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L'Italia non è meritocratica

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda pierodm il 23/09/2010, 16:57

Franz, per dimostrare la mia buona volontà e la (faticosamente) pacifica disposizione d'animo, ti rispondo solo su quello che tu definisci "glissare" - sul resto d'altra parte non saprei trovare parole che siano allo stesso tempo chiare, pertinenti ed educate.

Dunque, non ho glissato, ma semplicemnte ho pensato che i concetti espressi in quel testo rinforzavano la posizione mia e di altri, critica verso un'accettazione semplicistica della "meritocrazia".
Visto che ti eri preso l'incomodo di citarlo, quel testo era già stato (probabilmente) da te già letto e digerito, e mettersi a fare collegamenti tra quel testo e le tue tesi era dunque superfluo, e comunque sarebbe stato un compito che meritava una trattazione a parte: infatti (e qui involontariamente mi trovo a risponderti sulla riga e mezza) io ho rispetto sia per ciò che leggo, sia per ciò che scrivo, sia per chi legge, e cerco di non ammucchiare cose, e di non liquidare niente con un commento sbrigativo, o meglio lo faccio solo nel caso di una battuta ironica.
Se proprio vuoi un commento su quel testo, è questo: non è un testo manicheo, ma un testo, un quadro che rispetta la complessità del problema, e in molti punti ripete cose che abbiamo - certo più modestamente - cercato di sostenere sia io che Flavio che in nuce lo stesso bidellissimo.
In definitiva a me è sembrato un testo che molto più utilmente avresti potuto approfondire e meditare tu, Franz, se non altro - come dicevo - per mitigare l'estremismo piuttosto manicheo della tua posizione.
Non te lo volevo dire, ma va be'.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda flaviomob il 23/09/2010, 21:36

Quando ho fatto il test d'ingresso all'università, per poter diventare educatore, non credevo ai miei occhi. Per un corso di laurea di stampo psico-pedagogico, ma inserito all'interno della facoltà di Medicina in quanto percorso abilitante a lavorare in ambito socio-sanitario (e non esclusivamente sociale, dato che la disabilità e soprattutto la psichiatria in Lombardia sono considerate ambiti sanitari), mi sono trovato ad affrontare domande su astruse formule chimiche, serie numeriche, logica, equazioni di secondo grado, leggi di conservazione dell'energia cinetica, biologia... .ricordo ancora una delle domande "Che cos'è un coguaro"... La meritocrazia delle banane! Ora la Lega degli amici della Ndrangheta ci aggiunge anche la ciliegina etnica. Che decadenza, ragazzi. E pensare che Milano e la Lombardia si vantavano di essere l'isola "meritocratica" d'Italia!!! E ora costituiscono la quarta regione mafiosa del Bel Paese di Cosa Nostra! Magari, a furia di "essere competitivi", si riuscirà anche a salir sul podio... :evil:


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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 23/09/2010, 22:05

flaviomob ha scritto:Quando ho fatto il test d'ingresso all'università, per poter diventare educatore, non credevo ai miei occhi. Per un corso di laurea di stampo psico-pedagogico, ma inserito all'interno della facoltà di Medicina in quanto percorso abilitante a lavorare in ambito socio-sanitario (e non esclusivamente sociale, dato che la disabilità e soprattutto la psichiatria in Lombardia sono considerate ambiti sanitari), mi sono trovato ad affrontare domande su astruse formule chimiche, serie numeriche, logica, equazioni di secondo grado, leggi di conservazione dell'energia cinetica, biologia... .ricordo ancora una delle domande "Che cos'è un coguaro"... La meritocrazia delle banane! Ora la Lega degli amici della Ndrangheta ci aggiunge anche la ciliegina etnica. Che decadenza, ragazzi. E pensare che Milano e la Lombardia si vantavano di essere l'isola "meritocratica" d'Italia!!! E ora costituiscono la quarta regione mafiosa del Bel Paese di Cosa Nostra! Magari, a furia di "essere competitivi", si riuscirà anche a salir sul podio... :evil:

Ok, ma cosa c'entrano domande d'esame del cazzo e proposte altrettando del cazzo come quelle leghiste con la meritocrazia?
La meritocrazia non è "domande su un formulario" e nemmeno una interrogazione scolastica.
E la proposta della lega è tutto tranne che meritocratica. In puro stile italico (altro che padano).
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 23/09/2010, 22:10

pierodm ha scritto:Dunque, non ho glissato, ma semplicemnte ho pensato che i concetti espressi in quel testo rinforzavano la posizione mia e di altri, critica verso un'accettazione semplicistica della "meritocrazia".
Visto che ti eri preso l'incomodo di citarlo, quel testo era già stato (probabilmente) da te già letto e digerito, e mettersi a fare collegamenti tra quel testo e le tue tesi era dunque superfluo ...

