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Crisi alimentare: produzione non liberismo

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Re: Crisi alimentare: produzione non liberismo

Messaggioda franz il 02/06/2008, 13:37

incrociatore ha scritto:... casomai il problema è che si danno indennizzo per la distruzione del surplus invece che della sua distribuzione...
Negli ultimi anni ha preso piede (un po' una moda per snob in molti casi) il biologico... bisognerebbe promuovere i "prodotti a chilometri zero", invece... almeno sarebbe un "protezionismo" intelligente.

Ogni medaglia ha il suo rovescio.
Se il nostro surplus fosse regalato dove c'è bisogno, distruggeremmo quella economia.
I prodotti a Km zero dovrebbero promuoversi da soli con un prezzo piu' basso ed una maggiore freschezza. Non hanno bisogno di sussidi.
Ma se un peperone che ha fatto 20'000 km costa meno ed è migliore di quello a km zero, il protezionismo è stupido.

Ti faccio un esempio. Se le macchine tedesche costassero meno (anzi per portare l'esempio al limite, se fossero gratis) è evidente che questo creerebbe gravi problemi alla nostra industria automobilistica. Come difenderci? Con il protezionismo? Per qualcuno si'. Invece potremmo chiudere le nostre industrie e comprare gratis macchine tedesche. Noi ci dedicheremo ad altro, in cui siamo piu' bravi dei tedeschi. Ora quindi non mi interessa quanti km fanno i peperoni o le autovetture per arrivare al nostro mercato.
Mi interessa che la divisione del lavoro nel mercato globale porti vantaggi a noi (peperoni buoni ed economici e autovetture gratis) e che noi si cerchi di competere producendo beni e servizi che altri sapranno apprezzare, procurando vantaggi ad altri.

Ma alla fine è questa la domanda. Noi, cosa sappiamo fare?

Ciao,
Franz
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FAO e cibo ... Re: Crisi alimentare: produzione non liberism

Messaggioda Gab il 03/06/2008, 9:52

Oggi 3 Giugno, si apre a Roma, la conferenza
High-Level Conference on World Food Security: the Challenges of Climate Change and Bioenergy.
Conferenza durante la quale i responsabili politici verranno "informati" dei risultati prodotti da diversi meeting preparatori all'evento,
durante i quali gli esperti hanno analizzato le problematiche riguardanti: cibo, cambiamenti climatici, biodiversità, ..

Da una breve lettura dei documenti prepratori , riguardanti le problematiche legate al cibo,
la prima cosa che salta agli occhi e' l'elevato aumento generalizzato dei cibi base.
Aumento evidenziato dal grafico sotto.
Immagine

Il problema principale in tale caso stà nel fatto che circa 850 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e la quasi totalità, circa 820 milioni,
di essi vive in paesi in via di sviluppo.
Quei paesi cioè che più saranno colpiti da problematiche legate a "cambiamenti globali".

Questo come altri elementi allarmanti, costituirebbero anche una grande opportunità per promuovere finalmente lo sviluppo agricolo e rurale nella maggior parte dei paesi poveri.

Sarà interessante vedere i risultati della conferenza. La sfida verrà raccolta?


Maggiori info e documenti relativi all'evento:
Introduzione all'evento
Materiale informativo
Documenti <-- Molto interessati!

GAb
Ultima modifica di Gab il 03/06/2008, 9:54, modificato 2 volte in totale.
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Il disastro climatico sta già portando alla fame

Messaggioda franz il 03/06/2008, 9:52

Alla vigilia del summit della Fao, abbiamo letto il rapporto che verrà presentato domani
Allarme per l'uso intensivo dell'agricoltura per la produzione di biocombustibili
Il disastro climatico
sta già portando la fame

820 milioni di persone sottonutrite: più della metà lavora proprio
nella produzione di cibo. Servono nuove trattative post-Kyoto
di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA - Forse è già cominciato e non ce ne siamo accorti. Dopo aver letto Nutrition, Climate Change and Bioenergy, il rapporto che la Fao presenterà domani, all'apertura del summit di Roma, è difficile sfuggire alla sensazione che lo spettro della fame sia uno degli effetti del global warming in atto, che lo scenario devastante del disastro climatico annunciato al futuro debba essere declinato al presente.

Nei paesi in via di sviluppo 820 milioni di persone sono sottonutriti e, nota la Fao, al danno si aggiunge la beffa: metà di questi affamati sono contadini, il 30 per cento pescatori e gente che abita in campagna, il 20 per cento poveri urbanizzati. Dunque più di metà della popolazione che non ha abbastanza cibo è costituita da persone che per lavoro producono cibo. Vuol dire che nel meccanismo si è rotto qualcosa. E questo qualcosa è legato "alle due maggiori sfide che abbiamo di fronte nella battaglia contro l'insicurezza alimentare e la malnutrizione: il cambiamento climatico e il crescente uso dei raccolti agricoli come fonte di energia".

La coperta è troppo corta e tirarla da una parte serve a poco. Non si può pensare di continuare ad aumentare la quantità totale di cibo usando sempre più acqua e sempre più energia perché sono proprio questi i fattori che limitano la crescita. Un miliardo e 400 milioni di persone vivono lungo bacini fluviali che già oggi usano più acqua di quella che si rinnova naturalmente. E la popolazione delle città - quella che consuma più risorse ed energia - raddoppierà tra il 2007 e il 2050. In queste condizioni tentare di conquistare energia pescando nello stesso pacchetto di risorse che oggi offre una risposta alle esigenze alimentari serve a poco.

