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Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

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O forse Uaw conta molto di piu' della Fiom

Messaggioda franz il 06/12/2010, 10:27

Il Lingotto a stelle e strisce
Diktat dei mercati a Marchionne

Per Fiat massima flessibilità e contratti italiani fuori linea. Servono nuovi fondi e un piano credibile agli occhi del sindacato-azionista di Chrysler. Perché il destino dell'azienda italiana ormai è in gran parte una storia americana
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

NEW YORK - Fiat Auto esce da Confindustria e abbandona il contratto dei metalmeccanici. Sono i simboli di un'èra che si chiude. Un pezzo di storia dell'industria manifatturiera italiana giunge a una svolta. Ma ormai non è una vicenda tutta italiana, né tantomeno una partita solo sindacale. E' significativo che uno dei prossimi atti si svolga a New York: in settimana ne parleranno qui Emma Marcegaglia e Sergio Marchionne. L'ambientazione geografica è un po' casuale (si tiene qui la riunione annua del Consiglio per le relazioni Italia-Usa), tuttavia serve a sottolineare quanto il futuro di Mirafiori, Pomigliano e altri stabilimenti si giochi proprio negli Stati Uniti. In una sfida dove gli attori principali diventano l'Amministrazione Obama, Wall Street, e ancor più il sindacato metalmeccanico United Auto Workers (Uaw). Quella flessibilità che l'amministratore delegato di Chrysler-Fiat chiede ai suoi operai italiani, da lui la pretendono i mercati finanziari. Paradossalmente nella parte dell'azionista esigente c'è proprio il sindacato americano, che non può ratificare "favoritismi" o rigidità particolari nella parte italiana dell'azienda.

Le scelte di Marchionne, da cui dipenderà la sopravvivenza di questo gruppo, sono comprensibili solo in questo scenario. Visto dagli Stati Uniti, e con un'attenzione alle tendenze globali del mercato dell'auto. Perché la stessa industria americana è tutt'altro che certa di poter uscire dal tunnel conservando delle dimensioni significative. In un mercato mondiale che tra il 2008 e il 2009 ha visto "scomparire" ben dieci milioni di autovetture vendute, dove la Cina ha bruciato i tempi ed è balzata di prepotenza al primo posto tra i produttori, dove un'auto europea su quattro ormai è prodotta nei paesi dell'Est (perfino i cinesi sono andati a investire in Serbia), la velocità del cambiamento dà le vertigini. Un sistema paese che non può adottare il modello cinese o indiano (perché non ha quella competitività sui costi), non riesce a inseguire il modello tedesco, dove alti salari e forte sindacalizzazione sono consentite da una straordinaria leadership tecnologica. Accadono così vicende come quella che sta agitando in queste ore la svedese Volvo: ceduta dalla Ford ai cinesi della Geely, si vede spalancare la possibilità di vendere 300.000 auto in più in Cina, ma a condizione di costruire là i prossimi tre stabilimenti.

L'Amministrazione Obama per salvare pezzi importanti di industria manifatturiera ha seguito fin qui una strategia bipolare. Da una parte tenta di "fare la Germania", per esempio investendo sull'auto elettrica con General Motors (Volt) e Tesla. Dall'altra tenta di "fare un po' anche la Cina", con i sindacati costretti ad accettare per i nuovi assunti a Detroit un salario dimezzato (14 dollari l'ora), portandoli cioè allo stesso livello della manodopera non sindacalizzata degli Stati del Sud (Alabama, Mississippi) dove ci sono molte fabbriche giapponesi e tedesche. La via bipolare è complicata, siamo a metà del guado, lo stesso Obama è tutt'altro che sicuro di farcela.

Chrysler-Fiat è un pezzetto di questa strategia del sistema-America. Ne subisce tutti i vincoli. Non solo perché Marchionne è un canadese-americano per cultura e formazione, ma perché precisi accordi guidano le sue prossime mosse. Fiat Auto al momento ha il 20% della Chrysler. Nel 2011 potrà ottenere "gratis" un ulteriore 15%, poi avrà l'opzione di salire fino al 51%. Il "gratis" è molto relativo, però. Occorre prima che Chrysler rimborsi interamente i debiti contratti con i governi americano e canadese all'epoca della bancarotta. Quindi servono nuovi capitali. Uno studio diffuso a Wall Street dalla Barclays indica il possibile tracciato. Marchionne negozia con le banche nuovi finanziamenti che gli consentano di ridurre gli oneri del debito (alcuni dei vecchi prestiti avevano tassi fino al 20%). Vende l'Alfa Romeo, o più probabilmente quota in Borsa la Ferrari. Qui un'ipotesi interessante è il collocamento alla Borsa di Hong Kong, la piazza finanziaria più importante per l'accesso ai capitali cinesi. Quotarsi a Hong Kong può consentire un prezzo "di favore" perché vista dall'Estremo Oriente la Ferrari verrebbe valutata più come un'impresa del settore lusso che non come una casa automobilistica. E' uno squarcio interessante su quel che resta una possibile vocazione manifatturiera italiana: nell'altissima qualità.

