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Stipendi?

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Stipendi?

Messaggioda Loredana Poncini il 12/09/2010, 10:49

Io no, non pagherei 10 volte tanto nessuno perché facesse quel che deve fare, avendo quel dato ruolo.
Ci sono realtà, compiti, doveri che non sono mercificabili, monetizzabili, e neppure oggettivabili in "contratti con gli italiani".
Non è questione di cause ed effetti, ma di stipendi che certe persone si autoassegnano, fuoriuscite miliardarie per chi è riuscito a fare affondare l'Alitalia...
I miei pensieri non sono i tuoi pensieri, Franz : le logiche sono non solo diverse, ma incompatibili.
Grida vendetta, per me, vivere in un Sistema Occidentale in cui si privatizzano i profitti e si scaricano sulla res publica le perdite.
Il giovane Carlo Marx si scervellò per lo sgomento di vedere come l'industrializzazione nascente mercificava donne,uomini e bambini.
Piero Gobetti pubblicò la rivoluzione liberale dialogando con Gramsci per l'UNITA' contro quel fascismo d'allora.
Hannah Arendt s'arrovellò per tutta la vita per capire come avevano potuto avere tanta popolarità, tra la gente comune, hitler e stalin...
Noi, nell'era del web, solo con Grillo e Di pietro troviamo qualcuno che dice basta alla vecchia casta che gestisce se stessa dandoci a bere che lo fa per il bene dell' ITALIA.
Cornuta e mazziata da tutti i socio-politologi di questo mondo, vado a ristudiarmi Caritas in Veritate per riprendere a respirare.
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Re: Stipendi?

Messaggioda franz il 12/09/2010, 11:06

Loredana Poncini ha scritto:I miei pensieri non sono i tuoi pensieri, Franz : le logiche sono non solo diverse, ma incompatibili.
Grida vendetta, per me, vivere in un Sistema Occidentale in cui si privatizzano i profitti e si scaricano sulla res publica le perdite.

Certo; viviamo in una società mista, non completamente libeale, non completamente socialista.
Questo permette di votare un Obama che spende miliardi di dollari per salvare la sua industria automobilistica, alcune sue banche, al regno unito, germania e francia di fare altrettanto (solo l'Italia, avendo già troppi debiti, ha dovuto trattenersi). Quindi liberismo (privatizzare i guadagni) quando serve e socialismo (pubblicizzare le perdite) quando serve.
Io personalmente, a chi si lamenta di questo scaricare sulla res publicae le perdite, do' ampiamente ragione ma perderemmo un pezzo di socialismo o di quell'impegno sociale in economia che la DC ha profuso (grazie a La Pira, se ricordo bene) salvando un'infinità di aziende decotte.
Se non ti piace puoi tentare di andare a vivere in un paese completamente socialista (ma non hai grandi alternative, l'unico rimasto forse sta per chiudere per cessato funzionamento, a sentire Fidel) oppure, a trovarlo, in uno completamente liberista. Al di fuori di queste due estremi, devi per forza sporcarti con l'impura realtà.

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Re: Stipendi?

Messaggioda ranvit il 12/09/2010, 11:14

pierodm ha scritto:Aaah, adesso ho capito cosa s'intende per "soluzioni"...


Alternative....?
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Stipendi?

Messaggioda franz il 12/09/2010, 12:28

ranvit ha scritto:
pierodm ha scritto:Aaah, adesso ho capito cosa s'intende per "soluzioni"...


Alternative....?

Mah, a sentire Loredana "solo con Grillo e Di pietro troviamo qualcuno che dice basta" ma, aggiungo io, ieri come oggi "non basta dire basta" ed infatti ad andare a vedere le soluzioni di politica economica proposte dai dipetrini e dai grillini (poco ma qualche cosa c'è) c'è da mettersi le mani nei capelli. nel PD c'è molto di piu, a confronto. Ed è tutto dire.

Ma in fondo il gioco di ruolo è questo: non fare nulla, salvo lamentarsi e dire "basta", poi andare a contestare chi propone soluzioni, dileggiarlo, insultarlo, fischiarlo.

E l'Italia giocava alle carte
e parlava di calcio nei bar
e l'Italia rideva e cantava.


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Re: Stipendi?

