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La competitvità

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Messaggioda Robyn il 12/08/2010, 10:40

Il calo della produttivià e del pil è connesso a diverse cose
E conseguenza diretta diretta della precarietà.Infatti con i lavoro flessibile che costa meno di quello stabile le aziende hanno incominciato ad assumre lavoratori a basso costo del lavoro,quindi a basso reddito,a bassa formazione e di conseguenza a bassa produttività"l'equazione tanto vali tanto ti dò".Di conseguenza il basso reddito non stimola i consumi e il pil,la mancanza di una efficente rete di protezione sociale associata al basso reddito e alla bassa formazione non stimola nella sua complessità la domanda di beni e servizi quindi il pil.Infatti se non si ha chiaro se in futuro ci sarà la continuità del reddito si tende a risparmiare e a limitare i consumi evidentemente per far fronte a periodi in cui si perde il lavoro.Un'altra causa alla base del calo della produttività sono la mancanza di investimenti e la capacità di innovare gli asset e i processi di produzione.Bisogna infine capire se con l'alleggerimento dell'assistenza sul costo del lavoro c'è l'equivlenza basso costo del lavoro bassa produttività,ma non credo perche la Gran Bretagna ha il più basso costo del lavoro e i più alti redditi.La bassa poduttivià inglese era dovuta semplicemente l fatto che gli inglesi sono lenti nel lavoro e l'innovazione tecnologica ha permesso di aumentare la produttività inglese.In Italia dopo aver peggiorato le condizioni del lavoro con la precarietà ch ha ridotto la produttività si cerca di far recuperare questo scompenso peggiorando ancora di più il lavoro con straordinari,aumento dei ritmi di lavoro .Ma questo peggiora ancora una terza volta le cose perche si limita l'offerta di lavoro che dev'essere ampia in un sistema in cui c'è flessibilità.Sono sicuro che la magistratura del lavoro agira nel bene e nell'interesse dei lavoratori respingendo qualsiasi accordo che non stia all'interno di parametri ben precisi peche competitività e utilità sociale non possono essere in contrasto.In particolare la flessibilità nell'orario di lavoro và ricercata nell'ambito dei cinque giorni e non nel sabato e la domenica Ciao Robyn
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Re: La competitvità

Messaggioda franz il 13/08/2010, 8:15

Robyn ha scritto:Il calo della produttivià e del pil è connesso a diverse cose
E conseguenza diretta diretta della precarietà.

A cose diverse, direi.
Il calo del PIL è generale: siamo in recessione. Tutti i paesi hanno visto una flessione del PIL.
La produttività tu dici che cala. Secondo me no e non mi è ancora stato detto in basi a quali dati calerebbe la produttività italiana. Lo avevo chiesto qui: viewtopic.php?p=26294#p26294 mostrando un grafico basato su dati OECD in cui si vede che non cala ma ristagna da 15 anni. Diciamo quindi che eventualmente si puo' dire che cala relativamente agli altri paesi dell'occidente avanzato ma non come dato assoluto.
Le cause di questa stagnazione della produttività sono molteplici e quello che dici è sicuramente parte del problema.
Tuttavia non basta a spiegare tutto il fenomeno. Per praticità riproduco qui quello che scrivevo nell'altro thread, aggiungendo un po' di enfasi nei punti che ritengo importanti:

Qualsiasi siano le cause di questa stasi della produttività, partono dalla seconda metà degli anni 90 (prima il nostro rate di salita era paragonabile agli altri). Formazione, ricerca, investimenti, innovazione detassazione dell'Irpef altre misure per la competitività, come dici, a mio avviso sono carenti ed assenti da vari decenni e quindi non rappresentano una novità. Ecco, forse prima dell'avvento dell'Euro l'Italia ricuperava spazi di competizione nel commercio internazionale svalutando la lira. Con il serpente monetario prima e l'euro dopo, questo giochetto non è stato piu' possibile.