Veramente il libro l'ho scoperto online 15 minuti prima di inviare qui link e quindi il tuo "probabilmente" lo smentisco subito.
Penso che lo compero' e lo leggero' tutto. Poi lo digeriro' e se magari lo leggi anche tu e lo digesci anche tu, forse faremo il ruttino insieme. Io non mi scandalizzo e non mi offendo. Poi vedremo chi è manicheo e discuteremo sulle rispettive posizioni. Intanto per me la posizione piu' manichea è quella ostile alla meritocrazia, quella di bidellissmo.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda flaviomob il 24/09/2010, 9:34

Ci eravamo anche proposti di affrontare il tema del merito rispetto al concetto di 'bisogno', che caratterizza tutte le letture di sinistra rivolte alla società moderna. Dovremmo sviluppare meglio anche la dicotomia del concetto di merito (del concetto semplificato, ovviamente): se sono necessari talento ed impegno, a parità di impegno la meritocrazia dovrebbe premiare chi ha più talento, ma nell'accezione comune del termine esso si riferisce a qualcosa di innato. Dovremmo quindi premiare chi, per dotazione genetica o comunque per pura "fortuna" viene ritenuto superiore a qualcun altro.
E ancora: meritocrazia è il termine giusto? Perché premiare talento ed impegno non significa automaticamente che chi li possiede abbia il diritto di ottenere più potere degli altri (forse è a questa 'crazia' che Bidellissimo si oppone). Inoltre come si fa a valutare l'impegno separandolo dalla motivazione? La demotivazione può deprimere l'impegno e rendere inutilizzato un grande talento, o peggio ancora renderlo incomprensibile all'esterno, per cui non riconoscibile da chi deve indagare sul merito altrui (chi si occupa di selezione del personale da assumere ma anche (serenamente, pacatamente) chi si occupa di selezionare la classe dirigente in politica, cioè tutti noi cittadini). E ancora: in un paese come il nostro dove la stratificazione sociale è molto complessa ed è, come abbiamo visto nei due articoli riportati, in forte relazione con le condizioni socioeconomiche della famiglia di origine piuttosto che con il talento e l'impegno (che pure ci sono), si deve procedere con un liberalismo spinto, si deve invece dare priorità ai bisogni (per compensare il gap "alla partenza") o piuttosto si deve identificare un ambito culturale su cui lavorare in profondità? La demotivazione, in fondo, non potrebbe costituire una reazione fondata e prevedibile in un ambito che deprime il merito e l'impegno (ma anche le voci critiche e scomode)?
Chiudo con un conciso esempio personale: la cooperativa per cui lavoro, che fu anche gratificata da un bando nazionale in cui venimmo premiati da Prodi e Bindi, allora al governo, applica un contratto per cui il salario per unità di tempo è identico per tutti, fatti salvi gli scatti di anzianità, ovvero ciò che nella retorica liberale dovrebbe deprimere completamente ogni premialità rivolta al merito individuale. Eppure il nostro bilancio sociale evidenzia che i soci lavoratori tendono a continuare a lavorare anche se non in perfette condizioni di salute, per cui la percentuale di assenze per malattia risulta risibile e inferiore di molti punti rispetto alla maggior parte delle aziende italiane. Come spiegare tutto questo?


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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 24/09/2010, 11:54

flaviomob ha scritto:Ci eravamo anche proposti di affrontare il tema del merito rispetto al concetto di 'bisogno', che caratterizza tutte le letture di sinistra rivolte alla società moderna. Dovremmo sviluppare meglio anche la dicotomia del concetto di merito (del concetto semplificato, ovviamente): se sono necessari talento ed impegno, a parità di impegno la meritocrazia dovrebbe premiare chi ha più talento, ma nell'accezione comune del termine esso si riferisce a qualcosa di innato. Dovremmo quindi premiare chi, per dotazione genetica o comunque per pura "fortuna" viene ritenuto superiore a qualcun altro.
E ancora: meritocrazia è il termine giusto? Perché premiare talento ed impegno non significa automaticamente che chi li possiede abbia il diritto di ottenere più potere degli altri (forse è a questa 'crazia' che Bidellissimo si oppone). Inoltre come si fa a valutare l'impegno separandolo dalla motivazione?