In ogni caso, alla fine Fiat Auto raccoglierebbe i fondi necessari a diventare l'azionista di maggioranza della Chrysler. E' quello che desidera. Il noto "teorema Marchionne" era nato prima ancora della recessione, a maggior ragione lui lo sostiene adesso: in questo mondo una casa automobilistica non sopravvive sotto i sei milioni di unità prodotte all'anno. L'America gli è necessaria. Anche Obama non vede l'ora che Marchionne diventi l'azionista di controllo, vuole vendere la sua quota e ripetere così l'operazione Gm: quel collocamento in Borsa è andato bene e il governo ha potuto dimostrare al contribuente americano che il salvataggio si è concluso senza costi, addirittura con un profitto.

Per reperire i nuovi finanziamenti, Marchionne deve convincere i mercati che la sua strategia è sostenibile. Ivi compresa per la parte italiana. E' qui che lo scorporo dei vari stabilimenti, la loro trasformazione in tante Newco (nuove società) "vergini", l'uscita dalla Confindustria e quindi la non applicazione del contratto nazionale metalmeccanici, diventano mosse obbligate. In questo caso i diktat dei mercati finanziari hanno una dimensione sorprendente, se vista dall'Italia.Il maggiore vincolo su Marchionne non è qualche gigante cattivo della speculazione. No, il peso massimo qui è proprio il sindacato Uaw. Che continua a detenere ad oggi il 68% delle azioni ordinarie Chrysler. E non vede l'ora di venderle, sperando anche lui di ripetere l'ottima uscita dalla Gm: in quel caso la confederazione Uaw ha incassato una plusvalenza di 2,9 miliardi di dollari.

Il sindacato dei metalmeccanici americani ha accettato di fare sacrifici pesantissimi per salvare Chrysler. Oltre ai salari dimezzati per i nuovi assunti, anche pensioni e assistenza sanitaria hanno subìto tagli dolorosi. Ha perfino sottoscritto l'impegno vincolante a non fare una sola ora di sciopero fino al 2014. Questo sindacato-azionista considera impresentabile per i suoi iscritti un progetto strategico che conceda ai metalmeccanici italiani garanzie e rigidità abbandonate qui negli Usa. La via delle Newco, l'addio al contratto nazionale, sono strappi traumatici alla luce della cultura sindacale italiana, della storia del nostro movimento operaio, della nostra tradizione politica. Ma ormai la Fiat Auto è in gran parte una storia americana, le cui regole si decidono qui.

(06 dicembre 2010)
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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda pianogrande il 06/12/2010, 13:06

Un sistema paese che non può adottare il modello cinese o indiano (perché non ha quella competitività sui costi), non riesce a inseguire il modello tedesco, dove alti salari e forte sindacalizzazione sono consentite da una straordinaria leadership tecnologica.

Insomma.
Quello che succede in Italia succede anche in America.
la Germania è forte della sua "leadership tecnologica".
Noi poveri peones possiamo solo cedere salari e diritti.
Questa è la cruda realtà.
Nel frattempo, chi ci ha gloriosamente portato a questa situazione di m. (gli industriali ed i politici) resta tranquillamente al suo posto.
Si propone anzi come portatore del nuovo (vedere prima Berlusconi, poi Montezemolo e quanti altri possono venirci in mente).
Bisogna prenderne atto ma non rassegnarsi.
Non bisogna accettarlo come una legge naturale.
A meno che non sia una legge naturale che a prenderlo in quel posto siano sempre gli stessi.
Essere un po' incazzati con questa gente mi sembra il minimo.
Cercare (almeno cercare) qualcosa di veramente nuovo mi sembra un dovere.
La speranza è l'ultima a morire.
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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda franz il 06/12/2010, 14:14

pianogrande ha scritto:Insomma.
Quello che succede in Italia succede anche in America.
la Germania è forte della sua "leadership tecnologica".
Noi poveri peones possiamo solo cedere salari e diritti.
Questa è la cruda realtà.
Nel frattempo, chi ci ha gloriosamente portato a questa situazione di m. (gli industriali ed i politici) resta tranquillamente al suo posto.

Se li "votiamo" (comprando fiat e votando i partiti che sai) si', rimangono al loro posto.
Io non compro piu' fiat dal 1986 (e prima ho avuto lancia, fiat e alfa). Ora solo Opel, Audi, VW.
A mio modo ho votato. Credo che i politici siano (e debbano essere) ininfluenti rispetto alle strategie industriali.
Ma so che se la ricerca e l'innovazione non vengono adeguatamete spinti in Italia è perché si usano quelle risorse per pasteggiare su altre cose :( e che abbiamo anche in bel debito da risanare. Quando si hanno i debiti non c'è molto da spendere. Inoltre ogni volta che si tenta di riformare scuola e ricerca, si mettono tutti contro (qualsiasi sia il proponente).
Qui non basta la speranza. Ci vuole molto di piu'.