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Re: La competitvità

Messaggioda franz il 13/08/2010, 8:24

A proposito di competività, ecco un testo trovato oggi su repubblica:
http://www.repubblica.it/motori/attuali ... ef=HREC2-1
"Fabbricare in Italia?
Impossibile per l'auto"

Il presidente della Federauto, associazione concessionari Italiani: "Produrre da noi non conviene più. E in questo contesto la strategia Fiat è una manna dal cielo".

Il numero uno dei concessionari italiani, Filippo Pavan Bernacchi, presidente della neonata Federauto, l'associazione dei concessionari d'auto di tutti i brand commercializzati in Italia, entra sul tema caldo del mondo dell'auto in Italia. Un'analisi che arriva dal rappresentante di una categoria che ha in mano il rapporto con i Clienti sia per la vendita delle vetture e dei ricambi sia per l'assistenza. Insomma da chi conosce bene il settore perché dietro un colosso come la Fiat ci sono migliaia di piccole aziende dell'indotto. Ecco la sua lettera, che riceviamo e pubblichiamo integralmente. (v.bo.)

"In Europa Occidentale produrre non conviene più. Questo è la madre di tutti i problemi. I fattori sono molteplici. Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c'è match. Battuti in partenza. Ma anche verso i paesi dell'Europa dell'Est, o della ex-Jugoslavia, c'è un abisso. Poi c'è l'aspetto della produttività. Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l'anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi. Come noi nel dopoguerra, per intenderci. Si passa poi agli aspetti sindacali. I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari. Ora però si invertito il rapporto di forza. I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l'azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente...
è quasi impossibile. E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all'azienda pesanti sanzioni. Si aggiunga l'estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto. D'altronde questo è il Paese dei falsi invalidi. Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l'inquinamento. Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi - che poi fanno salire i prezzi dei prodotti - oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato. E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità. Solo così si potrebbe competere ad armi pari. Utopia, certo, ma così stanno le cose.

E così le aziende produttrici che vogliono sopravvivere in questo mercato competitivo devono delocalizzare. Si chiudono le fabbriche in Italia, licenziando centinaia di migliaia di lavoratori, e si riaprono in Polonia, Slovenia o, perché no, in Cina o Romania. Quei paesi fanno ponti d'oro alle imprese perché gli insediamenti produttivi portano benessere e danno posti di lavoro. E quindi via agli sgravi fiscali, ad aiuti di stato, a contratti per i lavoratori "light", a occhi chiusi su molti aspetti, e chi più ne ha più ne metta.

"In questo contesto arriva un "pazzo" vero, di nome fa Sergio Marchionne. Cosa vorrebbe fare costui? Potenziare la produzione del Gruppo Fiat in Italia! Controtendenza rispetto a quasi tutte le aziende che se ne vanno bellamente all'estero. Certo, vuole anche chiudere degli stabilimenti. Ma che matrice hanno certe fabbriche? Sono state insediate per soddisfare logiche industriali o "politiche"? La risposta è la seconda. Si pensi solo ai costi logistici e di trasporto. Certo, la Fiat in passato è stata aiutata tantissimo dai Governi in carica. Come pure tutti i produttori esteri nei mercati domestici. Ma ora che lo Stato si è sfilato non ci si meravigli se Marchionne, calcolatrice alla mano, spiega che non conviene e che si deve chiudere. Non dimentichiamo anche che al Sud operano le varie mafie, e che non è pensabile che queste si fermino fuori dai cancelli degli stabilimenti. Un altro grosso problema per chi vuole fare impresa."

