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L'Italia non è meritocratica

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda Iafran il 25/09/2010, 16:23

franz ha scritto:
Iafran ha scritto:Non tutti ritengono il Vangelo ... "Vangelo".

Già, ma le parabole, per definizione, ci raccontano una storia ed una morale.
"La parabola è un racconto breve il cui scopo è spiegare un concetto difficile con uno più semplice o dare un insegnamento morale". Che sia "Vangelo" oppure no, quella parabole fanno ormai parte della nostra cultura.

A me sembra che chi ha scritto questa "parabola" (2.000 anni fa, come minimo) abbia omesso di spiegare le modalità usate dai cosiddetti "servi" per far fruttare (o il modo di "impiegare") i talenti del padrone. Un uomo (il padrone) che doveva essere poco raccomandabile, forse un aguzzino ("Signore so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo"), che contava di raccogliere come minimo il lucro del prestito legale ("...sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse"). ('Mmazza che "senso" pratico!).
Per l'epoca, suppongo che i "talenti" potevano venire sfruttati o comprando le materie prime per fare prodotti artigianali o truffando nel commercio o facendo gli strozzini.
Il terzo forse non aveva capacità artigianali (forse neanche gli altri due) e non se la sentiva di ricorrere alle "pratiche" giudicate "meritorie" dal padrone, a costo di doversi privare delle sue "grazie" (un coraggio e una presa di posizione non usuale!).
Mi sembra che il servo "fannullone" (per il padrone) si sia messo fuori dall'ottica di quell'epoca ("... a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha").
Ne ha patito le conseguenze, però.
Non penso che oggi si debba biasimare!

La parabola forse conferma gli scritti di pierodm:
Non è scontato nemmeno il fatto che l'imprenditore privato sia in grado di assumere con competenza e con equità il ruolo di giudice verso i "meriti" dei suoi dipendenti.
Non si tratta solo dell'imperfezione umana, o della stupidità o dell'ignoranza, che non vengono meno solo perché un tizio è "imprenditore" - che nei rapporti con i dipendenti non rischia solo il suo capitale, ma mette a rischio o determina anche il destino di altre persone.
Io parlo di un'efficienza misurata su altri scopi diversi dal lavoro strettamente inteso, i quali possono sembrare astrusi o improbabili visti dall'esterno, ma che talvolta o magari spesso sono assolutamente reali e determinanti in certe situazioni: la bellezza o la disponibilità di una segretaria, la non-sindacalizzazione, l'obbedienza, la propensione alla delazione, o un atteggiamento che corrisponde al particolare punto di vista del "giudice" in materia di efficienza, ma che non ha alcun valore oggettivo.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda flaviomob il 25/09/2010, 17:50

La parabola dei talenti è una "ipotetica" parabola di Gesù, dato che chi ci ha tramandato i vangeli non era testimone oculare della predicazione di Cristo.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: La parabola dei talenti

Messaggioda bidellissimo il 25/09/2010, 17:51

franz ha scritto:Se mi permettete una piccola provocazione, vorrei introdurre una parabola dal Vangelo.
Si dice che Gesu' sia stato il primo cimunista della storia, altri dicono che sia stato il primo liberale.
La parabola che segue sembra andare nella seconda direzione.
Gesu' premia alcuni meriti e punisce in modo molto aspro (e disumano) altre mancanze di meriti.
Mi chiedo il nostro amico bidellissimo, che si dichiara religioso e cattolico (cosa che apprezzo e rispetto) dica di questa parabola in relazione dal discorso di premiare il merito e di punire chi non mette a frutto i propri "talenti".
Chiaramente anche altri possono dire la loro: non è una discussione solo con bidellissimo.
Franz
Matteo, 25,14 ha scritto: Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.

A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.

Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

La provocazione di Franz è simile a quella di un portiere che si vede il centravanti avversario davanti alla porta e gli va a mettere la palla sui piedi, lasciando la porta sguarnita.
Di tutte le parabole evangeliche quella dei talenti è quella più cara al mio cuore, quella alla quale riferisco sempre la mia vita e nella quale mi rifugio spesso con la meditazione.
Franz non considera un piccolo particolare: come tutte le parabole del Redentore, anche quella dei talenti allude al Regno dei Cieli, non a questo mondo. L'impegno da noi profuso nella crescita sarà premiato dal Padrone con la "p" maiuscola e soltanto da Lui, non dai padroncini terreni meritocratici. Se è vero che il Vangelo è un discorso organico ed unitario, la parabola dell'autogoal di Franz rimanda idealmente ad altri discorsi del Redentore, per esempio (visto che Franz ha citato Matteo): “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.”
“Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In realtà vi dico: hanno già avuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il tuo Padre nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.” (Matteo,6)
Se prendessimo il Vangelo alla lettera, senza alcuno "slargamento" interpretativo, Dio non vuole che si sommi ricompensa a ricompensa, quella terrena a quella Celeste. I credenti devono quindi avere a dir poco in uggia le premiazioni meritocratiche. In quest'ottica diventa più comprensibile un tale a me molto vicino che si laureò da giovane con lode e vinse una borsa di studio dopo la laurea. Sperava di fermarsi all'Università ma non aveva "appoggi". Si vide passare davanti persone ritenute da lui (ma anche dai baroni) meno meritevoli, perché protette. Dovette dire ciao alle speranze di assistentato, non si suicidò ed andò a fare il custode di beni culturali, fermandosi con gioia in questa posizione e qualifica per più di trenta anni, rifiutando tutti gli avanzamenti che il destino gli propose, e sognando addirittura di essere un bidello.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 25/09/2010, 18:09

Minchia, siamo tornati ai bidelli. Passando per Gesu' Cristo, San Matteo (patrono di Salerno) e noiosissime citazioni dal Vangelo....

Ci risiamo con il surreale?

Si vede che la politica italiana è proprio nella merda!

Vittorio
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda bidellissimo il 25/09/2010, 18:19

ranvit ha scritto:Minchia, siamo tornati ai bidelli. Passando per Gesu' Cristo, San Matteo (patrono di Salerno) e noiosissime citazioni dal Vangelo....

Ci risiamo con il surreale?

Si vede che la politica italiana è proprio nella merda!

Vittorio

Prima mi tormentate con dei quesiti e poi vi incazzate per le risposte...Ma perché leggete le cose inutili e surreali ? Avete proprio del tempo da perdere! Ma voi non lavorate mai? Io almeno sono a casa in riposo compensativo, per aver lavorato nei giorni di festa quando le aziende sono chiuse e le pinacoteche aperte.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 25/09/2010, 18:25

Mi parli con il "voi"'?

Comunque io non ti ho posto alcun quesito....nè lo farei mai.


Ho molto tempo.... sono in pensione da dieci anni. :lol:

Ciao, Vittorio
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 25/09/2010, 18:28

Iafran ha scritto:A me sembra che chi ha scritto questa "parabola" (2.000 anni fa, come minimo) abbia omesso di spiegare le modalità usate dai cosiddetti "servi" per far fruttare (o il modo di "impiegare") i talenti del padrone.

Probabilmente perché è ininfluente, nella parabola, il come.
Tra l'altro leggo che un talento era una vera e propria fortuna, pari una trentina di kg di oro e 20 anni circa di lavoro.
Con il termine "servo" allora non si intendeva tanto lo schiavo ma la persona, al tuo servizio, a cui affidavi un compito.
Iafran ha scritto:Per l'epoca, suppongo che i "talenti" potevano venire sfruttati o comprando le materie prime per fare prodotti artigianali o truffando nel commercio o facendo gli strozzini.

