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Il naufragio della Tirrenia

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Il naufragio della Tirrenia

Messaggioda franz il 15/08/2010, 10:40

Dopo Alitalia, tocca a Tirrenia.
Un'altra storia triste sulla strada delle liberalizzazioni e privatizzazioni nel settore dei trasporti italiano
Franz


Super-stipendi e sprechi
Tirrenia, naufragio annunciato

Così la compagnia pubblica ha bruciato 3 miliardi. I velocissimi Guizzo e Scatto pensionati in anticipo: bevono 290 chili di gasolio al minuto.
Il costo del personale è superiore del 24,6% a quello dei concorrenti privati

di ETTORE LIVINI

MILANO - Il Titanic delle acque tricolori rischia questa volta di affondare anche le vacanze degli italiani. "I collegamenti previsti saranno effettuati con regolarità", assicura categorico dal sito della Tirrenia il neo-commissario Giancarlo D'Andrea. Ma il crac dell'Alitalia dei mari, finita in amministrazione straordinaria dopo il flop della privatizzazione, rischia di trasformare il ritorno a casa di migliaia di persone in un'Odissea da incubo. Sulle spiagge della Costa Smeralda, tra le isole delle Bocche di Bonifacio e gli scogli delle Tremiti si tengono le dita incrociate. "Se il governo non presenterà soluzioni credibili alla crisi entro il 30 agosto sarà sciopero bianco", hanno minacciato i sindacati. Regalando un finale di ferie da brividi a chi - per rientrare al lavoro - ha comprato un biglietto della compagnia di navigazione napoletana.
Un fulmine a ciel sereno? Non proprio. La crisi Tirrenia, come quella della ex compagnia di bandiera, era scritta da almeno un decennio - nero su bianco - nei suoi bilanci.

"Abbiamo sempre chiuso i nostri conti in attivo", ripeteva ogni anno orgoglioso Franco Pecorini, gentiluomo di sua santità, rimasto per quasi 30 anni al timone della società.
Vero. Peccato che le navi del gruppo abbiano sempre navigato cronicamente in rosso e che la voragine in bilancio sia stata saldata a piè di lista ogni anno con quattrini pubblici: in tutto tre miliardi di euro a fondo perduto, di cui 1,24 garantiti come dote ai potenziali acquirenti per favorire una privatizzazione finita nel nulla.

Le cifre della Caporetto nautica dei traghetti di Stato sono impietose: nel 2008 gli italiani hanno finanziato Tirrenia con 22 euro per ognuno dei 10 milioni di biglietti venduti dalla società. Ogni tre euro incassati dalla compagnia, 1,5 è arrivato a stretto giro di posta da Roma. Soldi necessari, come ovvio, per garantire i servizi anche fuori stagione nelle isole più disagiate del paese, quelli che i privati non farebbero mai. Ma pure sempre un mare d'oro di proporzioni a volte difficili da spiegare.

Prendiamo la Siremar, la società regionale siciliana che ha di fatto costretto a fuggire tutti i possibili compratori. I numeri sono ancora più sbalorditivi: nel 2008 ha fatturato 23 milioni grazie ai biglietti ma si è portata a casa dallo stato 76 milioni di contributi. Oltre 3 euro per ogni euro incassato da un passeggero. Certo, i collegamenti con Eolie, Egadi e Pelagie sono poco redditizi per buona parte dell'anno. Ma lo squilibrio finanziario è macroscopico: Siremar ha speso nel 2008 per pagare i dipendenti 21 milioni, quasi tutti i suoi ricavi "reali". Poi ha sborsato 24 milioni di carburante, 11 per la manutenzione, 24 per servizi. "I conti sono in attivo per un milione", festeggia la relazione di bilancio. In realtà senza il salvagente statale il buco sarebbe stato di 75 milioni, il triplo delle entrate.

