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Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

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Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

Messaggioda lucameni il 31/01/2010, 0:12

"Il bipolarismo senza equilibrio

La nostra vita pubblica, apparentemente immobile, sembra vivere in realtà di oscillazioni radicali, sembra evolvere passando da uno squilibrio all’altro. Da noi, si tratti di rapporti fra politica e giustizia, fra pubblico e privato, o fra maggioranze e opposizioni entro il sistema dei partiti, non si trovano mai o quasi mai «punti di equilibrio» soddisfacenti. Nei rapporti fra politica e magistratura, ad esempio, siamo passati dal dominio della politica con debole o nulla indipendenza dei magistrati (nei primi decenni della Prima Repubblica) alla situazione opposta del predominio giudiziario sulla politica. Forse, l’episodio emblematico che consacrò la svolta fu, nel 1993, il proclama televisivo con cui l’allora pool di Mani Pulite affossò il decreto Conso sulla questione della corruzione. Da uno squilibrio all’altro, insomma.

La stessa cosa vale per i rapporti fra pubblico e privato. O è il pubblico (che poi significa sempre politica, partiti) a dominare il privato oppure è il privato che si appropria del pubblico. Anche qui, si danno, per lo più, oscillazioni da un estremo all’altro.

Anche se guardiamo ai rapporti fra i partiti, fra le maggioranze e le opposizioni, la situazione non è diversa. In Italia sembra esserci spazio solo per le alleanze formali, cementate dalla comune gestione del potere, e per le contrapposizioni totali alimentate da linguaggi e toni da scontro di civiltà (ma anche accompagnate, come è inevitabile perché il sistema non crolli, da frequenti accordi sottobanco).

Guardiamo all’oggi. Il bipolarismo richiederebbe una prevalenza della moderazione sull’estremismo, una convergenza al centro. Non è necessario che ciò accada continuamente (anche nei sistemi bipolari più stabili si danno inevitabilmente momenti o episodi di lotta feroce) ma è necessario, perché il sistema duri, che moderazione e convergenza al centro siano, almeno, le tendenze prevalenti. In Italia non è così. La caratteristica italiana è che mentre i fautori della moderazione sono per lo più contrari al sistema bipolare, i difensori del bipolarismo sono contrari alla moderazione.

Lo si vede in ogni zona del sistema partitico. Nel centrodestra le cose appaiono solo un po’ più confuse e complesse a causa degli effetti dell’esercizio del potere, del ruolo di Berlusconi, e della presenza della Lega (un partito di rappresentanza territoriale che, in quanto tale, ha un rapporto solo strumentale con il bipolarismo)

La tendenza— che però, ripeto, riguarda l’intero sistema politico— è invece visibilissima nel caso del maggior partito di opposizione, il Partito democratico. Qui, spingono chiaramente per la moderazione coloro che vorrebbero far saltare il bipolarismo mentre i difensori del bipolarismo cavalcano l’estremismo. Lo si è visto, qualche mese fa, nella gara per la segreteria nazionale. Il segretario uscente, Dario Franceschini, difendeva il bipolarismo usando però i toni e gli argomenti dell’estremismo giustizialista. Lo sfidante Pier Luigi Bersani sceglieva invece una linea assai più moderata (opposizione ferma sì ma senza massimalismi) mentre i dalemiani che lo sostenevano non facevano mistero della loro crescente insofferenza per l’alleanza con Di Pietro.

Questa moderazione, però, non era funzionale all’idea di fare del Pd una componente stabile del gioco bipolare. Ciò che si intravedeva era un diverso disegno. Il progetto era quello di sacrificare il bipolarismo sull’altare di una alleanza con i centristi di Casini (in attesa del botto finale: la disgregazione del centrodestra dopo l’eventuale uscita di scena di Berlusconi).

Fra il bipolarismo massimalista (Franceschini) e l’anti-bipolarismo moderato (Bersani) il «popolo democratico» scelse allora il secondo.
Il progetto di Bersani e D’Alema è ora stato sconfitto in Puglia. Se è vera l’ipotesi che da noi si procede solo passando da uno squilibrio all’altro, nel caso del Pd il pendolo dovrebbe ora di nuovo spostarsi verso l’irrigidimento massimalista. È probabile che assisteremo a una progressiva chiusura anche di quei piccoli spiragli di dialogo sulle riforme che si erano recentemente aperti. A maggior ragione se, come è possibile, le elezioni regionali andranno male per il Partito democratico. Ed è anche molto probabile che una nuova svolta massimalista del Pd non dispiaccia a Berlusconi. Nel breve termine, essa darebbe infatti ulteriori vantaggi al centrodestra.