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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda matthelm il 06/12/2010, 14:42

pianogrande ha scritto:Noi poveri peones possiamo solo cedere salari e diritti.
Questa è la cruda realtà.


La situazione attuale è questa. Non solo i lavoratori dipendenti devono fare la "piega" ma tutti o quasi dagli artigiani ai commercianti e così via. La situazione per molti è drammatica.

Dobbiamo prenderne atto: non viviamo su un'isola!

E la "battaglia" della Fiom e ...Baldini (sentito in Tv si è accarocciato) è autolesionista. Non abbiamo in mano le leve economiche del mondo, rendiamocene conto. Anzi siamo considerati ormai ai margini dell'"impero".
Impariamo in questo caso dai sindacati americani che hanno abbassato le pretese pur di continuare a lavorare.
Poi, speriamo, verranno tempi migliori per richieste più adeguate.

Il realismo, anche in questi casi, è richiesto e ...obbligatorio.
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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda franz il 06/12/2010, 15:37

matthelm ha scritto:La situazione attuale è questa. Non solo i lavoratori dipendenti devono fare la "piega" ma tutti o quasi dagli artigiani ai commercianti e così via. La situazione per molti è drammatica.

Anche per le imprese. Quelle non immanicate con la politica, senza santi in paradiso, commesse, appalti guidati.
A loro tocca solo il peso della burocrazia, delle tasse, delle leggi che cambiano due o tre volte all'anno.
http://impresecheresistono.blogspot.com ... stono.html
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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda flaviomob il 10/12/2010, 0:42

Le imprese oneste sono sicuramente vessate da un'organizzazione statale che fa acqua, ma un'impresa come la Fiat con quello che ha ricevuto dallo stato non può atteggiarsi a vittima. Così come è anche responsabilità di noi stessi, fronte progressista, se non si è riusciti ad organizzare un'impresa di qualità, gestita dal collettivo con criteri democratici, in cui ogni lavoratore potesse non solo vivere del proprio lavoro nella piena dignità ma crescere e formarsi continuamente incrementando il proprio livello qualitativo. Detto questo, il modello da seguire è quello della qualità, il modello tedesco. Tutto il resto è poco lungimirante e socialmente costoso, perché più si insegue la produzione a basso costo, meno si fa ricerca e più probabilità si hanno di perire di fronte alla concorrenza di paesi emergenti dal costo del lavoro bassissimo, insostenibile per il nostro sistema di welfare.


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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda pianogrande il 10/12/2010, 1:09

Piano piano, ce ne accorgiamo tutti che, per essere competitivi con i poveri, bisogna diventare più poveri di loro.
Per essere competitivi e farsi pagare bene bisogna essere tecnologicamente all'avanguardia.
Il paese del piccolo è bello e delle tasse che prendono i soldi dai dipendenti per darli agli imprenditori/evasori (sotto forma di servizi e finanziamenti vari) si avvia a diventare il paese della mano d'opera a basso costo.
Non avremo più molto da dire in Europa.
Anche la nostra lingua sta diventando una presenza marginale.
Credo che, ormai, il termine più noto sia "cucù" (che in qualche parte d'Italia non è precisamente un complimento).
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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda flaviomob il 11/12/2010, 14:54

Possibile che tra una Ferrari d'élite più costosa di un appartamento e una Fiat di fascia medio-bassa non riusciamo a trovare una 'via di mezzo' in grado di competere con i modelli di fascia medio alta delle case tedesche? PERCHE' DOBBIAMO RASSEGNARCI AL PEGGIO?


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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda matthelm il 11/12/2010, 15:00

...ecco l'uovo di colombo!

Possibile che nessuno ci abbia mai pensato?

Smobilitiamo la Ferrari, visto che si vende bene, e costruiamo tutte Croma...

Analisi surreali ...e di estrema sinistra... naturalmente.
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Re: Per caso aveva ragione la maledetta FIOM?

Messaggioda pianogrande il 11/12/2010, 23:49

flaviomob ha scritto:Possibile che tra una Ferrari d'élite più costosa di un appartamento e una Fiat di fascia medio-bassa non riusciamo a trovare una 'via di mezzo' in grado di competere con i modelli di fascia medio alta delle case tedesche? PERCHE' DOBBIAMO RASSEGNARCI AL PEGGIO?


Per "trovare" bisogna cercare e poi ri-cercare.
E' questo che i nostri pseudo imprenditori non fanno.

Loro sono i primi a "rassegnarsi al peggio" tanto il peggio è per noi, mica per loro.
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