita. Il mercato vacilla, le specializzazioni un tempo vincenti contano sempre meno. Cosa rimane? Solo "un'onda di pulsioni sregolate": "Non riusciamo più a individuare un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori". Non c'è legge che tenga, ma non c'è neanche un'aspirazione autentica al meglio: rimane "il desiderio esangue", che appiattisce la società. E' l'Italia 2010 per il Censis: un paese dominato da "un inconscio collettivo, senza più legge, né desiderio". Un paese che, se vuole rinascere,
spiega il direttore del Censis Giuseppe Roma, deve "ripartire dal singolo": "Bisogna ritrovare gli impulsi vitali, ritrovare le energie. Chiunque si ponga come leader non dovrebbe presentarsi come un'offerta proliferante su tutto, ma dovrebbe avere la forza e il coraggio di ridare agli italiani il senso della loro responsabilità e della loro voglia. Dobbiamo passare dalla grande illusione degli ultimi anni alla grande passione, rimettere in campo energie positive". "Stiamo diventando una società con poco vigore perché abbiamo poco spessore", rileva il presidente del Censis, Giuseppe De Rita.

L'analisi di De Rita. "Non abbiamo spessore perché non funziona più il nostro inconscio. - spiega il presidente del Censis, confessando un po' d'imbarazzo per un'analisi del Paese che quest'anno non parte da considerazioni di ordine economico, ma piuttosto sociale e psicologico - L'inconscio non è il posto dove si formano i sogni e l'irrazionalità, ma il luogo dove c'è una modulazione costante tra legge e desideri. Abbiamo una legge che conta sempre di meno, e un desiderio che svanisce. Il rapporto tra queste due potenze che fanno l'uomo da 3000 anni, è in crisi. La legge è in declino, dall'auctoritas che nessuno rispetta più al padre che evapora. La stessa magistratura non ha più quella logica della rappresentanza della legge. E anche la verticalizzazione del potere, la personalizzazione ha distrutto quello che rimaneva dell'autorità. Ma arretra anche il desiderio: l'offerta lo ha neutralizzato. Pensate quanti bambini giocano con giocattoli che non hanno mai desiderato.. o a un ragazzo che entra all'università e si ritrova con 3200 corsi di laurea.. "La strategia del tardo capitalismo sarà quella di moltiplicare l'offerta", diceva Marcuse. Siccome la società non ha più desideri da coltivare, e non ha più leggi con cui scontrarsi, declina". La soluzione? Per De Rita abbiamo "un bisogno assoluto o di rilanciare la legge, ridare senso allo Stato, alla figura paterna, alla dimensione sociale del peccato, ma anche di ridare fiato al desiderio. Solo il desiderio ti fa ripartire da te stesso, altrimenti si cade nel narcisismo. Il desiderio può in qualche modo ricomporre un'unità di noi stessi. Ma per desiderare bisogna pensare, il desiderio nasce dalla solitudine della mancanza. Mentre la mia generazione ha molto giocato sul riarmo morale, qui bisogna puntare sul riarmo mentale", conclude il presidente del Censis.

Nessuna regola, solo 'pulsioni'. I sempre maggiori episodi di violenza familiare, il "bullismo gratuito", il "gusto apatico di compiere delitti comuni", persino "la tendenza a facili godimenti sessuali" (il Censis non teme di apparire moralista): cos'altro sono se non il sintomo di una "diffusa e inquietante sregolazione pulsionale"? In definitiva, ognuno agisce in base all'istinto del momento, a frenare o perlomeno a regolare le azioni non ci sono più "l'eredità risorgimentale, il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo, la fede in uno sviluppo continuato e progressivo". L'Italia è a pieno titolo parte del mondo globalizzato, inteso come "un campo di calcio senza neppure il rilievo delle porte dove indirizzare la palla". "Siamo una società in cui gli individui vengono sempre più lasciati a se stessi, liberi di perseguire ciò che più aggrada loro senza più il quotidiano controllo di norme di tipo generale o dettate dalle diverse appartenenze a sistemi intermedi".

Oltre alla legge, declina anche il desiderio. Ma gli italiani, oltre a non riconoscere più alcun sistema di regole, non sanno neanche più desiderare. Un po' è il frutto dell'eccesso di consumismo degli anni passati. Due esempi per tutti: "Bambini obbligati a godere giocattoli mai chiesti" e "adulti coatti, più che desideranti, al sesto tipo di telefono cellulare". Possibilità ampliate anche dalla maggiore facilità di accesso al credito al consumo, cresciuto persino negli anni della crisi: +5,6 per cento nel 2008 e +4,7 per cento nel 2009, "mentre il valore delle operazioni con carte di pagamento ha raggiunto complessivamente i 252 miliardi di euro nel 2009". "Forse aveva ragione chi profetizzava che il capitalismo avrebbe trionfato con la strategia del rinforzo continuato dell'offerta - osservano i ricercatori Censis - strumento invincibile nel non dare spazio ai desideri". Ma il desiderio inappagato è una spinta formidabile, che invece in Italia adesso manca, o meglio, c'è ancora, ma è "diventato esangue, senza forza".