La domanda di biocombustibili non è la principale responsabile della crescita dei prezzi alimentari (un meccanismo governato soprattutto dalla domanda crescente) ma contribuisce per un 10-15 per cento. E aggiunge danno a danno: "Visto che la domanda di biocombustibili resterà probabilmente alta e si dovranno sostenere i raccolti alimentari, si finirà per utilizzare nuove terre per le coltivazioni. Bruciare le foreste produrrà così altri gas serra che accelereranno il cambiamento climatico".

Un meccanismo perverso che non si può fermare discutendo solo di tecnologie. "Una più vasta partecipazione al processo di sviluppo da parte delle persone più povere e vulnerabili e delle donne", nota la Fao, "può portare a programmi nutrizionali più efficaci". E l'apertura dei negoziati per la seconda fase del protocollo di Kyoto (quella che scatterà dopo il 2012) offre l'occasione per inserire il tema agricolo nell'agenda degli impegni obbligatori a difesa del clima. Anche perché il governo della terra pesa per più del 30 per cento sull'assieme delle emissioni serra (17,4 per cento la deforestazione, 13,5 per cento l'agricoltura).

Solo con un uso più attento delle risorse disponibili, con l'aumento dei servizi di base e con una più capillare informazione si potrà alleggerire il doppio peso che grava sull'umanità: 820 milioni di affamati e un miliardo di persone sovrappeso (di cui 300 milioni obesi). Una pressione congiunta che rischia di far saltare gli obiettivi di lotta alla malnutrizione: in Messico il numero delle persone obese e sovrappeso è quasi raddoppiato tra le fasce più povere della popolazione tra il 1988 e il 1998 e ha raggiunto oggi quota 60 per cento.

(2 giugno 2008)

Immagine


09:48 Napolitano: "Crisi drammatica, non basta il mercato"

"Per superare la drammatica crisi alimentare e garantire una prospettiva di reale food security, non si può fare affidamento sulle virtù riequilibratrici del mercato". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, inaugurando la 'Conferenza Fao sulla sicurezza alimentare'. Secondo il Capo dello Stato "si può e si deve riconoscere la necessità di politiche e di interventi che abbiano il loro quadro di riferimento e le loro espressioni operative nel sistema delle Nazioni Unite".

09:47 Napolitano: "Da comunità mondiale consapevolezza nuova"

"Nella così ricca partecipazione di capi di Stato e di governo alla conferenza di oggi vedo il segno di una consapevolezza e di una disponibilità nuove da parte delle leadership di tutti i continenti, e insieme delle organizzazioni mondiali, della comunità internazionale nel suo complesso". Lo dice il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano in apertura del vertice della Fao.
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Altre iniziative

Messaggioda gabry il 03/06/2008, 15:20

In concomitanza con la conferenza organizzata a Roma ( vedi) dalla FAO
vi sono state altre iniziative da parte di altre entita'.

FORUM INTERNAZIONALE - Coldiretti / Studio Ambrosetti - ALLARME CIBO, L'EUROPA RISPONDE
Martedì 3 giugno alle ore 9,00 - Conrad Hotel - Avenue Louise, 71, Bruxelles

Dquesto forum emerge : Dall'inizio dell'anno le speculazioni sulla fame hanno bruciato 60 miliardi di euro solo per il grano con il prezzo che si è impennato del 66 % per poi tornare rapidamente ai valori iniziali.

il presidente della Coldiretti Sergio Marini ha affermato:
  1. La finanziarizzazione dei commerci mondiali di cibo ha aperto le porte alle grandi speculazioni internazionali che stanno “giocando” senza regole sui prezzi delle materie prime agricole dove hanno provocato una grande volatilità impedendo la programmazione e la sicurezza degli approvvigionamenti in molti Paesi.
  2. Per dare stabilità ai mercati occorre investire nell'agricoltura delle diverse realtà del pianeta, dove servono prima di tutto politiche agricole regionali che sappiano potenziare le produzioni locali da orientare al consumo interno per sfamare la popolazione.
  3. Gli ultimi mesi hanno dimostrato la grande vulnerabilità di un sistema impostato sulla liberalizzazione spinta del mercato che ha favorito una nuova “colonizzazione” dei paesi piu' poveri che sono stati indotti dagli alti prezzi ad esportare invece che a soddisfare il crescente fabbisogno interno.


Immagine
Actionaid manifesta nei pressi della FAO.
I governi vengono incolpati di essere negligenti e nella peggiore delle ipotesi complici di questo stato delle cose (vedi http://www.actionaid.org/main.aspx?PageID=1096 )

Il Segretario generale dell'UNCTAD, Mr. Supachai Panitchpakdi, dichiara che l'utilizzo del mais per produrre conbustibili bio ha contribuito fortemente alla "crisi del cibo".
“The current surge in production of bio fuels using corn instead of using it a staple food was driving is also a major contributor to the food crisis.".
Inoltre i governi non rivolgono la giusta attenzione verso problemi quali l'estensone dei servizi all'agricoltura, che in alcuni paesi sono addirittura "collassati".
“We can also say that governments are not paying the necessary attention to issues such as agricultural extension services that have virtually collapsed in some countries”.