Un attimo. Sul bisogno scrivero' qualcosa in tarda serata, ma intanto qui tu hai semplificato troppo. Nel testo sopra si parla ripetutamente di talento + impegno e se semplifichi togliendo l'impegno allora rimane solo il talento ed è chiaro che la critica sulla dotazione genetica sarebbe legittima. Ma il merito non è solo talento. Quindi la tua critica non è al concetto di merito ma a quello semplificato che ti sei confezionato. Inoltre altro punto: la crazia. Come sappiamo ogni organizzazione ha una crazia: ogni azienda ha un organigramma, dei responsabili, i quali hanno piu' potere e responsabilità di altri. Quindi la critica all'idea che qualcuno abbia piu' potere di altri è irrilevante. Se esistono dirigenti e diretti, chi è meglio avere in cima? Il figlio del capo, il figlio del boss mafioso amico del capo? Il figlio del politico amico del capo? Il raccomandato di turno che non sa fare nulla e fa disastri? Mah ... mi pare che l'idea del merito sia piu' razionale, anche se forse a pensarci bene c'è un piccolo risvolto psicologico. Se il mio capo è un imbecille patentato raccomandato di ferro, marito della figlia del capo, ed io so di valere molto di piu', posso sempre consolarmi. Ottengo un premio interiore che compensa la mancanza di quello ufficiale; perché so come va il mondo ma sono anche convinto di essere OK. Se invece nell'organizzazione vigesse un sistema meritocratico perfetto (per definizione, cosi' sgombiamo il campo dalle eventuali obiezioni di imperfezione) e scegliessero un altro, ecco che potrei essere un po' in difficoltà con la mia autostima. Anche per questo sistemi basati sul merito in azienda vengono introdotti prevedendo anche un sistema a quadri intermedi ampi, dove il 30% del personale è inquadrato in compiti di responsabilità dirigenziale a livello intermedio.
flaviomob ha scritto:Chiudo con un conciso esempio personale: la cooperativa per cui lavoro, che fu anche gratificata da un bando nazionale in cui venimmo premiati da Prodi e Bindi, allora al governo, applica un contratto per cui il salario per unità di tempo è identico per tutti, fatti salvi gli scatti di anzianità, ovvero ciò che nella retorica liberale dovrebbe deprimere completamente ogni premialità rivolta al merito individuale. Eppure il nostro bilancio sociale evidenzia che i soci lavoratori tendono a continuare a lavorare anche se non in perfette condizioni di salute, per cui la percentuale di assenze per malattia risulta risibile e inferiore di molti punti rispetto alla maggior parte delle aziende italiane. Come spiegare tutto questo?

Francamente non è necessario spiegare. In un sistema libero ogni management decide come impostare la propria organizzazione interna. Quindi ci possono essere aziende che puntano sulla meritocrazia ed altre no. Per fare un eventuale confronto pero' io non andrei a paragonare solo le assenze ma guarderei la produttività (premesso che poi misurarla è complesso e si puo' fare in tanti modi). Magari ci sono aziende con piu' assenze ma piu' produttive di altre con meno assenze. Per esempio un'azienda strutturalmente deficitaria, ... piu' assenze ha meglio è. Nel senso che piu' si lavora e piu' si creano debiti. Quindi va vista e comparata la produttività. Ma qui si aprrebbe un altro filone di discussione, per stabilire come si misura la produttività.

Bisogna poi vedere anche gli obbiettivi. la cooperativa che citi molto probabilmente non ha obiettivi di fare soldi a palate ed investimenti stratosferici ma ha obbiettivi pu' sociali. Altre aziende possono avere obiettivi diversi (restringendoli tra quelli legittimi, chiaramente). Credo che questo non sia in discussione. Quando si discute politicamente di introdurre la logica del merito si fa riferimento alla pubblica amministrazione, secondo me.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 24/09/2010, 13:18

Bisogna poi vedere anche gli obbiettivi. la cooperativa che citi molto probabilmente non ha obiettivi di fare soldi a palate ed investimenti stratosferici ma ha obbiettivi pu' sociali. Altre aziende possono avere obiettivi diversi (restringendoli tra quelli legittimi, chiaramente). Credo che questo non sia in discussione. Quando si discute politicamente di introdurre la logica del merito si fa riferimento alla pubblica amministrazione, secondo me.



