Un rapporto tra genetica e cultura certamente esiste, ma è un rapporto estremamente complesso e indiretto, se non altro perché i dati genetici sono ampiamente rimescolati e difficilmente un popolo ha un'omogeneità genetica tale da esserne condizionato in misura decisiva.
Credo però che possiamo concordare tutti sul fatto che le condizoni sociali - sia che derivino dalla genetica, sia che derivino da fattori culturali - siano più determinanti nell'indirizzare e nel caratterizzare le scelte e i comportamenti da un punto di vista politico e ideologico.
Ma naturalmente bisogna intendersi su ciò che significa "condizione sociale".
In questo caso non si tratta semplicemente e soltanto delle dinamiche di classe, ma di qualcosa di più complesso.
Per esempio, la necessità che interviene di migrare, in seguito alla rarefazione delle risorse, o di mutare dratsicamente lo stile di vita: può essere che alcune popolazioni siano più pronte, altre meno, a cambiare, ma chi non è capace di cambiare è destinato a scomparire - e questa discriminante è certamente intervenuta nel corso del tempo, al punto che la gran parte della popolazione conosciuta in epoca storica è proprio quella che ha superato questo genere di "esame".
Data però la complessità sociale che nel frattempo si è creata - e data la naturale tendenza a sfruttare al massimo tutto ciò che l'ordine socio-economico mette a disposizione - certamente un popolo cerca di trasformare le condizioni esistenti, prima di cedere al fatto che sono le condizioni esistenti a cambiare il suo stile di vita: in questo gioco di reazioni e ritardi è difficile riscontrare in modo automatico e semplicistico una "genetica" predisposta al cambiamento o alla conservazione, mentre appare più convincente, eventualmente, una sorta di "genetica culturale" o socio-politica, che non esclude ma ricomprende semmai quella biologica in un contesto più ampio.