Che bel quadro, che riassume pregiudizi e scarsa conoscenza dei fatti. D'accordo che si sono sempre state attività illegali ma perché mai uno per raddoppiare la dotazione ricevuta dovrebbe per forza truffare o strozzinare?
A quei tempi c'erano vasti commerci lungo il mediterraneo, si potevano comprare campi e coltivarli, si potevano produrre cose da vendere. Perché vai subito a pensare ad attività immorali?
Iafran ha scritto:Il terzo forse non aveva capacità artigianali (forse neanche gli altri due) e non se la sentiva di ricorrere alle "pratiche" giudicate "meritorie" dal padrone, a costo di doversi privare delle sue "grazie" (un coraggio e una presa di posizione non usuale!).
Mi sembra che il servo "fannullone" (per il padrone) si sia messo fuori dall'ottica di quell'epoca ("... a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha").
Ne ha patito le conseguenze, però.
Non penso che oggi si debba biasimare!

Secondo me è superfluo ipotizzare le capacità artigianali di costoro.
Il messaggio è i primi due che hano ricevuto la somma "ciascuno secondo la sua capacità" si sono lanciati, hanno rischiato, hanno fatto qualche cosa ed hanno fatto fruttare il capitale affidato. Il terzo no. Non conosciamo le sue capacità ma sappiamo che per paura di rischiare e perdere tutto ha messo il talento sotto un sasso. Ritengo che se avesse rischiato e perso non sarebbe stato trattato cosi' duramente. Eppure anche il terzo aveva capacità, altrimenti non avrebbe ricevuto nemmeno un talento.
Viene punito perché non si è messo in gioco, non ha rischiato.

Un po' come l'avaro che per paura di perdere il suo tesoro lo mette sotto il materasso, lo tiene nascosto. In questo caso nella parabola Gesù premia chi investe e rischia (chi si industria, diremmo oggi ;) ) e punisce l'avaro, che non fa fruttare la sua dotazione, i sui talenti, le sue capacità. Tra l'altro gli toglie il talento e lo affida al primo, quello dei 5 che sono stati raddoppiati. Quindi c'è sia la punizione del terzo sia il premio ulteriore per il primo.

Io oggi biasimerei l'avaro, colui che non fa fruttare la sua dotazione di capacità (talenti, nei due sensi) e per quanto riguarda chi si industria, credo che già premi da solo. Gesù da addirittura loro un premio extra.

Oggi se vogliamo abbiamo la condizione inversa. Mettendola sul grottesco, immaginamo la parabola ai giorni nostri.
Considerando che gli utlili di chi si industria in Italia sono tassati circa al 50% (ma non è tassato il capitale) al primo servo verrebbero tolti la metà dei 5 talenti guadagnati (quindi 2.5) mentre al secondo verrebbe tolta la metà dei due talenti guadagnati. I tre talenti e mezzo verrebbero dati, per esigenze di ridistribuzione al terzo.
Alla fine mentre la parabola di Gesu assegna 11 talenti al primo, 4 al secondo e zero al terzo (con tanto di ostracismo finale) il nostro metodo moderno darebbe 7 talenti e mezzo al primo, 3 al secondo, e 4 e mezzo al terzo.
Il secondo si chiederebbe immediatamente "chi me lo fa fare?" e si comportrebbe come il terzo, mettendo il suoi 3 talenti rimanenti anche lui sotto il sasso. In questo modo potrebbe sperare di prendere di piu' dalla ridistribuzione degli utili del primo che dal guadagno dei suoi tre talenti rimasti. Se li raddoppiasse, andrebbe a 6 ma la metà del guadagno andrebbe in tasse (1.5) e quindi raggiungerebbe temporaneamente il terzo a 4.5 talenti. Se invece sia il secondo che il terzo mettessero tutto sotto il sasso, potrebbero sperare di riecevere molto di piu' dalla ridistribuzione dei guadagni del primo. Se il primo infatti raddoppiasse i suoi 7.5, si vedrebbe tassare il guadagno (il 50% di 7.5 è 3.75) e se il secondo ed il terzo ricevessero parti uguali, queste sareebro pari a 1.875 talenti ciascuno (che per il terzo è un bel regalo e per il secondo è piu' di quello che gli sarebbe rimasto in tasca dopo le tasse se avesse raddoppiato il suo capitale). Se alla fine anche il primo si arrende (oppure emigra in una nazione con una fiscalità piu' bassa) lo stato sociale finisce perché non c'è piu' nulla da ridistribuire.

