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VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda franz il 24/10/2010, 9:01

INTERVISTA A VELTRONI
"C'è una maggioranza silenziosa e stanca"
«L'invito a contestualizzare le bestemmie di Berlusconi segna la crisi terribile della Chiesa»

INTERVISTA A VELTRONI

ROMA - «Siamo stati gli italiani che andavano a Firenze per salvare le persone e i libri dall'alluvione. Era l'Italia dei ragazzi del 1966, in fondo figli dei ragazzi del 1945. Eravamo un paese generoso, altruista, solidale. Oggi siamo il paese di quelli che si fanno fotografare ad Avetrana davanti alla casa dov'è stata assassinata una ragazza di quindici anni, o di quelli che si scansano di fronte a una donna colpita a morte nella metropolitana di Roma. È accaduto sul serio questo passaggio? O questo passaggio è nel racconto dell'Italia? Il paese si è trasformato davvero, o si è trasformato il modo in cui viene descritto, narrato, in cui si selezionano le cose importanti?».

Secondo lei, Walter Veltroni?
«Non ci si può stupire se oggi l'Italia, con i suoi efferati fatti di cronaca o con la povertà del suo dibattito politico, mostra un volto che a ciascuno di noi dà ansia e amarezza. Alla domanda "si può vivere senza valori?" lo spirito del tempo ha risposto sì. Invece non è vero. Non si può vivere senza valori. E non mi rassegnerò mai all'idea che gli unici valori per un paese come il nostro fossero quelli racchiusi nelle ideologie del Novecento. Un paese senza valori è un campione senza valore: una scatola vuota, un guscio di anime sostanzialmente finite, un mondo di passioni tristi, una competizione senza regole. Ed è questo che si è voluto. In tutti questi anni si è fatto un genocidio dei valori. Si è animato, per pure ragioni quantitative – i voti, l'auditel –, un paese dominato dalla paura. C'è un bellissimo libretto di Andrea Kerbarker, dedicato alle finte minacce con le quali abbiamo convissuto in questo passaggio di secolo. La vita di tutti noi è dominata dalla paura. Paura di qualsiasi cosa. Paura di malattie misteriose: talvolta riaffiorano persino pesti millenarie dal profondo della storia. Paura della tecnologia. Dello sviluppo. Della crescita. Soprattutto, paura dell'altro. Quell'altro che, quando lo vediamo in televisione, racconto del mondo globalizzato, ci fa sentire onnipotenti, ma quando si materializza davanti a noi ci spinge a considerarlo un pericolo».

La paura non è causata anche dalla crisi mondiale?
«Certo, la paura è figlia anche dell'insicurezza sociale, di un mondo senza garanzie, di ragazzi che crescono avendo timore del futuro e non voglia di futuro. Forse per questo nel 1966 andavano a salvare il passato, e ora vanno a farsi fotografare nell'orrore. Questa insicurezza inevitabilmente genera un'ansia di vivere e sottrae quella voglia di conquistare il futuro che è tipico, persino biologicamente, di una generazione. Paura e insicurezza producono egoismo sociale. È il mondo del "nimby", not in my backyard: fate quel vi pare, ma lasciate perdere il mio giardino. È il paradosso della globalizzazione: da una parte la Cnn, l’I-pad, la Rete; dall'altra un mondo sempre più piccolo, in cui la vita è concentrata nel quartiere, nelle relazioni familiari, dove tutto quel che succede sembra essere un terremoto, visto che non c'è niente di grande fuori che ti faccia mettere le cose nella giusta gerarchia. Non è vero che un mondo senza speranze collettive è più libero e felice; è un mondo più violento. E quando nella storia hanno prevalso le paure - pensiamo all'avvento del nazismo -, si sono fatte strada le soluzioni più devastanti. L'idea che l’altro sia un pericolo ha sempre generato violenza, e questo contrasto tra un mondo grande che si vede in tv e da cui dipende in forma incontrollabile il tuo destino, dall’11 settembre alla crisi finanziaria, e di un mondo bonsai che è quello di un localismo egoista, figlio del rifiuto di una dimensione di relazione sociale e solidale, non può che portare alla barbarie. E persino a rischi per la democrazia».

Di chi è la colpa? Certo non solo della destra.

