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Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda Robyn il 17/09/2010, 21:28

Quelle riforme non ci sono ,non perche la sinistra non voleva ,ma perche altri partiti conservatori in precedenza hanno affossato il sistema elettorale francese che i DS volevano e questi partiti conservatori continuano con questa storia del turno monosecco.Lo volevano perche sapevano che con la sinistra radicale di quei tempi non era possibile governare così come non è stato possibile governare con l'ultimo governo di cs.Infatti è stato necessario separare il partito della rifondazione comunitaria.La sinistra di quel partito da una parte,i troskisti dall'altra.Certo il sistema francese può essere utilizzato quello per i parlamentini provinciali che non priva di rappresentanza le forze minori con le preferenze,ma che permette di governare.Sul sistema elettorale stò con Walter Ciao Robyn
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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda lucameni il 17/09/2010, 22:39

Rifondazione Comunista.
E mi sfugge l'accenno ai trotskisti.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda franz il 18/09/2010, 8:51

Robyn ha scritto:Quelle riforme non ci sono ,non perche la sinistra non voleva ,ma perche altri partiti conservatori in precedenza hanno affossato il sistema elettorale francese che i DS volevano e questi partiti conservatori continuano con questa storia del turno monosecco.Lo volevano perche sapevano che con la sinistra radicale di quei tempi non era possibile governare così come non è stato possibile governare con l'ultimo governo di cs.

Mi sembra una affermazione scarsamente condivisibile.
Ognuno è responsabile delle sue azioni e se la sinistra sindacale e la sinistra politica 13 anni fa hanno affossato una proposta di riforma durante un governo di centro sinistra, che le elezioni le aveva vinte, non si puo' dare al colpa al sistema elettorale.
Anche perché se la CGIL 13 anni fa disse NO, questo non c'entra con i meccanismi elettorali italiani.
La decisione autonoma di un grande sindacato come la CGIL non poteva essere ignorata all'interno di un governo di centrosinistra, anche per non lacerarlo e questo è vero indipendentemente dai sistemi che eleggono parlamento e governo.

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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda Robyn il 18/09/2010, 9:22

La riforma Biagi non è stata possibile perche quando ci fù il referndum sul maggioritario i DS proposero in parlamento il ballottaggio perche sapevano che con il partito della rifondazione comunitaria non era possibile governare,ma i partiti conservatori affossarono quella riforma,preferirono il monoturno conservatore,e oggi ancora insistono.Con il ballottaggio non ci sarebbe stato il coinvolgimento del Prc e Prodi non sarebbe mai caduto.In merito al sindacato che si opponeva alla riforma Biagi mi pare che Cofferati allora leader Cgil scese in piazza per via dell'art 18 e non per la riforma Biagi.I rapporti fra sindacati e sinistra sono ben diversi da chi immagina che i DS siano stati sempre la cinghia di trasmissione della Cgil perche non li conosce bene non proviene da quel mondo.D'Alema chiese più flessibilità alla Cgil di Cofferati.Cofferati disse no.Ma questo non avrebbe impedito la riforma perche tra partito e sindacato c'è sempre stata reciproca autonomia anche se ci sono riferimenti nel sindacato- PS Scusa lucameni,non capisco,puoi spiegarti meglio?Ciao Robyn
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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda franz il 18/09/2010, 11:18

Robyn ha scritto:La riforma Biagi non è stata possibile perche quando ci fù il referndum sul maggioritario i DS proposero in parlamento il ballottaggio perche sapevano che con il partito della rifondazione comunitaria non era possibile governare,ma i partiti conservatori affossarono quella riforma,preferirono il monoturno conservatore,e oggi ancora insistono.Con il ballottaggio non ci sarebbe stato il coinvolgimento del Prc e Prodi non sarebbe mai caduto.In merito al sindacato che si opponeva alla riforma Biagi mi pare che Cofferati allora leader Cgil scese in piazza per via dell'art 18 e non per la riforma Biagi.

Ho piu' volte fatto riferimento al 1997 ed alla proposta di riforma avanzata dalla commissione Onofri (1996-1997).
Quella commissione fu istituita da Prodi, durante il primo governo dell'Ulivo.
Puoi trovare abbondante documentazione cercando in rete "commissione onofri"
La posizione di Cofferati è qui sintetizzata:
http://archiviostorico.corriere.it/1997 ... 3959.shtml

La riforma Biagi (assasinato nel 2002 dalle BR) invece è del 2003 (sei anni dopo le proposte di Onofri)
Le due hanno in comune il fatto che in entrambi i casi Cofferati disse di NO.
Ma la cosa non dovrebbe sorpredere, visto che oltra a "il cinese" si era guadagnato anche l'appellativo di "signor no".

