La fine della cooperazione
da Lapo Pistelli
Nonostante il momento di grave crisi economica, il governo conservatore inglese ha scelto di non tagliare la Cooperazione, la Sanità e la Ricerca. Al contrario, ha previsto un incremento delle risorse del 35 per cento l’anno fino al 2014 in materia di aiuto pubblico allo sviluppo per il raggiungimento dello 0,7 per cento entro il 2013. Queste decisioni evidenziano la miopia e l’assenza di strategia delle scelte del Governo Berlusconi, marcando la distanza persino da posizioni come quelle del centrodestra inglese.
A nostro parere, invece, la cooperazione non è una spesa, ma un investimento sul nostro futuro così come su quello degli altri popoli. Occorre ripensare una cooperazione di qualità perché è il mondo ad aver bisogno di un destino solidale.
1. L’assenza di strategia politica dell’attuale Governo
La cooperazione italiana vive ormai in uno stato di stagnazione, sia sotto il profilo qualitativo, che sotto quello quantitativo: la cooperazione bilaterale è stata ridotta al lumicino; quella multilaterale, quantitativamente più abbondante, è opaca nei dati e sconta ritardi nei pagamenti, con l’aggravante drammatica del mancato versamento delle quote 2009 e 2010 al Fondo globale per la tubercolosi, la malaria l’Aids e le altre pandemie.
Per l’Italia, la cui vocazione universale e la cui apertura alla dimensione internazionale è costitutiva dal punto di vista politico, e vitale da quello economico, le politiche di cooperazione assumono una valenza strategica e costituiscono una componente irrinunciabile della proiezione esterna del Paese.
L’Italia nell’ultimo triennio ha perso peso, ruoli e credibilità nelle sedi internazionali; non è stata capace di condurre una strategia in politica estera seria e affidabile; e con l’ultima legge di stabilità, appena presentata alla Camera, ha di fatto approvato la rottamazione della politica di cooperazione italiana, passando dai 732 milioni previsti nella finanziaria per il 2008 (ultimo Governo Prodi) ai soli 179 milioni di euro stanziati per l’anno 2011 a favore della componente a dono gestita dal Mae ai sensi della legge 49/1987; a fronte dello 0,16 per cento del PIL che l’Italia destina all’Aiuto pubblico allo sviluppo, l’impegno concordato in sede europea dello 0,51 per cento del PIL per il 2010 e dello 0,7 per il 2015 rappresenta ormai una chimera.
Se sviluppo è per noi sinonimo di libertà è necessaria una svolta netta, sul piano qualitativo e su quello quantitativo, capace di restituire alla cooperazione allo sviluppo quella dignità che la legge 49 le attribuiva riconoscendola come “parte integrante della politica estera”.
2. Cosa non ha fatto questo Governo
- mancata attribuzione ad un sottosegretario della delega specifica su questo tema, a differenza di quanto aveva fatto il precedente Governo.
- insufficienti iniziative volte a risolvere la centrale questione del coordinamento tra MAE e MEF, e con l’attività di cooperazione svolta dalle regioni e dall’Unione europea, e tra gli interventi di cooperazione promossi dalle ONG e le finalità di politica estera, al fine di aumentare la tanto decantata efficacia ed efficienza degli interventi di cooperazione .
- Insufficienti iniziative volte a migliorare la trasparenza e la leggibilità di obiettivi e risultati conseguiti, nonostante l’adozione di linee guida in materia.
- la progressiva riduzione del ruolo e dei mezzi a disposizione della struttura della DGCS all’interno del Ministero degli Affari esteri, anche tramite la progressiva erosione in materia di interventi umanitari che ha spostato il baricentro a favore della protezione civile, anche per attività di ricostruzione e sviluppo.
- la sistematica e crescente inadempienza italiana sia per i contributi obbligatori alle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte, sia per impegni internazionali assunti (e non onorati) quali ad esempio le quote non versate al Fondo globale per l’AIDS e le altre pandemie. Una crescente e sistematica inadempienza che ha leso in modo grave la credibilità e soprattutto l’affidabilità dell’Italia in importanti sedi internazionali.
3. Cosa occorrerebbe fare.
a) Sotto il profilo qualitativo.
Un’adeguata politica di cooperazione dovrebbe assicurare almeno quattro elementi, fin qui assenti o molto insufficienti:
- Un vero coordinamento nella gestione delle politiche di sviluppo, che devono avere nel Ministero degli Affari esteri la vera cabina di regia e il centro di responsabilità politica, sia per quanto riguarda il bilaterale che il multilaterale.
- La prevedibilità degli aiuti (per consentire un’efficace programmazione delle risorse quanto dei progetti).
- La trasparenza, e dunque la leggibilità, degli obiettivi perseguiti e dei risultati conseguiti.