Messaggioda pierodm il 12/09/2010, 13:09

Ci sono realtà, compiti, doveri che non sono mercificabili, monetizzabili, e neppure oggettivabili in "contratti con gli italiani".
Non è questione di cause ed effetti, ma di stipendi che certe persone si autoassegnano, fuoriuscite miliardarie per chi è riuscito a fare affondare l'Alitalia...
I miei pensieri non sono i tuoi pensieri, Franz : le logiche sono non solo diverse, ma incompatibili.
Grida vendetta, per me, vivere in un Sistema Occidentale in cui si privatizzano i profitti e si scaricano sulla res publica le perdite
: questo diceva Loredana, e mi sembra qualcosa su cui discutere, se non altro perché Ci sono realtà, compiti, doveri che non sono mercificabili, monetizzabili, e neppure oggettivabili in "contratti con gli italiani" è un concetto che non può essere eluso troppo facilmente, o ignorato.
O meglio, si può ignorare ciò che viene detto, la parte più qualificante di ciò che viene detto: ma che dialogo è? Che rispetto è per gl'interlocutori?

L'idea, poi, che socialismo sia né più né meno che privatizzare le perdite è grottesca, e segna in modo triste il livello di certi discorsi.
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Re: Stipendi?

Messaggioda Loredana Poncini il 12/09/2010, 16:02

LA GLOBALIZZAZIONE E LA FINE DEL SOCIALE.
Sottotitolo: "per comprendere il mondo contemporaneo"
(ed. il Saggiatore, 2008).
Alain Touraine, in questo suo saggio, mostra come l'individualismo imposto dalla globalizzazione abbia sradicato i movimenti di massa e reso inservibili le categorie politiche e sociali con cui pensavamo noi stessi e gli altri:
se le grandi narrazioni collettive sono finite, la vita del soggetto acquista la stessa drammaticità della storia del mondo.
Abbiamo perciò bisogno di un nuovo paradigma per capire il presente e, soprattutto, per rivendicare i diritti che tutte le persone è bene possano esercitare.
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Re: Stipendi?

Messaggioda flaviomob il 12/09/2010, 23:24

Grazie Loredana e complimenti per i tuoi ottimi e profondi interventi. Ne approfitto per segnalare anch'io un titolo di R.Castel, L'insicurezza sociale, di cui esiste anche una breve sintesi a questo link: http://materialiresistenti.blog.dada.ne ... ZA+SOCIALE


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Re: Stipendi?

Messaggioda flaviomob il 13/09/2010, 0:45

Riflessioni di mezzanotte...

La metropoli, madre o prigione?
http://www.sinistrainrete.info/teoria/1 ... -metropoli

Marx e la decrescita
http://www.sinistrainrete.info/marxismo ... ro-di-marx


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Re: Stipendi?

Messaggioda trilogy il 13/09/2010, 20:22

ranvit ha scritto:Mi permetto di dire che siamo in tantissimi ad essere d'accordo con Berselli.

Ma le analisi non bastano, servono soluzioni!

Non mi pare che Berselli ne avesse.

Vittorio


Si ranvit ha ragione, bisogna cominciare a mettere sul tappeto delle soluzioni.

Partirei dalla festa del PD. Con tutto il rispetto per Schifani e Bonanni, per gl’inviti avrei fatto scelte di tutt’altro genere. Avrei invitato a discutere gente come Il matematico John Nash , il capo della Apple Steve Jobs, Jón Gnarr del partito migliore Islandese, il regista James Cameron, l’architetto giapponese Kazuyio Sejima, che dirige la La 12. Mostra Internazionale di Architettura di venezia: Una sua frase: “Questa mostra avrà raggiunto il suo scopo, se riuscirà ad immaginare le direzioni verso le quali si sta muovendo la nostra società e i sogni che il futuro renderà possibili” (una frase così, sarebbe perfetta nel discorso di apertura di una festa di partito) :mrgreen:

I nomi in quanto tali hanno poca importanza, ma avrei cercato un confronto con gente che sa fare innovazione, guarda il presente e immagina il futuro. Vede la realtà da un angolo differente dal nostro.
Bene invece la scelta del comizio finale del segretario, checché ne dicano i critici.

Avrei invitato gente di quel tipo perché il problema centrale del paese si chiama “innovazione”. Per farla occorrono alcuni ingredienti: Una visione positiva del futuro, risorse finanziarie e intellettuali, credibilità e coerenza di chi deve guidare il processo.

a. La visione si costruisce aprendosi al mondo e ad esperienze e culture diverse. L’Italia è annichilita dalla paura, la destra la alimenta. Va sconfitta creando una prospettiva positiva e credibile.