A destra come a sinistra sono deboli le forze disponibili a far funzionare il sistema bipolare tramite moderazione e convergenze al centro. Le forze contrarie sono più consistenti.

Ricorrere a espressioni come « punto di equilibrio » , «equilibrio fra i poteri» (e ad altre espressioni ancora in cui figuri la parola «equilibrio») significa affidarsi a un linguaggio metaforico. Si vuole indicare, semplicemente, il consolidamento di prassi, di comportamenti, che raccolgano l’approvazione, se non di tutti, quanto meno dei più. Perché, si tratti di rapporti fra politica e magistratura, fra pubblico e privato, o fra maggioranze e opposizioni, non si riesce quasi mai a creare sufficiente consenso diffuso non sui contenuti (dove il dissenso e il conflitto sono legittimi e necessari) ma sul modo in cui quei rapporti dovrebbero correttamente svilupparsi? Perché queste oscillazioni fra estremi opposti? Le ragioni sono complesse e ciascuno può scegliere le risposte che preferisce. La più semplice è che, a tutte le latitudini, in alto e in basso, fra le élite come fra i cittadini comuni, mentalità, cultura e sensibilità liberali siano tuttora pressoché introvabili.

Angelo Panebianco
28 gennaio 2010"

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2)

"Dominque De Painblanc


Proseguono, per la saga “Balle spaziali”, gli editoriali di Angelo Panebianco. Il quale ieri, alla tremillesima riga, lamentava sul Pompiere della Sera che in Italia “mentalità, cultura e sensibilità liberali sono tuttora pressoché introvabili”.
Infatti lui scrive sul Pompiere della Sera.
Ciò che lo angustia, tanto per cambiare, non sono gli scandali, ma “lo squilibrio nei rapporti fra politica”, “il predominio giudiziario sulla politica”.
Di quale predominio stia cianciando non è dato sapere, visto che in quindici anni i politici hanno approvato una trentina di leggi per farla franca, si coprono a vicenda con ogni sorta di insindacabilità e intoccabilità e stanno pure provvedendo a blindarsi vieppiù con altre quattro porcate.
Ma lui, impermeabile ai fatti, parla d’altro: “L’episodio emblematico che consacrò la svolta fu, nel 1993, il proclama televisivo con cui l’allora pool di Mani Pulite affossò il decreto Conso sulla questione della corruzione”.
Ne avesse azzeccata una.
Nel 1993 non ci fu nessun proclama televisivo dell’allora pool di Mani Pulite, ma un comunicato letto dal solo Borrelli a proposito del decreto Conso, che non riguardava minimamente la corruzione, ma depenalizzava il finanziamento illecito.
Il comunicato non “affossò” un bel nulla.
Scalfaro non firmò il decreto per due motivi: 1) era un colpo di spugna incostituzionale sulle inchieste di Mani Pulite, fra l’altro a costo zero, perché l’ineleggibilità per 5 anni dei condannati (inizialmente prevista nel testo sottoposto al Quirinale) fu sfilata all’ultimo momento dal provvedimento; 2) gl’italiani stavano per votare un referendum proprio sul finanziamento ai partiti.
L’articolessa panebianca prosegue con una copiosa lacrimazione per l’accordo Bersani-Di Pietro che trascinerà il Pd verso “toni e argomenti dell’estremismo giustizialista” tipici – pensate un po’ – del mite Dario Franceschini. Insomma il Pd avrebbe imboccato una deriva di “irrigidimento massimalista”: infatti Bersani, novello Felice Cavallotti, e quella Rosa Luxemburg rediviva che è la Finocchiaro saltano da un banco all’altro del Parlamento per rodere il cranio ormai implume del povero Silvio.
Uno spettacolo raccapricciante.
La lacrimazione sanguinolenta del madonno di Civitavecchia si conclude con una drammatica previsione: “Assisteremo a una progressiva chiusura anche di quei piccoli spiragli di dialogo sulle riforme che si erano aperti”. Una prospettiva che non può non addolorare un liberale autentico come lui.
Quali siano le “riforme” su cui “dialogare” le spiega il Pompiere qualche pagina più avanti: oltre al processo morto, c’è il legittimo impedimento che per un anno e mezzo consentirà al premier (ma anche ai ministri e forse ai sottosegretari: il governo è pieno di bisognosi) di inventarsi per un anno e mezzo le scuse più inaudite per sfuggire ai processi, in attesa che vi cali la pietra tombale del lodo Alfano turbodiesel a trazione integrale.
Proprio in extremis, i suoi Azzeccagarbugli si sono accorti che col legittimo impedimento il Banana non avrebbe potuto partecipare ai processi che lui intenta agli altri denunciandoli: ecco dunque un emendamento che gli consentirà di portare in tribunale gli altri, ma vieterà agli altri di portare in tribunale lui.
Tutte leggi tipiche di una democrazia liberale.
Ora sarebbe interessante conoscere il pensiero del liberale Panebianco dell’assoluzione di Dominique de Villepin dal processo Clearstream, dov’era accusato da Sarkozy di aver indotto i servizi segreti a dossierare per screditarlo. Due anni fa, essendo imputato, Villepin lasciò la politica e rinunciò alla corsa all’Eliseo per difendersi nel processo. Ora che l’hanno assolto, anziché attaccare i giudici e gridare al complotto (anche se ne avrebbe di che), il gentiluomo parigino s’è detto pronto a “servire ancora i francesi senza rancore”. Nessun lodo, nessun legittimo impedimento, immunità e nessun Panebianco che tromboneggia sullo squilibrio nei rapporti fra politica e magistratura.
Sono pazzi questi francesi.