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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda flaviomob il 18/09/2010, 12:14

Marchionne? Nè buono nè cattivo. E' la globalizzazione, bellezza!

http://www.sinistrainrete.info/globaliz ... ei-mercati

CONTRO L’APERTURA INDISCRIMINATA DEI MERCATI
Emiliano Brancaccio
Marchionne non è né “buono” né “cattivo”: egli è solo una equazione, è una mera funzione del meccanismo di riproduzione del capitale. Se non si mette in discussione la piena apertura dei mercati non vi saranno le condizioni per un rilancio del movimento dei lavoratori

La globalizzazione dei mercati abbatte la forza rivendicativa, politica e sindacale, dei lavoratori. Numerosi studi del Fondo Monetario Internazionale, dell’OCSE, della Commissione Europea, segnalano da tempo l’esistenza di una correlazione statistica tra l’apertura di un paese ai movimenti internazionali di capitali, di merci e in parte anche di persone, e il corrispondente declino degli indici di protezione dei lavoratori, della quota salari sul reddito nazionale e dei livelli di protezione sociale. I dati segnalano che la globalizzazione dei mercati indebolisce i lavoratori in tutte le fasi del ciclo capitalistico, sia nel boom che nella recessione. Tuttavia, quando si attraversa una crisi, la piena apertura dei mercati può condurre a una vera e propria capitolazione delle rappresentanze del lavoro, e a un conseguente, precipitoso declino delle tutele normative e sindacali e della quota di prodotto sociale destinato ai lavoratori.

Queste statistiche non fanno che confermare quel che già si evince dalla cronaca quotidiana. Consideriamo ad esempio il caso FIAT e le sue ripercussioni su Federmeccanica e sul contratto nazionale. Marchionne rammenta ai media che può ottenere a Detroit o in Serbia un valore del prodotto per ora di lavoro decisamente maggiore rispetto ai più modesti rendimenti degli impianti di Pomigliano o di Mirafiori (il differenziale, si badi, è reale: esso non dipende dal grado di utilizzo della capacità ma al contrario lo determina). Per questo motivo egli si dichiara pronto a spostare le unità produttive all’estero a meno che in Italia non si affermi un nuovo modello di relazioni industriali, fondato sul recesso dai contratti nazionali, sulla eliminazione delle ultime sacche di resistenza sindacale e sulla conseguente possibilità di imprimere una forte accelerazione al prodotto per unità di lavoro. La FIAT detta in questo modo la linea alla quale il padronato italiano si accoda senza indugio: minacciare continuamente le delocalizzazioni per liquidare gli ultimi scampoli di movimento operaio esistenti nel nostro paese.

Ovviamente la libertà di movimento dei capitali non colpisce solo il sindacato italiano. Essa scuote le relazioni industriali in moltissimi paesi, siano essi avanzati o in via di sviluppo. Tale libertà oltretutto agisce sia sui salari diretti che sul welfare. Basti pensare agli effetti dell’apertura dei mercati sulla concorrenza fiscale tra paesi, e sulla conseguente crisi di finanziamento dello stato sociale. Questo tipo di concorrenza non viene praticata dai soli paradisi fiscali. Molti paesi ricchi la sostengono apertamente: per evitare le fughe di capitale all’estero si elargiscono sussidi alle imprese e sgravi ai possessori di ingenti ricchezze, e si recupera poi tramite i consueti tagli alla spesa pubblica.

I dati ci dicono insomma che siamo al cospetto di un dumping salariale e fiscale senza limiti, che da tempo alimenta una guerra mondiale tra lavoratori e che ha trovato nella crisi uno spaventoso fattore di accelerazione. E’ bene chiarire che si tratta di un dumping trasversale, che mette in competizione gli stessi paesi avanzati tra loro e che non può essere sintetizzato nella sola corsa al ribasso tra lavoratori dei paesi ricchi e lavoratori dei paesi poveri. Il caso tedesco è in questo senso emblematico. La minaccia di trasferire interi spezzoni di produzione all’estero ha contribuito a rendere la Germania un motore del dumping salariale europeo, con un divario tra produttività del lavoro e retribuzioni tra i più alti del mondo. Inoltre va ricordato che i sussidi del governo federale americano e l’abbattimento del costo del lavoro in Chrysler hanno fortemente contribuito allo spostamento dell’asse strategico di FIAT verso gli Stati Uniti. Ciò indica che il dumping salariale e fiscale può partire anche dal paese più ricco del mondo.