«Tutti hanno responsabilità in questo. Tutti hanno pensato che i valori fossero roba buona per i poeti e i visionari, e non ossigeno per la convivenza comune. C'è una crisi dei partiti, che parlano solo di se stessi. C'è una spaventosa crisi della scuola, che non riesce a interpretare i bisogni di una generazione figlia di una società frantumata. C'è una crisi terribile della Chiesa: quando ho sentito dire per giustificare Berlusconi da parte di un uomo di Chiesa che anche le bestemmie vanno contestualizzate, ho pensato che forse il processo di secolarizzazione è andato oltre i confini immaginabili. Un paese è anche figlio della sua storia. La rimozione del valore della Resistenza, ormai messa sullo stesso piano di chi aveva continuato l'avventura del fascismo, così come le difficoltà a riconoscere il valore fondativo del Risorgimento e dell'unità d’Italia, raccontano un altro degli elementi di questa cancellazione dei valori».

La televisione come la trova?
«La televisione, la Rete, Facebook sono i luoghi dove il mondo appare. Più il mondo si fa piccolo, più compare attraverso la tv. La ragazza di Avetrana che probabilmente ha contribuito a uccidere sua cugina, e che ha mentito a tutte le trasmissioni tv cui partecipava senza alcun pudore, che quando è stata portata in carcere sembra aver chiesto cos'hanno detto i tg, è il prodotto di un tempo in cui si sono spogliati gli esseri umani di altre ambizioni se non quella di apparire, di essere in tv per dimostrare di essere al mondo. Non sembri un atteggiamento del passato; ma io penso che una società senza pedagogia sia una società morta. Che sia morta una società senza maestri, senza una trasmissione di esperienza, di sapere, di conoscenza che dia a ciascuno degli orizzonti di interesse, di avventura, di scoperta che oggi appaiono assolutamente limitati. Per questo penso che la tv non debba rinunciare a questa ambizione. Tutto è quantitativo nella società moderna, il Pil come l'Auditel, e nulla è qualitativo. Sono convinto che si dovrà trovare uno strumento di rilevazione dello stato di salute di una società diverso dal éil. Qualità dell’educazione, qualità dell'aria, pluralismo informativo, stabilità sociale: esistono tanti altri fattori che una società moderna dovrà trovare il modo di misurare. La stessa cosa vale per la televisione».

Si riferisce in particolare alla Rai?
«Quando il servizio pubblico televisivo fa "L'Isola dei famosi" smette di essere se stesso. C’è qualcosa che viene prima della miseria in cui il direttore generale della Rai ha cacciato l'azienda in questi mesi, dando l'impressione di una volontà di normalizzazione unidirezionale. Il servizio pubblico dovrebbe cercare proprio quello che sembra voler cancellare, cioè la diversità dei linguaggi, degli approcci. Non dovrebbe preoccuparsi dell'omogeneità di quello che offre al pensiero di chi momentaneamente governa. Dovrebbe aiutare l’intelligenza collettiva del paese».

Berlusconi cita spesso l'elenco delle trasmissioni e dei personaggi tv che considera di sinistra: Santoro, Floris, Fazio, Saviano, Dandini, Gabanelli…
«A me non interessa tanto il punto di vista politico. È evidente che il pluralismo politico è necessario. Mi interessa la qualità culturale. Ovviamente giudicare non spetta a me, come a nessun uomo politico. Tranne qualche eccezione, però, è evidente che non c'è più creatività. La tv è una specie di format universale: tutti i programmi sono uguali. Andiamo verso un mondo di città fatte di centri commerciali, di case piene di mobili Ikea, di tv monopolizzate da Grandi Fratelli, di strade percorse da persone con l'iPad in mano. Un mondo terribilmente uniforme e omogeneo, che tende a cancellare tutti gli elementi di diversità. Eppure la tv è il regno della diversità. Ci sono stati momenti molto belli nella storia della televisione italiana: la rete Due di Massimo Fichera, la rete Tre di Angelo Guglielmi, la rete Uno di Emanuele Milano. Ci sono stati momenti nei quali la tv pubblica ha saputo accompagnare il paese nella sua crescita, non assecondarlo nei suoi difetti. Per questo penso che la Rai abbia bisogno di un profondo, radicale cambiamento, probabilmente persino nei meccanismi di finanziamento».