Ancora una volta elementi che riportano il discorso ad una visione globale del mondo.
Che ved insieme cambiamenti climatici, fame, povertà e economie globali speculative.

Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid , dichiara che sono nomi noti, quelli delle cinque multinazionali che controllano più dell'80 per cento del mercato dei cereali con accanto le cifre esplosive dei profitti 2007:
Cargill (+36 per cento), Archer Daniels Midland (+67%), ConAgra (+30%), Bunge (+49%), Dreyfuss (+19% nel 2006). Molto bene è andata anche ai giganti produttori di sementi, erbicidi e pesticidi: Monsanto, Bayer, Dupont, Basf, Dow, Potashcorp e anche a fabbricanti di trattori come la Case New Holland.


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Mugabe ...

Messaggioda franz il 03/06/2008, 17:05

16:10 Mugabe: "Anche da noi bioenergie"

Il presidente dello Zimbawe ha spiegato che nel suo paese c'è posto e risorse anche per la coltivazione di bionergie "una scelta che abbiamo fatto già quattro anni fa". Insomma, Mugabe ha tratteggiato un paese penalizzato dagli altri, "anche dalle ong", e che nonostante tutto sta migliorando e crescendo. Mugabe, oltre 80 anni, al governo da trenta, è in piena campagna elettorale. Tra pochio giorni nello Zuimbabwe ci sarà il ballottaggio. Il summit Fao potrebbe essere la sua ultima occasione di passarella mondiale.

16:02 Mugabe: "Il mio paese ha fatto grandi progressi"

"Nel mio paese la maggioranza delle persone ha avuto in dotazione terreni e strumenti per coltivare grazie a un sistema di microcredito" dice Mugabe. "Il mio governo ha dato vita a progetti di irrigazione, dighe e corsi d'acqua. Ma da parte del resto del mondo contro di noi ci sono state ostracismo e sanzioni".

15:59 Mugabe alla Fao: "Minaccia di crisi alimentare mondiale"

Il contestato presidente dello Zimbabwe Mugabe ha iniziato il suo discorso all'assemblea della Fao. Molto elegante in abito scuro, Mugabe parla del problema alimentare ("una crisi alimentare dei paesi più poveri") e di come lo sta affrontando il suo paese.

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Fin qui la cronaca.
In un servizio in radio tuttavia ho sentito che l'agricultura con Mugabe è un disastro e le terre coltivabili si sono ridotte di 3/4.
Tutto "merito" della riforma che ha tolto le terre ai farmer bianchi per darle ai suoi scagnozzi, che le lasciano incolte e non sanno nemmeno come coltivarle.
Ora dice che ha spazio per le bioenergie. E ci credo, i 3/4 dei terreni ora sono incolti!

http://www.missionaridafrica.org/archiv ... _01/03.htm
http://www.peacereporter.net/dettaglio_ ... idart=4365

http://www.peacereporter.net/default_news.php?idn=20547
Mugabe invita i 'white farmers' a reimpossessarsi delle loro terre

Il presidente Robert Mugabe ha compiuto una clamorosa inversione di marcia nella sua politica di riforma agraria. Dopo aver espropriato negli anni scorsi la quasi totalità dei 4 mila proprietari terrieri bianchi del paese, costretti a lasciare le proprie terre, il governo di Harare ha invitato i 'white farmers' a fare domanda per rientrare in possesso dei loro terreni. Già 200 domande sono state inoltrate. La manovra di Mugabe sembra volta a risollevare l'economia agricola del paese, entrata in una drammatica crisi dopo che le terre erano state date in gestione, con procedure clientelari, ai dignitari del governo fedeli al presidente.
----
la maggior parte dei farmers pero' è già emigrata nei paesi vicini, dove l'agricoltura ora è florida piu' di prima.

Ciao,
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Re: Crisi alimentare: produzione non liberismo

Messaggioda franz il 06/06/2008, 12:21

franz ha scritto:Cerchiamo di capire che la soluzione del "dilemma del desco comune" non è un problema etico ma semplicemente un problema razionale.

Mi autoquoto per approfondire uno stimolo che avevo seminato giorni fa.

Il dilemma del desco comune è uno dei tanti dilemmi (come quello del prigioniero) usato dalla teoria dei giochi per cercare di capire e spiegere alcune dinamiche sociali comuni a tutto il comportamento (umano ma non solo).

