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Nuove tensioni sui mercati finanziari

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda trilogy il 12/11/2010, 10:35

Il G20 si è chiuso con un nulla di fatto, e sui mercati c'è di nuovo tensione: sulle valute, sulle borse, sul debito pubblico.
Lo spread tra i tassi italiani e tedeschi ha raggiunto il massimo da quando c'è l'euro. L'Irlanda sembra sull'orlo del collasso, Berlusconi spara minchiate e ammicca. Nulla di nuovo sotto il sole...la proposta che fa il nostro premier equivale ad una stretta creditizia su un singolo settore, con relativi spostamenti di liquidità da un mercato all'altro ed effetti complessivi molto difficili da prevedere :mrgreen:

BERLUSCONI - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha lasciato la sede del vertice senza tenere la conferenza stampa nella sala appositamente allestita. Il premier, in precedenza, ha avuto tra le altre cose un incontro a tre con Dmitri Medvedev e Recep Tayyip Erdogan. Secondo fonti italiane, nel corso del colloquio il presidente del Consiglio, il presidente russo e il primo ministro turco hanno parlato anche di dossier energetici oltre che dei temi in discussione al summit. Italia, Russia e Turchia sono peraltro partner nello sviluppo di numerosi progetti per l'estrazione e il trasporto di idrocarburi. Berlusconi, che oltre ai leader europei ha avuto anche un colloquio con il presidente americano Barack Obama, ha dichiarato poi di ritenere che sia «estremamente necessario e urgente che i Paesi del G20 procedano a delle norme che vietino queste speculazioni finanziarie, per esempio vietando gli acquisti futures oppure imponendo che per acquistare il petrolio a consegna futura si impongano dei versamenti che vanno dal 50% in su».
fonte: http://www.corriere.it/economia/10_nove ... aabc.shtml

Sulla situazione Irlandese:

Irlanda: allarme rosso, rumor salvataggio Fmi
I rendimenti dei bond irlandesi stanno salendo senza freno, ai massimi da 11 anni, cioe' dal lancio dell'euro. Schizza anche il prezzo dei CDS (credit default swaps) sulle voci di crack del sistema bancario di Dublino. Le perdite della banche ammontano a 85 miliardi di euro, pari al 55% del Pil irlandese.
Pubblicato il 10 novembre 2010 | Ora 13:58
Fonte: WSI

I prezzi dei dei bond irlandesi stanno crollando e i rendimenti salgono senza freno, mentre crescono in parallelo in modo allarmante anche i prezzi dei CDS (credit default swaps) relativi al debito sovrano del paese, sulle voci di difficolta' del sistema bancario di Dublino e del debito pubblico. Nel pre-borsa a Wall Street si stanno diffondendo rumors, al momento non smentiti, di un salvataggio in extremis da parte del Fondo Monetario Internazionale. Il CDS ha raggiunto quota 600, un salto di oltre 100 punti rispetto ai 500 di una settimana fa. A contribuire alle tensioni odierne una dichiarazione del commissario europeo Olli Rehn secondo il quale per adesso non c'e' alcuna richieta di aiuto finanziario presentata alla UE dall'Irlanda.

Sui mercati il rendimento, o tasso d'interesse, dei titoli del Tesoro a 10 anni dell'Irlanda ha superato il livello dell'8.0% (punte di 8.47%) per la prima volta dal lancio dell'euro 11 anni fa. La voce su un bail-out del Fmi e' stata anche ripresa in Europa da un Tweet del giornalista del Financial Times Neil Hume: "WARNING! THIS IS RAW. TOTALLY SPECULATIVE. Hearing talk of possible IMF DEAL for Ireland, traders...". E cioe': "Attenzione! Questo e' materiale grezzo, totalmente speculativo. Sento voci dai trader su un possibile accordo tra il FMI e l'Irlanda".