Pensa alla rinuncia alla pubblicità?
«Con una normativa antitrust che riguardi il privato e regoli il conflitto di interessi come si fa in ogni società liberale, si può pensare a un canone esigibile attraverso la bolletta elettrica, in modo da stanare gli evasori. A quel punto il servizio pubblico dovrebbe essere liberato dal dominio dell'Auditel, rimettendo in circolo risorse pubblicitarie, a condizione che non vadano all'oligopolista privato e cioè Berlusconi. Noi abbiamo bisogno che ci sia più tv, la più diversa possibile; che la Rai torni a produrre e creare, non solo ad acquistare format degli altri. Tutto questo sarà possibile solo se la Rai riuscirà a liberarsi dal dominio dei partiti».

Ma anche la sinistra ha lottizzato la Rai.
«Da anni sostengo che occorre nominare un direttore generale, il cui mandato sia a cavallo di due legislature e che abbia pieni poteri. Se oggi al vertice ci fossero Franco Bernabé o Enrico Bondi, avendo al fianco persone con una competenza specifica sul prodotto, io penso che la Rai uscirebbe dai guai imbarazzanti in cui si trova oggi».

Un "governatore" della Rai?
«Non certo una figura autocratica; una persona che senta di dover rispondere non a chi l'ha momentaneamente nominato, ma al paese. E che abbia una missione: far crescere la qualità della vita culturale italiana. Purtroppo questo paese è dominato dal passato. E il passato è pieno di buchi. Cercare di capirlo è doveroso e affascinante; ma procura anche angoscia il pensiero che siano stati condannati solo ora i responsabili della strage di piazza della Loggia a Brescia, che è avvenuta nel 1974. Noi ci stiamo occupando delle stragi del '92 e del '93, un momento cruciale della recente storia italiana. Ma il passato è aggrappato alle gambe di questo paese, e gli impedisce di correre verso il futuro. In Inghilterra hanno presentato una manovra di tagli da quasi novanta miliardi di sterline, ma non hanno fatto un taglio lineare; hanno tagliato l’economia, la difesa e gli esteri e non hanno tagliato la scuola».

L'ha fatto un governo conservatore.
«Sì. Consapevole però che se non si investe sul sapere e sulla conoscenza i paesi europei sono destinati a essere schiantati dalla concorrenza del mondo globalizzato. Se non si investe sull’ambiente, sulla qualità di uno sviluppo compatibile, non ci si può dire un paese moderno. Se i ricercatori italiani vanno all’estero, se la scienza e la ricerca sono considerate meno importanti di Masi, l’Italia non avrà futuro. Il futuro del paese deve diventare l'assillo delle persone responsabili. Credo che, alla fine di questo insopportabile incubo in cui ci tocca vivere, fatto di dossier, litigi, divisioni finte e vere, interessi personali, vincerà chi saprà razionalmente dire al paese: è arrivato il momento di fare quei cambiamenti che l'Italia non ha mai conosciuto nella sua storia; ricostruiamo quel sistema di valori, il cui perno è racchiuso in una serie di parole-chiave».

Quali sono?
«La prima è comunità. Allo smarrimento del mondo, e dell'Occidente in particolare, si può reagire con l'arroccamento egoistico, con il localismo identitario. O si può reagire con lo spirito di comunità. Non c'è nulla di male se in questa grande confusione ciascuno cerca in una dimensione più minuta il senso delle cose. Nulla di male se questo avviene in uno spirito di comunità, come lo pensava Adriano Olivetti. Dovremo darci un modo di vivere della democrazia che riconosca questa dimensione comunitaria. Dovremo accentuare gli elementi di autogoverno e di responsabilizzazione«.

Il federalismo fiscale non è proprio questo?
«Ma oggi viene visto esattamente al contrario dello spirito comunitario: ognuno faccia come gli pare a casa sua, liberiamoci degli zaini. Il federalismo può diventare uno strumento utile. Ma nella dimensione culturale in cui viene pensato dalla Lega, finisce per rafforzare le burocrazie e gli elementi di pesantezza, di lentezza. Invece occorre aumentare lo spazio della sussidiarietà e della società civile. La politica deve ritrarsi dagli spazi inopinatamente invasi, e riaffermare orgogliosamente un ruolo di guida che ha perduto”.