Si ipotizza un bel prato, grande, posseduto da 10 contadini in comproprietà. All'inizio ogni contadino fa pascolare una mucca nel prato e questo funziona. le mucche sono floride ed ognuna dà abbondante latte. Poi un contandino pensa che puo' produrre piu' latte se inserisce nel campo una seconda mucca. Funziona. Ma poi, attirati dall'idea, altri gradualmente lo fanno. Arrivati a 15 mucche iniziano le prime sofferenze. Le mucche sono piu' magre e fanno meno latte. L'erba comincia a scarseggiare ma gli altri contadini decidono, individualmente, di raddoppiare anche loro le mucche. Con 20 l'erba non basta e tutte le mucche muiono. Il sistema si ritrova piu' povero di prima.
Il problema è come conciliare scelta individuali in un contesto comune (il pianeta è di tutti e le risorse sono limitate, in via scientiifca dallapporto di energia solare e da come essa viene convertita in energia dalla fotosintesi clorofilliana).
Ma perché i contadini voglioni produrre piu' latte? Sicuramente perché ogni popolazione quando si trova in una situazione di cibo abbondante, aumenta automaticamente il proprio numero, facendo piu' figli. E questo innesca una richiesta di maggiore cibi. E quindi comporta la divisione del desco comune tra piu' soggetti. Infatti invece dello stesso numero di contadini che vorrebbero piu' mucche possiamo anche ipotizzare un maggior numero di contadini, sempre con una mucca a testa.
Il problema non cambia: superata una certa soglia le scelte individuali egoistiche diventano dannose per tutta la collettività
Ma è chiaro che oltre al fatto che popolazioni che hanno abbondanza di cibo fanno piu' figli, noi abbiamo aggiunto un'altra dimensione. Cioè il fatto, incontrovertibile, che le misure sanitarie ed i progressi della medicina permettono a piu' bambini e piu' anziani di vivere. La popolazione umana quindi è quadruplicata in 100 anni sia perché c'è piu' cibo (grazie alla meccanizzazione dell'agricoltura ed ai progressi nelle tecniche di coltivazione (ibridi F1 e OGM) sia perché abbiamo abbattuto la mortalità infantile ed allonganto di molto la speranza media di vita.

Come esito totale attorno al desco comune invece di 10 persone dopo 100 anni ne troviamo 43.
La fame è legata a questo fenomeno.
Poi l'altro aspetto, che pero' affronterei piu' in là, è che le 43 persone non sono tutte uguali nella capacità di saper produrre cibo o nelle risorse necessarie per farlo. Anche in termini di conoscenza.
Il problema infatti è noto non tanto per la necessità di ridistribuire risorse ma di ridistribuire conoscenze.
(la canna da pesce ed il pescare, non il pesce, come nel famoso esempio).

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Berlusconi apre agli OGM (e si mette contro Alemanno)

Messaggioda franz il 06/06/2008, 14:02

È la stessa posizione seguita dall'ambasciata usa a roma
«Gli Ogm per battere la fame»
Berlusconi apre agli americani
Svolta del premier rispetto alla linea dura dell'ex ministro Alemanno

ROMA — Nel parlare di un argomento che a prima vista riguarda soltanto altro, Silvio Berlusconi ha già mandato un regalo a George W. Bush, il presidente degli Stati Uniti in visita a Roma da mercoledì prossimo. In un'intervista a Radio Vaticana, canale ascoltato da un variegato mondo che ha più di una riserva in materia, il presidente del Consiglio ha indicato nella diffusione degli organismi geneticamente modificati un elemento indispensabile per sconfiggere la fame nel mondo.

«Il futuro si risolve solo con maggiore formazione, con una più ampia messa a disposizione delle varie tecnologie, con il ricorso agli Ogm in tutti quei Paesi dove si deve arrivare a una possibilità di sopperire autonomamente alle proprie esigenze alimentari», ha affermato Berlusconi. Una tesi che va incontro alla linea perseguita da anni dalla Casa Bianca e sostenuta mentre a Roma era in corso la conferenza della Fao sulla sicurezza alimentare durante la quale il ministro degli Esteri Franco Frattini, mercoledì, aveva deplorato una «chiusura dogmatica» su ricerca e Ogm.

Berlusconi ne ha parlato nel giorno in cui il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia si è visto a tu per tu con il segretario all'Agricoltura mandato alla Fao da Bush, Ed Schafer. Colloquio dopo il quale Zaia ha giudicato «parzialmente risolto » il problema dei rischi di un blocco per l'esportazione di Brunello negli Usa. La promozione del ricorso agli Ogm è una delle priorità dell'ambasciata americana a Roma. L'opposizione più consistente è considerata quella che ci fu quando era ministro delle Politiche agricole Gianni Alemanno tra 2001 e 2006, in particolare all'inizio. Nell'ultimo governo Prodi, il ministro Paolo De Castro non era un nemico degli Ogm. La differenza è che il governo Berlusconi IV sembra farsene quasi promotore.

«Sono tecnologia e conoscenza brevettata, di proprietà di poche multinazionali e dai costi troppo elevati per chi, nei Paesi poveri, non ha soldi per procurarsi una sufficiente razione di cibo», ha obiettato Roberto Burdese, portavoce dello schieramento «ItaliaEuropa- Liberi da Ogm» appoggiato da Acli, Coldiretti, Confartigianato.