Invece, è in discussione. Anche in questo caso infatti, la pace e la tranquillità durano solo per un po'. Finita la carica iniziale di buonismo e altruismo cominceranno ad emergere "i più uguali degli altri".
In tutte le vicende umane (vedi Rivoluzione Francese e Rivoluzione bolscevica....solo a titolo di esempio. Ma si potrebbero citare anche i Partiti politici italiani ed i Sindacati....), la carica altruista e di fratellanza iniziale necessari per raggiungere alti e nobili obiettivi non materiali, decade rapidamente in momenti successivi in particolare al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Ritengo che le due cose (altruismo ed interesse) vanno tenute sempre in equilibrio. E non è facile. La ricetta buona, per ora....perchè fra mille anni potrebbe essercene una migliore, è sempre socialismo nella gestione della cosa pubblica e liberalesimo nell'economia.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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A proposito di alternative al merito

Messaggioda franz il 24/09/2010, 17:33

Ecco parentopoli dei prof
le grandi dinastie degli atenei

Sorprendenti risultati di una ricerca sull'omonimia: in alcune università è 10 volte superiore alla media. Per arginare il fenomeno sono stati bloccati dei concorsi e i ricercatori protestano: a pagare sono i figli di nessuno. Dove ci sono maggiori intrecci la qualità della produzione è inferiore agli standard
di DAVIDE CARLUCCI e GIULIANO FOSCHINI

IL 13 SETTEMBRE a Palermo, un ragazzo, un cervello italiano, è volato dall'ultimo piano della facoltà di Filosofia. Si è suicidato. Aveva 27 anni, si chiamava Norman Zarcone, era un dottorando in Filosofia del linguaggio e, racconta il padre, da qualche tempo era particolarmente deluso, depresso: gli avevano fatto capire, senza mezzi termini, che per lui non c'era spazio nell'università italiana. Qualche mese prima un altro ragazzo, cinque anni più giovane, Gianmarco Daniele, aveva presentato a Bari, capitale del nepotismo accademico italiano, una tesi di laurea: "L'università pubblica italiana: qualità e omonimia tra i docenti", una ricerca nata per raccontare come le università italiane siano in mano a un gruppo di famiglie. E per documentare come esista un nesso scientifico tra nepotismo e il basso livello della didattica e della ricerca. Daniele ora è all'estero, con una borsa di studio europea. Ma davvero nell'università italiana non c'è spazio per questi talenti, solo per i parenti? Quali sono le grandi dinastie di casa nostra? E a due anni dalla "svolta anti-baroni" annunciata dal ministro Maria Stella Gelmini - che ora torna a invocarla per giustificare nuovi tagli - i baronati stanno davvero segnando il passo? O sono ancora loro a comandare?

LA TOP TEN
A Bari, nella facoltà di Economia, la stessa dove si è laureato Daniele, è cambiato poco. L'economista Roberto Perotti, italiano formatosi al Mit di Boston, in un saggio del 2008 "L'università truccata" (Einaudi) aveva indicato quello come il caso limite, "tanto incredibile da raccontare in tutto il mondo". A Economia 42 docenti su 176 hanno tra loro legami di parentele, il 25 per cento, record assoluto in Italia. I leader indiscussi a Bari e in Italia nella classifica delle famiglie restano così i Massari. Commercialisti affermati, con un passato nel Partito socialista di Craxi, in cattedra hanno almeno otto esponenti, tutti economisti. Uno di loro doveva essere anche in commissione durante la laurea di Daniele, peccato che quel giorno avesse un impegno. "Abbiamo vinto tutti concorsi regolarissimi", rispondono loro, quando vengono tirati in ballo. I capostipiti della dinastia sono i tre fratelli, Lanfranco, Gilberto e Giansiro, che hanno in mano il dipartimento di Studi aziendali e giusprivatistici e, seppur nell'ombra, l'intera facoltà. Le nuove leve sono invece Antonella (ordinaria a Lecce), Stefania, Fabrizio (tutti e tre figli di Lanfranco), Francesco Saverio e Manuela. A fare concorrenza ai Massari, in facoltà, c'è la famiglia Dell'Atti (6) e quella dell'ex rettore Girone, con cinque parenti in cattedra: ci sono Giovanni e la moglie Giulia Sallustio, ormai in pensione, il figlio Gianluca, la figlia Raffaella e il genero Francesco Campobasso. A Foggia conta ancora molto la dinastia dell'ex rettore, Antonio Muscio, secondo con 7 parenti nella top ten nazionale con la new entry Alessandro, assunto nell'ultimo giorno di rettorato del papà e nella sua stessa facoltà, Agraria. Nell'ateneo lavoravano anche mamma Aurelia Eroli (dirigente amministrativa, ora in pensione), la figlia Rossana, la nipote Eliana Eroli, il genero Ivan Cincione e la sorella Pamela.