Il ministro delle Finanze di Dublino, Lenihan, per cercare di dissipare i timori del mercato finanziario europeo e globale ha proposto qualche giorno fa di ridurre il budger 2011 dell'Irlanda di €6 miliardi. Fatte le debite proporzioni, e' come se gli Stati Uniti cancellassero d'un botto il ministero della Difesa. Insomma: ci sono tutte le condizioni perche' salti un altro dei PIIGS, dopo la Grecia. Soprattutto dopo aver appreso oggi (vedi sotto) che secondo il governatore della Banca di Irlanda e membro della Bce, Patrick Honohan, le perdite delle banche irish ammontano a 85 miliardi di euro, pari al 55% del Pil irlandese.

**********

Si intensifica l'attacco al debito pubblico dell'Irlanda. I titoli dei stato dell'Irlanda hanno subito un nuvo crollo, i decennali rendono ora l'8,47%, ben 601 punti sopra il rendimento dei titoli di stato tedeschi, si tratta del massimo storico. In un solo mese lo spread Germania-Irlanda e' salito di 180 punti.

Sull'ex Tigre celtica pesa un deficit pubblico pari al 32% del Pil, una manovra correttiva non ancora approvata da un parlamento sempre piu' diviso e la condizione di sostanziale ''default'' delle banche irlandesi che raccolgono liquidita' solo grazie ai prestiti della Bce. Nessuno vuol prestare soldi alla banche ''gaeliche'' che sono piene di mutui in sofferenza causati dal crollo del mercato immobiliare.

Oggi, il governatore della Banca di Irlanda e membro della Bce, Patrick Honohan, ha snocciolato cifre da brivido, le perdite della banche ammontano a 85 miliardi di euro, pari al 55% del Pil irlandese. Gran parte del sistema bancario e' stato di fatto nazionalizzato per evitare il default, ma questo pesa ovviamente sui conti pubblici. Oggi Dublino ha chiesto e ottenuto dalla Ue di poter mantenere la garanzia dello stato sulle banche fino al 30 giugno 2011 rispetto all'originaria scadenza di dicembre 2010. (Asca)
Ultima modifica di trilogy il 12/11/2010, 10:47, modificato 1 volta in totale.
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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda trilogy il 12/11/2010, 10:42

Dal Caffè degli economisti invisibili, interessante quest'analisi che ricostruisce la storia dell'economia irlandese dal boom alla crisi

link: http://economistiinvisibili.splinder.co ... origine+e+
[Siamo un gruppo di studenti di Economia. Non ci sentiamo di usare nessun'altra definizione]

Se la crisi della Grecia ha mostrato i limiti del sistema europeo, in particolare dei parametri di Maastricht in relazione alla gestione del bilancio pubblico, la parallela crisi in Irlanda mostra i limiti del sistema finanziario, troppo facilmente soggetto a spirali speculative quando viene eccessivamente surriscaldato. Difatti l’Irlanda fino a due anni fa aveva il secondo reddito pro-capite dell’Unione europea, oggi il secondo deficit più alto proprio dopo la Grecia; in più, è stata la prima economia della Ue ad entrare in recessione nel 2008 ed è l’ultima che ne uscirà: solo dopo il 2011.
C’è da chiedersi perché e come è stato possibile giungere dall’era della "Tigre celtica", fase sicuramente benefica nella storia del paese, alla fase di depressione attuale, e di nuovo: perché e come si è giunti ad una crisi che ha spazzato via 20 anni di prosperità come un vero terremoto.

