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La cretineria prevale in Europa ?

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La cretineria prevale in Europa ?

Messaggioda Loredana Poncini il 16/05/2010, 16:10

Secondo Barbara Spinelli SI', LA CRETINERIA PREVALE, IN EUROPA !
Nel suo articolo su La Spampa di oggi intitolato" Il sorriso ottuso dell' Europa ", Spinelli scrive : "L'euro vacilla sempre più, ma i capi di governo fingono letizia, immaginando di suggestionare i mercati col buon umore. "
Un mio piccolo commento : ...il nostro premier fa scuola ! ... :lol:
Loredana Poncini
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Re: La cretineria prevale in Europa ?

Messaggioda trilogy il 16/05/2010, 19:22

Il sorriso ottuso dell'Europa
BARBARA SPINELLI
E’ impressionante la forza che possiede la stupidità, nella vita degli Stati europei e in quella dell’Unione. La crisi economica iniziata nel 2007 avrebbe dovuto insegnar loro un po’ d’intelligenza supplementare, e persuaderli che i tempi dell’incertezza erano finiti, che la politica doveva riacquistare un primato, che l’ora di un governo europeo era infine sopraggiunta. Invece si direbbe che la crisi non abbia impartito lezione alcuna, nonostante le grandi spese che l’Unione si sta sobbarcando.

Si versano soldi in quantità e nelle nazioni si predispongono piani di sacrifici dolorosi, ma come dissero a suo tempo Fruttero e Lucentini: la cretineria prevale, e quel che l’Europa sa far meglio è l’ottusa «manutenzione del sorriso». L’euro vacilla sempre più, ma i capi di governo fingono letizia, immaginando di suggestionare i mercati col buon umore. Della tempesta non parlano, per non dover parlare delle proprie responsabilità, e sperano che come per miracolo i mercati si calmino. Intanto pagano e questo non è male, ma pagare non è tutto quel che occorre. La politica, hanno l’impressione di averla già fatta. La leadership, di averla già esercitata: con il trattato di Lisbona, con qualche vertice fra i governi più importanti. Così vivacchiano ancor oggi, grosso modo soddisfatti.

La costituzione è fallita in questi anni, ma il trattato di Lisbona ha preso il suo posto e il grosso è fatto. L’unico elemento positivo della crisi è che i governi non se la prendono più con gli eurocrati di Bruxelles, d’un tratto. In cuor loro sanno perfettamente che se l’Europa è considerata nel mondo un’impresa minacciata di morte, la colpa è degli Stati e dei politici nazionali. Il cretino molto spesso si dissimula dietro le vesti del pragmatico, del moderato, di chi pretende di aver appreso la feconda arte della disillusione, dello spirito blasé. Nessuna passione lo agita più, nessuna grande idea innovatrice, se non il desiderio di posti e di cariche.

L’Inghilterra è maestra in quest’arte solo apparente del disincanto, impastata in realtà di illusioni e incanti: illusione di potercela fare da sola, come nazione erede di un impero; incanto che occulta i fatti reali e riempie il vuoto con l’affaccendarsi più che col fare. In questi giorni c’è chi parla addirittura di rivoluzione in Gran Bretagna, e tutti sono eccitati perché per la prima volta gli inglesi fanno l’esperienza, molto continentale, di un governo di coalizione. Ma al momento, l’esperienza è un guscio vuoto. Tutto quello che i liberal-democratici di Clegg hanno fatto è retrocedere nella loro battaglia europeista, pur di fare un governo giovane, fotogenico e ilare con Cameron, l’antieuropeista. Il colmo è stato raggiunto, il giorno dell’accordo, da Graham Watson, deputato liberale al Parlamento europeo. «Sull’Europa non c’è problema», ha detto alla Bbc: primo perché nell’euro l’Inghilterra non entrerà comunque; secondo perché l’Unione ha già operato tali e tanti cambiamenti, da quando ha approvato il trattato di Lisbona, che il riposo e le pantofole sono più che legittimi. Per un bel po’ di tempo, ha aggiunto, altri trasferimenti di sovranità non sono né previsti né auspicati.