Ermete Realacci, ministro dell'Ambiente nel «governo ombra» del Partito democratico, non è contrario in assoluto alle tecniche genetiche («producono anche l'insulina») e dice che «vanno evitate posizioni ideologiche, bisogna valutare caso per caso e Paese per Paese »: «Certo gli Ogm non servono all'Italia, che esporta meglio puntando sulla qualità della sua agricoltura. Per la quale, nel mondo, non avere Ogm è una griffe».

http://www.corriere.it/esteri/08_giugno ... aabc.shtml
----
Fin qui l'articolo.
Ora il mio aspro commento.
Che per giocare in casa non vuole essere contro Berlusconi o Alemanno (troppo facile "sparare sul pianista").
Ma piu' che altro sulla palese incompetenza di Realacci.
Come è possibile, mi chiedo, che una ministro (illuminato o ombra) non conosca il destino triste dell'agonizzante pomodoro di san marzano, del riso carnaroli, di tante coltivazioni nostrane colpite da malattie di ogni genere e dai cambiamenti climatici, se le tecniche OGM non sapranno salvarle con le adeguate contromisure? A chi venderemo la nostra agonizzante (e sempre piu' cara) produzione, se non a pochi ricchi in cerca di cibo shick ma infarcito di anticrittogamici ed arricchito di fertizzanti artificiali?
E se tutto il mondo coltivasse "bio" potremmo ancora mangiare (a stento) in sei miliardi e mezzo oppure mangeremmo in meno della metà, visto che l'algricotura bio è costosa e estensiva?
A chi parla Ermete Realacci, al miliardo e duecentomia di obesi e sovrappeso oppure agli 800 milioni di malnutriti?

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I Grandi impotenti

Messaggioda franz il 07/06/2008, 8:13

L'ANALISI
I Grandi impotenti
di GUIDO RAMPOLDI

Non poteva essere un summit organizzato in fretta e furia da un'istituzione internazionale tra le più contestate ad esorcizzare la tesi che ci inquieta dal remoto 1798, l'anno in cui il reverendo Thomas Malthus consegnò il suo Saggio sul Principio di Popolazione al catalogo delle profezie più spaventose. Ma se fossimo uno di quegli 800 milioni di esseri umani oggi minacciati dalla morte per fame, lo strumento con cui secondo Malthus la natura provvede a "tenere sotto controllo" (check) la crescita demografica facendo fuori vaste masse umane, non saremmo affatto rassicurati da questa Conferenza di Roma sulla crisi alimentare.

Non che siano mancati le idee, i progetti, le promesse di finanziamenti spettacolari e, crediamo, le buone intenzioni. Ma quando si è trattato di arrivare ad una sintesi, di immaginare una strategia, di imboccare un percorso comune, i cosiddetti "potenti della Terra" hanno mostrato una penosa impotenza, e quel formidabile consesso in cui erano sfilati premier e ministri di infinite nazioni è parso una rumorosa, sovraffollata, patetica Babele. Era abbastanza prevedibile che ciascun governo si facesse portatore degli interessi della propria nazione, certo legittimi ancorché divergenti o addirittura opposti rispetto agli interessi delle altre. Ma è mancato perfino un linguaggio comune, una koinè che permettesse almeno di intendersi, un vocabolario in cui termini come ogm, bio-carburanti, liberalizzazione, avessero lo stesso significato.

I francesi, che non mancano di un certo umorismo, hanno proposto di ripristinare un qualche "metodo scientifico", termine che non udivamo dai tempi della Quarta internazionale, per mezzo di un comitato di saggi incaricati, se intendiamo bene, di trovare una verità "oggettiva". Intenzione apprezzabile, ma purtroppo destinata a confermare, temiamo, la tendenza degli scienziati a modulare la verità sui desideri dei governi cui essi devono l'incarico. Però forse un comitato siffatto riuscirebbe a restringere il ventaglio delle verità soggettive, allo stato francamente troppe. E magari a mettere fuori gioco quel manicheismo che continua a raccontarci la crisi alimentare nei termini dello scontro "capitalisti ricchi e avidi contro poveri e indifesi".

Non che avidi e indifesi non siano parte dello spettacolo. Ma la crisi è ben più complicata di queste miniature morali, le parti di solito non sono così nitide, e la denuncia degli "egoismi" spesso è ipocrita. Provate a togliere le sovvenzioni di cui godono anche i contadini spagnoli, così da aiutare i contadini del Terzo mondo, e vedrete uno Zapatero meno solidale di quello che a Roma ha lanciato un appello all'altruismo col tono dolente che si addice a questo genere retorico.

In realtà la crisi alimentare - almeno su questo vi è una certa unanimità - è parte di una crisi globale che contiene varie crisi tra loro interconnesse, dalla crisi finanziaria americana fino all'irresistibile ascesa dei prezzi del petrolio (cui Lula attribuisce il 30% dell'aumento del costo di generi alimentari in Brasile). Se questa è la dimensione reale, allora può venire a capo della Crisi globale soltanto quella governance mondiale da più parti invocata durante la Conferenza di Roma.

Purtroppo non si vede traccia all'orizzonte quel governo planetario che dovrebbe mettere in fuga la speculazione e orientare Stati e mercati verso condotte virtuose. Come del resto è evidente, una governance di quella portata non può nascere dal consenso, ma soltanto da una chiara gerarchia internazionale, da un ordine definito nel quale una superpotenza, o un consesso di potenze, sia in grado di imporsi ai recalcitranti. Stati Uniti ed Europa non sembrano in grado di svolgere quel ruolo, né, allo stato, di trovare la coesione necessaria per attrarre altre nazioni intorno ad progetto forte. E in attesa che il mondo multipolare trovi il suo equilibrio, pare difficile trovare compromessi tra interessi contrastanti e ugualmente legittimi.