Premessa
Una favola di regola inizia con c’era una volta e ad esserci stato una volta sono principesse, re, gnomi, due fratelli e perfino un pezzo di legno (come nel noto romanzo di Collodi). Se l’argomento qui trattato fosse esposto come in una favola inizierebbe così: c’era una volta una Tigre, giovane e dinamica, temuta dai suoi concorrenti perché riusciva ad attrarre a sé le prede con un’abilità e velocità che a gli altri non erano possibili, ora questa tigre non c’è più: non graffia e non ruggisce.
Questa però non è stata una favola, anzi, al contrario è realtà tangibile. Questa realtà è che oggi l’Irlanda sta attraversando una fase delicata della sua storia, una grave crisi economica. La crisi segue i 20 anni circa di boom che hanno contraddistinto tra il 1988 e il 2007/2008 l’era della Tigre celtica, il periodo di massimo splendore economico dell’isola.
Questa crisi nasce dapprima come crisi finanziaria nel settembre 2008, nel contesto della più ampia crisi finanziaria globale scoppiata negli Usa tra 2007 e 2008. A sua volta la crisi finanziaria in Irlanda trae origine da due fattori. Il primo, un fenomeno indiretto e di per sé positivo: ovvero la fortissima e rapida espansione economica (in particolare finanziaria) che ha caratterizzato gli anni che vanno dal 1995 al 2007. Il secondo fattore, questa volta diretto, fu lo scoppio della bolla speculativa immobiliare, denominata Irish property bubble, tra 2007 e 2008, che a sua volta è stato responsabile della crisi bancaria irlandese. Questo secondo fenomeno è riconducibile al primo fattore: l’espansione economica e la conseguente espansione della domanda d’investimenti (in particolare estera), l’espansione della domanda interna, l’espansione demografica e della prosperità delle famiglie, quindi l’espansione del credito e quindi d’investimenti immobiliari.
Ora, per capire le origini della crisi è necessario analizzare la fase precedente ad essa: quella della crescita, la fase della Tigre celtica. Ancora a ritroso, per spiegare quelle che sono le fondamenta su cui si è poggiata questa crescita, ripercorreremo molto in breve le tappe dello sviluppo economico dell’isola negli ultimi decenni che come si noterà sono state caratterizzate da una altalenante discontinuità tra periodi di crescita rapida e depressione economica.

Breve storia dello sviluppo economico
In poco più di una generazione, l’Irlanda è passata dall’essere uno dei paesi più poveri dell’Europa occidentale ad esserne uno dei più prosperosi, invertendo la storica situazione di terra d’emigrazione, e raggiungendo una reputazione invidiabile in quanto a sviluppo. Come risultato di un impegno costante durato molti anni si è lasciata alle spalle il suo passato caratterizzato da una popolazione in declino, un basso tenore di vita, perenne stagnazione economica e disoccupazione cronica. L’Irlanda aveva allora, e fino al 2009, come detto, il secondo più alto prodotto interno lordo (PIL) pro capite nell’Unione europea (dopo il Lussemburgo), superiore di un terzo rispetto alla media UE-25.

Le tappe fondamentali verso questa crescita sono state, in ordine cronologico, l’ingresso nella CEE nel 1973 e l’abbandono delle politiche isolazionistiche autarchiche di stampo nazionalista; l’adozione di un approccio pragmatico alla ricerca di business la cui chiave è stata quella di concentrarsi su società che rappresentavano l’alta tecnologia del futuro, vale a dire imprese ad alto rendimento, incluse l’industria dei computer, dei prodotti farmaceutici, della tecnologia medica, il tutto seguito da servizi internazionali; lo sviluppo dell’insegnamento superiore ed universitario in modo da formare giovani con competenze elevate per queste nuove aziende. Tali politiche furono il presupposto per la prima fase di espansione economica degli anni ‘70, arrestatasi durante il successivo decennio, quando inizia una fase di depressione economica tra il 1981 e il 1986. I fattori determinanti per la stagnazione degli anni ‘80 erano interni ed esterni. Quelli interni comprendevano il permanere di una persistente inflazione (quasi all’11% annuo tra il 1981 e il 1986) e l’alta disoccupazione giovanile (dovuta, nonostante i molti posti di lavoro creati con i nuovi investimenti esteri, all’inefficienza del sistema di collocamento della forza lavoro e al crescente tasso di fallimento delle grandi imprese). I tentativi di intervento del governo portarono essenzialmente ad aumenti del carico fiscale con un finanziamento del deficit attraverso prestiti, col solo risultato di inasprire il clima per nuovi investimenti, senza riuscire ad aumentare né l’occupazione né la domanda aggregata.
Ebbene, da questi presupposti incominciò all’inizio degli anni ‘90 l’ascesa economica della tigre celtica.