Così ragionano i pragmatici, o meglio i rinunciatari, quasi camminassero in una fresca radura e non in mezzo a incendi. Proprio ora ci vorrebbero nuovi trasferimenti di sovranità, perché l’Europa diventi finalmente un soggetto politico credibile (credibile davanti ai mercati, agli Stati Uniti, alla Cina, all’India) e proprio ora i suoi dirigenti dicono, come quando ti si accampano davanti un secondo e un terzo mendicante: «Abbiamo già dato». Eppure quasi ogni giorno la cosa appare evidente: la crisi che traversiamo e i sacrifici che saranno chiesti ai cittadini sono tali, che senza trasformazioni decisive dell’Unione c’è poco da sperare. Non lo affermano solo i mercati, che non sembrano credere nell’Europa ma di cui si può pensare: hanno l’istinto del gregge, ascoltano il primo che passa.

L’Europa e l’euro sono ritenuti moribondi anche da politici americani di primo piano come Richard Haass, direttore del Council of Foreign Relations e consigliere di vari presidenti. Anche dall’ex governatore della Federal Reserve Paul Volcker. Lo storico Niall Ferguson, esperto in declini di imperi (romano, britannico, americano), lo dice a chiare lettere, su Newsweek: «La grande decisione che l’Unione deve prendere non è se salvare la Grecia. È se trasformarsi in Stati Uniti d’Europa, o essere una versione moderna del sacro romano impero, una bislacca accozzaglia “a geometria variabile” che prima o poi si frantumerà».

Economicamente l’Europa sta meglio degli Stati Uniti. Ma questi non muoiono perché sono un sistema politico federale, dunque un soggetto visibile. Dietro il dollaro c’è uno Stato, che riequilibra le disparità interne: «In America il salvataggio del Michigan viene fatto dal Texas in modo automatico, attraverso la ridistribuzione del reddito e i proventi della tassa sulle imprese». Dietro l’euro c’è un’armatura e dentro l’armatura un cavaliere inesistente. Bisogna davvero esser lenti a capire e sconfinatamente svogliati, per pensare dopo il tremendo biennio 2007-2009 che i mercati e l’economia siano tutto, e talmente bravi ed efficaci da dettar legge. Che la moneta unica e la prosperità del vecchio continente possano sussistere senza un potere politico, alle spalle, che coincida con l’area dell’euro. Che mercati e agenzie di rating restino infallibili, abilitati a ripetere i disastri e le bolle speculative degli ultimi anni. Nonostante questo suo impazzimento, l’economia continua a essere l’idolo davanti al quale la politica, svuotata dal di dentro, senza timoniere, molto pragmaticamente si adatta.

È come se l’Europa non avesse, nel proprio bagaglio, una grande cultura fatta di scetticismo verso i mercati e il predominio dell’economia: una cultura che ha prodotto guerre fratricide ma ha anche saputo difendersi da esse inventando la democrazia, la separazione dei poteri, l’autonomia della politica, lo Stato sociale. Una cultura che nel dopoguerra ha dato vita a un’unione di Stati consapevoli dei propri limiti e decisi a mettere insieme le proprie vecchie sovranità. Un’unione che ha custodito inoltre il Welfare, in modo da spegnere in anticipo gli estremismi scatenati nel secolo scorso dalla questione sociale. È come se nella nostra storia non ci fosse stata, contro il predominio del mercato e dell’economia, una lunga tradizione che va dalle visioni etiche e politiche di Condorcet e Adam Smith alle proposte sociali e politiche di Beveridge e Keynes. È dal Settecento che l’Europa produce idee in questo campo, oggi dimenticate. Condorcet, che pure credette nella razionalità degli economisti a lui contemporanei, vide già allora i pericoli: «Agli occhi di una nazione avida, la libertà non sarà più che la condizione necessaria alla sicurezza delle operazioni finanziarie».