Di fronte a tali evidenze è curioso che soltanto il movimento di Seattle, pur tra mille contraddizioni e ingenuità, si sia posto in questi anni il problema di trarre un abbozzo di critica della globalizzazione. Al contrario tra gli eredi della tradizione del movimento operaio sembra prevalere da tempo una sorta di liberoscambismo acritico, talvolta addirittura apologetico. Dopo il crollo dell’URSS questa posizione ha caratterizzato in Europa soprattutto i socialisti, ma ha pure interessato frange della sinistra alternativa, delle aree di movimento e degli stessi partiti comunisti. Questa palese sudditanza verso l’apertura globale dei mercati genera un ritardo a sinistra che si rischia oggi di pagar caro. La crisi economica mondiale ha infatti scatenato un conflitto intercapitalistico tra liberoscambisti e protezionisti che durerà a lungo e che è destinato a mutare profondamente il corso degli eventi. Di questo scontro si sono accorti un po’ tutti: i movimenti neo-nazionalisti, così come le leghe. Al contrario i socialisti e i comunisti, e più in generale gli eredi delle tradizionali rappresentanze politiche e sindacali del lavoro, appaiono su questo tema silenti, estraniati dal dibattito. Ancora una volta la vicenda FIAT appare sintomatica. Alcuni intellettuali e politici hanno etichettato Marchionne come “cattivo manager”, che investe poco e punta solo ad abbattere il costo del lavoro. C’è del vero in queste accuse, ma bisogna rendersi conto che esse sono superficiali. In un certo senso potremmo considerarle simmetriche all’affrettato elogio del “capitalista buono” che gli veniva rivolto non moltissimo tempo fa. La verità è che Marchionne non è né buono né cattivo: egli è solo una equazione, è una mera funzione del meccanismo di riproduzione del capitale. Finché gli sarà concesso, egli minaccerà sempre di effettuare investimenti lì dove i profitti sono maggiori. Considerato che Berlusconi dichiara che «in una libera economia e in un libero Stato, un gruppo industriale è libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione» e che nessuna forza politica ha finora provato a ribattere su questo punto decisivo, è lecito prevedere che Marchionne e il padronato avranno gioco facile a qualsiasi tavolo delle trattative.

Esiste un modo per colmare il ritardo delle sinistre? È possibile individuare una proposta che consenta di elaborare un autonomo punto di vista del lavoro sullo scontro in atto tra liberoscambisti e protezionisti? L’idea di condizionare i movimenti internazionali di capitali e di merci al fatto che i vari paesi rispettino un comune “standard del lavoro” è una delle opzioni possibili. Ma prima di approfondire le questioni tecniche, occorre che maturi una consapevolezza politica: se non si mette in discussione l’indiscriminata apertura globale dei mercati, difficilmente si verranno a creare le condizioni per un effettivo rilancio del movimento dei lavoratori.


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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda flaviomob il 18/09/2010, 12:24