E le altre parole-chiave?
«Inclusione. La capacità di includere culturalmente, socialmente, religiosamente, per evitare che le separazioni e le esclusioni diventino, come stanno diventando in Italia e altrove, intolleranza o violenza. Pensiamo al successo dei partiti neonazisti in Europa, al revanscismo di una destra sparita da decenni dalla storia americana che ora riappare in una campagna elettorale particolarmente violenta. La terza parola-chiave è merito: ciascuno ha il diritto di essere giudicato per il merito di quello che fa. Tutte le forme di “6 politico” sono gigantesche ingiustizie sociali. Diamo a tutti opportunità, ma a ciascuno il confronto con il merito di quello che realizza. Il più bel giornale italiano, che si chiama Internazionale, ha ripubblicato un articolo di "The Atlantic": due bambini americani frequentano due classi diverse, e se ne segue l'evoluzione misurando i progressi dell'uno e le difficoltà dell’altro in relazione alla capacità e alla passione dei due differenti maestri. Il merito è il contrario della logica italiana delle raccomandazioni e dell’egualitarismo lottizzato. La quarta parola è creatività. L’Italia ha dentro di sé grande talento. Ma il paese non accompagna e non aiuta chi ha l’ambizione di creare. Penso alla frase di Tremonti, per fortuna smentita, secondo cui "la cultura non si mangia". Infine, l’ultima parola-chiave è legalità: rispetto delle regole del gioco, rispetto della concorrenza, rispetto degli altri. Penso che da un paese smarrito, angosciato, malato come il nostro si debbano estrarre le virtù civili».

Colpa solo di Berlusconi?
«La colpa storica di Berlusconi è aver assecondato i difetti dell’Italia e aver combattuto le sue virtù civili. Credo che oggi esista una maggioranza silenziosa degli italiani che si è stufata di questo paese immobile e rissoso e vorrebbe occuparsi di cose serie, che vorrebbe avere un'Italia unita e dinamica, che vorrebbe respirare un'aria di diritti e di doveri. Questa maggioranza merita per una volta nella storia di diventare anche maggioranza politica».

Aldo Cazzullo
23 ottobre 2010(ultima modifica: 24 ottobre 2010) www.corriere.it
Ultima modifica di franz il 24/10/2010, 12:02, modificato 1 volta in totale.
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda Giorgio Graffieti il 24/10/2010, 9:37

che dire... un'altra volta ancora sono d'accordo con Veltroni.

Forse un po' troppo pessimistico... la generazione del '66 non era tutta a Firenze come quella del 2010 non è tutta ad Avetrana. Dobbiamo leggere la realtà senza divenire vittime delle stesse cose che denunciamo. Se per la televisione passano solo le immagini di Avetrana, non vuol dire che Avetrana sia la realtà.... o meglio, la sola realtà.

E a ben vedere lo stesso Veltroni lo evidenzia con una contraddizione... se, cioè c'è una maggioranza silenziosa stanca, vuol dire che la rappresentazione di Avetrana come lo specchio dei valori presenti nella generazione del 2010 è palesemente errata.... o molto parziale.

ps) non mi sembra un'intervista di Repubblica, ma del Corriere
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda franz il 24/10/2010, 12:03

Giorgio Graffieti ha scritto:E a ben vedere lo stesso Veltroni lo evidenzia con una contraddizione... se, cioè c'è una maggioranza silenziosa stanca, vuol dire che la rappresentazione di Avetrana come lo specchio dei valori presenti nella generazione del 2010 è palesemente errata.... o molto parziale.

ps) non mi sembra un'intervista di Repubblica, ma del Corriere

Si, anche io ho notato la contraddizione ma non credo sia di veltroni. ^la realtà che è complessa, contraddottoria, articolata.

Franz
PS: grazie della segnalazione. ho corretto l'errore.
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda pierodm il 24/10/2010, 12:19

Viene spontaneo l'accostamento tra questa intervista e il discorso di Vendola.
Entrambi usano immagini e linguaggi che possiamo definire "lirici", e densi di ispirazioni letterarie.
Ma c'è una differenza fondamentale tra i due: Vendola sembra muoversi da una sfera poetica per trasformare la sua ispirazione in visione politica, mentre Veltroni sembra percorrere un tragitto opposto, che finisce per sottrarre i valori dei quali parla alla sfera politica per proiettarli in una dimensione indefinita.
Quella dimensione indefinita che è ormai diventata la caratteristica dei discorsi di Veltroni e di una certa parte altrettanto indefinita del centro-sinistra.

