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Alla frutta?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Alla frutta?

Messaggioda Stefano'62 il 02/12/2009, 1:48

ranvit ha scritto:> Ma davvero credi che se non dovesse "difendersi dai processi" si dedicherebbe al bene del paese?<

Potrebbe anche essere....

Vittorio

:lol:
Bè,una risata a quest'ora è stata davvero salutare.... :)
Stefano'62
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Re: Alla frutta?

Messaggioda ranvit il 02/12/2009, 10:46

Stefano, sono felice di averti strappato una risata....ma guarda che ho detto "potrebbe".

Vittorio


Da politichiamo.it :

Contro la retorica dell'agonia
AAA: cercasi exit strategy
di Giovanni Guzzetta*

Se la grande politica è quella capace di trasformare una situazione drammatica in un’inattesa opportunità, è proprio di quella politica che c’è bisogno oggi. Perché - quanto a difficoltà - la situazione è quasi senza precedenti. Bastano le accorate e irrituali parole del presidente Napolitano di qualche giorno fa a testimoniarlo. Manca una exit strategy, allora. O meglio, manca una strategia politica che si faccia carico dell’interesse generale dell’Italia, l’interesse al “dopo”, a ritrovare un equilibrio oltre il terremoto in atto. Di micro-strategie, opportunistiche e irresponsabili, ce ne sono invece a iosa.

C’è quella dei “parassiti dello sfascio”, che danno per ormai prossima la fine di una stagione che hanno sempre compreso nella categoria del “regime”: strisciante, ma pur sempre regime. E, dunque, per costoro vale il tanto peggio, tanto meglio. Non importa come ci si arriva, purché tutto crolli. “Mobilitiamo le piazze – urlano – sollecitiamo le pulsioni del pubblico, spalanchiamo gli armadi evocando gli spettri!”. Se scatta la sindrome da caduta dell’impero, il conformismo degli adulatori si trasformerà nel suo contrario: nel professionismo dei rivoluzionari. Poco importa quali saranno i costi, tanto poi qualcosa si farà. L’importante, adesso, è promettere che – dopo - tutto sarà diverso. E l’Italia finalmente libera dal tiranno, unico colpevole di tutto, sarà pronta per rinascere. Ogni rivoluzionario che si rispetti, d’altronde, promette palingenesi.

C’è poi la micro-strategia dei “nostalgici attendisti”, quelli che si “posizionano”, che sognano un ritorno all’antico, alla politics as usual della Prima Repubblica: “Basta con l’anomalia berlusconiana, con il bipolarismo muscolare, roba da paesi d’oltralpe, d’oltremanica e d’oltreoceano!”. E così, l’invito malcelato è quello di tornare all’avita tradizione italiana (l’abbiamo mai davvero abbandonata?), una sana consociazione armonica e mite. In altri termini, l’alleanza degli ottimati, guidati dalla sedicente “moderazione” – che è in realtà un agnosticismo politico opportunistico e compromissorio – di uomini né di destra né di sinistra che chiamano “centro” un non-luogo politico animato da spirito irenico. Un po’ a me e un po’ a te, con qualche dose di “ammuina” per movimentare il palcoscenico della commedia nostrana, ma con la consapevolezza che una quota di potere e tornaconto non sarà negata a nessuno.

In fondo gli italiani – spiegano i nostalgici – vogliono delegare, essere assistiti e illusi, ma non disturbati. Perché, dunque, stuzzicarli con l’illusione di poter decidere qualcosa, col rischio che si inneschino derive populiste, pulsioni antipolitiche, attese messianiche e tentazioni plebiscitarie?

L’italiano che vuol essere liberato da burocrazia ed inefficienza, per essere un po’ imprenditore di se stesso, sarebbe per costoro una categoria mitologica – nata col berlusconismo e destinata a esaurirsi con esso – a cui nemmeno lo stesso Berlusconi avrebbe mai creduto. Mica siamo come gli altri noi, quelli che hanno a cuore il proprio destino, che tengono a perseguire la propria realizzazione: l’Italia era assistenziale, paternalista e corporativa e tale rimarrà.

Infine ci sono i “falchi autistici” di ogni schieramento. Coloro che, accecati dalla convinzione della propria forza, vedono nello showdown la possibilità della vittoria definitiva. Tutto può diventare pretesto, quel che conta è l’occasione muscolare in cui esibirsi per vincere, costi quel che costi.