"Ecco perché Marchionne è un "pazzo" vero. Ma come, quasi tutti i produttori, dal tessile alla componentistica, sognano di lasciare il sacro suolo, e lui cosa vorrebbe fare? Investire una valanga di milioni di euro in Italia, potenziare gli stabilimenti, aumentare la produttività. Certo, chiede anche sacrifici (remunerati) ai lavoratori, e un nuovo approccio al bene primario e irrinunciabile che è il Lavoro. No, è troppo. Certi sindacati preferiscono non considerare che il mondo non è più quello di tre anni fa. Allora meglio contratti d'acciaio, blindati, tutelatissimi, intoccabili, nei secoli dei secoli. Peccato che ne beneficeranno sempre meno dipendenti perché gli imprenditori che possono, da qualche anno, se ne vanno all'estero. Quelli che non falliscono, ben inteso. E quindi propongo di cambiare l'articolo 1 della Costituzione da: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" in : "L'Italia è una Repubblica democratica, un tempo fondata sul lavoro".

"Ma se nessuno lavorerà, venendo meno la capacità di spesa e la propensione all'acquisto delle famiglie, come sopravvivrà la nostra economia?"


(12 agosto 2010) www.repubblica.it
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Re: La competitvità

Messaggioda franz il 13/08/2010, 10:27

La lettera del presidente della Federauto contiene molte imprecisioni e luoghi comuni ma sostanzialmente mette sul tappeto problemi reali. Ovviamente lui è preoccupato perché se veramente tutti scappassero, se venisse meno la capacità di spesa e la propensione all'acquisto delle famiglie, a chi i concessionari venderebbero le auto (FIAT o non FIAT)?
La domanda finale è la piu' sbagliata tra le questioni poste ma nemmeno è chiaro perché il titolo indichi l'impossibilità di produrre auto in Italia mentre il contenuto pare voler dimostrare (qui l'errore grave) che in Italia non conviene produrre praticamente nulla, nemmeno le caramelle o la carta igenica.

Ora se è vero che eventualmente a livello di vantaggi/svantaggi comparati produrre auto nei paesi dell'europa occidentale conviene meno, impossibile affermare in via teorica la stessa cosa per qualsiasi prodotto. Non conviene (forse) produrre auto ma potrebbe convenire produrre altro (lavatrici, scarpe, formaggi, olio). Se paesi diversi si specializzano nel produrre ad un ottimo rapporto qualità prezzo i beni che il mercato richiede, ogni paese esporterà le sue eccellenze ed importerà quelle altrui. La nostra economia quindi sopravvive anche se non dovessimo produrre auto. Occorre pero' cercare altre cose da produrre, che siano concorrenziali rispetto ad altri paesi (tanto da poter esportare, oltre a resistere alle importazioni).

Se vediamo il PIL prodotto negli altri paesi (germania, francia, UK, svezia, spagna) ci rendiamo contro che in europa occidentale conviene produrre un mucchio di cose, anche se il costo del lavoro (lordo) è sostanzialmente paragonabile. Quello italiano non è piu' alto di quello tedesco eppure la germania è e rimane un paese con una imponente industria manifatturiera, che esporta il 35% della sua produzione. Anche la Francia ha un costo del lavoro elevato (maggiore di quello italiano) eppure produce molto ed esporta il 30%. Eppure in Germania e Francia le normative sociali e sul lavoro sono simili alle nostra (ed anche piu' applicate). Ecco, da noi il salario netto è piu' basso e questo deprime un bel po' i consumi interni. La tassazione è sugli stessi livelli di germania e francia (i contributi no, da noi sono piu' alti) e quindi occorre cercare altri fattori che spieghino la "fuga dall'Italia" di cui si parla.

La criminalità e l'insicurezza sono un fattore importante. Le carenze di ricerca e sviluppo, la formazione professionale carente sono un secondo aspetto, aggravato dal fatto che ¼ dell'emigrazione italiana oggi è costrituita dal poco personale qualificato che abbiamo (la fuga dei cervelli). Dubito che l'azione dei pretori, su alcune migliaia di cause siano determinanti per la situazione italiana. Eventualmente lo sono per le grandi azende ma in Italia mi pare che il 90% delle imprese non sia soggetta allo statuto dei lavoratori ed al reintegro del lavoratore per via giudiziaria. La rigidità del mercato del mercato del lavoro riguarda anch'essa le grandi imprese ma oggi la metà dei lavoratori è oggetto di precarizzazione ed insicurezza, altro che “contratti d'acciaio, blindati, tutelatissimi, intoccabili, nei secoli dei secoli”. Vero pero' che questa metà a casua del reddito precario che ottiene ben difficilmente ha una alta propensione all'acquisto e capacità di spesa.