b. Le risorse. In questo paese c’è un problema enorme che sono le frodi fiscali. Quella che una volta era l’evasione, oggi è diventata una industria della frode. Non si sconfigge questa industria del crimine con la sola polizia tributaria. Occorre un impegno serio delle Associazioni degli imprenditori e della società nel suo complesso. Questo è un tema sul quale costruire un dialogo costruttivo e trasparente tra Associazioni degli imprenditori, rappresentanti dei lavoratori, politica. Senza di questo, meglio lasciar perdere e governare l’esistente. Altrimenti il risultato di qualunque innovazione sarebbe il solito degli ultimi 30 anni: il 20% dei cittadini si ritrova più ricco di prima, l’80% paga il conto.

c. credibilità e coerenza. Ogni anno leggiamo sui giornali: recuperati 2 miliardi di euro evasi, scoperti 30 mila evasori totali ecc. ecc. Qualcuno di voi ha mai visto frutti concreti da questa attività? Avete mai visto un cartello: “linea metro B realizzata grazie al recupero dell’evasione 2009” “scuola elementare Trilogy realizzata con il recupero dell’evasione 2010”. Avete mai visto nelle istruzioni per la dichiarazione dei redditi “rigo C detrazione di 200 euro da recupero redditi evasi anno precedente”. I vantaggi della lotta all’evasione vanno resi tangibili, se finiscono nel calderone o sperperati non ci sarà mai sostegno collettivo a questo obiettivo.
In questo processo di rilancio del paese la politica deve prendere impegni seri: Il famoso inasprimento delle norme contro la corruzione… qualcuno l’ha visto? Mesi fa Berlusconi aveva promesso: “la prossima settimana vareremo le nuove norme” poi più nulla. Altro tema fondamentale “il conflitto d’interessi”. Va affrontato. Il conflitto non è solo quello di Berlusconi e delle sue imprese, ma riguarda tutti coloro che nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche possono trarre dei vantaggi per se o per i propri familiari. Senza di queste condizioni operative minime, parlare di meritocrazia, pari opportunità, efficienza della pubblica amministrazione, corretta gestione delle risorse pubbliche è una presa per i fondelli.
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Re: Stipendi?

Messaggioda flaviomob il 13/09/2010, 23:07

Un manager che guadagna milioni e fa funzionare la sua azienda è un conto, un manager che fallisce e ha comunque una buonuscita milionaria, oppure che può appoggiarsi a società off-shore e paradisi fiscali per evadere le tasse, un altro. Peggio ancora quei paesi, come l'Italia, dove un colabrodo fiscale e l'assenza di tassa patrimoniale favorisce i redditi alti ed altissimi in un momento di profonda crisi in cui i benestanti dovrebbero fare maggiormente la loro parte.

http://www.sinistrainrete.info/politica ... -il-debito

Sostenere la domanda, controllare il debito
Duccio Cavalieri*
Ancora una volta l’economia finanziaria, che non produce vera ricchezza, sta avendo la meglio sull’economia reale. Il salvataggio dell’economia finanziaria, attuato in condizioni di emergenza dopo l’ultima crisi mondiale, è avvenuto immettendo sul mercato non regolamentato una massa enorme di nuovi titoli ‘tossici’ e di titoli del debito sovrano scarsamente affidabili. Si è cioè pensato di tamponare una crisi nata da eccessivo indebitamento non solo riducendo la spesa pubblica per fini sociali, ma anche scaricando sui bilanci della pubblica amministrazione e sulle generazioni future debiti privati inesigibili.

Gli stati si sono indebitati per salvare dalla crisi un sistema finanziario finalizzato alla speculazione e che oggi, dopo essere stato mantenuto in vita dai poteri pubblici con il denaro dei contribuenti, cerca di riprendere a fare soldi speculando al ribasso proprio sui titoli pubblici. La situazione sta tornando a essere quella di due anni fa, ma con la differenza che oggi sono direttamente coinvolti nella crisi anche gli stati (l’esperienza della Grecia insegna).
Il ribasso dei tassi di interesse, ormai ridotti da tempo a livelli minimi, non ha invertito la tendenza dei gestori di fondi a privilegiare l’impiego finanziario a breve termine rispetto all’investimento reale. L‘attuale sistema di money-managed capitalism continua a produrre liquidità in eccesso e un indebitamento privato il cui rimborso appare sempre più problematico. Si sono così riprodotte, come ha riconosciuto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti,“le stesse condizioni di crisi potenziale che c’erano appena due anni fa”.