E' evidente che Cofferati rifiutava la proposta Onofri perché creava una sorta di vasi comunicanti tra spesa previdenziale e spesa assistenziali. Tra l'altro la spesa pensionistica INPS è molto più in equilibrio tra entrate ed uscite di quanto viene ossessivamente e ripetitivamente sostenuto da alcuni media (in primis il Corriere). Del resto gli appetiti dei privati sui fondi pensione (per sputtanarli meglio nel turbocapitalismo finanziario della crisi globale e dei titoli spazzatura) sono sempre stati piuttosto evidenti.
Biagi diceva un'altra cosa: maggior flessibilità sul lavoro in cambio di garanzie universali (sussidio di disoccupazione in grado di sostenere il potere d'acquisto del lavoratore e della sua famiglia). In ogni paese serio, quando si chiede a un lavoratore di lavorare a termine, il salario è molto più alto rispetto alla paga oraria equivalente di un dipendente: è ovvio, a fronte di un maggior "rischio" dev'esserci una contropartita. In Italia, no. Si vogliono i vantaggi della flessibilità per gli imprenditori, ma senza una contropartita seria (perché è ovvio che la contropartita dovrebbe pagarla in parte l'impresa, se vuole la flessibilità se la deve pagare!). Inoltre girare i soldi delle pensioni per l'assistenza è un furto alla Robin Hood al contrario: rubare ai poveri per dare ai poveri (ammesso che poi i lavoratori stiano peggio dei pensionati!).
I soldi si devono recuperare incentivando un circuito di legalità, in cui l'evasione e il lavoro nero si combattono capillarmente, i professionisti (idraulici, elettricisti) pagano le tasse, chi affitta una casa paga le tasse, si dimezzano parlamentari e consiglieri eletti e retribuiti (imponendo un 50% di rappresentanza femminile così tanto per gradire), si fanno pagare le concessioni Mediaset e le tasse alla chiesa... lapalissiano no? Ah: ovvio, le rendite finanziarie (anche quelle non si sono mai tassate per colpa dei trinariciuti?)


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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda pierodm il 18/09/2010, 13:03

Di fronte a tali evidenze è curioso che soltanto il movimento di Seattle, pur tra mille contraddizioni e ingenuità, si sia posto in questi anni il problema di trarre un abbozzo di critica della globalizzazione. Al contrario tra gli eredi della tradizione del movimento operaio sembra prevalere da tempo una sorta di liberoscambismo acritico, talvolta addirittura apologetico. Dopo il crollo dell’URSS questa posizione ha caratterizzato in Europa soprattutto i socialisti, ma ha pure interessato frange della sinistra alternativa, delle aree di movimento e degli stessi partiti comunisti. Questa palese sudditanza verso l’apertura globale dei mercati genera un ritardo a sinistra che si rischia oggi di pagar caro.

da un mesetto circa sto provando a far discutere, qui nel forum, su questo tema, in questi termini, che mis embrano politicamente i più corretti, ma inutilmente.
O meglio, non si discute in questi termini, ma ci si contrappone a questa impostazione utilizzando gli stessi identici concetti del Cavaliere - «in una libera economia e in un libero Stato, un gruppo industriale è libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione» - definiti in sostanza come uno dei fondamenti del "liberalismo" assoluto, ossia dogmatico, fuori dal tempo e fuori dalla storia, o meglio ancora come quintessenza della storia.

E altrettanto inutilmente sto tentando da un mese - insieme ad altri amici, fortunatamente - di rispondere a chi, ossessivamente o meno, chiede "soluzioni" (evidentemente "tecniche", ossia immediate) con lo stesso concetto usato in chiusura nell'articolo, che mi sembra di un'evidentissima correttezza logica e di merito: Esiste un modo per colmare il ritardo delle sinistre? È possibile individuare una proposta che consenta di elaborare un autonomo punto di vista del lavoro sullo scontro in atto tra liberoscambisti e protezionisti? L’idea di condizionare i movimenti internazionali di capitali e di merci al fatto che i vari paesi rispettino un comune “standard del lavoro” è una delle opzioni possibili. Ma prima di approfondire le questioni tecniche, occorre che maturi una consapevolezza politica: se non si mette in discussione l’indiscriminata apertura globale dei mercati, difficilmente si verranno a creare le condizioni per un effettivo rilancio del movimento dei lavoratori.

Infine, sono davvero contento che Flavio riprenda un concetto che, anche questo, ho provato ad introdurre ma che è scivolato via abilmente glissato: In ogni paese serio, quando si chiede a un lavoratore di lavorare a termine, il salario è molto più alto rispetto alla paga oraria equivalente di un dipendente: è ovvio, a fronte di un maggior "rischio" dev'esserci una contropartita
Il problema non è quello di concludere che "evidentemente l'Italia non è un paese serio", a meno di non voler fare battute, simpatiche ma poco costruttive.
Il problema è che sulla realtà contenuta in questa riflessione si dovrebbe cercare di costruire il rilancio, il programma, l'identità - chiamiamolo come preferite - della sinistra, senza andare a cercarla tanto lontano, specialmente da parte di chi ha un'impostazione di pensiero pragmatica e sostiene la necessità di un'azione concreta, legata ai "bisogni della gente".
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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda franz il 18/09/2010, 14:21

flaviomob ha scritto:E' evidente che Cofferati rifiutava la proposta Onofri perché creava una sorta di vasi comunicanti tra spesa previdenziale e spesa assistenziali. Tra l'altro la spesa pensionistica INPS è molto più in equilibrio tra entrate ed uscite di quanto viene ossessivamente e ripetitivamente sostenuto da alcuni media