La tigre celtica ruggisce
Il primo elemento della crescita fu un'efficace riduzione delle spese pubbliche con tagli ad enti pubblici e agenzie. Un secondo elemento di forza del piano d’azione furono poi gli aumenti salariali, in cambio di modeste riduzioni delle imposte sul reddito. Questi sono gli anni del National Recovery Program, un piano economico che coinvolgeva il governo, i datori di lavoro, le banche, i sindacati e gli agricoltori. Questo piano di rilancio ha contribuito a spezzare la spirale di aumenti salariali inflazionistici, assicurando un fertile terreno per il rilancio industriale, intraprendendo iniziative per promuovere gli investimenti delle imprese estere. Altro fattore fondamentale è stato inoltre l’assiduo investimento in capitale umano nel corso degli ultimi decenni, così da avere una forza lavoro di lingua inglese e cultura anglosassone ben preparata e con livelli d’istruzione maggiori e migliori di quelli presenti negli USA e nel Regno Unito, unitamente ad un livello di tassazione favorevole agli investimenti esteri e allo stanziamento d’imprese high-tech. Basti pensare che l’imposta sulla produzione era appena del 10% prima del 1998 per poi si muoversi ad un più elevato tasso del 12,5% fino al 2011. Certezze di lungo periodo associate a questi bassi tassi sono state la caratteristica fondamentale della politica irlandese, che è stata attuata in modo coerente da tutti i governi durante il boom. Il vantaggio per le imprese, dato dalla bassa pressione fiscale, è stato arricchito da una vasta rete di accordi, dal trattamento favorevole dei dividendi stranieri e dal supporto delle norme amministrative.
L’effetto dei bassi tassi è stato evidente nella percentuale relativamente elevata di entrate fiscali ricevute da utili societari: il 30%. A paragone l’imposta sul reddito societario rappresenta solo il 13% di tutte le entrate fiscali in Italia rispetto al 6% negli Stati Uniti, o l’8% nel Regno Unito, 7% in Francia, 3% in Germania, e il 9% nei paesi OCSE presi nel complesso. Tutti questi fattori hanno portato varie società multinazionali ad utilizzare l’Irlanda come piattaforma di esportazione per servire l’Europa e altri mercati (e.g. Google, tra le tante).