Leaderismo e carisma non seducono più. Calma piatta anche sul fronte della politica. Gli italiani esprimono "stanchezza verso la personalizzazione della politica", e riversano le energie residue verso l'associazionismo e il volontariato. "Leaderismo e carisma - gran parte del lessico politico di questi anni - non seducono più: quasi il 71% degli italiani ritiene che nell'attuale situazione socio-economica la scelta di dare più poteri al governo e/o al capo del governo non sia adeguata per risolvere i problemi del Paese. Il distacco è più marcato tra i giovani (75%), le donne (76,9%), le persone con titolo di studio elevato (quasi il 74% dei diplomati e oltre il 73% dei laureati) e tra i residenti del Nord-Ovest (73,6%) e del Nord-Est (73,7%)", si legge nel Rapporto.

Sgonfiamento mediatico. Cosa è successo, perché non si crede più nel ruolo risolutivo del leader politico? Perché il tanto esibito decisionismo degli ultimi anni non ha prodotto nulla, o quasi. Il Censis esamina puntigliosamente le principali decisioni assunte (e ampiamente pubblicizzate) dal governo Berlusconi, e i magrissimi risultati prodotti. Qualche esempio: social card, avrebbe dovuto alleviare i disagi dovuti alla povertà in Italia, numero di beneficiari effettivi inferiore alle attese (circa 450.000), a fronte di 830.000 richieste e una platea di riferimento annunciata di circa 1 milione e 300 mila persone; il provvedimento non è stato rifinanziato nel ddl di stabilità 2011 (che ha operato un taglio considerevole della spesa sociale). Piano casa, avrebbe dovuto rilanciare l'edilizia, si parlava di investimenti per 70 miliardi di euro, ma a oltre un anno di distanza sono state presentate solo 2.700 istanze, l'impatto economico è risultato scarsamente significativo, tanto che ieri un editoriale del Sole24Ore titolava ironicamente "Un piano casa tanto carino, senza soffitto, senza cucina". Ronde per l'ordine pubblico: bassissimo numero di domande presentate alla prefettura. E così via. Il "governo del fare" si è rivelato l'esecutivo dello "sgonfiamento non solo mediatico, ma dovuto anche alla crescente sproporzione tra l'enfasi comunicativa della fase di lancio (che il più delle volte ha nella Tv il palcoscenico preferito) e l'attenzione per il reale impatto delle iniziative di riforma".

Pubblica Amministrazione: altro che miglioramento. Il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta ha annunciato più volte i passi in avanti della Pubblica Amministrazione, dovuti alle riforme introdotte in questi anni, ma il 47% degli italiani, rileva il Censis, non la pensa così, e riscontra al contrario un peggioramento del modo in cui funziona la PA, mentre nei 27 Paesi dell'Unione Europea è in media il 33% a dichiarare di aver percepito un peggioramento.

Tv: arretra l'ascolto, troppa parzialità per il Pdl. Gli italiani sono delusi anche dalla televisione. Tra il settembre 2009 e il giugno 2010 si registra un calo di 3,3 milioni di spettatoli (passati da 18,3 a 14,9 milioni). A diminuire in misura maggiore l'ascolto del Tg5 e del Tg1, che hanno perso un milione circa di spettatori. E' probabile che i telespettatori imputino alle reti ammiraglie una eccessiva parzialità nei confronti del governo e del Pdl, ritiene il Censis: "In totale, in un mese i notiziari Rai hanno dedicato 7 ore e 51 minuti al Pdl e 5 ore e 10 minuti al Pd (cioè 2 ore e 40 minuti in meno). Per le reti Mediaset il divario supera le tre ore.

Voglia di onestà (ma non troppo). In questa situazione di stallo, di rifiuto di valori vecchi, nuovi e recentissimi, gli italiani sembrano voler riscoprire "il piacere dell'onestà", anche se poi, al momento debito, forse schiacciati da quest'appiattimento generale, non trovano la forza o la voglia di porre in essere comportamenti 'virtuosi'. Il 44% degli italiani, secondo l'indagine del Censis, individua nell'evasione fiscale il male principale del nostro sitema, e il 60% ritiene che negli ultimi tre anni l'evasione fiscale sia aumentata. Se però il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare l'evasione, il 34,1% ammette di non richiedere scontrini o fattura quando il commerciante o il professionista non la rilasciano, tanto più se questo consente di ottenere uno sconto.
http://www.repubblica.it/politica/2010/ ... ef=HREC1-7
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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda flaviomob il 05/12/2010, 19:56

Evidentemente, c'è un legame tra regole e sogni, ovvero tra due concetti che sembrano agli antipodi tra loro: le regole, che richiamano la responsabilità, il dovere, ma anche qualcosa di palloso e scomodo, a cui gli italiani in genere si sentono poco avvezzi; i sogni, che riportano la mente ad una dimensione fantastica, idealizzata, perfetta ma onirica, slegata dal reale, inesistente, e che allo stesso modo possono rappresentare un obiettivo alto e nobile che può motivare all'azione e spingere al cambiamento. E' chiaro che senza il rispetto delle regole, del dovere, senza disciplina è impensabile raggiungere i propri sogni e dar loro gambe per camminare. Così come senza sogni, senza obiettivi alti e virtuosi che impegnino a realizzare un mondo migliore la motivazione a lavorare e ad attivarsi si riducono al senso del dovere stesso e quindi la motivazione ha un crollo. Gli italiani si sono affidati al grande incantatore di serpenti che ha addormentato le loro coscienze e ora scoprono mangiafuoco...