Concludendo abbiamo una scarsa competitività internazionale (infatti esportiamo meno del 20% di quello che produciamo) ed anche i consumi interni languono, a causa di salari netti bassi e di troppe pensioni da fame. Tuttavia non credo che la situazione sia compromessa. Certo occorre trovare un'uscita e impostare drastici cambiamenti. Soprattutto di mentalità politica (quell'abnorme 52% di spesa pubblica) e soprattutto nel mondo del lavoro.

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Re: La competitvità

Messaggioda Robyn il 13/08/2010, 12:27

Che in Italia non sia possibile fare impresa non è proprio vero è la classica favola messa in campo per chi vuole tutto per sè e niente per gli altri.L'avvenire ha parlato chiaro sulla delocalizzazione e non è possibile che questo concetto non sia entrato nella testa di chi produce.Delocalizzare deprime il mercato perche si privano i paesi industrializzati di reddito e lavoro e non si crea reddito nei paesi emergenti.Prima o poi bisognerà vendere e senza reddito non si vende.In merito alla Fiat mi sembra che la Fiom abbia dato il suo assenso ai tre turni che non ci siano particolare problemi sulla pausa di trenta minuti e lo spostamento a fine turno della pausa pranzo.La realtà e che la Fiat non cerca la condivisione.La competitività e l'utilità sociale non sono in contrasto ma c'è chi si ostina a porle in contrasto.Sono d'accordo bisogna investire sulle innovazioni di prodotto e sulla qualità.Tanto per fare un'esempio un mio amico ha acquistato casse stereo dai cinesi e le ha pagate una sciocchezza.Le casse stereo sono durate cinque giorni.Allora gli ho chiesto se non era meglio spendere il triplo e comperare casse di qualità che durassero nel tempo dal momento che adesso o le ricompera dal cinese e durano cinque giorni oppure le ricompera ad un rivenditore specializzato.Ma ha sempre perso in tutti e due i casi.Era meglio che comperava qualcosa che costava di più ma che durasse nel tempo.Quindi qui entra in gioco il rapporto qualità/prezzo.Vale a dire che nessuno ti dà niente per senza niente.Una cosa pagata troppo poco vale pure poco .Fiat cerchi condivisione e sviluppi la flessibilità dell'orario di lavoro nell'ambito dei cinque giorni Ciao Robyn
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Re: La competitvità

Messaggioda Robyn il 13/08/2010, 15:58

Un'altro modo per migliorare il rapporto qualità/prezzo è quello di ridurre la filiera oltre che a fare innovazioni di prodotto.Ci sono troppe intermediazioni e calcoliamo che c'è anche l'iva.In merito a Fiat dal momento che è un'industria nazionale le FS possono benissimo non far pagare il trasporto per le vetture in ambito nazionale.Esiste poi anche un'altra misura per la competitività ed è quella di poter aprire un'attività subito con controlli che avvengono dopo senza modifica dell'art 41 continuare con altre liberalizzazioni ben fatte Ciao Robyn
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Re: La competitvità

Messaggioda franz il 13/08/2010, 16:35

Robyn ha scritto:In merito a Fiat dal momento che è un'industria nazionale le FS possono benissimo non far pagare il trasporto per le vetture in ambito nazionale.

A parte il fatto che non vedo perché le FS dovrebbero fare sconti alla FIAT e realizzare perdite a carico della collettività, .... la misura sarebbe considerata concorrenza sleale dalla UE in quanto aiuto diretto ad una azienda nazionale, a scapito dei concorrenti esteri. Ma come vengono certe idee?