La crisi
Come accennato nell’introduzione, la crisi in Irlanda era già iniziata nel 2007, nel settore edilizio, con lo scoppio della bolla speculativa domestica. Sempre nell’incipit si diceva che le basi di questa crisi sono legate strettamente al periodo di boom degli anni della Tigre celtica; a tal proposito occorre analizzare gli aspetti salienti che hanno portato alla bolla speculativa durante il boom economico: la piena occupazione, la crescita del reddito pro-capite, le politiche fiscali del governo, il comportamento di banche ed investitori, in particolare nel settore immobiliare.
Nel 1989 solo il 31% della popolazione irlandese aveva un lavoro, il più basso livello d’occupazione dei paesi OCSE, di ben 15% più basso degli USA o del Regno unito. Con la presenza di buone politiche economiche e di una combinazione di stabilità macroeconomica e crescita l’economia irlandese era diventata una macchina di creazione di posti di lavoro arrivando alla piena occupazione.
L’occupazione è cresciuta ad 1,1 milioni di occupati la fine degli anni Ottanta a 2,1 milioni nel 2007. In Irlanda negli anni Novanta questa macchina di creazione di posti di lavoro funzionò grazie all’impiego della mole di giovani che in passato si sarebbe avviata verso l’emigrazione o si sarebbe barcamenata tra le difficoltà della disoccupazione.
Già all’inizio del nuovo millennio v’erano diversi sentori che l’era della Tigre celtica fosse al tramonto. Intorno al 2000 la popolazione irlandese aveva un reddito medio molto più alto di quello percepito nei anni Ottanta. Nonostante ciò molti aspetti strutturali del paese, ma anche economici, riflettevano il suo passato povero: le scarse infrastrutture stradali ed i limitati servizi di trasporto pubblico sono inferiori rispetto agli standard internazionali. In particolare proprio il settore abitativo era uno dei più arretrati, soprattutto in rapporto alle nuove esigenze demografiche, con una popolazione in crescita non più emigrante e per di più arricchita, quindi con esigenze abitative maggiori. Il livello di superfici delle case e di spazio domestico per famiglia era negli anni Novanta il più basso di tutta l’Unione europea. Soprattutto i giovani, i più avvantaggiati dal boom, avevano maggiori esigenze abitative e con l’aumento dell’occupazione questi si trovavano già giovani nella possibilità di acquistarsi una casa. Ciò unito all’arretratezza e alla limitatezza abitativa dell’isola, con case e appartamenti vecchi di molti decenni, portò il paese ad un boom edilizio senza precedenti con nuove case e quartieri cresciuti in pochissimi anni. Basti pensare che nel 1991 c’erano 1,2 milioni di abitazioni in Irlanda, gradualmente aumentate a 1,4 milioni nel 2000, e arrivate durante il boom edilizio a 1,9 milioni nel 2008, praticamente quasi raddoppiate in 17 anni. E’ chiaro che anche i prezzi delle case e delle rendite immobiliari si sono mossi proporzionalmente più che raddoppiando negli stessi anni; rendendo "il mattone" un settore fondamentale dell’economia. Da qui si sviluppa il boom immobiliare e la consecutiva bolla speculativa conosciuta come Irish property bubble. Con un’economia in costante crescita e in permanente piena occupazione, molti dei lavoratori impiegati nel settore edile venivano dall’estero, in particolare dai nuovi paesi orientali della Ue, costituendo il primo nucleo di immigrati in Irlanda.
Nell’anno 2007 il settore edilizio-immobiliare occupava il 13,3% degli occupati, il più alto dei paesi membri del OSCE, e ad esclusione della Spagna e Portogallo era di 5 punti percentuali più alto della media dei paesi OSCE stessi.
Data l’alta redditività ed i facili crediti ottenuti dal settore bancario il mercato immobiliare si era scaldato molto velocemente dopo il 2000, portando ad una crescita dell’offerta smisurata; proprio questa crescita è stata capace, in una prima fase intorno al 1995, di mantenere i prezzi, sì crescenti, ma relativamente contenuti nonostante la fortissima domanda nel mercato immobiliare. In una seconda fase, la costante accelerazione nella crescita della domanda di abitazioni, supportata da una riduzione delle imposte sul reddito, portò ad una situazione di squilibrio del mercato: si era costituita così una combinazione di offerta e domanda altissime ma con un surplus costane della domanda capace di mantenere i prezzi moderati. Il risultato di tutto questo era una miscela di crescita edilizia e di crescita dei prezzi con un’economia sempre di più dipendente dal settore edilizio; è chiaro che così i prezzi delle case erano spinti sempre di più da una bolla speculativa: se nei primi 10 anni dell’era della Tigre celtica i prezzi delle abitazioni crescevano in proporzione alla crescita del reddito e dell’economia, nel periodo 1997-2007 invece essi erano sganciati da qualsiasi variabile macroeconomica reale.
Questa significativa sopravvalutazione superò il 30% intorno al 2006-2007.
Mettendo insieme i tasselli, possiamo concludere che le cause che portarono allo scoppio della bolla speculativa furono essenzialmente: il sopravvalutato valore immobiliare delle abitazioni, il lento declino della crescita demografica dopo il 2000 (quindi in prospettiva il conseguente declino della domanda), ed infine la troppo ottimistica visione circa le prospettive di continua crescita dell’economia irlandese. Da queste condizioni, unite alla forte partecipazione alla speculazione degli istituti bancari irlandesi, e ad evidenti errori e ritardi nella gestione politica – disinteressata rispetto al mercato immobiliare, a giudicare dai rari ed inefficaci tentativi di raffreddarlo – è esplosa nel 2007 la bolla speculativa, in parallelo all’analoga bolla statunitense.
Dopo il tonfo dei prezzi, la crisi è andata ad intaccare il settore bancario e finanziario, quando nel 2008 è iniziata la crisi finanziaria globale.
Interessante è notare che in Irlanda nonostante la presenza di numerosi istituti finanziari d’investimento internazionali, attivi con il finanziamento di numerose operazioni d’investimento, quei complessi strumenti finanziari che durante i primi giorni della crisi del 2008 sono diventati i cosiddetti "junk bonds", ovvero titoli spazzatura, non erano molto diffusi e non hanno quasi preso parte alla crisi bancaria dell’isola: la crisi delle banche irlandesi è stata per lo più un fenomeno legato alla mancanza di controllo e regolamentazione interna sulle concessioni di credito da parte delle banche.
Nel caso irlandese, la scarsa attenzione riguarda soprattutto la mancata applicazione delle raccomandazioni contenute nel protocollo di Basilea II circa la vigilanza sulle banche in relazione alla concentrazione di rischio di credito.
Prestando a interessi minimi e senza reali garanzie, negli anni del boom le banche hanno ingozzato l’economia e gli irlandesi di mutui e di debiti; al sopraggiungere della crisi e della flessione del prezzo delle case, migliaia di debitori si sono scoperti insolventi: è qui che sfocia della crisi bancaria. Così il governo di Dublino dopo alcuni tentennamenti, annunciò una ricapitalizzazione da 10 miliardi di euro delle maggiori banche; a fine settembre l’Irlanda è stata uno dei primi paesi a intervenire per arginare la crisi finanziaria annunciando che il Governo avrebbe garantito tutti i depositi bancari per due anni, per una cifra potenziale di 440 miliardi di euro. La notizia ha inizialmente fatto volare i titoli delle banche irlandesi dopo forti ribassi, ma le critiche degli analisti sulla mancanza di dettagli del piano hanno poi frenato i rialzi. La principale azione in tal senso è stata la nazionalizzazione della Anglo Irish Bank, il terzo istituto di credito in Irlanda, e quello maggiormente esposto nel Irish property bubble, nazionalizzata dal governo all’inizio del 2009.
Le conseguenze della crisi susseguitesi nei mesi del 2009 sono aspre: una recessione al -7,5%; un tasso di disoccupazione al 13,8% nel 2009 (12,5% nel marzo 2010); deflazione al 6,5% nello stesso 2009; un aumento del debito pubblico da 33,6 miliardi di euro a 40,46 miliardi di euro, per fortuna contenuto ad un rapporto deficit-PIL del 63,7% dato il già livello basso pre-crisi. In risposta, lo Stato si è impegnato a tagliare la spesa pubblica per una quota da primato, tra il 15% e il 20% entro il 2014, con difficili scenari per tantissimi cittadini che si trovano nelle fasce più disagiate della società.