Marco Travaglio - Il Fatto del 29 gennaio 2010"

Dopo attenta lettura ho deciso: preferisco il secondo articolo.

(!)
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Re: Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

Messaggioda franz il 31/01/2010, 10:54

Ok, si puo' preferire il secondo, ... in fondo è scritto in modo spiritoso e divertente. Espressioni come Balle spaziali, Pompiere della Sera, lo storpiare i cognomi (articolessa panebianca) sono elementi tipici dell'umorismo, fin dalle scuole elementari. Io consiglierei a Travaglio di usare anche una volta o due cacca oppure chiappa, cosi' conquista anche la platea dei bambini dell'asilo. Ma se il problema non è la preferenza stilistica, se vogliamo vedere chi ha piu' ragione, temo che abbia ragione Panebianco. Il solo fatto che sia meno divertente ci dice che il suo racconto è piu' aderente alla triste realtà italiana.

Il nostro paese, almeno visto da fuori come mi capita ormai da un ventennio, è veramente soggetto ad estremismi ed il bipolarismo ha dato una enorme accellerazione a questo fenomeno. Ritengo che tuttavia le persone inizino a stancarsi di tutto questo ed alle ultime elezioni hanno scaricato una delle due ali piu' estreme. Ormai sparita dal parlamento. In attesa che venga scaricata anche l'altra parte estrema intanto la situazione peggiora e le crisi scavano profondi solchi nel tessuto industriale, economico e sociale del paese. Mentre tutto questo avviene il centosinistra si interroga se allearsi con di pietro o con casini ed il centrodestra su quali leggi fare per difendere meglio il capobanda. La politica vive di tattica mentre il paese affonda. La vera domanda in fondo la fa Panebianco, quando si chiede "Perché queste oscillazioni fra estremi opposti? Le ragioni sono complesse e ciascuno può scegliere le risposte che preferisce. La più semplice è che, a tutte le latitudini, in alto e in basso, fra le élite come fra i cittadini comuni, mentalità, cultura e sensibilità liberali siano tuttora pressoché introvabili.". Travaglio non fa domande, forse perché conosce tutte le risposte e quindi non gli interessa capire ma solo fare il tribuno del popolo, dalla pagine dei giornali o dai teleschermi. Panebianco qualche domanda se la pone e quella che ha proposto è la regina di tutte.
Sul piano comparativo, Panebianco mi fa riflettere, Travaglio mi fa sorridere ma nulla di più.