Il problema sta proprio qui. La certezza degli aiuti da Roma ha consentito a Tirrenia di vivere a lungo sopra i propri mezzi e ai suoi manager di avventurarsi a cuor leggero in investimenti al limite del surreale. Il costo del personale della società (malgrado un taglio del 67% agli organici tra il 1989 e il 2008) "è superiore del 24,6% a quello dei concorrenti privati", ammette soave il piano industriale 2009-2014 redatto con discreto ottimismo un anno fa - prima dell'addio - da Pecorini. Per le compagnie regionali la forbice arriva al 66%. Molte navi hanno avuto a lungo un doppio equipaggio perché ogni giorno di lavoro dava diritto a un giorno di riposo a terra. Un paio di anni fa, quando l'iceberg del crac e dell'amministrazione straordinaria era già ben in vista, i vertici e i sindacati hanno provato a correre ai ripari concordando un nuovo contratto che cambia i ritmi di impiego (60 giorni di imbarco e 30 a casa, più o meno come i privati) e garantisce flessibilità salariale sulle rotte più ricche e competitive (Civitavecchia-Olbia e Genova-Porto Torres). Su queste tratte - dove Tirrenia può applicare pure tariffe più elastiche - il costo del lavoro è sceso del 23%, su quelle locali del 7%. Sforzo importante, ma comunque non certo sufficiente per riportare in rotta i conti. E per buona parte dell'anno i traghetti dell'azienda continuano a navigare spendendo molti più soldi di quelli che guadagnano vendendo cabine e posti auto.

Il patrimonio societario della Tirrenia, tra l'altro, è zavorrato dalla pesantissima eredità dei folli investimenti degli anni '90. Oltre 300 milioni di euro buttati al vento per sei navi varate in pompa magna tra il giubilo di amministratori e autorità ma rimaste poi quasi sempre alla fonda in banchina. I velocissimi Guizzo e Scatto (70 km/h di spunto massimo grazie alla turbine monstre derivate dallo storico Nastro Azzurro) sono stati ritirati perché una volta in acqua non erano in grado di navigare appena il mare iniziava a incresparsi. Gli ambiziosi Scorpio, Capricorn, Aries e Taurus - capaci di muoversi in ogni condizione atmosferica - hanno alzato bandiera bianca perché consumavano 290 kg di gasolio al minuto contro i 41 dei traghetti tradizionali. Cifre che li hanno condannati a una pensione anticipata in porto dove (a spese del contribuente) un equipaggio dedicato avvia i motori una volta al mese giusto per fargli sgranchire bielle e pistoni, in vista di un prossimo disarmo, inutile dirlo, sempre a carico degli italiani.

I soldi spesi per costruire questi monumenti allo spreco pubblico sarebbero stati più che sufficienti oggi per comprare 10 volte tutta la Minoan Lines, una delle più efficienti compagnie del Mediterraneo che fa la spola tra le isole greche senza un euro di aiuti pubblici e mettendosi in tasca (dati 2009) 32 milioni di euro di utili.
Cosa succederà ora a questa flotta ormai fantasma gravata pure a fine 2008 da 920 milioni di debiti di cui 311 a breve termine con le banche? Il percorso, purtroppo per le tasche dei cittadini, appare chiaro: il commissario straordinario cercherà di massimizzare le entrate, forse varando lo spezzatino del gruppo. Gli armatori privati si scanneranno per i pochi pezzi pregiati (ci sono un po' di navi e alcune rotte più che appetibili) cercando di evitare di doversi accollare la Siremar. Qualcuno magari - attirato dagli ultimi sostanziosi aiuti garantiti da Roma (72 milioni l'anno per Tirrenia per otto anni, 55 per 12 anni per la figlioccia siciliana) - si avventurerà pure su aree meno redditizie, ristrutturando l'attività e limando gli eccessi del trentennio di Pecorini. I soldi incassati serviranno per rimborsare un po' dei debiti. Al resto, come per Alitalia, ci penseremo noi.

(15 agosto 2010) www.repubblica.it
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Re: Il naufragio della Tirrenia

Messaggioda franz il 15/08/2010, 10:51

Ecco la dimostrazione pratica che gli aiuti di stato ad un settore (in questo caso il trasporto marittimo) genera inefficenze, copre spese faraoniche ed un management inadeguato. Il tutto a carico dei contribuenti.
Un trasporto privato lascerebbe scoperti i periodi dell'anno di basso traffico turistico?
Non credo. Piccoli privati, con navi piu' piccole, saprebbero soddisfare in modo economico una domanda ridotta.
E poi non è detto che ci si debba per forza muovere per mare a tutti i costi d'inverno.
D'inverno i passi alpini vengono chiusi e l'unica strada sono i trafori o il treno.
Per le grandi isole c'è l'aereo, che se liberalizzato puo' essere piu' economico, per le piccole isole il servizio, se il mare lo permette, puo' essere offerto da navi un po' piu' piccole delle mega navi da croceda della tirrenia.

Franz
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