Conclusione
Qualcosa si può imparare osservando la situazione irlandese. L’insegnamento che emerge è su tre livelli. In prima analisi la crisi in Irlanda mostra i limiti del sistema finanziario: esso è troppo facilmente soggetto a spirali speculative quando si lo surriscalda eccessivamente. In seconda battuta il sistema bancario, nell’offrire credito alla mole degli investitori e piccoli risparmiatori, tende a sottovalutare il reale rischio degli investimenti, ed è preso da una miope euforia creditizia, valutando il rischio su basi troppo di breve periodo; su questo punto occorrono regole più chiare ed incisive. Terzo punto: anche gli agenti economici ed i policy makers cadono troppo facilmente in una situazione di illusione miope circa l’andamento economico, basata su un eccesso di fiducia sulla durevolezza di una crescita - soprattutto se è una crescita con “tassi asiatici”, come lo è stata quella irlandese. Complessivamente si nota la forte tendenza in molti paesi, soprattutto in quelli che fino a ieri si trovavano al margine della vita economica mondiale ed europea, nell’attuare politiche molto vantaggiose per il reperimento di ingenti capitali ed una forte rapida crescita in poco tempo; valutando poi troppo nel breve periodo gli sviluppi prospettici di tale crescita e le conseguenze delle politiche che vi ci hanno portato. Una maggiore attenzione delle dinamiche complessive macroeconomiche e migliori politiche di raffreddamento di spirali speculative sarebbero un mezzo per prevenire meglio, o almeno limitare gli effetti dannosi di crisi inaspettate come quella irlandese.
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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda flaviomob il 13/11/2010, 12:31