Franz
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Re: Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

Messaggioda Stefano'62 il 31/01/2010, 12:38

Punto primo:
un giornalista scrittore,dunque anche un pò artista,deve avere il diritto di raccontare i fatti senza mascherare (forse ipocritamente) quella che è la sua opinione al riguardo,dunque evitando a volte polemicamente e ostentatamente la forma finta-asettica di altri,e scegliere il canale comunicativo che più gli aggrada;questo di solito è indice di genuinità intellettuale,piuttosto che di scarsa serietà (qualunque cosa si intenda per serietà).
Pretendere di giudicare a priori il contenuto di quello che viene detto,in base al fatto che sia detto (metaforicamente) in giacca-e-cravatta o invece in maglione oppure in pantaloncini,è pretestuoso.
Faccio notare tra l'altro che i peggiori delinquenti moderni si nascondono malamente sotto il giacca-e-cravatta.

Punto secondo:
la domanda di panebianco sottolineata da Franz invece non è mica tanto legittima,e spunta di solito solamente sulle bocche di chi vorrebbe il mondo omologato ad una sola "idea",(la propria-o dintorni) cui si cerca di dare maggiore autorevolezza con la vernice spray del "moderatismo",come per differenziarla dalle altre ("estreme" per estrapolazione logica,si fa per dire),come se non ci si rendesse conto che nell'Universo cosmico cui la Terra appartiene i posizionamenti geografici sono sempre relativi,perchè non esiste sopra-sotto-destra-sinistra.
E quelli che per primi lo scoprirono furono bruciati sui roghi del "moderatismo" centrista per come era inteso a quei tempi,quando si pretendeva che il sole girasse attorno alla Terra.
Vedo che i tempi sono (sembrano) cambiati,ma i roghi si vorrebbero fare ancora,panebianco docet.
Piuttosto la domanda che dovrebbe venire naturale (e lo fa più o meno esplicitamente solo Travaglio,se si leggono bene i suoi articoli) è "come mai nonostante gli italiani appaiano così democraticamente spalmati su un ampio ventaglio di idee (da un "estremo" all'altro),si ritrovano invece così compatti nel (tentare di) giustificare sempre ogni tipo di "furbizia" illegale-illecita-delinquenziale ?".
Questa è la vera domanda,Travaglio la pone,ma pochi se ne accorgono (o invece sì ?)

Proprio per questo io molto semplicemente mi associo al giudizio di Lucameni,nonostante la nostra (lecita e democratica) distanza in termini di mero pensiero politico-ideologico,per il semplice fatto che ritengo che Panebianco abbia torto e Travaglio invece ragione.
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Re: Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

Messaggioda lucameni il 31/01/2010, 13:02

Io invece non la metto proprio sullo stilistico.
Non me ne frega nulla dello stile di Travaglio o del fatto che a voi o a me ispiri più o meno simpatia.
Il punto, come giustamente sottolineato da Travaglio, è che Panebianco racconta balle, seppur ben nascoste da uno stile simil-accademico.
E sulle balle non si costruisce nulla di buono. Tanto meno pensosi editoriali fotocopia, come è abituato a dispensarci da anni.
Perchè - ribadisco - le balle, ovvero inventarsi fatti che non esistono, rimangono tali anche se messe in mezzo ad un editoriale stilisticamente "moderato" e professorale.

"Panebianco qualche domanda se la pone e quella che ha proposto è la regina di tutte."

Esistono anche le domande retoriche.
Panebianco l'ho letto per anni e ho tratto una semplice conclusione: una persona in malafede che, sopratutto quando affronta argomenti come la Giustizia, i partiti, continua a raccontarci un'Italia che non esiste.
Basti pensare quello che ci ha raccontato in questi anni sulle intercettazioni, sulle carriere dei magistrati, la lettura che ha dato di mani pulite, sull'indulto, sul bipolarismo, sulle legge ad personam (anzi lì ha proprio svicolato), sul massimalismo, il ruolo dell'opposizione, e via dicendo.