Queste condizioni ora rischiano di essere aggravate dalla politica finanziaria eccessivamente restrittiva e deflazionista adottata dall’Unione monetaria europea su pressione dei paesi più forti. La disoccupazione è ai suoi livelli massimi. La globalizzazione dei mercati induce le nostre imprese a spostare all’estero i propri impianti. Milioni di posti di lavoro sono oggi a repentaglio. I giovani non riescono più a trovare un lavoro. Nemmeno un’occupazione precaria e male remunerata. L’instabilità finanziaria, da situazione eccezionale quale era un tempo, è diventata uno stato endemico. Il rischio di un eccessivo indebitamento, privato e pubblico, che aprirebbe le porte a un’insolvenza generalizzata, è evidente e non può essere ulteriormente sottovalutato.

In questa situazione, i problemi strutturali della nostra economia oggi non vengono adeguatamente affrontati. Né si vede come potrebbero esserlo, in presenza degli ingenti tagli della spesa pubblica comportati da una manovra finanziaria congiunturale ispirata a una politica economica di austerità, che, così come è stata congegnata, è destinata a colpire i ceti popolari e le classi medie, senza incidere sui grandi patrimoni. Come se ciò non bastasse, si è proceduto a regolarizzare con lo scudo fiscale le posizioni degli evasori che avevano collocato all’estero i loro capitali in frode alla legge. E con la manovra finanziaria si sono imposti gravi sacrifici alle fasce sociali più deboli, a coloro che non hanno modo di difendersi dal fisco. Mentre si è rinunciato a incidere sulla capacità contributiva dei percettori dei redditi più elevati e dei possessori delle maggiori fortune.

Compiendo una precisa scelta politica, si è cioè imboccata una strada sbagliata, che avrà l’effetto di aggravare le sperequazioni sociali e di deprimere ulteriormente una domanda aggregata che già stentava a riprendersi, per l’evidente insufficienza della capacità di consumo della popolazione.

I rubinetti del credito bancario sono da tempo difficilmente accessibili alle piccole e medie imprese. La proposta di far condividere i costi della crisi alle banche e alle altre istituzioni finanziarie, che hanno beneficiato di ingenti finanziamenti e sostegni pubblici e non li hanno utilizzati per concedere credito alle attività produttive, ma per compiere operazioni puramente speculative, sembra sia caduta nel vuoto. Occorre imporre alle banche regole più severe e tassare pesantemente le rendite finanziarie e la finanza speculativa. E’ tempo di cominciare a pensare a una seria riforma dell’attuale ordinamento bancario e a una socializzazione dei proventi finanziari realizzati in conto capitale con impieghi di natura speculativa.

Il nostro ministro dell’Economia, dopo avere inutilmente tentato di rafforzare l’influenza del Tesoro sulle banche con i ‘Tremonti bonds’, sembra si sia finalmente ricordato di essere fautore di un’economia sociale di mercato; e memore forse dei suoi lontani trascorsi socialisti, ha richiamato con toni severi le banche a fare il loro mestiere e assolvere la funzione istituzionale di sostegno delle attività produttive. Ma la sua proposta di addossare una parte dei costi della crisi al sistema bancario, principale responsabile dell’inefficienza e dell’instabilità dei mercati finanziari, non ha avuto alcun seguito. La deregolamentazione della finanza non è stata sostanzialmente modificata. Non si sono scoraggiate con l’introduzione di una ‘Tobin tax’ le operazioni finanziarie di tipo speculativo, volte a far denaro a mezzo di denaro, e non sono stati istituiti più efficaci controlli amministrativi sui movimenti di capitale a breve.

Non si è inoltre ancora avviata l’auspicata riforma di un sistema monetario internazionale che sembra essere stato concepito su misura per consentire un facile finanziamento a spese di altri paesi del disavanzo nei conti con l’estero degli USA. Il ricorrente attacco speculativo contro l’euro – la moneta che usiamo in Italia, ma di cui non abbiamo il controllo – ne evidenzia drammaticamente le conseguenze. A contrastarne gli effetti non può certo bastare la discutibile decisione della BCE di acquistare sul mercato libero titoli di stato dei paesi membri, privi di sovranità monetaria, adottata per fornire liquidità addizionale ai mercati finanziari in difficoltà. Occorre ben altro, per attivare un efficace meccanismo di sostegno della domanda globale.

La stessa sopravvivenza futura dell’Unione monetaria europea, in assenza di una politica finanziaria comune, oggi appare in forse. E’ logico chiedersi, come fanno i tedeschi, perché mai i paesi che hanno rispettato le regole del gioco dovrebbero pagare per quelli che le hanno violate, incoraggiando l’espansione abnorme di forme di consumo sempre più maniacali.