A me pare che Gesu' in quella parabola, sia nettamente anarco-liberista e dei piu' determinati. ;)
Chiaramente nella parabola il padrone è Dio, il quale è padrone di tutto e ci dà tutto in dono, ad ognuno secondo le proprie capacità. Diciamo che la parabola era rivoluzionaria già 2000 anni fa ma lo è anche oggi per chi è contro una società che premia chi sa far fruttare i talenti. Non so se ne esistono ancora ma rispolverare la parabola serve anche ad accertarlo.

Franz
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda bidellissimo il 25/09/2010, 18:31

pierodm ha scritto:"e con quale altro metodo si dovrebbero premiare le capacità dei singoli?", la mia risposta è semplice: NON SI DOVREBBERO PREMIARE.

Il premio - e tutta la serie di idee connesse al premio - non riguarda il merito in sé ma è appunto l'assunto fondante della meritocrazia.
Può anche essitere un punto di vista per cui, senza nulla togliere al valore del merito in se stesso, si pensa che questo debba sussistere per senso del dovere o per soddisfazione individuale, non in vista di un premio elargito da altri: una posizione idealistica ma non per questo assurda in via di principio.
Per l'ennesima volta, ti chiedo, o Franz, se sia mai possibile che tu facia la grazia di capire il senso di un discorso, senza andare a caccia delle parolette e delle frasette per impiantarci sopra una polemica pedissequa e puntigliosa.

Pochi mi capiscono come piedorm. E' ancor più "meritevole" perchè non ha letto tutto il topic al quale vi avevo proposto un rimando tramite link. Qui giova copiarne ed incollare una parte che non è stata letta:

"Proviamo a soffermarci su questi che lavorano per quattro. Credo che Brunetta ci abbia azzeccato, sono circa un quarto del totale.

Ieri, prima dell’introduzione di tanti incentivi che negli anni hanno sgretolato lo spirito di gruppo ed il senso del collettivo, questi lavoratori avevano due tenui fiammelle che li scaldavano. La loro dignità ed il riconoscimento della medesima. I diversi incentivi introdotti negli anni hanno quasi spento la seconda fonte di calore, il sostegno morale. Ora la meritocrazia competitiva darà il colpo di grazia a questo motivo di conforto.

Perché è il senso del collettivo come *dato culturale* che viene mandato del tutto a puttane. Finché ci si sente poco o tanto “famiglia” si è grati a quel leader morale, a quella sorta di “capofamiglia” che lavora per tutti e con il suo sacrificio salva l’onore del gruppo ed impedisce la rovina collettiva, coprendo le mancanze degli inadempienti al dovere. Quando invece si è educati ed allenati al mero individualismo competitivo sparisce dalle menti anche il concetto di “collettivo” e con ciò svapora ogni merito, e quindi ogni riconoscimento, per chi si sacrifica per il gruppo, ovvero si sacrifica per UN VALORE INESISTENTE, PER UNA ENTITA’ INESISTENTE.

Oggi, come dato culturale di questo contesto, ESISTE SOLO L’INDIVIDUO. Chi si impegna per una entità metafisica come il gruppo di lavoro, quindi, non è più un benemerito, è soltanto un coglione.

Ancora una volta vi sarà chi ritiene che io stia arzigogolando con vaghezze astratte, intellettualoidi, che non possono competere con le sane, concrete riforme dei tempi attuali, riforme tanto attese, e da tanto tempo.
A chi ragiona così do un consiglio: leggersi i vecchi manuali di Storia per le scuole che furono scritti da uno dei nostri Autori più accreditati: il “materialista” Armando Saitta.


Un marxiano come il venerabile Armando non esita a riconoscere e a sottolineare, insegnandolo ai giovani, un certo principio, che io mi azzardo a tradurre in questi termini: nella determinazione di molte vicende umane collettive, e nella risoluzione dei conflitti storici, incidono maggiormente fattori di natura ideale, rispetto a spinte materialistiche, volte al soddisfacimento dei bisogni fisici.


