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controllare facebook e il web

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webtv addio?

Messaggioda mauri il 18/01/2010, 11:30

http://www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=11662

"In particolare, nel momento in cui questo testo dovesse entrare in vigore, per trasmettere via Web sarebbe necessaria l'autorizzazione ministeriale preventiva, limitando pesantemente (se non condannando a morte) "l'attuale modalità di funzionamento della rete", come spiega ancora Gentiloni: in pratica, questo decreto sembra un nuovo bavaglio per Internet, questa volta per quanto riguarda i video. "

cominciano così e finiranno con il decreto carlucci?
forse no, tutto sommato sono interessati a favorire mediaset, potenziandola per fare quattrini che servono per comprare nuovi servi e pagare gli attuali servi del pardone che a loro volta vogliono mantenere potere e poltrone
ciao, mauri
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Re: controllare facebook e il web

Messaggioda Stefano'62 il 18/01/2010, 12:51

Penso che questo argomento sia un ottimo banco di prova per verificare la reale sete di democrazia del PD.
Ho il sospetto però che avremo un'amara sorpresa.
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Re: controllare facebook e il web

Messaggioda Gab il 27/01/2010, 16:31

Pd: giù le mani dalla Rete. Il Garante Tlc boccia il governo
di Natalia Lombardo da l'Unità.it

Grande movimento attorno alla Rete: dal Partito democratico è partito un appello in difesa del Web e un disegno di legge che aumenti le possibilità di accesso e la «neutralità» di Internet. Il tutto è stato presentato ieri al Senato, poco prima che piovessero bocciature al decreto del viceministro Paolo Romani dall’Authority per le Telecomunicazioni, da AssTel e Sky, ascoltati in commissione Lavori Pubblici. Il Garante per le Tlc, Corrado Calabrò, ha denunciato «che c’è una delega molto ampia del governo», che si sostituisce al controllo più neutrale dell’Authority. Invece di limitarsi a recepire la direttiva europea (ex «Tv senza frontiere»), Romani ha infilato tre colpi restrittivi. Rischia però una sanzione dalla Ue per il ritardo nel decreto (dal 19 dicembre) e sul controllo dei contenuti in rete da parte dei gestori, che violerebbe le regole Ue sul commercio elettronico.
I tre colpi di Romani, però, portano acqua al mulino di Mediaset: riduce dal 18 al 12% in tre anni la pubblicità per le pay tv (danneggia Sky e altri editori). Secondo, impone il controllo del ministero sul web. La famiglia Mediaset (in Berlusconi...) si espanderà nella Rete: da fine 2009 è aperto un portale Mediaset online dotato di una «video-community» (filtrata), con possibilità di vedere «la tv del giorno dopo», dai tg ai programmi da scaricare a pagamento. Il terzo colpo, che ha provocato le proteste di produttori e lavoratori dello spettacolo, cancella le quote di sostegno al cinema e alla fiction indipendente dalle emittenti nazionali.

Giù le mani dalla Rete
L’appello (scritto da parlamentari Pd, Idv, Udc) è stato fatto proprio dal Pd con la firma di Stefano Rodotà per promuoverne altre, perché «la Rete è un bene comune e un fondamentale diritto costituzionale». Si chiede al governo di «cancellare dal decreto Romani le norme censorie sul web» (l’autorizzazione ministeriale per i video, l’obbligo di rettifica per i tg, il copyright); quelle sul cinema e i tetti degli spot. Rodotà ha denunciato la «perdita di leadership» dell’Italia nella promozione della democrazia del web, mentre la capogruppo Pd, Anna Finocchiaro, ha presentato il disegno di legge per «garantire la neutralità delle reti di comunicazione, la diffusione delle nuove tecnologie telematiche e lo sviluppo del software aperto».

Il disegno di legge collegiale
Per la prima volta in Italia è frutto della e-democracy: il testo è stato modificato in rete su Facebook, Word press e infine col «wiki». Il ddl vuole diffondere la banda larga sul territorio; incentivare l’informatizzazione della Pubblica amministrazione e dell’Università; aprire l’accesso al web anche ai disabili.