Quella che è finora mancata, a livello internazionale, è una strategia comune di uscita dalla crisi sistemica che ha provocato la recessione dell’economia reale. Una strategia capace di incidere efficacemente sulle cause della crisi, che non sono solo congiunturali, ma in primo luogo strutturali. La crisi è diventata anzi per i governi di alcuni paesi un’occasione per ridurre la quota della spesa sociale sul prodotto interno lordo, per rimettere in discussione diritti faticosamente acquisiti dal mondo del lavoro e per accelerare la dismissione degli ultimi residui dello stato sociale.

Cosa dovremmo fare allora? La risposta è semplice. Si deve voltare pagina e cambiare decisamente l’attuale indirizzo della politica economica (come è stato chiaramente indicato nella ‘Lettera degli economisti’). Bisogna cioè attribuire una priorità agli investimenti in attività creatrici di vera ricchezza – in attività produttive, in ricerca e sviluppo – piuttosto che sostenere l’abnorme sviluppo di un’attività finanziaria che non produce ricchezza reale e che, anziché limitarsi a svolgere le sue importanti funzioni tecniche di intermediazione del risparmio e di chiusura del circuito accumulazione-produzione, cerca di fare soldi speculando. Ossia scommettendo sul futuro.

Occorre fare in modo che l’aumento della produzione trovi dal lato della domanda sufficienti occasioni di sbocco sul mercato. Questo è un obiettivo che può essere conseguito solo ridistribuendo la ricchezza sociale in modo più perequato. Un’imposta progressiva straordinaria sul patrimonio delle persone fisiche e di quelle giuridiche, da realizzare in tempi rapidi, con un congruo abbattimento alla base, potrebbe consentire di ridurre l’entità del debito pubblico e la crescente distanza che da tempo si riscontra nel nostro paese tra ricchi e poveri. A mio avviso, un programma economico della sinistra dovrebbe prevedere il ricorso a un’imposta di questo tipo e porsi fin d’ora alcuni problemi tecnici relativi alle sue modalità di accertamento e di riscossione.

Un altro provvedimento da prendere, se vi fosse la volontà politica di agire in tal senso, è la revisione dell’attuale regime delle imposte di successione e donazione, che oggi colpiscono in modo troppo tenue la trasmissione della ricchezza all’interno del nucleo familiare. Si tratta di misure che i politici possono forse ritenere impopolari, ma che rispondono all’interesse collettivo, sia sotto il profilo della solidarietà sociale che per tendere a realizzare condizioni di effettiva parità nei punti di partenza nella lotta per la vita a tutti i cittadini.

La via da percorrere per stimolare una ripresa della domanda interna in un paese come il nostro, che ha rinunciato alla propria sovranità monetaria, non può essere quella della creazione di nuova base monetaria, né quella di allentare i cordoni del debito pubblico, per accrescere momentaneamente il reddito disponibile della popolazione. Un preconcetto isterismo del deficit non è certo giustificato, ma nel lungo periodo il debito pubblico va mantenuto sotto controllo, per la difficoltà di finanziarlo. Quando i tassi di interesse torneranno a livelli normali, il peso del servizio di un debito pubblico ulteriormente cresciuto potrebbe diventare insostenibile.

La possibilità di aumentare a discrezione il debito pubblico ci è del resto formalmente preclusa dal patto di stabilità e di crescita sottoscritto dai paesi membri dell’UME nel 1997, in seguito al quale le finanze pubbliche dei singoli paesi membri sono soggette a una procedura comune di monitoraggio centralizzato. La nostra sovranità in materia finanziaria è dunque limitata. Non abbiamo la possibilità di allentare troppo il controllo sulla spesa pubblica e non possiamo finanziare liberamente un disavanzo di bilancio. La banca centrale non potrebbe concedere credito allo stato (in realtà la BCE lo sta facendo, chiedendo in cambio politiche di austerità). Con il patto di stabilità e di crescita ci siamo inoltre impegnati ad attuare una progressiva riduzione del debito pubblico. Non possiamo dimenticarlo, anche se questa regola non è stata finora applicata in modo rigido. Ma quel patto non ci vieta di introdurre un’imposta straordinaria sul patrimonio.

Un’alternativa sarebbe ovviamente quella di uscire dall’UME. Con il risultato di riacquistare una piena sovranità monetaria e finanziaria, ma di andare anche incontro a inconvenienti e rischi. Per pensare di uscire dall’eurosistema dovremmo però avere un’economia nazionale strutturalmente più forte. Oggi solo la Germania potrebbe permettersi di compiere questo passo.

* Professore ordinario di economia politica nell’Università di Firenze.


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