Che cosa succederà quando scoppierà la bolla cinese? Un'altra crisi economica planetaria?


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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda ranvit il 13/11/2010, 13:53

flaviomob ha scritto:Che cosa succederà quando scoppierà la bolla cinese? Un'altra crisi economica planetaria?


SI!
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda trilogy il 13/11/2010, 21:22

flaviomob ha scritto:Che cosa succederà quando scoppierà la bolla cinese? Un'altra crisi economica planetaria?


guarda cosa sono capaci di fare i cinesi:


http://www.youtube.com/watch?v=Ps0DSihg ... r_embedded
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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda franz il 14/11/2010, 10:44

flaviomob ha scritto:Che cosa succederà quando scoppierà la bolla cinese? Un'altra crisi economica planetaria?

Non credo,
si pensava la stessa cosa per l'economia giapponese. Scoppierà? Non si è assestata.

Per prima cosa non è detto che sia una bolla.
Per bolla si definisce un eccesso di domanda di un determinato bene o servzio.
Vedere http://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_speculativa

Quella Cinese è semplicemente un'economia emergente.
Crescerà e crescerà ma diminuirà il tasso di crescita fino a quando diventerà pari a quello dei paesi occidentali normali (2-3%).
Poi ci saranno altre economie ergenti che prenderanno il posto del BRIC.

Il tema è molto ben sviluppato e discusso qui: http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/2033

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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda trilogy il 14/11/2010, 22:20

Si preannuncia una settimana movimentata sui mercati :roll:


Pressing tedesco: l'Irlanda accetti il salvataggio Ue. Fuga di cervelli, un laureato su cinque va via
14 novembre 2010
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... d=AY7XrhjC

Si fa più insistente il pressing della Germania sull'Irlanda, perchè il Paese accetti di ricorrere al Fondo di aiuti predisposto dall'Unione europea. Secondo quanto riporta l'agenzia Bloomberg, un funzionario governativo tedesco, che ha preferito rimanere anonimo, ha confermato che Berlino sta tentando di convincere Dublino ad accedere al Fondo prima dell'Eurogruppo di martedì 16 novembre, in modo da ridurre la volatilità dei mercati.


Secondo il Sunday Times, però, il ministro delle Finanze irlandese, Brian Lenihan, ha intenzione di resistere in ogni modo alle pressioni che gli arriveranno in sede di Eurogruppo. Sempre il quotidiano londinese, riporta che, nell'ambito delle prime trattative su un possibile ricorso dell'Financial Stability Fund, sarebbe stato chiesto all'Irlanda di aumentare la tassa sulle società, attualmente ferma al 12,5%.

Il Fondo Monetario Internazionale peraltro si è detto disposto ad assistere l'Irlanda, se necessario, ma di non avere ricevuto ancora alcuna richiesta in tal senso: lo ha reso noto il direttore dell'Fmi, Dominique Strauss-Kahn, intervistato a margine del forum economico dell'Asia-Pacifico (Apec).