A Roma le grandi casate sono due: i Dolci e i Frati. Un figlio di Giovanni Dolci, uomo chiave dell'odontoiatria italiana, è Alessandro, ricercatore a Tor Vergata. La moglie, Alessandra Marino, è ricercatrice alla Sapienza. Dove lavora anche il genero di Dolci, Davide Sarzi Amedè, marito di Chiara, a sua volta odontoiatra al Bambin Gesù. Un altro figlio di Dolci, Federico, lavora a Tor Vergata, mentre Marco è ordinario a Chieti. Accanto a papà Frati invece c'è sua moglie Luciana Angeletti e sua figlia Paola (insegnano a medicina, ma non sono medici) e il figliolo Giacomo.

Sempre molto forti le famiglie a Palermo, come aveva avuto modo di accorgersi Norman Zarcone. Il record è dei Gianguzza, cinque tra Scienze e Medicina. Ma le dinastie palermitane sono cento, sparse in tutte le facoltà, per un totale di 230 docenti "imparentati". Economia è il regno dei Fazio (Vincenzo, Gioacchino, Giorgio), a Giurisprudenza ci sono i Galasso (Alfredo, il figlio Gianfranco, la nuora Giuseppina Palmieri), a Lettere i Carapezza (i fratelli Attilio e Marco, ora associato, il cugino Paolo Emilio, suo figlio Francesco), a Ingegneria (18 famiglie, 38 parenti) i Sorbello o gli Inzerillo, a Matematica i Vetro (Pasquale, la moglie Cristina, il figlio Calogero), Agraria è nelle mani di 11 nuclei familiari. Coincidenze statistiche? Davvero è così nel resto d'Italia e in tutta Europa?

LA RICERCA
Secondo i dati raccolti nella tesi di Daniele, no. Lo studente ha infatti sviluppato un indice medio che misura la percentuale di omonimia in ogni facoltà di ogni ateneo e la percentuale media di omonimia in campioni della popolazione italiana in numero uguale ai docenti presenti nella facoltà osservata. Il risultato è incontrovertibile: in quasi tutti gli atenei l'indice di omonimia è più elevato rispetto alla media nazionale. Dieci volte di più a Catania, poco meno a Messina.

Molto superiori alla media sono anche la Federico II di Napoli, Palermo, Bari, Caserta, Sassari e Cagliari. Le più virtuose sono invece Trento, Padova, il Politecnico di Torino, Verona, Milano Bicocca. Certo: non sempre avere lo stesso cognome significa essere parenti. Ma considerando anche che spesso molti familiari di professori hanno cognomi diversi, il dato è un'attendibile quantificazione statistica, per approssimazione, della diffusione del nepotismo. Anche perché gli atenei segnati con la penna rossa da Daniele sono proprio quelli al centro delle inchieste giornalistiche e della magistratura.

"Il dato italiano - spiega Daniele - è in controtendenza con il resto d'Europa: quasi ovunque il tasso di omonimia nelle università è minore della media nazionale. Gli atenei tendono ad attrarre docenti da fuori, con cognomi diversi da quelli locali". Lo studio confronta poi i dati sulle omonimie con le valutazioni del Censis sulla qualità delle università. E in media gli atenei con più omonimi sono quelli che producono meno e viceversa. Ma davanti a questi numeri, la politica e il mondo accademico come si comportano? Sono nemici o complici delle grandi famiglie che hanno in mano l'università italiana?