Tutti questi atteggiamenti si uniscono nel comporre una “retorica dell’agonia” che rischia di egemonizzare interamente il discorso pubblico e di “mutare” come un novello virus influenzale: se veramente di agonia si trattasse, cosa impedirebbe che all’escalation insufflata dai falchi, si sommi la bramosia degli sfascisti, mentre gli attendisti si fregano le mani? Ma siamo sicuri che, dopo la rivoluzione, si tornerà come sempre alla restaurazione e alla domanda di quieto vivere?

In questo quadro la tentazione di cavalcare l’onda è per tutti molto forte. Perché la spirale rischia di non trovare limiti, come una valanga che s’ingrossa e alimenta una profezia che si autoavvera. E chi proponesse una strategia equilibrata e riformista rischierebbe di essere travolto dalla “rivoluzione” che avanza. Come ribaltare una simile prospettiva? Come uscire dall’asfissia del budello in cui ci siamo infilati evitando una deriva al buio?

È questo il caso in cui ci vorrebbe una grande politica, capace di trasformare le tante debolezze in opportunità. Una politica che accetti il rischio di apparire spregiudicata, ma ferma. Che resista alla lusinga, lucrativa e demagogica, della retorica dell’agonia, alla tentazione di inseguire le pulsioni palingenetiche, gli opportunismi nostalgici e l’illusione del redde rationem. Che sappia sparigliare, offrire una prospettiva di fuoriuscita che non si riduca alla difesa dell’esistente, al tornaconto personale, alla nostalgia del passato o all’illusione di una catarsi generale.

Serve una politica che non senta il bisogno infantile di azzerare tutto, ma di andare avanti su quanto di buono è stato edificato. Che sappia offrire una visione di futuro, moderna, inattesa, coraggiosa, in un tempo tragicamente inchiodato al presente agonico. E che sia capace di valorizzare l’unica opportunità esistente in un contesto paralizzato dalla guerriglia defatigante delle opposte fazioni. L’opportunità che deriva dall’incertezza generale, dalla condizione di essere di fronte a quel “velo di ignoranza” che impedisce a ciascun attore di cogliere con esattezza quali saranno le proprie convenienze di domani e che dovrebbe renderlo pertanto, bongré malgré, più disponibile a trattare.

Insomma, urge una politica che “faccia politica”, per attendere alla rifondazione del patto civile - il problema aperto e irrisolto dal dopo 1989 - la cui rimozione è la principale causa del logoramento e della delegittimazione di istituzioni, abitudini e pratiche superate dalla storia. Ecco quello che ci vorrebbe: l’iniziativa di uno statista che, come diceva De Gasperi, non pensi alle future elezioni, ma alle future generazioni. Prima che esse, come suggerisce sconfortato qualcuno, decidano di andarsene.

*Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma "Tor Vergata"

1 dicembre
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Alla frutta?

Messaggioda Iafran il 02/12/2009, 15:15

ranvit ha scritto:di Giovanni Guzzetta*

Se la grande politica è quella capace di trasformare una situazione drammatica in un’inattesa opportunità, è proprio di quella politica che c’è bisogno oggi. Perché - quanto a difficoltà - la situazione è quasi senza precedenti.
...
Una politica che accetti il rischio di apparire spregiudicata, ma ferma. Che resista alla lusinga, lucrativa e demagogica, della retorica dell’agonia, alla tentazione di inseguire le pulsioni palingenetiche, gli opportunismi nostalgici e l’illusione del redde rationem. Che sappia sparigliare, offrire una prospettiva di fuoriuscita che non si riduca alla difesa dell’esistente, al tornaconto personale, alla nostalgia del passato o all’illusione di una catarsi generale.

Serve una politica che non senta il bisogno infantile di azzerare tutto, ma di andare avanti su quanto di buono è stato edificato. ... E che sia capace di valorizzare ... L’opportunità che deriva dall’incertezza generale, dalla condizione di essere di fronte a quel “velo di ignoranza” che impedisce a ciascun attore di cogliere con esattezza quali saranno le proprie convenienze di domani e che dovrebbe renderlo pertanto, bongré malgré, più disponibile a trattare.

Insomma, urge una politica che “faccia politica”, per attendere alla rifondazione del patto civile - il problema aperto e irrisolto dal dopo 1989 - la cui rimozione è la principale causa del logoramento e della delegittimazione di istituzioni, abitudini e pratiche superate dalla storia. Ecco quello che ci vorrebbe: l’iniziativa di uno statista che, come diceva De Gasperi, non pensi alle future elezioni, ma alle future generazioni. Prima che esse, come suggerisce sconfortato qualcuno, decidano di andarsene.

Mi augurerei che quanto suggerisce il prof. Guzzetta fosse preso in seria considerazione dai nostri quadri politici di riferimento.
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Re: Alla frutta?