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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda pierodm il 11/12/2010, 12:42

Franz ha fatto bene a citare questo rapporto del Censis, come incentivo alla discussione: ma la discussione non c'è stata.
Per la verità non c'è stato nemmeno un commento dello stesso Franz, che mi sarei aspettato, dato che non credo che il suo punto di vista collimi con quello del rapporto.

Personalmente, ho lasciato passare senza intervenire, non per mancanza d'interesse, ma per la ragione opposta: non solo sto cercando di scendere nel dettaglio di questi argomenti da quando partecipo al forum, e ancora prima alla mailing list, ma vent'anni fa ho messo in piedi una rivista fondata sostanzialmente sull'assunzione delle stesse tesi affrontate dal rapporto di De Rita.
Quando abbiamo parlato della disuguaglianza, del lavoro, della cultura diffusa, del degrado comunicativo, dell'afonia del linguaggio, del rapporto tra "berlusconismo" e società, di psicologismi e comportamenti dei giovani, abbiamo trattato in dettaglio ciò che in modo più generale De Rita definisce come "contesto senza regole e sogni", del quale nel rapporto si citano sinteticamente solo i titoli - "primato del mercato" alla "verticalizzazione e personalizzazione del potere" - un'onda di pulsioni sregolate - una società con poco vigore perché abbiamo poco spessore - non abbiamo spessore perché non funziona più il nostro inconscio. - spiega il presidente del Censis, confessando un po' d'imbarazzo per un'analisi del Paese che quest'anno non parte da considerazioni di ordine economico, ma piuttosto sociale e psicologico - "La strategia del tardo capitalismo sarà quella di moltiplicare l'offerta", diceva Marcuse - etc

Il fatto che Franz abbia rilevato l'opportunità di citare il rapporto significa che un certo valore glielo riconosce: mi chiedo allora perché, quando abbiamo cercato di affrontare i temi di cui sopra da questa stessa angolazione, abbiamo trovato tante difficoltà, e spesso perfino ostilità, per non parlare delle accuse deliranti di essere succubi di chissà quale devianza ideologica?
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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda flaviomob il 11/12/2010, 13:17

Piero:
mi chiedo allora perché, quando abbiamo cercato di affrontare i temi di cui sopra da questa stessa angolazione, abbiamo trovato tante difficoltà, e spesso perfino ostilità, per non parlare delle accuse deliranti di essere succubi di chissà quale devianza ideologica?


Per la complessità di questi temi, a cui non è possibile rispondere con soluzioni semplicistiche, schematiche, o idealizzate (tipo il federalismo ovunque, o la sinistra infantile e velleitaria da escludere da qualsivoglia consesso politico-amministrativo) :lol:
Perché questi argomenti, sotto sotto, implicano una profonda crisi del modello capitalista occidentale, che non si limita al solo contesto italiano, ma investe un po' tutta la questione dell'educazione delle nuove generazioni e dei modelli che si desidera trasmettere (a proposito di trasmissioni, dovremmo tornare ancora sull'argomento media-tv, non dal punto di vista della fisica elettromagnetica, ovviamente...), sul rapporto tra mutamento e intenzionalità nelle modalità di perpetuazione (o di contestazione) degli stessi modelli educativi e sociali, sull'abbandono sostanziale in cui versano le nuove generazioni (insicurezza sociale, precarietà diffusa, insostenibilità dei vecchi modelli socioeconomici di welfare, indebitamento lasciato in eredità dalle vecchie generazioni 'tutelate' e a posto fisso.... insomma, chi paga il conto?), sul significato di un modello pedagogico basato sulla crisi delle regole (il berlusconismo) che genera per paradosso l'impossibilità di sognare e che castra le speranze di chi si affaccia alla vita desideroso di costruire il proprio progetto di esistenza su fondamenta pulite, solide e oneste (non solo per scelta, ma perché chi è giovane, finchè non apprende i nostri modelli marci e corrotti, è piuttosto ingenuo e lineare: ha la percezione immediata che un sistema trasparente e onesto sarebbe molto più solido, solidale, efficace ed efficiente e garantirebbe un benessere diffuso, pacifico).
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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda flaviomob il 11/12/2010, 13:20



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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda ranvit il 11/12/2010, 17:27

I problemi sottolineati dal Censis esistono, eccome!

Capitalismo? Io non parlerei di capitalismo quanto piuttosto di "naturalismo"...è naturale che ci sia chi ha di piu' e chi di meno; è naturale che tutti siano liberi di produrre e arricchirsi se ne sono capaci, etc....ma che cavolo c'entra il capitalismo?

Mi pare che il problema sia di costume e di periodi storici : al momento va di moda la cialtroneria plebea.

E comunque, chi dovrebbe intervenire? Babbo Natale?

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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda flaviomob il 12/12/2010, 12:46

Il capitalismo è in crisi, non ve ne siete accorti?
Il capitalismo italiano è alla frutta: le dichiarazioni di Marchionne sono abbastanza esplicite a riguardo.
Il capitalismo mondiale oggi si regge su una potenza come quella cinese, che ha in mano il debito pubblico americano, il che significa che piano piano la Cina otterra un'egemonia politico-economica sulla potenza americana. Inoltre il più popoloso paese del mondo ha manenuto in mano allo stato le leve del potere economico e ha dimostrato così di essere sostanzialmente immune dalla grande crisi. Questo significa che una dittatura comunista ha dato la merda al sistema turbocapitalista globalizzato. Questo significa che chi esalta il 'sistema' oggi, domani sarà felice di sottomettersi alla dittatura di cui sopra, perché non è pensabile che la democrazia come la conosciamo oggi (e lo stato sociale, i diritti politici, civili e sociali) possa sopravvivere senza radicali mutamenti in un mondo in cui la potenza egemone non è più una democrazia. O non ve ne eravate accorti?