LA RESISTENZA
"Ci prendono in giro", ha tuonato il presidente della conferenza dei Rettori, Enrico Decleva, la cui moglie Fernanda Caizzi è stata condannata in appello, e poi prescritta, per aver pilotato un concorso a Siena nel 2001. "Il qualunquismo sulle parentopoli è una giustificazione per uccidere l'università pubblica". La legge Gelmini approvata al Senato a luglio prevede un codice etico obbligatorio per tutti. Ma a Bari (il primo ateneo ad approvarlo, quattro anni fa) gli escamotage fanno scuola. Virginia Milone è stata assunta quando il padre si è impegnato a trasferirsi nella sede decentrata di Taranto.

"Capirai: la nostra facoltà è diventata la valvola di sfogo dei parenti", dice il rappresentante degli studenti Francesco D'Eri. La docente Maria Luisa Fiorella, otorino come il padre, era stata respinta dalla facoltà (a scrutinio segreto). Ora, con un colpo di coda, i baroni vogliono tornare a votare: con l'alzata di mano. Il codice è servito solo a Farmacia: Giulia Camerino ha rinunciato al concorso da ricercatrice bandito nel dipartimento della madre. "Ho studiato tutta una vita, non volevo vivere con un bollino che non meritavo".

"Se parliamo di baronati è tutto come prima - dice Mimmo Pantaleo, segretario nazionale della Flc della Cgil - E se le università non bandiscono concorsi, a pagare sono solo i ricercatori figli di nessuno". Il ministro Gelmini promette di trasformarne, con il nuovo piano di programmazione, diecimila in associato. Vuol cambiare la progressione di carriera con un contratto triennale, una successiva valutazione, e quindi un ulteriore contratto triennale per diventare associato. Ma per ora quelli che salgono di grado hanno sempre cognomi pesanti: a Cagliari è appena stato promosso ordinario Francesco Seatzu, figlio d'arte sardo. A valutarlo, in commissione, c'era Isabella Castangia, con la quale Seatzu ha lavorato gomito a gomito negli ultimi anni. "Tutto è come prima, più di prima", attacca Tommaso Gastaldi, professore di Statistica alla Sapienza, instancabile fustigatore del malcostume universitario. L'ultimo esempio, racconta, è la nomina di due docenti: lui aveva previsto i loro nomi già nel 2008. I soliti noti, nonostante i proclami del Governo, continuano a comandare. E non vogliono lasciare il campo ai giovani. Che si ribellano: l'Air, l'associazione italiana dei ricercatori, ha indetto una petizione per bloccare "l'eccessiva "discrezionalità" nei criteri di valutazione dei concorsi universitari".

GLI OVER 70
Molti docenti con più di 70 anni ricorrono ai tribunali amministrativi per posticipare il loro pensionamento, accelerato da una norma voluta dall'ex ministro Fabio Mussi. Vuole rimanere in servizio Emilio Trabucchi, ordinario di Chirurgia e presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano. Nipote dell'omonimo luminare della Biomedicina e deputato Dc morto nel 1984, Trabucchi ha due nipoti nell'università, Emilio Clementi, straordinario nel dipartimento di Scienze precliniche "Lita Vialba", e Francesco Clementi, ordinario di Farmacologia. "Abbiamo specializzazioni diverse. E in tutti i casi parlano le pubblicazioni", precisa Trabucchi. Ha scelto di ritirarsi, invece, Vittorio La Grutta, nobiltà accademica palermitana: medico il nonno, professore il padre, rettore il fratello (dell'ultima leva è rimasta la figlia, Sabina, psicologa).

"Quando siamo saliti in cattedra, eravamo orfani. Ma ce l'abbiamo fatta lo stesso, senza favori". Diverso il destino dei Cannizzaro, altra famiglia storica siciliana. "Stanislao, il grande chimico, era un mio avo - racconta Gaspare, che ora è in pensione ma ha due figli docenti - ma io non sono figlio d'arte. In famiglia c'è sempre stato interesse per la scienza: è una tradizione". A Sassari resistono al pensionamento Mariotto Segni (il cui padre, Giovanni, oltre che presidente della Repubblica è stato rettore) e Giulio Cesare Canalis, il papà della showgirl Elisabetta, direttore della Clinica radiologica. Ma soprattutto l'ex rettore Alessandro Maida, tuttora potentissimo - spinge per bandire 52 concorsi - e ancora per un po' collega dei figli Carmelo e Ivana, piazzati nella sua facoltà, Medicina, del cognato, Giorgio Spanu, della moglie Maria Alessandra Sotgiu, e di altri nipoti e cugini. A Udine, dopo la fusione tra ospedale e università, sono stati nominati i nuovi direttori di dipartimenti. Nessuna sorpresa: i manager, ben pagati, sono tutti baroni di lungo corso come l'ultrasettantenne Fabrizio Bresadola, che ha piazzato il figlio Vittorio, la nuora Maria Grazia Marcellino e un altro figlio, Marco. Laureato in Filosofia ma non per questo escluso: insegna storia della Medicina.