II no al decreto Romani
Dovrebbe fare un passo indietro, il viceministro. Perché al terzo piano di Palazzo Madama ieri Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom, ha chiesto modifiche al decreto su aspetti «non perfettamente coerenti» con la direttiva europea: sul web «in Europa non esiste il filtro preventivo che si usa in Cina e nei regimi. ma quello ex post in caso di illeciti», dalla pedofilia ai siti di mafia. Le produzioni indipendenti «sono cresciute grazie agli investimenti, toglierle vorrebbe dire stroncarle». E l’Agcom rivendica il suo ruolo regolatore anche sugli spot in tv.

Critica la AssTel delle imprese di comunicazione. Contrario anche Andrea Scrosati, vicepresidente di Sky Italia: non solo la diminuzione degli spot sottrae introiti alle pay tv, ma limita la crescita per tutti gli altri editori che trasmettono sul satellite: 20 italiani come Rcs, De Agostini, Sitcom Mediagroup, Elemedia-L’Espresso, ma anche stranieri come Disney e Discovery. Operatori entrati nel mercato anche grazie alla legge Bersani e che vedrebbero calare le entrate nelle fasce di maggiore ascolto. Sky non ne fa una guerra personale, ma «sfugge il senso nel voler limitare, frenare, bloccare» la crescita nel mercato, ha detto Scrosati in commissione.

La logica si chiama Mediaset, che vuole arginare la perdita di spot e ascolti sulle tv in chiaro. Sbaragliando gli altri operatori a colpi di coda del Biscione. E di leggi ad hoc.
26 gennaio 2010
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Re: controllare facebook e il web

Messaggioda trilogy il 02/02/2010, 18:47

Polemica sul controllo preventivo affidato ai provider per i contenuti su Internet. «Aiuta Mediaset contro Google»


MILANO - Agcom e Commissione Ue contro il decreto legislativo del vice ministro Paolo Romani di recepimento della direttiva Ue in materia di tv e internet. «Ci sono aspetti che vanno riconsiderati in quanto non perfettamente coerenti con gli aspetti della direttiva europea» sintetizza il presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Corrado Calabrò dopo l'audizione in commissione Lavori Pubblici del Senato dove erano convocati anche Sky, la Siae, Asstel e l'Associazione diritti dei minori. Secondo Calabrò l'Italia, se il decreto non sarà modificato, rischia di diventare «un caso unico nel mondo occidentale a causa dell'articolo 17 che introduce un'apposita autorizzazione per la diffusione continua in diretta e su internet». Inoltre all'Agcom, spiega Calabrò, vengono sottratte competenze e questo va contro il criterio di semplificazione. Gli fa eco il Pd con Paolo Gentiloni, secondo cui «tra eccessi di delega e contrasti con le normative europee, questo decreto rischia di dar luogo a un lungo contenzioso giuridico».

PROCEDURA D'INFRAZIONE - La Commissione europea sarebbe infatti pronta ad aprire una procedura d'infrazione contro l'Italia per la mancata notifica, attesa entro il 19 dicembre, del decreto. Ma c'è anche un secondo fronte "caldo": il decreto Romani prevede allo stato attuale che i fornitori di servizi online siano responsabili dei contenuti trasmessi dagli utenti, tramite il controllo preventivo. Ne sarebbero colpiti provider come Fastweb e Telecom Italia, ma anche a siti come YouTube, il sito per la condivisione di video di proprietà di Google. Questo rischia di violare le norme Ue sul commercio elettronico: la direttiva prevede che i fornitori di servizi (Internet service provider o Isp) non siano tenuti a compiti di monitoraggio. E anche su questo punto Calabrò è molto chiaro: «L'autorizzazione preventiva finisce per diventare un filtro burocratico». L'esame del decreto avviene mentre YouTube ha in corso una battaglia legale con Mediaset. Il gruppo televisivo chiede infatti a titolo di risarcimento 500 milioni di euro per violazione di copyright. E qualcuno vede puzza di bruciato. «Per come è scritto, il decreto potrebbe di sicuro aiutare Mediaset nella causa contro Google» dice Paolo Nuti, presidente dell'associazione di Internet provider in Italia.