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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda ranvit il 12/12/2010, 14:15

Potremmo sempre suicidarci :D

Comunque, non mi pare che la Cina sia oggi una dittatura comunista....ma se lo fosse, sono cazzi amari per i comunist(eggiant)i italiani. Andrebbero tutti in un campo di rieducazione mentale, perchè si sa che i peggiori nemici del comunismo sono i comunisti non del tutto allineati con il Partito (mica chi comunista non è)! :D

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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda flaviomob il 12/12/2010, 14:17

La crisi dello Stato democratico(*)

intervista di Julia Netesova a Danilo Zolo

Julia Netesova. Gli Stati contemporanei devono affrontare numerose sfide che modificano il loro rapporto con la società: l'interferenza dello Stato è in aumento, gli apparati di sicurezza tendono a divenire più influenti e importanti e,soprattutto, la gente è sempre più preoccupata per la propria sicurezza. Pensa che questi trend influenzeranno la democrazia? In che modo?



Danilo Zolo. Non c'è dubbio che, soprattutto nei paesi occidentali, nuove sfide stanno alterando i rapporti fra quella che un tempo veniva chiamata civil society e le strutture centralizzate del potere statale. Due sono a mio parere i fenomeni più evidenti e più rilevanti. Il primo è il processo di sfaldamento degli istituti della rappresentanza politica che erano alla base del tradizionale modello "democratico", anche nelle sue forme più moderate e realiste à la Schumpeter. I suoi principali assiomi - il pluralismo dei partiti, la competizione fra programmi politici alternativi, la libera scelta elettorale fra élites concorrenziali - sono ormai degli enunciati sfuggenti, puramente formali. Anche il parlamento non svolge più alcuna funzione rappresentativa e legiferante, sostituito dal "governo" che tende a concentrare in sé tutti i poteri dello Stato di diritto (o rule of law) e a praticare una permanente ignorantia legis.

La volontà del potere esecutivo si sostituisce di fatto alla volontà, puramente presunta, del "popolo sovrano" e alla dottrina della "sovranità popolare" non resta che il ruolo di una "maschera totemica", come lo stesso Kelsen ha sostenuto. Il secondo fenomeno è la pressione crescente che il potere esecutivo esercita sui cittadini. La vita pubblica è dominata dall'egemonia di alcune élites politico-economico-finanziarie al servizio di intoccabili interessi privati. È la cosiddetta "nuova classe capitalistica transnazionale" che domina i processi di globalizzazione dall'alto delle torri di cristallo di metropoli come New York, Washington, Londra, Francoforte, Nuova Delhi, Shanghai. In questo contesto il sistema dei partiti è un ristretto apparato "autoreferenziale", che opera circolarmente come fonte della propria legittimazione e della promozione degli interessi delle grandi imprese produttive e degli enti finanziari, come le banche d'affari, gli investitori istituzionali, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione. In questa veste il potere "post-democratico" svolge un ruolo di controllo e di repressione dei comportamenti privati. Nei paesi occidentali - USA ed Europa occidentale in particolare - il Welfare State sta scomparendo mentre avanzano sempre più il controllo poliziesco pubblico e privato, la segregazione degli strati più poveri della cittadinanza (la Zero tolerance newyorkese), l'incontenibile espansione della popolazione carceraria, in particolare in paesi come gli Stati Uniti, l'Italia, la Francia, l'Inghilterra. Stiamo passando, ha scritto Loïc Wacquant, dallo Stato sociale allo Stato penale.


J.N. Nonostante il prevalere del modello liberal-democratico, i paesi non-occidentali stanno cercando di ideare forme alternative di organizzazione democratica. La globalizzazione porterà alla scomparsa dei modelli alternativi o i movimenti di resistenza alla globalizzazione rilanceranno la ricerca di alternative adattabili ai contesti etno-culturali?

D.Z. A mia conoscenza il solo tentativo di dar vita a forme politiche alternative al modello liberaldemocratico nell'ambito di paesi non occidentali è quello che si è affermato sotto il nome di Asian values nell'area dell'Oceano indiano e del Pacifico. A partire dai primi anni Novanta del secolo scorso, in paesi come Singapore, la Malaysia, la Thailandia e altre nazioni dell'area cinese si è tentato di dar vita a strutture politiche alternative alla democrazia, ispirate alla tradizione confuciana. Nella "Dichiarazione di Bangkok", del 1993, valori come l'ordine, l'armonia sociale, il rispetto dell'autorità, la famiglia, vennero opposti ai valori della modernità occidentale, inclusa la democrazia rappresentativa. In questa prospettiva anche la dottrina "individualistica" dei diritti dell'uomo venne giudicata in contrasto con l'ethos comunitario delle tradizioni asiatiche. Si può dire tuttavia che nel contesto dei processi di globalizzazione, che tendono a far prevalere anche in Oriente i principi (e gli interessi) dell'Occidente, l'alternativa degli Asian values sembra senza prospettive di rilievo.