Riferendoci sempre al pensiero del grande Armando: nel nostro caso, l’idealità dell’onestà e del decoro personale, nonché il “vantaggio psicologico” o ricompensa morale di queste doti, che si attuava un tempo tramite il riconoscimento ed il plauso della pubblica opinione, sono stati la pulsione decisiva per certi comportamenti minoritari eroici, che hanno mantenuto in piedi e fatto funzionare per decenni l’erogazione di servizi della pubblica amministrazione.

Quelle motivazioni ideali più sopra ricordate sono state la colonna portante dell’impiego statale. La meritocrazia, mentre vorrebbe rinforzare questa colonna, ovvero la motivazione all’impegno dei lavoratori virtuosi, paradossalmente va ad abbatterla.


Perché la meritocrazia annienta la classe lavoratrice in quanto tale, sostituendola con una sommatoria di INDIVIDUI ostili fra loro, annienta quindi il coro che applaude gli impiegati virtuosi, annienta la pubblica opinione che li gratifica con il suo “O.K.”.


Oltre ad annientare il CONSENSO COLLETTIVO, che ieri era una causa determinante per i comportamenti migliori, la meritocrazia DISINCENTIVA ulteriormente il consenso di ogni singolo lavoratore nei confronti del collega più bravo: se il più meritevole ha già avuto il suo premio, un gettone (poniamo 100 euro) che a me non è stato dato, che bisogno c’è che io ANCHE lo applauda ? Ha già avuto il suo premio.


Così il sistema meritocratico toglie il tradizionale “gettone” simbolico, la gratificazione del riconoscimento morale, ai lavoratori impegnati. Sostituisce questo gettone simbolico con un gettone materiale (poniamo 100 euro).

Certamente il sollievo di un guadagno maggiorato è una risorsa che perdura. Ma l’euforia del lavoratore interessato dura solo pochi mesi (io credo non più di due), e la gioia per questo motivo non dura molto di più. Tutto il beneficio viene presto normalizzato, assorbito dalla vita e dalle sue dinamiche, compreso il caro-vita, tutto psicologicamente svapora.

Che cosa rimane invece ? Rimane l’amarezza di constatare che l’antica stima, ammirazione e riconoscenza dei colleghi si è perduta. E di constatare come altri, ingiustamente, abbiano avuto lo stesso incremento retributivo, che quindi non è più un riconoscimento pregiato, è un “gettone avvelenato”.


La meritocrazia nell’impiego statale va dunque a togliere il tradizionale incentivo, ovvero la stima e la riconoscenza, per sostituirlo con uno nuovo, poniamo di cento euro. Il vecchio incentivo perdurava negli anni e nei decenni, il secondo esaurisce presto la sua efficacia propulsiva.. A medio termine quindi la meritocrazia toglie del tutto il sostegno alla produzione, quel sostegno che avrebbe dovuto rinforzare".
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Re: La parabola dei talenti

Messaggioda franz il 25/09/2010, 18:36

bidellissimo ha scritto:Franz non considera un piccolo particolare: come tutte le parabole del Redentore, anche quella dei talenti allude al Regno dei Cieli, non a questo mondo. L'impegno da noi profuso nella crescita sarà premiato dal Padrone con la "p" maiuscola e soltanto da Lui, non dai padroncini terreni meritocratici.

Questa è naturalmente l'interpretazione ufficliale che la Chiesa dà ... non sappiamo cosa potrebbe obiettare il diretto interessato. Strano un sistema "parabolico" che fa un esempio concreto e semplice nella realtà per proiettarlo nel regno dei cieli ma contemporanamente negarne la validità nella realtà.
Per me è chiaro che se anche la parabola punta al regno dei cieli, l'esempio concreto è terreno e non puo' essere falso.
Noi comunque non sappiamo se detto regno dei cieli esiste ma intanto sappiamo che la realtà è reale.
Quindi iniziamo ad attenerci all'esempio terreno e poi saremo ricompensati (forse) anche nell'aldilà.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 25/09/2010, 18:38

Ma la PA è/era un club di amici...???


Ps Non è un quesito per bidellissimo!!!
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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