SPOT NELLE PAY TV - Un altro punto molto discusso è il taglio progressivo al tetto orario degli spot per i canali a pagamento. «L'effetto sugli introiti c'è, è sottrattivo, e mette un limite alla crescita e non solo di Sky Italia ma di tutti gli altri editori presenti sulla piattaforma, da De Agostini a Rcs a Ellemedia gruppo Espresso a Walt Disney e Fox, che hanno scommesso sull'Italia e puntano sui ricavi pubblicitari per crescere e magari investire nella produzione locale» dice Andrea Scrosati, vice presidente corporate e market communication di Sky.

Corriere.it
26 gennaio 2010
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Re: controllare facebook e il web

Messaggioda trilogy il 02/02/2010, 18:55

Naturalmente il governo non arretra.... ed è già pronto il parental control governativo, contro i siti "pericolosi".....[Sarà una tecnologia d'importazione cinese o iraniana??? :mrgreen: ]

ROMA - Mentre aumentano le voci critiche verso il decreto del governo che equipara i siti di video alle emittenti tv tradizionali, un nuovo fronte si apre tra il viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani (artefice di quella norma) e il mondo della rete: partecipando a una popolare trasmissione televisiva, Romani ha infatti annunciato che il suo ministero sta per diffondere uno strumento in grado di controllare la navigazione dei ragazzi e di avvisare i genitori con un sms se i figli visitano siti "pericolosi". Dichiarazioni che hanno messo in allarme la comunità di blogger e operatori web, già in agitazione per le norme contenute nel decreto sulle tv.....

(..)Tra i blogger, molti ironizzano sull'impegno moralizzatore di Romani, ricordando i trascorsi dell'attuale viceministro nel movimentato mondo delle tv private dei primi anni Novanta. Nel libro "Il mucchio selvaggio", dedicato all'epopea dell'emittenza locale, Giancarlo Dotto e Sandro Piccinini scrivono che la grande invenzione di Romani come editore della rete Lombardia 7 fu un programma condotto da Maurizia Paradiso. Si trattava di "puro svago per adulti, con implicazioni economiche interessanti, soprattutto per lui". La trasmissione, condita di filmati osé, era infatti abbinata "ai numeri proibiti, 144 e 166, coi quali", secondo Dotto e Piccinini, "Romani incassava tra i 60 e i 70 milioni al mese. Ritmi da 1500 telefonate a notte. Intere famiglie sul lastrico". Ironia della sorte, quel programma ormai storico si chiamava "Vizi privati e pubbliche visioni". (..)

http://www.repubblica.it/tecnologia/201 ... o-2163307/
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Re: controllare facebook e il web

Messaggioda trilogy il 23/02/2011, 11:51

da: http://www.repubblica.it/tecnologia/201 ... -12769492/

CENSURA
"Error 404: page not found" il web-manuale di ribellione
La rete come moltiplicatore di idee e di rivendicazioni. E i regimi dittatoriali la spengono per zittire la voce delle proteste. Che strumenti hanno per farlo e come ci riescono. Ma gli oppositori sanno come aggirare i divieti

di ARTURO DI CORINTO

"Error 404: page not found" il web-manuale di ribellione
NESSUNO può negare che Internet abbia svolto un ruolo importante nelle insurrezioni che hanno portato alla fuga di Ben Alì prima e di Mubarak e (forse) Gheddafi dopo. La rete si è infatti offerta prima come piattaforma di denuncia della corruzione e della rabbia popolare e poi come strumento di organizzazione e coordinamento delle azioni di protesta, moltiplicandone la forza. Ma non è cominciato tutto da lì. Anche se le proteste erano state preparate dal sotterraneo lavorio di blogger e attivisti che hanno spesso pagato col carcere e la tortura la loro denuncia del regime, bisognava aspettare la rivolta del pane per capire fino a che punto aveva scavato il malcontento.