- La coerenza di tutte le politiche internazionali dell’Italia, in accordo con la strategia europea sulle cinque aree fondamentali di coerenza delle politiche (cambiamenti climatici, commercio, agricoltura, migrazioni, sicurezza). Efficacia degli aiuti, credibilità e affidabilità dell’Italia sulla scena internazionale dipendono in modo proporzionale dalla nostra capacità di affrontare i nodi sopra indicati. Accanto alle risorse pubbliche – imprescindibili per una cooperazione allo sviluppo parte integrante della politica estera del nostro Paese – appare sempre più necessario ottenere la più ampia mobilitazione possibile di tutte le risorse private disponibili per questi fini. Necessitiamo di nuovi strumenti e metodologie, atte a canalizzare e mettere a sistema, in un quadro coerente, tutte le risorse private che non possono e non debbono sostituirsi a quelle pubbliche, ma che utilmente impiegate e coordinate, possono e debbono contribuire allo sviluppo di questo settore.
b) Sotto il profilo quantitativo.
L’attuale legge di stabilità e di Bilancio disinveste ulteriormente nel settore della cooperazione: per il bilaterale ha stanziato per la legge 49/1987, 179 milioni di euro che, al netto degli impegni pregressi e delle spese di gestione, si ridurranno a poco meno di 100 milioni per l’anno prossimo. Si tratta di un ulteriore taglio del 9 per cento, rispetto alla riduzione del 36 per cento già effettuata nel 2009. La 49/1987 in termini nominali non ha mai raggiunto livelli così bassi, neppure negli anni dei grandi sacrifici sostenuti dal nostro paese per entrare nell’euro. Per il multilaterale si segnala inoltre che la tabella B del Ministero dell’economia e delle Finanze, necessaria per avviare l’iter di pagamento delle Banche e Fondi di sviluppo, è vuota.
Noi riteniamo per il futuro che le risorse per una politica di cooperazione debbano e possano essere trovate, tra l’altro:
- Sulla scia di quanto hanno fatto altri paesi europei, primo tra tutti la Gran Bretagna, riteniamo che esista lo spazio per una riduzione delle spese per armamenti. In un momento di grave crisi economica e finanziaria tale passaggio appare inevitabile e può esser realizzato senza ridurre la sicurezza del Paese, in particolare se le necessarie razionalizzazioni sono coerenti con un nuovo Modello di Difesa, forte e adeguato alle nuove istanze internazionali, tema sul quale da tempo sfidiamo il Governo, senza avere risposte.
- L’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie allo scopo di colpire le transazioni finanziarie a carattere speculativo, e contemporaneamente raccogliere un gettito da destinare agli interventi di cooperazione allo sviluppo.
Conclusione
“L’Italia fatica a individuare una strategia lineare di politica estera e questa incertezza si riflette anche nel modo più incoerente ed erratico con cui conduce le politiche di aiuto allo sviluppo (…) Se oggi, con solo lo 0,16 del PIL attribuito allo sviluppo, siamo in un ritardo abissale sugli impegni sottoscritti a livello europeo e mondiale, è anche perché abbiamo perso la bussola delle nostre responsabilità internazionali ”. Così l’Istituto Affari Internazionali.
Se l’aiuto allo sviluppo costituisce anche e soprattutto un modo per garantire sul lungo periodo un mondo più stabile e sicuro per tutti – realizzando un riequilibrio necessario e urgente contro le forme endemiche di povertà – esso funziona ed è efficace se è in grado di consentire alle comunità locali un’opportunità autonoma di sviluppo. Altrimenti diventa mero assistenzialismo.
Particolarmente vitale sotto questo aspetto è stata negli ultimi anni l’attività di cooperazione decentrata, più capace spesso di coinvolgere gli attori locali; tuttavia, se non adeguatamente coordinata con il livello di governo centrale e messa a sistema nel quadro di una strategia più ampia – in grado di contemplare anche queste attività di cooperazione come parte integrante della politica estera – anche la cooperazione decentrata finisce per mantenere un carattere sporadico e rischia di risultare inefficace.
Ottenere l’efficacia negli interventi di cooperazione diventa poi una precondizione inderogabile in una fase storica caratterizzata dalla scarsità delle risorse finanziarie disponibili. Tuttavia pensare che una maggiore efficacia sia in grado di per sé sola di compensare ormai l’insufficienza cronica di risorse è puramente demagogico.
All’efficacia degli aiuti va accompagnata una rigorosa verifica dei risultati. Per risollevare questo settore andrebbe introdotto un grado maggiore di trasparenza, specie per quel che riguarda l’attività della Direzione Relazioni internazionali del Dipartimento del Tesoro. Solo rendendo accessibili i documenti di indirizzo, e rafforzando la consultazione della società civile, sarà possibile sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza e la centralità dell’attività di cooperazione.
Solo mettendo a sistema le differenti potenzialità e ritrovando al tempo stesso una bussola affidabile delle nostre responsabilità internazionali potremo realizzare una cooperazione di qualità.