Così nessuno può dare torto alle economie emergenti come il Brasile quando deridono il falso liberismo dell'Unione europea e ne smascherano il protezionismo agricolo, affidato a dazi e a laute sovvenzioni ai coltivatori. Ma nessuno può condannare gli europei se difendono la propria agricoltura, una riserva strategica fondamentale nel caso di gravi turbolenze planetarie, e comunque la condizione perché sopravvivano un paesaggio e una cultura.

Non ci sono buoni e cattivi in questa storia. E' vero che le terapie degli istituti del credito internazionale hanno devastato agricolture, per esempio Haiti, privando la popolazione della possibilità di sussistenza; ma non sempre è andata così. E' vero che le multinazionali si sono impossessate, con gli ogm, di produzioni agricole tramandate, selezionate e difese dai coltivatori per millenni (come ci ricorda Giacomo Santoleri). Ma in Argentina, in Cina, ovunque i contadini siano riusciti a ibridare, per esempio, la soia transgenica, teoricamente sterile, essi oggi dispongono di una coltivazione che richiede meno fatica e meno pesticidi della soia tradizionale.

Questioni complicate. Il problema è che gli affamati non attenderanno le soluzioni né si immoleranno alle leggi del reverendo Malthus senza tentare di sovvertire l'ordine che li spinge su quell'altare.
(6 giugno 2008)

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Tra stomaco e serbatoio

Messaggioda franz il 09/06/2008, 16:56

Tra stomaco e serbatoio

Il vertice della Fao che si è concluso ieri a Roma non ha dato alcuna risposta seria a quello che Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, ha chiamato il «silenzioso tsunami» dei prezzi alimentari. Ha risposto con l’afasia, l’indifferenza, la disunione, e una volontà, ferrea, d’impotenza. Al comunicato finale son allegate innumerevoli proteste, soprattutto sudamericane. Il vertice ha ignorato i dati che aveva a disposizione, ha finto di non conoscere le cifre che pure parlano chiaro: gli affamati che vertiginosamente aumentano, man mano che i prezzi di cibo e energia salgono; gli egoismi di lobby e Stati affluenti che dilatano una catastrofe tutta fabbricata dall’uomo; le promesse dei ricchi scordate. Basti rammentare il giuramento del vertice Fao nel 1996: «Dimezzeremo entro il 2015 il numero degli affamati», garantirono, e allora gli affamati erano 800 milioni. Già un anno e mezzo dopo erano 863 milioni e nel frattempo se ne sono aggiunti 100, sfiorando il miliardo.

Non sono le organizzazioni internazionali a esser colpevoli di simili disastri, così come non lo sono del degradare del clima, della gestione dei conflitti militari, delle scandalose disparità di ricchezza nel mondo. Le organizzazioni come l’Onu, la Fao, la Banca Mondiale sono grottescamente trascinate sul banco degli imputati, sono ormai macchinalmente ribattezzate con i nomignoli più sprezzanti - son chiamate di volta in volta carrozzoni, elefanti burocratici che mangiano soldi e vanno gettati nella spazzatura - ma tutti questi son giochetti e menzogne, simili ai sotterfugi retorici cui si ricorre in Europa per denigrare gli amministratori di Bruxelles.

Giochetti che gli Stati fanno per nascondere le proprie responsabilità; menzogne utili ad allontanare dai governanti, e dal cittadino, verità scomode e elettoralmente costose. Possiamo pure abolire Fao, Onu, tutti gli organi del dopoguerra: non per questo avremo curato i mali, perché questi ultimi non son generati dalle istituzioni multilaterali ma dagli Stati e dalle loro sovranità assolute, riluttanti a accettare - sopra di sé - qualsivoglia autorità mondiale. Una volta abolite queste istituzioni dovremo ricrearle, perché di istituzioni e di governo mondiale c’è pur sempre e più che mai bisogno, e non di politiche che lusinghino e favoriscano il ciascuno per sé.

Tra gli Stati responsabili degli odierni fallimenti ci sono innanzitutto i più ricchi e potenti. È qui il male, qui l’ignoranza militante che impedisce di riconoscere la natura del disastro e aggiustarla. Se oggi non pare possibile la Rivoluzione Verde che negli Anni 60 scongiurò la carestia nei Paesi poveri, è perché un’immobile apatia s’è insediata nei vertici degli Stati nazione, perché nazionalismi acuti sono di ritorno nei Paesi ricchi, perché la mente degli economisti e dei responsabili occidentali si è ossificata, incapace di adattarsi con elasticità al mutare del mondo e di chi lo abita. Il meccanico gioco di mercato non basta a risolvere la crisi e un collettivo intervento pubblico si impone? L’ideologia liberista frena, inorridita. Le politiche nazionali danneggiano la Terra, ostacolano il libero commercio di beni alimentari? Che muoia il mondo e tutti i filistei, purché le marionette regnanti possano accontentare i propri elettori, arrabbiati e resi ciechi dalle bugie che vengono loro raccontate dalle marionette in questione.