Le proteste in Tunisia sono scoppiate dopo che un venditore ambulante si è dato fuoco per protestare contro le continue angherie della polizia. Solo dopo è partita una mobilitazione generale in cui quello che accadeva nelle strade veniva comunicato al mondo via Internet e poi rimbalzato da radio e tv indipendenti per essere ripreso e sparato su Twitter, Facebook, Youtube ed altri social media producendo un effetto di emulazione nei paesi vicini. Quando i regimi si sono accorti della potenza moltiplicatrice della rete, hanno provato a bloccarla, riuscendovi, anche se solo per poco.

La rete si ferma solo se si spegne.
Ma come è possibile fermare la rete delle reti se il mito delle sue origini parla di un dispositivo di comunicazione capace di resistere a una guerra nucleare? "La rete interpreta la censura come un malfunzionamento, e la aggira". C'è del vero nelle parole di John Gilmore, esperto crittografo e fondatore della Electronic Frontier Foundation, e sta nella logica di funzionamento della rete che usa una tecnologia, il packet switching, la commutazione di pacchetto, che tratta i dati come i vagoni di un trenino che arrivati al nodo di scambio interrotto si dividono, prendono strade diverse e poi si ricongiungono a destinazione. Ma se la rete non funziona non c'è niente da aggirare. Quello che è successo il 28 gennaio in Egitto e poi il 19 febbraio in Libia è stato proprio questo: la disconnessione della rete dai circuiti nazionali e internazionali.

Come ci sono riusciti? La risposta è semplice: per ordine del governo. Il traffico di Internet viene operato in tutti i paesi dai carrier di telecomunicazioni attraverso le proprie infrastrutture: linee telefoniche, fibre ottiche, cavi dedicati, ponti radio e connessioni wireless. Queste compagnie non solo sono soggette alle leggi e all'autorità dei paesi nei quali operano ma spesso sono di proprietà pubblica e operano in regime di monopolio o quasi monopolio, sicché se un governo gli chiede di spegnere la rete, lo fanno.

E' accaduto in Nepal nel 2005 in seguito all'indizione della legge marziale e in Nepal nel 2007 durante la rivolta dello zafferano. I due paesi sono stati completamente isolati. Su tutto il territorio nazionale questa censura just in time si è ripetuta molte volte in Bielorussia, Kyrgyzstan, Tajikistan, Bahrain, Uganda, Yemen, Iran, in occasione di elezioni o manifestazioni politiche, e nella provincia cinese dello Xinjiang dopo una serie di conflitti etnici. Lo "spegnimento" della rete è però una misura talmente drastica che è impossibile da sostenere a lungo. I danni economici che produce sono disastrosi. Per questo i regimi africani avevano precedentemente agito bloccando siti, impedendo l'uso dei social network, rendendo impossibili le comunicazioni cellulari.

Come si blocca internet. Le tecniche di disconnessione applicate da regimi autoritari sono molteplici e includono il blocco degli indirizzi Ip, delle Url tramite un proxy server, la manomissioni del DNS (il sistema che ci fa trovare gli indirizzi dei siti), azioni che inibiscono l'accesso a specifiche pagine web, interi domini (.org., .com, .ly, etc), o indirizzi specifici. Altre tecniche prevedono l'installazione di filtri all'interno del computer degli utenti, il blocco delle keyword che impedisce l'accesso a siti che hanno certe parole nel nome o impediscono ai motori di ricerca di visualizzarle sulla base di blacklist di parole scottanti. È quello che tuttora succede nella rete cinese quando si digitano le parole Tibet o Falun Gong. Queste tecniche sono state usate tutte durante le repressioni nordafricane.