L’euro è nato con questo vizio, fondamentale. Il mercato e le banche erano tutto, il grande demiurgo era a Francoforte. La politica era chiamata a garantire la libertà necessaria alla sicurezza delle operazioni finanziarie. L’armonia si sarebbe imposta spontaneamente, e al peggio non urgeva pensare. Invece il peggio è venuto. È già qui fra noi. Si può fingere che non esista, e dare alla finzione il nome di pragmatismo. Ma il pragmatismo senza una trasformazione dell’Europa non è pragmatismo né tanto meno disincanto. È un’ideologia con aspirazioni egemoniche acutissime. Ha la forza della stupidità quando impigrisce. La forza di bloccare i nuovi necessari trasferimenti di sovranità, come nei desideri degli inglesi o della Corte costituzionale tedesca. Ha il potere, magari gratificante ma enormemente inutile, di chi è addetto alla manutenzione del sorriso mentre la crisi economica si abbatte sulle società e le democrazie per spezzarle.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplR ... ID_blog=40
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Re: La cretineria prevale in Europa ?

Messaggioda pianogrande il 16/05/2010, 22:34

Il mercato non è quel magico ambito dove tutto funziona per legge naturale.
Come se fossimo nell'ambito della accellerazione di gravità o della spinta di Archimede.
Il mercato è politica.
Il mercato fa politica.
Con un piccolo difetto.
Il mercato fa politica ad esclusivo uso di certi mercanti.
Su questa politica, deve innestarsi la politica di comunità più allargate (le comunità di cittadini, gli stati).
Non si fa niente che riguardi il rapporto tra persone e tra organizzazioni senza che si faccia politica.
Meno stato e più mercato significa, semplicemente: voi levatevi di mezzo che la politica la facciamo noi.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: La cretineria prevale in Europa ?

Messaggioda franz il 17/05/2010, 13:09

pianogrande ha scritto:Il mercato non è quel magico ambito dove tutto funziona per legge naturale.
Come se fossimo nell'ambito della accellerazione di gravità o della spinta di Archimede.
Il mercato è politica.
Il mercato fa politica.
Con un piccolo difetto.
Il mercato fa politica ad esclusivo uso di certi mercanti.
Su questa politica, deve innestarsi la politica di comunità più allargate (le comunità di cittadini, gli stati).
Non si fa niente che riguardi il rapporto tra persone e tra organizzazioni senza che si faccia politica.
Meno stato e più mercato significa, semplicemente: voi levatevi di mezzo che la politica la facciamo noi.

Condivido molti dei tuoi interventi ma qui non saprei da che parte iniziare :D per darti torto.
Inizio dalle banalità. Il mercato è mercato. Da 10'000 anni circa.
Poi da un po' (e sempre piu') la politica fa mercato. E spessissimo fa disastri.
Senza entrare nelle calamità del secolo scorso (il comunismo) ma anche limitandoci al caso greco (di attualità) vediamo come decisioni errate della Polis diventano un disastro per la nazione e per quelle affratellate da comuni patti di assistenza. Poi ci sono i mille modi in cui la politica distorce il mercato, tramite sussidi, agevolazioni, esezioni.
Non mi meraviglio quindi che il mercato faccia politica. Per attirarte queste agevolazioni etc.
Il fatto stesso che la politica esista che sia potere, che influenzi direttamente dal 30 al 60% del PIL, porta alcuni a cercare la facile scorciatoia della convivenza con i poteri politici. Porta altri a cercare la connivenza con altri poteri (es: mafiosi).
Ma questo è un difetto del mercato o un difetto della politica (dei sistemi di potere)?
Ai posteri l'ardua sentenza.

Franz
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Re: La cretineria prevale in Europa ?

Messaggioda pianogrande il 17/05/2010, 23:15

Posso riconoscere di aver evidenziato quelli che possono essere falsi problemi.
In fondo, alla fine, torniamo sempre lì.
Strumenti Franz, strumenti.
Fotti il sistema. Studia.
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