Certo non esiste un’unica responsabilità per l’immane carovita: sono molte e convergenti le cause. A differenza degli Anni 60 c’è il deterioramento del clima e il rarefarsi dell’acqua per le irrigazioni. C’è il prezzo di petrolio e gas che ha raggiunto livelli proibitivi. Ci sono interi e popolosi continenti - Cina, India - che escono dalla povertà, che stanno dando alla luce una vastissima classe media, che cominciano ad avere una dieta più variata, comprendente la carne. C’è l’enorme divario che si sta aprendo tra poveri che crescono pur sopportando prezzi alti e poveri che sopportano il carovita ma non hanno redditi in aumento. Siamo al cospetto di due favole parallele, ha scritto Amartya Sen sul New York Times del 28 maggio: la prima narra l’asimmetria tra poveri e ricchi, la seconda fra poveri e poveri.

La condotta più egoista è quella americana. Sono mesi che l’amministrazione insiste esclusivamente sulle responsabilità degli emergenti, e il segretario all’Agricoltura Ed Shafer l’ha ribadito non senza sfacciataggine a Roma: è la domanda cinese e indiana che fa aumentare i prezzi, allo stesso modo in cui sono Cina e India che accelerano, producendo anidride carbonica, la catastrofe climatica. Minimo è invece, secondo Shafer, l’effetto della produzione di biocarburanti intensificata da Bush nel 2005. Non meno colpevoli per Washington sono coloro che si oppongono - non solo in Europa ma in molti Paesi africani - agli organismi geneticamente modificabili (ogm): visti spesso come panacea, gli ogm rinviano mutazioni più ardue dei comportamenti e delle politiche occidentali.

Il ruolo degli Stati Uniti e dei ricchi viene completamente negato, e le lobby difese a denti stretti. Eppure gli esperti sono unanimi nel constatare come la scelta Usa di sovvenzionare massicciamente le coltivazioni di mais per estrarne energia alternativa (etanolo) abbia crudelmente ridotto le superfici coltivabili per produrre cibo per l’uomo: «Lo stomaco degli affamati è costretto a competere con i serbatoi di benzina», denuncia Sen, ed è chiaro chi perde nell’impari battaglia. Ma su questi punti il governo Usa è inamovibile: ha perfino l’appoggio del Brasile, anche se l’etanolo di quest’ultimo è estratto dalla canna da zucchero e penalizza meno le produzioni di cereali.

Gli occidentali affluenti hanno la tendenza a puntare il dito su cinesi e indiani che consumano più carne: un’analisi non scorretta, ma che indispettisce profondamente Cina e India, che si sforzano di uscire dall’inferno dell’indigenza. Il loro infuriarsi è comprensibile: dicono che in due secoli di rivoluzione industriale l’Occidente ha rovinato il pianeta ed è diventato obeso a forza di rimpinzarsi, e adesso che è confrontato con penuria e carovita fa di tutto per non rimettere in causa proprie abitudini e scelte, quasi sognasse di ricacciare gli emergenti nella povertà. Il rancore è grande, verso Paesi che s’adoperano molto per correggere gli altri, e poco o nulla per correggere se stessi. Che denigrano le istituzioni internazionali solo per proteggere le proprie lobby, le sovranità intangibili dei propri Stati, le proprie ideologie liberiste.

Va di moda oggi vilipendere le utopie degli Anni 60, che erano speranze di futuro: ma quell’epoca era meno cieca, infinitamente più duttile. Di fronte all’Occidente s’accampava un pericolo vero, il comunismo, e tutti i pericoli veri sono anche una sfida, una straordinaria occasione: nel caso specifico, la sfida era di competere col comunismo nell’aiutare i poveri e i diseredati. Nessun pericolo odierno (terrorismo, Iran) è paragonabile a quella minaccia benefica, che teneva sveglia la coscienza occidentale e la mobilitava.

Oggi quella sfida non esiste più: in parte è una disgrazia. Oggi non si tratta di strappare i poveri e gli ultimi alla seduzione sovietica ma di aiutare le singole persone umane a non morire di fame, semplicemente e subito. È questo che gli occidentali non sanno fare. È questo che li rende così afasici, volontariamente impotenti, e vuoti.

di Barbara Spinelli
da lastampa.it
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Prodi: Il mondo senza cibo, un disastro evitabile

Messaggioda franz il 11/06/2008, 15:06

Il mondo senza cibo
un disastro evitabile


di ROMANO PRODI

CARO direttore, dopo aver tanto parlato della crisi energetica e della crisi finanziaria ci siamo finalmente resi conto di un dramma ancora più grande e di conseguenze immediate per l'umanità: la crisi alimentare.

Miliardi di persone soprattutto in Africa, in Asia e in America centro-meridionale, sono colpiti da un progressivo e insostenibile rincaro di tutti i prodotti agricoli, dal grano alla soia, dal riso al mais, dal latte alla carne. Ogni giorno scoppiano rivolte e si ha notizie di repressioni.

Alcuni governi, come quello egiziano, sono costretti a impiegare nel sussidio del pane la gran parte delle risorse generate dalla buona crescita economica e in altri casi, come nel Corno d'Africa, nei paesi subsahariani e a Haiti non resta che la fame e la sempre più vicina prospettiva di una tragica carestia.

Alla base di questi aumenti di prezzi vi sono certo anche realtà positive, come il miglioramento della dieta in Cina, in India e in molti altri paesi. Per nutrirsi con la carne si impiega infatti una superficie di terreno di almeno cinque volte superiore di quanto richiesto da una nutrizione a base di cereali.