Ma questo accade più spesso di quanto vogliamo credere. La OpenNet Initiative- un progetto di ricerca sulla censura e il controllo della rete che coinvolge le università di Toronto, Harvard, Oxford e Cambridge - ha scoperto che più di 36 paesi filtrano a vario livello contenuti politici, siti religiosi, pornografia, gioco d'azzardo. E quel che è peggio è che spesso gli utenti della rete non lo sanno, sia perché non si impegnano in attività proibite, sia perché i mezzi della censura usano tecniche più prosaiche come delazioni, arresti e intimidazioni. L'insieme di queste tecniche, i filtri tecnologici e le azioni di polizia, manco a dirlo sono note col nome di Peking Consensus.

Il web che viene oltre frontiera. Ma allora perché nonostante tutto gli insorgenti della rete riescono lo stesso a comunicare via web? Perché se la rete telefonica o cellulare funziona, ovvero si possiede un telefono satellitare, ci si può connettere a un server straniero, anche usando un normale modem dialup per fare il numero di telefono dell'operatore che ci apre la porta su Internet (come Telecomix. org). Nel caso della rivolta egiziana uno speciale team di Google ha messo a disposizione un elenco di questi numeri 2. (http://www.google.com/crisisresponse/egypt.html) Il problema con il modem è che la prima parte della connessione è analogica, quindi se il governo intercetta le comunicazioni telefoniche sono guai. Ma se un computer usa software di anonimizzazione come Tor, le connessioni verso siti proibiti vengono cifrate e i cyberpoliziotti non le riconoscono facendole passare 3. (http://it.peacereporter.net/libera/)

In Tunisia, dove il controllo e filtro delle email è legale dal 1998, le connessioni satellitari proibite ai singoli, e nei cybercafè dove campeggiano liste di siti vietati e i pc sono dotati di software spia, sono state usate tecniche di interferenza e blocco selettivo come il Dns poisoning e l'Ip filtering, aggirate dagli Anonymous (famosi per gli attacchi a difesa di Wikileaks), per realizzare defacement dei siti governativi (ne cambiavano la homepage), mentre in Egitto bancari e broker che simpatizzavano coi rivoltosi hanno fatto da ponte per le comunicazioni usando il provider Noor che non era stato bloccato. Inoltre, poiché in Tunisia prima e in Libia 4 (http://alive.in/libya/)dopo erano stati applicati diversi filtri tecnologici ai computer in molti hanno usato per comunicare Speak2Tweet, un servizio che consente di registrare e di ascoltare i messaggi vocali inviati via telefono a Twitter 5.(http://twitter.com/speak2tweet)

Anche Twitter ha avuto dei problemi, ma i suoi tecnici decentrando i server l'hanno aggirata. Molti dei servizi che usiamo sono censurabili proprio perché centralizzati e per questo cominciano a spopolare i sistemi di pubblicazione distribuiti sui computer degli utenti. In Bahrein, Yemen, Siria, ma ancha in altri stati spopola un software per Windows e Linux, semplice da usare, tutto italiano, che consente la creazione di "siti web", al di fuori del web, portali con forum e blog che non necessitano di alcun server centrale - il portale si propaga in peer to peer (p2p) e si duplica integralmente nel computer di ogni singolo nodo collegato 6.(http://osiris.kodeware.net/)

Imprese, hacker e attivisti per i diritti umani hanno offerto agli insorgenti strumenti per aggirare la censura e garantire privacy e anonimato per comunicare liberamente e accedere, senza essere scoperti, a contenuti bloccati o inaccessibili, nascondendone l'identità. E questo è l'altro pezzo della spiegazione. In questo momento, per sapere se un sito è inaccessibile e segnalare la sua possibile censura al mondo è comunque possibile usare un semplice strumento messo a punto all'università di Harvard: si chiama Herdict 7.(http://www.herdict.org/web/)

(23 febbraio 2011)


http://www.repubblica.it/tecnologia/201 ... -12769492/
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