I limiti di questa "indefinizione" sono - probabilmente non per caso - gli stessi che capita di riscontrare in alcune movenze della politica liberal e democratica americana, senza però che siano compensati dai pregi della cultura protestante e pragmatica che ne caratterizza il background: un'analisi facilmente condivisibile dell'insoddisfacente stato di cose in cui versa la società, delle degrado del sistema, dei fenomeni negativi, il tutto però lasciato appeso al nulla, come se tutto fosse conseguenza del destino o della sola imperfezione umana.
Quella che per la società americana è una rinuncia storica, una sorta di tratto distintivo - quella cioè di fermarsi alla denuncia, per timore di dover attraversare un "confine ideologico" - per Veltroni è una dichiarata conversione: dichiarata ma non per questo meno paradossale, e priva di contraddizioni, non solo sue personali.
Veltroni, insomma, per non essere ideologico, né più in odore di socialismo, né in sospetto di sinistrismo, con i suoi ragionamenti ci porta in un moralismo privo di dimensione, di "necessità" politica.
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda ranvit il 24/10/2010, 12:25

Ecco un altro bravissimo "chiacchierone" (Veltroni) : parla bene, dice cose in gran parte condivisibili, ma....poi non sa concretizzare. Succede spesso che bravi "pensatori" non sappiano poi trasformare in pratica le pur proprie idee. In realtà si tratta di figure diverse. Solo rarissimi casi contraddicono questa mia convinzione.

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Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda franz il 24/10/2010, 14:25

ranvit ha scritto:Ecco un altro bravissimo "chiacchierone" (Veltroni) : parla bene, dice cose in gran parte condivisibili, ma....poi non sa concretizzare. Succede spesso che bravi "pensatori" non sappiano poi trasformare in pratica le pur proprie idee. In realtà si tratta di figure diverse. Solo rarissimi casi contraddicono questa mia convinzione.

Vittorio

Siamo alle solite.
Molta analisi, condivisibili, a poche soluzioni proposte. Quasi nulla.
Si dipingono dei quadri a tinte fosche e vivaci, ma questo non basta a convincere una maggioranza a seguire un progetto di cambiamento.
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda Iafran il 24/10/2010, 16:34

franz ha scritto:Siamo alle solite.
Molta analisi, condivisibili, a poche soluzioni proposte. Quasi nulla.
Si dipingono dei quadri a tinte fosche e vivaci, ma questo non basta a convincere una maggioranza a seguire un progetto di cambiamento.

"Legalità": ultima fra le parole-chiave per Veltroni!
Poi la grande scoperta, a cui nessuno aveva mai pensato («La colpa storica di Berlusconi è aver assecondato i difetti dell’Italia e aver combattuto le sue virtù civili…»), che ha segnato "un'epoca" e che ha fatto tanta "scuola" fra i nostri politici (destra, sinistra, centro ... sotto e sopra), che ancora è dura a morire ... e che vorrebbe continuare ad "annebbiare la mente agli italiani".
Sarebbe stato meglio soffermarsi sui "difetti dell’Italia" (meglio sui suoi "cancri" sociali) che sono alla base delle disfunzioni del sistema Italia e delle sue enormi anomalie.

Solo a chi non è mai stato attento alle vicende italiane possono sfuggire le ragioni dell’ascesa del "capo", oppure ignorare le tante presenze reali, visibili ed invisibili, che combattono e tendono ad annullare le "virtù civili" del nostro Paese. L'analisi, come ha scritto pierodm ("facilmente condivisibile dell'insoddisfacente stato di cose in cui versa la società, delle degrado del sistema, dei fenomeni negativi, il tutto però lasciato appeso al nulla, come se tutto fosse conseguenza del destino o della sola imperfezione umana"), non può eccitare gli animi perché è carente, forse volutamente carente, che lascerà "la maggioranza silenziosa" allo stato in cui si trova.

Il malaffare, la delinquenza organizzata, la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta non abitano dalle nostre parti o sono le "onorevoli società" alle quali dover pagare dazio per governare il popolo italiano?

A tutti, forse, fa comodo spaziare con le analisi teoriche ma non certamente alla "maggioranza silenziosa degli italiani" - che fa quotidianamente i conti con la realtà che la circonda (vedi gli abitanti di Terzigno) - e che non ha avuto, finora, referenti validi nel mondo politico, o almeno quelli che ha avuto (fatta eccezione per qualcuno) hanno badato solo ad interessi "ristretti" e discutibilissimi.
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda franz il 24/10/2010, 16:53

Iafran ha scritto:"Legalità": ultima fra le parole-chiave per Veltroni! .