J.N. Stiamo assistendo al mutamento dell'interazione tra le elite e la società. Alcuni esperti dicono che questa interazione è in via di scomparsa, sta diventando meno intensa e meno frequente. È d'accordo? Quali strumenti potrebbero invertire la tendenza?

D.Z. Si può dire che oggi non esistono più all'interno delle democrazie occidentali le élites ideologico-politiche come le avevano concepite autori classici, quali, fra gli altri, Max Weber, Joseph Schumpeter, Robert Dahl, Giovanni Sartori. Se per democrazia elitaria si intende un regime nel quale la maggioranza dei cittadini è in grado di esercitare, sia pure indirettamente, una qualche influenza sui processi decisionali, allora oggi, nel contesto della globalizzazione, anche la "leadership concorrenziale" è cosa del passato. La dottrina della "democrazia pluralistica", assieme alla cosiddetta responsiveness e accountability del potere esecutivo, è di fatto sostituita da forme di populismo autoritario che si giova largamente degli strumenti di comunicazione di massa. I partiti politici, operanti come apparati burocratici dello Stato, si accordano fra di loro e con gli altri soggetti della poliarchia corporativa, sottraendosi a qualsiasi efficace regolazione normativa, controllo o sanzione e garantendosi fra l'altro un imponente auto-finanziamento. Basti pensare, per fare un esempio di indubbio rilievo, che in un paese "democratico" come l'Italia, la fittissima rete di appalti pubblici è essenzialmente la casa madre miliardaria della corruzione e della concussione di leader politici, di funzionari pubblici e managers. Personalmente non vedo alcuna possibilità di recupero nel breve periodo di un rapporto fra cittadini ed "élites democratiche" che operino come veicoli delle aspettative popolari e siano sostenute dai propri militanti ed elettori. La globalizzazione ha favorito il costituirsi di regimi che, pur sventolando ancora, opportunisticamente, la bandiera della democrazia, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive che vivono all'ombra del mercato globale. Sono regimi orientati alla pura efficienza economico-politica, al benessere della classe dominante e alla discriminazione dei cittadini non abbienti e dei migranti provenienti dall'Africa e dall'Asia.


J.N. La società civile è nata dal conflitto con lo Stato che tentava di espandere la propria autorità. Oggi gli Stati stanno diventando globali, stanno cedendo il loro potere a una sorta di Stato mondiale. Anche la società civile sta diventando globale. Che correlazioni esistono fra questi due processi? In che modo lo Stato mondiale e la società civile globale si influenzeranno reciprocamente nel corso di questa trasformazione?

D.Z. La mia opinione è che oggi non esiste e non ci sarà mai uno Stato globale se per "Stato globale" (World state) si intenda una struttura di potere mondiale centralizzato e concentrato in un unico governo, in qualche modo rappresentativo delle aspettative e degli interessi della popolazione mondiale. Uno Stato globale non può che essere uno Stato neo-imperiale dominato dal potere politico, economico e militare di una super-potenza. Nello stesso tempo, non vedo il formarsi di una "global civil society" come qualche autore occidentale ha superficialmente sostenuto. Il mondo è diviso fra un nucleo di grandi potenze, per lo più occidentali, e un alto numero di paesi poveri e poverissimi. Il 20% dei paesi ricchi assorbe il 90% della ricchezza mondiale annualmente prodotta, mentre il 20% dei paesi poveri ne consuma l'1%. E questa tragica situazione si aggrava ogni giorno di più. Si deve inoltre tenere presente il fenomeno del terrorismo: mi riferisco al duplice fenomeno terroristico delle guerre di aggressione (le guerre di aggressione anglo-statunitensi contro l'Iraq, le guerre degli Stati Uniti e della NATO nei Balcani, in particolare contro la Serbia, la guerra tuttora in corso contro l'Afghanistan) e l'inevitabile replica terroristica del mondo islamico (è stato detto che "il terrorista è un terrorizzato"). Il nostro mondo, a partire da Hiroshima e Nagasaki, è un mondo che legittima il terrore, non è certo una global civil society.


J.N. La democrazia come la conosciamo oggi è anche un prodotto dei nuovi mezzi di informazione e delle tecnologie di comunicazione. Questo settore è in continua crescita e gli esperti dicono che assisteremo a sempre nuove forme e strumenti di comunicazione. Pensa che queste scoperte indurranno una ulteriore evoluzione del modello democratico? In che modo?