Una volta tanto (e la cosa è anomala) mi è piaciuta la risposta di Franco Monaco ad un editoriale di questo sopravvalutato signore, pubblicata sul Corriere qualche mese fa:

""Riformismo, parola magica (e abusata)
All' estero L' attenzione critica dei media stranieri non può essere solo frutto di un pregiudizio anti-italiano

Caro Direttore, talvolta gli opinionisti liberali e pragmatici danno l' impressione di essere più ideologici e assiomatici dei loro bersagli. Lo notavo tra me e me alla lettura del fondo di Panebianco sul moralismo del Pd che ne inibirebbe il profilo riformista. Mi fa impressione il deficit di concreti argomenti, la rimozione dei dati di fatto, il procedimento a tesi. Appunto un approccio ideologico nutrito di pregiudizi. Alla sua opposizione tra moralismo (cattivo) e riformismo (buono) sarebbe facile contrapporre quella tra moralità (buona) e accidia/complicità (cattiva). Sarebbe facile ma sbagliato imputare a Panebianco di offrire cinico avallo alla corruzione e alla decadenza. Quasi un caso di tradimento dei chierici. Si deve resistere alla tentazione di opporre assioma ad assioma, slogan a slogan. Ai fini di una proficua discussione di merito, credo sia meglio ragionare in stretta aderenza alla realtà e ai problemi concreti. Pongo perciò tre quesiti al liberal-democratico Panebianco: davvero egli non rileva problemi nell' Italia politica di oggi dal punto di vista di una moderna democrazia liberale, del suo pluralismo, dei suoi equilibri e delle sue garanzie? Davvero l' attenzione critica della stampa di tutto il mondo è frutto di un pregiudizio anti-italiano ispirato da un' opposizione moralista? Davvero i severissimi, competenti rilievi del suo collega editorialista Vittorio Grevi sulla legge sulle intercettazioni possono essere liquidati con un appello a mettersi d' accordo per certificare il proprio «riformismo»? Già, riformismo. Parola magica e abusata della quale converrebbe chiarire il significato, pena rinunciare ad usarla. In breve, io penso che proprio i veri liberali dovrebbero essere gli oppositori più intransigenti e severi oggi in Italia. esponente del Pd

Monaco Franco

Pagina 8
(4 agosto 2009) - Corriere della Sera"


E questa la replica, da par suo, del nostro esimio professsore.

"Però, sempre sul Corriere del 4 luglio, si po­teva anche leggere la sdegnata replica al mio articolo di Franco Monaco, democratico doc come la Lanzillotta, ma di altra pasta. Quello di Monaco sembrava un comunicato dell’uffi­cio stampa dell’Italia dei Valori. È la presenza di tanti Monaco a spiegare l’impossibilità per il Pd di scindere le proprie sorti da quelle di Di Pietro, di fare il salto dal moralismo al rifor­mismo."


E stop.


Come diceva Totò: "ma ci faccia il piacere!!"
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Re: Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

Messaggioda franz il 31/01/2010, 15:31

lucameni ha scritto:Il punto, come giustamente sottolineato da Travaglio, è che Panebianco racconta balle, seppur ben nascoste da uno stile simil-accademico.

Mi pare del tutto legittimo che uno definisca "palle" le cose in cui non crede e che ritiene non vere.
È un esercizo gratuito che tutti possono fare.
Tutto sommato si trattta di una tautologia, non di una dimostrazione. Non si fanno passi avanti con la definizione di "palle", che come quella di "cazzate" è ascrivibile alla categoria del disprezzo, quindi assimilabile al fascismo, sul piano del metodo dialogico.
Inoltre è del tutto implicito che le posizioni estreme non gradiscano le posizioni moderarate e viceversa.
Ed anche questo non ci fa fare passi avanti.
Ed infatti anche il paese non ne fa da decenni. Anzi: arretra.

Franz
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Re: Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

Messaggioda lucameni il 31/01/2010, 15:47

In realtà si può replicare alle affermazioni di Panebianco senza alcuna tautologia, ma approfondendo punto per punto.
Ne ha dette talmente tante che la cosa non sarebbe difficile, ma semplicemente molto lunga da farsi.
Anche le affermazioni su Mani Pulite, Borrelli, Decreto Conso, sono verificabili.
Idem in merito alle intercettazioni. E via e via.
Il fatto che scriva editoriali e sia un professore universitario non lo tiene lontano di diritto da quella prassi italica oggi più che mai in uso: spararla grossa, dire bugie in maniera continuativa a quanto pare crea una realtà parallela a cui tante persone credono, senza se e senza ma.
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