Certo, lo diciamo da tempo: è in equilbrio ma lo è ad un costo altissimo (appunto il cuneo fiscale elevato di cui parliamo altrove). Sarebbe come se uno si sdraiasse per terra e l'altro (di 300 kg) gli salisse con un calcagno sui marroni, rimanendo in equilibrio su una gamba sola. <Guarda che pesi>, dice il primo. <Ma io sono in equilbrio>, dice il secondo. :o ;)

Certo che Onofri poneva un problema di vasi comunicanti. Lo faceva a ragion veduta. La spesa italiana del welfare, in termini generali su % di PIL, era comparabile a quella degli altri paesi. Tuttavia in Italia è enorme la spesa previdenziale e misera quella assistenziale. Quindi la spesa andava riequilibrata, agendo sulle pensioni di anzianità per trovare risorse per l'assistenza vera.
Cofferati ha detto NO perché la CGIL è ormai in sindacato vecchio, di pensionati (piu' della metà degli iscirtti è in pensione).

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Re: Ichino: «L'alternativa al modello Marchionne è la camorra»

Messaggioda pierodm il 18/09/2010, 16:54

La spesa italiana del welfare, in termini generali su % di PIL, era comparabile a quella degli altri paesi. Tuttavia in Italia è enorme la spesa previdenziale e misera quella assistenziale

Le pensioni di anzianità, per quanto ne so, sono talmente basse che non riesco a credere che in altri paesi siano minori: l'enormità della spesa previdenziale, se c'è, sarebbe semai dovuto all'enormità del numero di pensionati, ma anche qui non credo che in altri paesi questo numero sia molto diverso.
Ma non è questo il punto che a me sembra significativo, a guardare il problemasu una base politica di sistema.

Per come vedo io la questione, non ritengo l'assistenza un traguardo ultimo, ossia un valore da perseguire come soluzione strategica e qualificante su vasta scala.
Io credo che sia molto più significativo, specialmente per una politica progressista, incidere sui meccanismi sociali, economici, giuridici, etc, per ridurre al minimo la necessità dell'assistenza, che dev'essere eventualmente riservata ai casi estremi: in altri termini, una politica assistenziale che coinvolga un numero elevato di cittadini segna allo stesso tempo una sconfitta della democrazia e del sistema socio-economico stesso.
Come dire che, se i "casi estremi" sono tanti, tali da costituire una sorta di "classe" dalle dimensioni significative, e anche un capitolo di spesa altrettanto significativo, non sono più casi estremi, ma sintomi di una normalità piuttosto malata, benché curata in modo lodevolmente volenteroso.

In termini pratici, tanto per fare un esempio, una persona che lavora - qualunque sia il suo lavoro - dovrebbe poter guadagnare abbastanza, come minimo, da pagare l'affitto di una casa da single e svolgere le noramli funzioni di vita: non la ricchezza ovviamente, e nemmeno un benessere particolare, ma l'essenziale di un'esistenza civile, senza bisogno di essere "assistito" né direttamente né indirettamente - compreso il caso di servizi e prodotti erogati in regime privatistico, dall'asilo nido al telefono, luce, gas, etc.
Quanto più ci si allontana da quesat situazione, tanto più il sistema è "malato", poco equilibrato, vittima di storture: ben venga allora il welfare assistenziale, ma come una pezza (costosissima, a carico dell'intera comunità) non come una soluzione vera e propria - o meglio, se diventa una soluzione sistematica, bisogna andare a vedere quali sono le cause della stortura, e capire chi ne trae vantaggio, se si vuole trovare una soluzione migliore e ridurre la necessità dell'assistenza.
Tra parentesi, non credo che quei paesi che consideriamo meglio organizzati, siano preferibili al nostro perché "assistono" meglio un gran numero di cittadini disgraziati. Credo che siano, appunto, meglio organizzati perché i disgraziati sono di meno, o sono meno disgraziati, grazie ad una serie di situazioni socio-econimiche adeguate.
Questo è il mio punto di vista "liberale".
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