D.Z. Non ci possono essere dubbi che un ruolo decisivo nella trasformazione della "democrazia" occidentale è stato svolto dai mezzi di comunicazione di massa, in modo tutto particolare dalla televisione. E questo è vero non solo per l'Occidente, ma anche per le vaste aree del pianeta che oggi sono esposte alla pressione della cultura occidentale. Come è noto, gli sviluppi della tecnologia informatica vengono esaltati nel mondo del business multimediale come l'avvento della comunicazione interattiva. Una delle conseguenze positive, si assicura, è l'accrescimento della cultura e della competenza politica e, soprattutto, l'affermarsi di nuove forme di partecipazione popolare. Grazie all'uso di sofisticate apparecchiature elettroniche - teleconferencing, opinion-polling systems, automated feedback programmes, two-way cable television, etc. - i cittadini sono in grado di impegnarsi in un quotidiano bricolage politico. L'agorà elettronica uscirà dal mito e si incarnerà nelle forme di una instant referendum democracy. Si tratta a mio parere di un ottimismo senza fondamenti. Il carattere asimmetrico, selettivo e non-interattivo della comunicazione elettronica non potrà subire in futuro alcuna attenuazione. E non crescerà la capacità degli utenti di selezionare la comunicazione ricevuta, né la loro capacità critica nei confronti dei suoi contenuti. Al contrario, la loro autonomia sarà probabilmente esposta a rischi più gravi poiché le strategie della comunicazione multimediale punteranno sempre più consapevolmente su forme di persuasione 'subliminale', a cominciare dalla pubblicità commerciale, dai sondaggi di opinione e dalla propaganda politica. La comunicazione politica, dominata dal codice televisivo del successo, della spettacolarità e della personalizzazione, tenderà a svuotarsi ancora di più dei suoi contenuti argomentativi e razionali e ad alimentare nuove forme di delega plebiscitaria. Usando sistematicamente lo strumento televisivo, i leader politici continueranno a rivolgersi ai cittadini-consumatori esibendo, secondo precise strategie di marketing televisivo, i propri prodotti. Una tele-democrazia dispotica e grottesca è destinata così a convivere con un tele-populismo servile all'ombra del tramonto della democrazia rappresentativa.


J.N. Pensa che internet e i social networks diventeranno un nuovo fattore della democrazia contemporanea, che ne modificherà le caratteristiche? Si creerà un nuovo modello di "uomo sociale"?

D.Z. Per quanto riguarda in modo specifico gli effetti di interazione sociale che si ritiene siano stati prodotti a livello globale dalla rete telematica di Internet, non si può negare che essa è diventata rapidamente uno strumento efficacissimo di informazione culturale, scientifica, economica e politica, oltre che di comunicazione personale. Sarebbe grottesco negarne il grande valore comunicativo ed informativo. E tuttavia, per quanto riguarda in particolare gli effetti di interazione e di integrazione politica che sarebbero stati prodotti sia nell'ambito nazionale sia a livello internazionale, le opinioni sono contrastanti. Ci sono autori - ed io sono fra questi - che sottolineano la crescente specializzazione delle funzioni politiche entro le società minimamente industrializzate e la scarsità delle risorse di tempo, di attenzione e di competenza socialmente disponibili per la partecipazione politica anche sul terreno semplicemente informatico. Ci sono molti dubbi che le tecnologie informatiche possano contribuire ad una diffusione nazionale e tanto meno transnazionale dei valori e delle istituzioni democratiche. La possibilità di prendere decisioni politiche pertinenti dipende assai meno dalla disponibilità di tecniche di comunicazione rapida che non dalla capacità degli attori sociali di controllare e selezionare criticamente le proprie fonti cognitive, in un contesto di generale trasparenza sia dei meccanismi di di emissione delle notizie, sia dei processi decisionali. Non va inoltre dimenticato che le nuove tecnologie della comunicazione hanno notevolmente accentuato le diseguaglianze su scala mondiale. Il cosiddetto global digital divide taglia in due il mondo "globalizzato". Nei trenta, ricchi paesi dell'OCSE, nei quali risiede meno di un quinto della popolazione mondiale, risulta presente il 95% delle utenze stabili di Internet mentre l'Europa sorpassa di 41 volte l'Africa, che pure ha una popolazione più numerosa di quasi 100 milioni. Complessivamente meno del 6% della popolazione mondiale è connesso alla rete: circa 4 miliardi di persone oggi ne sono escluse. Mentre gli Stati Uniti e il Canada contano assieme circa il 60% dei "navigatori", l'Africa e il Medio Oriente raggiungono assieme il 2%.


J.N. Che genere di sfide le società multiculturali pongono alla democrazia? Come si trasformano le forme e le procedure democratiche nelle società divise da identità culturali, etniche e religiose differenti? In che modo la democrazia può armonizzarsi con il pluralismo e il multiculturalismo?

D.Z. L'antagonismo fra l'eguaglianza democratica dei cittadini e i "diritti cosmopolitici" dei non cittadini è diffuso in molti paesi del mondo, ma è particolarmente drammatico nei paesi occidentali. La lotta per l'acquisto delle cittadinanze pregiate dell'Occidente è condotta da parte di masse sterminate di soggetti appartenenti ad aree continentali senza sviluppo e con un elevato tasso demografico. Questa lotta assume la forma della migrazione di massa di soggetti molto deboli ma che esercitano, grazie alla loro infiltrazione capillare negli interstizi delle cittadinanze occidentali, una forte pressione per l'eguaglianza. La replica da parte delle cittadinanze minacciate da questa pressione "cosmopolitica" - in termini sia di espulsione violenta degli immigrati, sia di negazione della loro qualità di soggetti civili - sta scrivendo e sembra destinata a scrivere nei prossimi decenni le pagine più luttuose e più squallide della storia politica dei paesi occidentali. È la stessa nozione di cittadinanza che si ritiene sfidata dalla richiesta dei migranti di diventare cittadini pleno iure dei paesi dove vivono e lavorano. Questa richiesta viene considerata da molti come una sfida inaccettabile perché lo stesso rapporto fra "cittadino" e "straniero" verrebbe violata dall'imponenza dei fenomeni migratori e dalla loro oggettiva incontrollabilità e irreversibilità. E si tratterebbe di una sfida dirompente perché, a giudizio di molti, tende a far esplodere le stesse strutture dello Stato democratico e a cancellare l'identità nazionale dei suoi cittadini. Ma a queste strutture i "migranti" rivolgono giustamente la richiesta di un riconoscimento "multietnico" non solo dei loro diritti individuali, ma della loro stessa identità in quanto minoranze caratterizzate da una notevole distanza culturale rispetto alle cittadinanze occidentali. Ma se è vero che queste cittadinanze si giovano ampiamente del lavoro e dei servizi di persone provenienti da paesi che sono vittime della crescente discriminazione internazionale fra un gran numero di paesi poverissimi e un piccolo numero di paesi democratici ricchi e potenti, la sola soluzione possibile è l'apertura culturale, politica e giuridica agli "altri", come suggerisce Tzvetan Todorov, indipendentemente dalla loro qualità di stranieri.


