Come spesso accade, Scalfari ci mette dentro tutto e di piu', mercati, speculazione, federalismo, Risorgimento, Gramsci e chi piu' ne ha piu' ne metta. Da un testo cosi' vasto potrebbero nascere mille discussioni ..... tutte interessanti.
Vediamole.
Franz
COMMENTO
Il dramma del federalismo
in Italia e in Europa
di EUGENIO SCALFARI
LA SETTIMANA si è chiusa con le Borse di nuovo in caduta verticale. Dunque la speculazione non è ancora domata e non lo sarà fin quando l'Europa non avrà fatto passi decisivi verso uno Stato federale compiuto e dotato di una sua politica economica e fiscale come di una sua politica estera e militare. Per noi italiani il tema del federalismo europeo si intreccia con quello del federalismo italiano, arrivato ormai alla sua fase cruciale. La scatola vuota tanto propagandata dalla Lega dovrà nei prossimi mesi ed anni esser riempita di concreti contenuti che incideranno sulla struttura dello Stato, delle Regioni, degli enti locali; sull'equilibrio sociale e politico, sui poteri costituzionali, su alcuni grandi servizi pubblici a cominciare dalla sanità e dall'istruzione.
Federalismo italiano e federalismo europeo sono dunque due percorsi paralleli con reciproche influenze. Del primo si sono occupati nei giorni scorsi su Repubblica Giorgio Ruffolo (che ha anche scritto un libro interessante in materia) e Massimo Salvadori. Del secondo ha trattato Luigi Zingales su 24 Ore del 9 maggio. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dal canto suo è ripetutamente intervenuto in questa così delicata questione, tanto più attuale per noi italiani nell'anno in cui si celebra l'impresa garibaldina dei "Mille" e i centocinquanta anni dell'Unità d'Italia. Da questo tema dobbiamo quindi cominciare la nostra analisi.
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Il Risorgimento fu concepito e attuato da una "élite", minoritaria come tutte le "élite".
Era una minoranza molto composita nella quale convivevano sentimenti, ideali, interessi e una visione culturale che aveva radici antiche.
Lasciamo da parte Dante, che ne ebbe il presentimento e le fornì per primo un comune linguaggio; ma non possiamo non includervi Alfieri, Foscolo, Manzoni, il folto gruppo di riformisti e illuministi tra i quali spiccarono i nomi dei Verri e del Beccaria.
Politicamente il Risorgimento come movimento d'indipendenza e di unità nazionale nacque nella testa di Giuseppe Mazzini. Cavour ci arrivò per pragmatismo. La sua prima idea era stata un regno padano da Torino a Venezia, sulle orme del suo predecessore Massimo d'Azeglio. Ma quando Garibaldi arrivò a Palermo con le sue Camicie rosse, non esitò un momento a saltare in sella a quel movimento vincente e a piegarlo agli interessi della monarchia sabauda.
Molte critiche sono state fatte, allora e dopo fino ai giorni nostri, da sponde diverse. Furono critici i cattolici e criticissimo il papa Pio IX; fu critico Mazzini e il partito d'Azione, fu critico Gramsci e la sinistra marxista. Oggi è critica la Lega e l'opinione nordista che la Lega cavalca a briglia sciolta. Ma tutti questi punti di vista così diversi tra loro convergono su un punto: il Risorgimento - dicono - fu opera di una minoranza e questa è la sua debolezza. Le masse cattoliche, contadine, operaie, furono assenti ed escluse dalle istituzioni. Quindi un movimento deforme, come deforme fu lo Stato che nacque da esso. Una deformità che ha impedito la maturazione di un vero sentimento nazionale e un radicamento delle istituzioni nella coscienza popolare.
È vero, fu uno Stato creato da una minoranza e nato con il forcipe d'una volontà minoritaria. Ma, come ho già più volte ricordato, non è mai esistito nella storia un nuovo potere che sia nato dalla consapevole volontà di vaste masse popolari. La creazione d'un potere nuovo è sempre stato il prodotto d'una minoranza, un risultato demiurgico che solo in un secondo momento ha evocato il popolo ed ha inserito gradualmente nelle istituzioni le masse popolari. Così sono sempre andate le cose; perfino la Rivoluzione dell'89 fu un fatto di minoranze per non parlare dei bolscevichi di Lenin. Nel bene e nel male gli Stati sono nati in questo modo.
Il Risorgimento arrivò ultimo tra le nazioni d'Europa e non poteva che nascere in quel modo: centralizzato, tra nazioni già radicate nella storia e nella coscienza popolare. Se fosse nato su basi federali sarebbe stato spazzato via in un baleno.
Le masse popolari sono ormai entrate da tempo nelle istituzioni, anzi si sono abituate a profittarne fin troppo e il motivo è semplice: le nostre istituzioni sono state molto spesso occupate da gruppi di puro potere con scarsa o nessuna visione del bene comune. Le istituzioni sono state usate per tornaconto degli occupanti e delle vaste clientele (o cricche) che ne hanno tratto beneficio.