Vi sono altre realtà rispetto alle quali ben poco si può fare, come l'aumento dei prezzi dei carburanti e dei fertilizzanti necessari a produrre o trasportare i prodotti alimentari.

Ma vi è una decisione politica che sta aggravando in modo precipitoso la situazione ed è la progressiva sottrazione di suolo alla produzione di cibo per utilizzarlo a produrre biocarburanti. Sulla carta questo risponde al nobile scopo di attenuare la nostra dipendenza dalla benzina e dal gasolio nei trasporti e così facendo, ridurre l'impatto ambientale in termini di anidride carbonica. Purtroppo le cose non stanno così.

I più recenti studi (come quelli dell'Ocse e Royal Society) sostengono invece che con le tecnologie oggi impiegate per produrre biocarburanti, il bilancio energetico è solo marginalmente positivo o addirittura negativo. Il computo preciso dipende dalle specifiche realtà territoriali ma vi è chi autorevolmente sostiene (come le analisi apparse su National Resources Research) che l'energia impiegata per produrre biocarburanti sia negli Stati Uniti del 30% superiore all'energia prodotta.

Complessivamente un bel disastro sia dal punto di vista energetico che da quello ambientale. Ma il disastro ancora più grande è quello di mettere in conflitto il cibo con il carburante in un periodo già di scarsità. Un conflitto vero, tragico.

Per descriverlo in modo semplice e fortemente evocativo basta dire che il grano richiesto per riempire il serbatoio di un così detto Sport Utility Vehicle (Suv) con etanolo (240 chilogrammi di mais per 100 litri di etanolo) è sufficiente per nutrire una persona per un anno. E già siamo arrivati ad utilizzare per usi energetici intorno al 20% di tutta la superficie coltivata a mais negli Stati Uniti.

Una superficie più grande della Svizzera è stata sottratta di colpo alla produzione di cibo per effetto delle pressioni delle potenti lobby agricole e di una parte non informata o distratta di quelle ambientalistiche. E nel frattempo, come conseguenza, il prezzo della terra e dei fertilizzanti sale in tutto il mondo facendo a sua volta moltiplicare il prezzo dei prodotti alimentari. E questo fa scoppiare tumulti per la fame a Città del Messico, in Egitto, nel west Bengala, in Senegal, in Mauritania mentre la Fao ci dice che 36 paesi hanno oggi bisogno di urgenti spedizioni di grano e di riso.

Questo non comporta che la produzione di energie alternative vada del tutto cancellata perché vi sono situazioni in cui essa non è in diretta concorrenza con la produzione agricola, utilizzando terreni non alternativi a produzioni alimentari, aree boschive o biomasse. E soprattutto bisogna incentivare la ricerca sulla "seconda generazione" di biocarburanti, attraverso la selezione di nuove specie, attraverso una maggiore efficienza dei processi e l'utilizzazione di terre marginali (ad es. il bosco ceduo) non alternative all'agricoltura.

E' quindi necessario che i governi smettano di sovvenzionare gli agricoltori al fine di produrre meno cibo, obbligando i paesi poveri a svenarsi per assicurare il pane quotidiano a coloro che muoiono di fame. E bisogna che questo obiettivo venga tradotto subito in decisioni politiche. La prima di queste decisioni è di intervenire dove sono in corso i drammi maggiori.

Rendere quindi subito disponibili i 500 milioni di dollari richiesti per l'emergenza del Programma Alimentare Mondiale delle nazioni Unite e il miliardo e mezzo di dollari richiesto dalla Fao. Ma non si può non affrontare nel contempo il problema politico fondamentale, in modo da invertire l'aspettativa di ulteriori aumenti dei prodotti alimentari prima che i paesi che hanno produzione eccedente proibiscano (come hanno già cominciato a fare) l'esportazione di prodotti alimentari trasformando, con questo, l'attuale crisi in tragedia mondiale.

I due prossimi grandi appuntamenti internazionali, cioè la riunione della Fao a Roma e dei G8 in Giappone, debbono diventare il momento di discussione e di decisione di una nuova politica che fermi i danni dell'attuale politica e che possa redistribuire al mondo le risorse alimentari di cui ha bisogno.

Non sono decisioni facili, ma bisogna agire perché sia negli Stati Uniti che in Europa la produzione di carburante in concorrenza col cibo si fermi e gli incentivi vengano riservati agli studi e alle ricerche necessarie per arrivare alla produzione di biocarburanti di nuova generazione. Non possiamo più ammettere che la gente muoia di fame in Africa perché c'è qualcuno negli Stati Uniti che considera i voti degli agricoltori o dei proprietari terrieri più importanti della sopravvivenza di milioni di persone. È vero che la politica di oggi è stata decisa quando si pensava di vivere in un mondo di scarsità energetica e di eccedenza alimentare. Ma oggi le cose non stanno più così.

È ora quindi di cambiare politica perché i rimedi finora adottati sono peggiori del male che si voleva curare. Queste sono le politiche serie che la globalizzazione ci impone e l'Italia non può certo sottrarsi alle sue responsabilità.

(13 aprile 2008)

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