franz ha scritto:Primo punto: Il cambiamento, in democrazia, è sempre graduale, misurato sulla scala di decenni.
Lasciamo perdere le rivoluzioni, che servono a disfarsi di un contesto dispotico (salvo quelle che lo hanno sostituito con un altro). Che poi sia accettato questo è soggettivo ed individuale. Qualcuno ci arriva subito, altri ci mettono 70 anni.
Pensa che alcuni super brontosauri non hanno ancora accettato e metabolizzato la rivoluzione copernicana e qulla darvinista. Mi pare che in UK e USA il 40% dei cittadini creda ancora in un mondo creato da Dio circa 10'000 anni fa (e l'Italia non è messa meglio). Lasiamo quindi perdere l'accettazione e la metabilizzazione in un paese in cui 1/3 degli abitanti crede ancora negli oroscopi ed un altro terzo è possibilista.
Secondo punto: la società muta sempre piu' velocemente di quanto noi siamo disposti ad ammettere e percepire. Di solito, impegnati come siamo a modificare la società, ci rendiamo conto dopo decenni che la società è cambiata indipendentemente dalla nostra volontà e spesso in una direzione sorprendentemente diversa da quella che volevamo.
Questo ci sorprende e difficilmente lo accettiamo (lo subiamo, su questo hai ragione) ma piu' che lamentarci dovremmo rifletterci sopra. Vorremmo cambiare la società in una direzione; le muta in un alltra. Vogliamo fermarci a riflettere sul perché?
Terzo punto: è quello su cui concordo ampiamente. Tradotto in temini economici, significa che per noi non è possibile seguire una strada di ottimalità paretiana e cioe' tentare di migliorare la situazione attuale del paese (della maggioranza del paese) senza danneggiare nessuno. Possiamo quindi migliorare la situazione di qualcuno, peggiorando la situazione di altri. Se poi in temini aggregati l'insieme totale ci guadagna, abbiamo comunque compiuto un'impresa positiva, pur se a scapito di qualcuno (rendite parassitarie, clientele, corporazioni, baronie, malaffare, malavita, caste).
Qui sta il punto. Da tempo sono arrivato alla considerazione che queste ... rendite parassitarie, clientele, corporazioni, baronie, malaffare, malavita, caste ... messe insieme creano un blocco molto forte che è battibile solo se isoli alcuni pezzi e cerchi di allearti con loro. Questo dovrebbe essere possibile perché larghi strati del loro sistema di potere comunciano a capire che cosi' non si puo' piu' andare avanti. Detto in soldoni, se scappano le grandi aziende come la FIAT e anche molte PMI, dove mai potranno succhiare il sangue i nostri insaziabili vampiri parassitari? Forse alcuni di loro, i meno avidi, in cambio di alcune flebo settimanali, possono darci una mano a cambiare il paese ed evitarne il decesso.
Franz
a gradualità del cambiamento dipende in minima parte dal regime politico di un paese.
a meno che non si tratti di cambiamenti traumatici e repentini, la maggior parte dei fenomeni politici, sociali ed economici sono graduali.
quello che cambia è la capacità di saperli vedere e di saperne cogliere le conseguenze di breve, medio e lungo periodo.
una capacità questa abbastanza rara nella classe dirigente italiana, che normalmente si trova spiazzata rispetto a diversi fenomeni che deve affrontare.
il ritado di "lettura" implica che le scelte politiche che si rendono necessarie dovranno generare cambiamenti tanto più rapidi quanto più giungeranno in ritardo o dovranno comunque essere scelte drastiche. quando si perde un treno non è detto che ne passi un altro con le stesse caratteristiche e le stesse opportunità
prendiamo il caso FIAT e delle altre PMI che delocalizzano. che cosa c'è di sorprendente? nulla. è una delle conseguenze della globalizzazione, ossia del fatto che soggetti che prima non parteciapvano la "gioco" del capitalismo hanno deciso di giocarci.
è una novità? no di certo, gli ultimi paesi entrati in questo gioco l'hanno fatto almeno 15-20 anni fa.
nel frattempo in Italia si è fatto qualcosa per prevenire le possibili conseguenze di una delocalizzazione delle imprese e del dumping sociale ad esso associato?
ovviamente sì e si è scleto come soluzione una competizione sul contenimento del costo del lavoro (visto che l'arma della svalutazione della moneta l'abbiamo perso con l'euro) e con l'accettazione di condizione di lavoro sempre peggiori (dal precariato all'accordo su Pomigliano). una scelta pro-dumping, in sostanza.
questa è una strategia che abbia un senso nel medio e lungo periodo? assolutamente no visto che di fatto abbiamo rinunciato ad investiere in tecnologia e prodotti ad altro valore aggiunto per poter competere inutilmente con Serbia, Polonia e Bangladesh.
ha senso in questo caso cercare un'alleanza con gruppi, il cui costo è il protarsi degli errori compiuti fino a questo momento?
non è forse meglio cercare un'allenza con soggetti nuovi, lungo linee di sviluppo diverse rispetto alle quali poter sviluppare un cambiamento più graduale nel tempo (dati i minori ritardi accomulati)?