J.N. Lo scorso settembre la Russia ha ospitato un importante World Global Policy Forum a Yaroslav - un'iniziativa del Presidente Medvedev che ha raccolto alcuni dei più importanti politici ed esperti a livello mondiale. L'argomento principale in discussione era: "Modern State: Standards of Democracy". Può suggerire un altro tema da discutere a Yaroslav nel 2011? Quali eventi dovrebbero essere trattati nel programma del convegno?

D.Z. Ci sono tre temi che mi stanno particolarmente a cuore e che ho trattato in un mio recente volume: 1. la crisi della dottrina dei diritti umani come ideologia occidentale in declino, a cominciare dalla costante, tragica violazione del diritto alla vita; 2. la trasformazione in corso dei paesi occidentali dalla forma dello Stato democratico a quella di una società repressiva e penitenziaria; 3. il fallimento dell'obiettivo di una pace universale, compito inutilmente attribuito alle Nazioni Unite dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, l'Unione Sovietica compresa. Mi permetto di segnalare in particolare il tema dell'urgente necessità di una riforma delle istituzioni internazionali che includa anzitutto le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, che fra l'altro sono tutte insediate nel continente americano senza alcuna ragione.
*. Russian Journal, November 19, 2010.

http://www.sinistrainrete.info/societa/ ... emocratico


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Re: Censis: società senza regole e sogni

Messaggioda flaviomob il 12/12/2010, 14:20

dal manifesto

L’Italia senza inconscio. E senza desideri

Massimo Recalcati

Il recente rapporto annuale del Censis che descrive lo scenario sociale del nostro paese, come è stato notato da diversi commentatori, si nutre abbondantemente di concetti, figure e metafore tratte dalla psicoanalisi. Ida Dominijanni, sulle pagine del manifesto di sabato 6 dicembre, riconosceva nel mio ultimo libro, pubblicato a gennaio del 2010 da Cortina con il titolo L’uomo senza inconscio (Raffaello Cortina editore, Milano 2009), la fonte di ispirazione maggiore del ritratto che Giuseppe De Rita e il suo Centro Studi propongono per il nostro tempo. La sregolazione pulsionale e l’eclissi del desiderio, il dominio del godimento immediato, l’apologia del cinismo e del narcisismo, l’evaporazione del padre, sono tutti concetti che il lettore di L'uomo senza inconscio può facilmente ritrovare, alla lettera, nel rapporto del Censis. Lo stesso vale per la coincidenza tra la mia tesi di fondo e quella proposta da De Rita: la cifra nichilistica del nostro tempo si può sintetizzare parlando di una estinzione del soggetto del desiderio e di una apologia del godimento sregolato e immediato. Se un sociologo come De Rita utilizza un sistema concettuale direttamente derivato dalla clinica psicoanalitica, dobbiamo chiederci il perché di questa centralità assunta dalla psicoanalisi come modello interpretativo del presente. Provo a dare una risposta: forse perché è sempre più evidente che la dimensione del confronto argomentativo, o, se si preferisce, del conflitto delle interpretazioni, lascia il posto a moti pulsionali acefali, refrattari alla dialettica politica e vincolati a quella fascinazione macabra della pulsione di morte che nel nostro tempo sembra non trovare più argini simbolici sufficienti? Chiusura narcisistica, autoconservazione cinica, particolarismi etnici, atomizzazione dei legami sociali, disfacimento della legge simbolica, non sono, almeno nella prospettiva della psicoanalisi, classici esempi di dominio della pulsione di morte?

Proprio questa spinta alla morte è, a mio parere, il fondo oscuro di quella figura teorica che Lacan chiamava «il discorso del capitalista» e che non era l’esito di una avventura nell’economia politica, ma riguardava la fede nell’avere, la fede nell’oggetto del godimeno. Se il desiderio è senza oggetto perché è slancio, apertura verso il nuovo, verso l’alterità, verso l’imprevisto, se – appunto – il desiderio non ha mai un oggetto, «il discorso del capitalista» sostiene l’illusione che solo nella fede dell’oggetto vi sia salvezza. Di qui il carattere feticistico delle merci di cui Marx ha offerto la teoria insuperata, e di qui il carattere illusorio della sua offerta. C’è un collegamento tra questa dimensione del «discorso del capitalista», che Lacan definiva come «infernale», e la crisi etica segnalata dal rapporto del Censis, la quale a sua volta è direttamente legata all’epoca del berlusconismo e va ben al di là degli allarmi scandalizzati di eventuali moralisti, perché tocca al cuore le ragioni del nostro stare insieme, dell’abitare uno spazio comune.