Nonostante le rassicurazioni del governo di Dublino, secondo quanto pubblicato ieri dal quotidiano britannico The Times l'Ue avrebbe già preparato un piano di aiuti per 80 miliardi di euro.

L'Irlanda, dove un laureato su cinque cerca lavoro all'estero, si appresta a votare una drastica legge finanziaria che prevede un giro di vite di 6 miliardi di euro, prima tappa di un programma d'austerità da 15 miliardi di euro in quattro anni che dovrebbe riportare il deficit pubblico dall'astronomico livello del 32% di quest'anno a meno del 3% nel 2014.


PORTOGALLO: MINISTRO ESTERI, RISCHIAMO DI USCIRE DA EURO - 14.11.10
http://www.blitzquotidiano.it/home.php? ... id=1001223

(AGI) Lisbona - Senza una grande coalizione di governo il Portogallo rischia di dover uscire dall'euro. L'allarme lo lancia il ministro degli Esteri, Luis Amada, in un'intervista pubblicata ieri dal settimanale Expresso. Secondo Amado maggioranza di governo e opposizione devono fare ulteriori sforzi per fronteggiare una "situazione estrema". "Abbiamo bisogno di una grande coalizione che ci permetta di superare la fase attuale - dice il ministro - Credo che i partiti debbano rendersi conto che l'alternativa a questa situazione e' una possibile uscita dall'euro. Questa e' una situazione che i mercati potrebbero costringerci a prendere in considerazione". I socialisti sono alla testa di un governo minoritario e i socialdemocratici all'opposizione guidano tutti i sondaggi, ma la costituzione impedisce che si possa andare al voto prima di maggio.
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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda flaviomob il 19/11/2010, 13:13

E dopo Irlanda e Portogallo... sotto a chi tocca... 'A noi!'


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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda franz il 19/11/2010, 14:21

flaviomob ha scritto:E dopo Irlanda e Portogallo... sotto a chi tocca... 'A noi!'

Come vedi i titoli tossici sono dove meno te li aspetti. Ed è proprio per questo che sono tossici.
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Re: Nuove tensioni sui mercati finanziari

Messaggioda trilogy il 23/11/2010, 14:26

fonte: http://it.finance.yahoo.com/notizie/Irl ... 5.html?x=0

Tutti, tranne un gruppo ristretto di banchieri e politici corrotti, sanno benissimo che l'Irlanda dovrebbe essere lasciata al suo triste destino: la bancarotta. Invece il governo - peraltro traballante dopo l'annuncio dei Verdi di voler lasciare l'esecutivo - sta spingendo il paese in una posizione sempre piu' difficile, dove le tensioni sociali sono ai massimi livelli e potrebbero sfociare in un conflitto sociale tous court, a conferma che gli interessi della sua gente sono l'ultima cosa di cui chi amministra a Dublino si preoccupa.

L'unica cosa che interessa all'amministrazione e' conservare quello che oggi e' ormai dimostrato essere un modello fallimentare (lo dice anche JPM), e impedire che tutte le principali banche tedesche e inglesi subiscano perdite. Parola dell'investitore Jim Rogers che in un'intervista a RT sostiene che lasciare fallire il paese "sarebbe come impartire a tutti una bella lezione, e alla fine l'Europa per questo ne uscirebbe piu' forte e con essa l'euro". "Non si possono spendere somme di denaro impressionanti - continua il presidente di Rogers Holding - che non si hanno e che qualcun altro deve pagare. E' ridicolo. In futuro l'Irlanda sara' paralizzata perche' tutto quello che guadagna andra' per pagare il debito vecchio.

"Non vi e' alcun motivo per cui i contribuenti in giro per l'Europa o in Italia debbano pagare per gli errori degli altri. Gli obbligazionisti e gli azionisti delle banche dovrebbero perdere soldi non i contribuenti". E' cosi' semplice, eppure cosi' irrilevante quando si tratta di un modello economico morente.
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