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Re: La competitvità

Messaggioda Robyn il 14/08/2010, 11:52

Infatti dovrebbe valere per tutti.Serve la realizzazione della linea ad alta capacità per il trasporto delle merci su ferrovia.Il trasporto anche incide molto sul prezzo finale.La realizzazione della linea ad alta capacita è una cosa che riguarda l'ambiente ma è allo stesso tempo una misura per la competitività ed è una cosa diversa dalla Tav.Oggi su strade ad autostrade c'è di tutto.Questo governo ha acoltato gli autotrasportatori e oggi abbiamo inquinamento,ingolfo,pericolosità dei mezzi pesanti sulle strade e sulle autostrade.Gli autotrtasportatori possono benissimo essere impiegati nella linea ad alta capacità e specializzarsi nei tratti brevi che per esempio vanno dallo scalo fino alle industrie localizzate in prossimità della linea ad alta capacità.Infine anche la filiera incide sul prezzo finale ma dovrebbero essere le industrie a realizzare una filiera propria magari assorbendo chi ci lavora.La linea ad alta capacità e la filiera devono far parte del programma del cs e dell'Ulivo.Per quando riguarda la competitivita serve un pacchetto unico prima discusso e poi approvato in parlamento se saremo maggioranza Ciao Robyn
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Re: La competitvità

Messaggioda franz il 14/08/2010, 13:59

Robyn ha scritto:Infatti dovrebbe valere per tutti.Serve la realizzazione della linea ad alta capacità per il trasporto delle merci su ferrovia.Il trasporto anche incide molto sul prezzo finale.La realizzazione della linea ad alta capacita è una cosa che riguarda l'ambiente ma è allo stesso tempo una misura per la competitività ed è una cosa diversa dalla Tav.Oggi su strade ad autostrade c'è di tutto.Questo governo ha acoltato gli autotrasportatori ...

Cosi' va meglio. :-)
I governi ascoltano gli autotrasportatori (quando fanno sciopero) ed anche i ferrovieri (idem).
Il risultato netto è una serie di concessioni (economiche e/o fiscali) ad entrambi che pesano sulle tasche di tutti.
In un'ottica di mercato quello che fa le condizioni migliori di trasporto (qualità / prezzo) vince correttamente se paga tutti gli oneri ed i costi, senza scaricare costi indebiti sulla collettività. Se non paga tutti gli oneri o gode di esenzioni o privilegi, vince in modo scorretto, penalizzando chi potrebbe fare il servizio migliore. L'impegno di ogni governo dovrebbe essere di mettere a disposizione del sistema economico le infrastrutture (invenstimento) ma lasciare al mercato la determinazione del servizio migliore in termini di concorrenza, senza aiuti corporativi a privati o industrie di stato. Ogni aiuto, agevolazione, sussidio a categorie è un aiuto illusorio, che paghiamo tutti e prima o poi si ritorce sui consumatori.

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Re: La competitvità

Messaggioda Robyn il 14/08/2010, 14:52

Io non sono molto d'accordo sù questa cosa.L''industria dell'auto necessita di ampi e numerosi investimenti per essere competitiva a confronto con altre industrie ed è per questo che necessita della partecipazione dello stato agli investimenti.La filosofia neoliberista non ha ancora abbandonato l'Europa e bisognerebbe abbandonare il trattato Mastrischt.In merito alla linea ad alta capacita bisognerebbe prendere la tav realizzare gli scali,fare in modo che i treni passino fuori dalle città e metterci sopra i treni per le merci.Spero solo che non sia stato dimensionato in modo diverso da non permettere ai treni per le merci di transitare.Il tg1 tempo fà riportava la notizia di un guasto di un treno tedesco ad alta velocità che aveva causato disagio ai passeggeri"signora sono profondamente preoccupato per il suo disagio e per sue condizioni di salute,scenda,vada a piedi,prenda un pò di ossigeno,quante storie,."Per il treno passeggeri è sempre andato bene il locale,il diretto e l'intercity per cui vanno bene le vecchie linee.Se si vuole raggiungere in poco tempo una città si prende l'aereo Ciao Robyn
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