Leggendo L’uomo senza inconscio De Rita non ha pensato di utilizzare una nota che giudico cruciale sull’importanza inedita di un personaggio come Silvio Berlusconi, una nota in cui ponevo il problema della necessità di pensare a una nuova declinazione del potere.

Al filtro della psicoanalisi si possono distinguere, in Italia, tre grandi stagioni del potere politico. La prima è quella predipica, che caratterizza l’affermazione dei totalitarismi storici: qui la figurazione del potere si impernia sulla figura ipnotica e carismatica del duce, del leader che soggioga la folla dall’alto del suo pulpito. La voce, lo sguardo e il corpo tout court del capo diventano oggetti d’idolatria. La folla, come ha spiegato bene Freud, si rispecchia in un ideale incarnato nello sguardo invasato e ipnotico del suo capo. Nel nome di questo ideale (la natura, la razza, la storia) si poteva giustificare ogni male. L’ideale elevato a Causa assoluta è in effetti, come ha mostrato lucidamente Hannah Arendt, il cuore pulsante di ogni totalitarismo. La paranoia è la figura clinica che meglio illustra questa adesione fanatica alla Causa eletta come principio etico assoluto.

La seconda stagione è quella che si apre con la caduta dei regimi totalitari e che giunge in Italia sino allo scandalo di Mani pulite: qui abbiamo conosciuto una versione edipica del potere, dove la legge si poneva il compito, come avviene in ogni democrazia, di limitare e circoscrive il godimento individuale. È questo il motivo centrale della funzione edipica del padre: il sacrificio individuale, la rinuncia pulsionale direbbe Freud, rende possibile il patto e la convivenza sociale. L’interesse generale tende a prevalere su quello particolare. Possiamo pensare alle figure di Alcide De Gasperi e a quella di Enrico Berlinguer come figure che testimoniano in modo esemplare la subordinazione degli interessi individuali a quelli collettivi. In gioco non è più l’adesione cieca alla Causa posta come Ideale assoluto e inumano, ma la vita della polis, il politico come ragione che rende possibile l’integrazione delle differenze e la composizione dialettica dei conflitti. Si può discutere delle realizzazioni più o meno riuscite di questa opzione ma la natura edipica di una simile versione del potere è certa. Se in questo caso dovessimo evocare una figura della clinica per raffigurare questa declinazione del potere dovremmo evocare quella della nevrosi come posizione soggettiva caratterizzata dalla oscillazione tra la legge e il desiderio, tra la necessità del sacrificio individuale imposta dalla legge e la tendenza alla sua trasgressione.

La terza stagione, quella ipermoderna del potere incarnato da Silvio Berlusconi, realizza il godimento illimitato come l’unica possibile forma di legge. È qui che il berlusconismo si radica al centro della evaporazione della funzione paterna di cui parlava Lacan con riferimento all’affermazione incontrastata e mortifera del «discorso del capitalista». La psicoanalisi ha un nome preciso per definire questa aberrazione della legge, che serve solo il proprio godimento: perversione. Con questo termine non ci si riferisce a quanto avviene sotto le lenzuola, ma all’attitudine a subordinare ogni cosa (la verità, i legami sociali, gli affetti più intimi, gli interessi generali di una comunità) al proprio godimento personale, vissuto come un imperativo incoercibile.

La legge si sgancia dal desiderio perché il desiderio esige di incontrare dei limiti, per funzionare e farsi progettuale. Qui, invece, ciò che conta – ed è veramente ciò che davvero più conterebbe in una eventuale psicopatologia di Berlusconi – è l’angoscia provocata dal limite, dalla legge, è cioè l’angoscia della morte. Non si intende, infatti, nulla di questa nuova versione del potere se non si parte da questo presupposto clinico. L’individualismo sfrenato di cui parla il rapporto del Censis è, in realtà, l’effetto di un rigetto profondo della dimensione finita e lesa dell’umano. Rigetto perverso di cui Berlusconi è l’incarnazione farsesca e drammatica insieme. Per questo il suo corpo è di plastica, ritoccato dal bisturi, protesico, corpo-scongiuro, corpo bionico che deve rendere invisibile la presenza inquietante della malattia e l’insidia della morte. Il predellino prende così il posto del pulpito. La leadership di Berlusconi non deriva affatto, come pensano Di Pietro e molti altri, dalla manipolazione mediatica della verità. Egli ottiene consenso non grazie all’oscuramento di quel che fa, non nonostante ciò che fa, ma proprio perché è ciò che fa. In questo senso Berlusconi fa epoca: perché solleva il problema di cosa può diventare il padre nel tempo della sua evaporazione, nel tempo del tramonto della sua funzione ideale-orientativa.

La risposta che il berlusconismo offre è in piena sintonia con il discorso capitalista: il padre, il luogo della legge, diviene colui che può godere senza limiti. Perché il suo capriccio non ha davvero più nulla di privato in quanto assume corpo di legge, diventa, letteralmente, legge ad personam.


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