Da La Stampa, 7/1/2010 - RETROSCENA
Mossa di Pd e Pdl "Torni l'immunità"
Disegno di legge al Senato presentato da entrambi i poli
UGO MAGRI - ROMA
L’hanno presentato senza clamore, e in pochi finora se ne sono accorti. Ma ai piani alti del Palazzo non lo perdono d’occhio perché fissa un metodo «bipartisan» destinato, forse, a grandi sviluppi.
Si tratta del disegno di legge numero 1942, trasmesso il 17 dicembre alla presidenza del Senato col titolo «Modifica dell’articolo 68 della Costituzione, in materia di immunità dei membri del Parlamento». Sostanzialmente propone di riportarla in vita. Non nella stessa identica versione spazzata via da Tangentopoli sedici anni fa, ma secondo un criterio appena più rispettoso dell’autorità giudiziaria. Anziché obbligare il pm a chiedere l’autorizzazione preventiva per svolgere le indagini sugli «onorevoli» (nella Prima Repubblica veniva puntualmente negata), questa nuova proposta lascerebbe procedere il magistrato senza mettergli i bastoni tra le ruote fino alla soglia del rinvio a giudizio.
Dunque permetterebbe di ravanare a fondo sul comportamento del deputato (o del senatore) e di giungere ad accertamenti che, inutile dire, verrebbero comunicati passo passo all’opinione pubblica. Solo al momento di tirare le conclusioni la Camera (o il Senato) potrebbero intervenire. Come? Votando di propria iniziativa l’eventuale sospensione del processo per l’intera durata del mandato parlamentare. Un atto impegnativo, di cui la maggioranza si assumerebbe la responsabilità politica, che andrebbe ben motivato davanti al Paese. L’idea non è inedita. Riprende pari pari una pensata di Tonino Maccanico (grand commis della Repubblica, più volte ministro) che nel 1993 il Senato aveva addirittura approvato, ma non era stata convertita in legge dalla Camera per effetto della rivoluzione dipietrista, dei proclami di Mani Pulite, delle monetine a Craxi e tutto il resto.
A riportarla in auge sono ora due senatori «garantisti», Franca Chiaromonte e Luigi Compagna. L’aspetto più ragguardevole è che la prima appartiene al gruppo Pd, il secondo al Pdl. Lei, figlia di Gerardo, compianto dirigente nazionale del Pci; lui, rampollo di Francesco, per gli amici Chinchino, repubblicano e grande meridionalista. Non risulta che abbiano chiesto l’«imprimatur» dei rispettivi partiti. Però si faticherebbe a considerarli degli sprovveduti, e prima di lanciarsi nell’avventura entrambi (specie la Chiaromonte) hanno fatto qualche verifica in casa propria. Tutto fa pensare che, nei prossimi giorni, non mancheranno contatti bipartisan ai massimi livelli.
Berlusconi deve definire la sua strategia sulla giustizia, appena tornerà a Roma riunirà i vertici del partito per mettere un po’ d’ordine, come insiste da giorni il presidente dei suoi senatori Gasparri. E manderà avanti questo o quel provvedimento, dal «processo certo» al «legittimo impedimento», a seconda delle risposte che otterrà dall’altra sponda. Qui s’inserisce la proposta Chiaromonte-Compagna. Secondo il senatore Quagliariello, che del berlusconismo è la mente giuridica, «questo disegno di legge potrebbe rappresentare, almeno sulla carta, una valida alternativa al cosiddetto Lodo Alfano», di cui egli stesso sta studiando la nuova formulazione costituzionale, da presentare nei prossimi giorni a Palazzo Madama. Se il Pd davvero ci stesse, il contestatissimo Lodo finirirebbe nel cassetto. E «molta acqua verrebbe gettata», tende la mano Quagliariello, «su fuoco dello scontro tra politica e giustizia».
Il Cavaliere aspetta segnali. Molto ha apprezzato certe aperture della Finocchiaro e ieri del dalemiano Latorre. Però non le giudica ancora sufficienti, vuole conferme dalla conferenza stampa di Bersani annunciata per oggi. Con Bonaiuti, portavoce berlusconiano, che suona una serenata. E paragona il segretario Pd a un fiume carsico: si inabissa per salvare il dialogo e rilanciarlo al momento buono, dopo le Regionali...