(24 settembre 2010)
http://www.repubblica.it/scuola/2010/09 ... ef=HREC1-9
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda pierodm il 24/09/2010, 20:51

Caro flavio, io non sarei entrato - infatti non ci sono entrato ... - in questo labirinto fatto di bisogni, impegno, talento, DNA, e sottiglizze varie: non eprché si tratta di sottigliezze - io credo alle sottigliezze - ma perché è pura retorica.
Il "merito" in concreto è misurato per così dire "a valle", ossia sui risultati: se uno porta acqua al mulino (soldi) dell'organizzazione di cui fa parte ha grandi meriti, in caso contrario non vale un piffero: le cause per cui ciò avviene non interessano a nessuno.
Le chiacchiere sul talento e sull'impegno servono soltanto in sede di giustificazione, quando è il momento dei discorsetti edificanti, quelli cioè che spolverano i conti della serva con filosofia da quattro soldi.

In particolare dovremmo distinguere tra la meritocrazia nell'ambito della P.A. o delle imprese no profit, e quella vigente o assente nelle aziende commerciali e industriali.
Soffermarsi sulla meritocrazia in senso lato, astratto, serve solo ad annullare questa distinzione, e quindi a rendere il discorso piuttosto sterile, oltre a consentire il consueto gioco delle tre carte, per il quale si usa la definizione valida in un caso per trarre conclusioni riferite all'altro caso.
O anche, più semplicemente, questo appiattimento sul generico implica l'insistente scoperta dell'acqua calda, ossia l'insistere sull'ovvio concetto per cui in tutti gli aspetti delle attività umane è buona cosa che siano i più bravi a fare una cosa chiamati a fare quella cosa.

A questo proposito, colgo l'occasione per far notare quale sia il problema che emerge in tante nostre discussioni, che è riassumibile così: ci sono punti (concetti, definizioni) che per alcuni di noi rappresnetano un punto d'arrivo, almeno dialettico, mentre per altri di noi rappresnetano un punto di partenza.
Nel caso presente, nessuno ha negato l'importanza del merito - che per Franz, per esempio, è lo scopo di tutte le sue illustrazioni - ma è stata semmai messa in discussione la natura, l'applicabilità e varie sfaccettature della meritocrazia, che del merito come valore in sé è la propaggine ideologica e organizzativa.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 24/09/2010, 21:09

pierodm ha scritto:Nel caso presente, nessuno ha negato l'importanza del merito - che per Franz, per esempio, è lo scopo di tutte le sue illustrazioni - ma è stata semmai messa in discussione la natura, l'applicabilità e varie sfaccettature della meritocrazia, che del merito come valore in sé è la propaggine ideologica e organizzativa.

Idea, per mettere tutti d'accordo (forse).
Visto che "nessuno" ha negato l'importanza del merito ... salvo chi ha scritto
nessuno ha scritto:"e con quale altro metodo si dovrebbero premiare le capacità dei singoli?", la mia risposta è semplice: NON SI DOVREBBERO PREMIARE.

potremmo concludere (se nessuno si astiene) con un bel "viva il merito, abbasso la meritocrazia".
Il fatto che poi questo porti anche a "viva la crazia dei figli di papà, dei raccomandati, degli incapaci, dei prepotenti, di tutto ma non del merito" non ci dovrebbe preoccupare. Basta avere un po' di pelo sullo stomaco e simili ipocrisie si possono accettare quotidianamente. In fondo dobbiamo sopportare Berlusconi, il resto è in discesa.

Franz
PS: chiedo scusa a "nessuno" ma l'idea di dire che "nessuno" ha negato l'impotanza del merito non è stata mia.
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