E' condizione necessaria, indispensabile, ma insufficente.
O vogliamo rispolverare il "partito degli onesti di La Malfa"? Che ad onore delle cronache, è stato un fallimento!
Qui siamo in presenza di tante analisi, anche ricche, complete, dotte, articolate, appassionate, accalorate.
Ma che lasciano il gusto vuoto ed amaro dell'incompleto, dell'incompiuto o del sogno inconcludente ed impotente.

Manca il catalizzatore.
L'elemento che unisce cose che prima erano separate i incongiungibili.
L'elemento che permette alla realtà di essere diversa.
Cosa diversa dall'elemento che permette al sogno di essere piu' bello e ben narrato.

Franz
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda Iafran il 24/10/2010, 17:15

franz ha scritto:Qui siamo in presenza di tante analisi, anche ricche, complete, dotte, articolate, appassionate, accalorate.
Ma che lasciano il gusto vuoto ed amaro dell'incompleto, dell'incompiuto o del sogno inconcludente ed impotente.

Fatto sta che "c'è una maggioranza silenziosa e stanca" non dimenticando che è anche "inc...ata".
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Re: VELTRONI: c'è una maggioranza silenziosa e stanca

Messaggioda pierodm il 24/10/2010, 19:17

Tanto per non generare equivoci: le analisi teoriche - le "chiacchiere", come sono amabilmente definite dal nostro masaniello - sono utili e spesso indispensabili, sia che si tratti della premessa o la promessa di un'azione, sia che si tratti della conseguenza e della premessa di altre analisi teoriche, di altri pensieri, di altre idee: la nostra è una società di esseri umani, non di formiche, ossia di esseri pensanti oltre che agenti.

Anche in politica l'offerta di "soluzioni" non può essere l'unico o il principale fattore discriminante di un discorso e di un'analisi, intendendo per "soluzioni" quelle pratiche: esistono problemi tecnici e problemi intellettuali, problemi di studio, che hanno una soluzione, o meglio uno sviluppo fatto di varie fasi, di diversi apporti che si aggiungono nel tempo.
Come dicevo, non siamo una società di formiche.

Qui siamo in presenza di tante analisi, anche ricche, complete, dotte, articolate, appassionate, accalorate.
Ma che lasciano il gusto vuoto ed amaro dell'incompleto, dell'incompiuto o del sogno inconcludente ed impotente


Infqatti, era a questo che alludevo nel mio post: il vuoto e l'incompiuto che si avevrte quando all'analisi (la premessa) non segue una conseguenza, un progetto, un'individuazione delle cause e dei soggetti: un'artista puè limitarsi a dipingere un quadro della situazione, e spesso i grandi artisti lo fanno con un senno profetico, poiché vedono sistuazioni che ancora non sono manifeste, o che sono mascherate da altri fenomeni.
In politica l'indicazione delle cause e dei soggetti, dei meccanismi e dei fenomeni non è un di più, ma è un fattore discriminante: le cosiddette "soluzioni" hanno le proprie radici in questo genere di indicazioni, le quali ne costituiscono la tassativa premessa.

Se si rimane nel vago, è politixcamente inutile, irrilevante parlare, per esempio, di "crisi del lavoro", o di disuguaglianze, o di degenerazione comunicativa, etc: e si rimane nel vago anche quando si fanno i nomi dei protagonisti di questi stati di crisi, e non se ne fa una questione di piccolo o grande sistema - limitarsi a fare i nomi dei protagonisti lascerebbe intendere che per rislovere il problema bisogna eliminare le persone o le aziende, il che non è precisamente un progetto politico.
Per essere chiari - e per non cadere nello stesso errore che rimprovero a Veltroni - io credo, e non da oggi, che questo a sinistra succede a chi ha deciso di dismettere ogni riferimento "ideologico", anzi, di fare di questa dismissione il proprio tratto distintivo.
Così facendo succede che si cade in quella condizione che a suo tempo descriveva un sociologo americano, Charles Wright Mills, che indicava nei liberali classici i detentori di una buona teoria delle istituzioni ma una mediocre teoria della società, e nei socialisti una migliore teoria della società e un'insufficiente teoria delle istituzioni: si cade in questa condizione, ma rimanendo a mezza strada, senza cioè una "teoria" della società, e senza una teoria delle istituzioni - perché "teria" somiglia troppo ad ideologia - il che equivale ad essere né liberali, né socialisti.

PS
Consiglierei agli amici del forum - che già non lo conoscessero - la buona lettura delle opere di Wright Mills, più che mai attuali, specialmente qui da noi.
pierodm
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