Questa è la nostra vera debolezza con la quale il Risorgimento ha poco o nulla a che vedere. Se il sentimento nazionale è debole, la sua debolezza coincide con la disistima verso le confraternite del potere. Se il prestigio e la fiducia degli italiani verso Napolitano è quasi il doppio della fiducia verso Berlusconi, la ragione è quella: Napolitano rappresenta tutti, Berlusconi rappresenta se stesso e i suoi.
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Il federalismo, fiscale e istituzionale, può essere a questo punto della nostra storia un passo in avanti o una catastrofe nazionale. C'è infatti un punto dal quale parte la questione federalista: la disistima verso le istituzioni coinvolge le Regioni prima ancora dello Stato. Il clientelismo regionale è ancor più esteso di quello statale, la burocrazia regionale è pletorica, i consigli e le giunte regionali sono un ricettacolo di malgoverno e spesso di malaffare. La Sanità, che è uno dei più grossi affari pubblici, alterna punti di eccellenza con situazioni di vergognosa miserabilità, la mappa dei posti letti è assurda, la mescolanza tra affari e politica ha raggiunto livelli sciagurati. Campania, Calabria, Sicilia, Abruzzo, Molise, Lombardia, Lazio, per citare solo i casi più evidenti, sono territori già commissariati o di imminente commissariamento, dove la rete clientelare e il malaffare che ne consegue sono ormai entrati nelle consuetudini dei proverbi e delle barzellette.
E' una rete difficilissima da rompere, dove il vero reato non è neppure più la corruzione ma l'associazione per delinquere, tanti sono i legami trasversali che intercorrono tra i membri delle cricche.
Da questa Suburra parte, ahinoi, la marcia del federalismo italiano.
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Scrive Ruffolo che per bonificare questa Suburra ci vogliono le macro-regioni. Dice al contrario il nostro presidente della Republica che le macro-regioni rappresenterebbero inevitabilmente la fine dello Stato unitario. Ad esse non a caso puntano Bossi e Calderoli: la Padania come la Baviera.
Si dirà che la Baviera convive agevolmente con gli altri lander della Germania federale ed è vero. Ma attenzione: non esiste un divario così marcato tra i lander tedeschi che possa essere confrontato con il divario socio-economico-criminale che divide l'Italia in due. La Westfalia, la Renania, Amburgo, non hanno nulla da invidiare alla Baviera della quale sono perfino più ricchi. Semmai un divario esiste con i lander dell'Est che fino a vent'anni fa erano ancora sotto il tallone stalinista; ma non paragonabile al nostro Mezzogiorno.
Una Padania istituzionalizzata, con un suo governo ed un suo Parlamento, può anche essere generosa nel periodo iniziale di un siffatto federalismo, ma avrebbe gettato le basi di una reale separazione tra l'Italia peninsulare e quella cisalpina. Quest'ultima centripetata dall'Europa, l'altra piegata verso il Maghreb, la Grecia, l'Albania e l'incrocio dei traffici mafiosi del Mediterraneo e dell'America Latina, lontana ma molto presente.
E' questo il federalismo macro-regionale? Temo di sì e per questo lo avverso, da italiano e da europeo.
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Due parole su un altro nordismo che meriterà però un più articolato discorso: il nordismo europeo che molti coltivano dopo la battaglia tra la speculazione internazionale e l'Unione europea. La battaglia procede a fasi alterne, ma la guerra è ancora tutta da combattere e non sarà vinta fin quando l'Unione non sarà diventata un vero Stato federale, magari a due velocità ma con la moneta comune sempre più al centro del sistema.
Molti (e Zingales tra questi) suggeriscono di spaccare in due l'area e la moneta dell'Unione: un'area Sud con un euro-sud e un'area Nord con un euro-nord.
La geografia non è coerente fino in fondo: nel nord-nordest ci sono paesi come i Baltici, la Romania, la Bulgaria, i cui fondamentali sono forse più compatibili con il Sud; ma questi sono dettagli, sia pure assai eloquenti.
Non si capisce se l'euro-sud sarebbe una moneta diversa e se avrebbe una sua diversa Banca centrale. Se così fosse, la speculazione internazionale avrebbe a disposizione una vasta prateria, da Lisbona a Madrid, ad Atene passando probabilmente anche dai territori italiani a sud di Firenze.
Se invece l'area Sud avesse la stessa moneta del Nord con una banda d'oscillazione attorno al cambio fisso dell'Euro, è di tutta evidenza che per la speculazione internazionale sarebbe un gioco da bambini distruggere l'intero meccanismo.
Per quanto riguarda l'Italia, allora sì, la secessione non più solo di fatto ma istituzionale sarebbe inevitabile, con la Padania agganciata all'euro e il resto d'Italia ad un qualche fiorino di antica e non commendevole memoria.
E' questo che volete? A me sembra pazzesco il solo pensarlo.
(16 maggio 2010) http://www.repubblica.it