Messaggioda pierodm il 02/12/2009, 23:00

Ho pero' l'impressione che il nostro operato sia ininfluente al fini di quello che prevedo essere un "autoaffondamento".
- dice Franz, con una moderata e in fondo malinconica soddisfazione da parte mia, dato che avevo fatto questa facile profezia diversi anni fa, nel pieno di un attivismo frenetico da parte di quella che allora era definita la "ricchezza delle diversità" e che a me sembrava con evidenza un indirizzo sbagliato.

Piuttosto, ho l'impressione che l'articolo di Guzzetta sia un prefetto esempio della vacuità intellettuale in cui ci si dibatte da molti anni - vacuità che dipende da una deformazione ideologica, che induce a guardare l'argomento da un punto di vista estremamente limitato e parziale.
Si gira e si rigira intorno ai protagonisti politicanti, alcuni dei quali di assoluta insignificanza, mentre si evita nella gran parte dei casi di approfondire il vero e definitivo protagonista della politica, quello cioè che è all'origine e a valle di qualunque fenomenologia politica: l'elettorato, e in senso più ampio la società.
Certo, è più facile giocare con il monòpoli dei partiti, piuttosto che fare seria sociologia politica, e magari di maggior effetto giornalistico. Ma serve a poco.
Temo, però, che la ragione più profonda dell'omissione che ho appena detto risieda nel fatto che parlare di società non solo è complicato e poco gratificante, ma rischia di essere molto sgradevole - ossia rischia di portare a conclusioni molto sgradevoli.
Sgradevoli in che senso, e sgradevoli per chi? - sento già la domanda.
Preferisco, tra le varie risposte, quella più provocatoria: sgradevoli anche perché si ha il sospetto che poterebbero alla riesumazione di qualche "ideologia" della quale si è decretata troppo frettolosamente la morte, o almeno a parti assai scomode di quelle ideologie.
Contrariamente a quello che qualche amico del forum ha subito pensato, sto parlando in senso molto lato, e non alludo soltanto al socialismo, e ad alcune analisi ad esso ispirate, ma anche ad altri indirizzi.
Penso per esempio, al rischio che alcuni osservatori e commentatori certamente avvertono, circa il fatto che le analisi antropologiche e sociologiche potrebbero portare a dover rivalutare la necessità di un regime autoritario di destra, o magari a proporre in via paraddossale la via d'uscita d'uno stato teocratico, o alla constatazione che la società liberale di massa è rimasta una pia illusione, o che la democrazia tecnologica sia in grado di garantire molte cose ma non un'effettivo progresso politico e civile.
Una o l'altra o l'altra ancora di queste diramazioni del pensiero, nel caso di un'analisi seria e intellettualmente libera, non sono prevedibili, e dunque chi è chiamato a questa funzione ha timore della propria stessa coerenza, e quindi prefersice istintivamente esercitare l'analisi su piani più facilmente addomesticabili, più inoffensivi.
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Re: Alla frutta?

Messaggioda Loredana Poncini il 15/12/2009, 8:41

Siamo davvero arrivati alla frutta, e la sorpresa è che questa non è commestibile.
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Re: Alla frutta?

Messaggioda pinopic1 il 15/12/2009, 11:40

Io penso che Berlusconi grazie alla sua assoluta incultura istituzionale e costituzionale abbia avuto il merito (o la colpa) di mettere a nudo il limite e la contraddizione della democrazia. Le conseguenze negative della legittimazione popolare del potere. Come qualcuno ha ricordato l'altra sera all'Infedele, lo stato costituzionale è nato per impedire l'assolutismo. L'assolutismo tout court, non soltanto l'assolutismo ereditario. L'intenzione di quei liberali non era quella di sostituire all'assolutismo ereditario legittimato dalla grazia di Dio l'assolutismo legittimato dal popolo. (infatti non pensavano al suffragio universale).
C'entra qualcosa con il 3D? Secondo me sì. Guzzetta chiede la buona politica; ma adesso nel Paese si sta discutendo, facendo finta di di discutere di altro (mi riallaccio a Pierodm), proprio di questo.

Sempre all'Infedele è stato ricordato che Alfano, per criticare la Corte Costituzionale, ha riportato una dichiarazione di Togliatti al tempo della Costituente. Togliatti aveva qualche perplessità sul fatto che 15 persone potessero vanificare la volontà popolare rappresentata dal Parlamento.
Fa sempre piacere vedere che i moderni liberali italiani si ispirano ai vecchi maestri comunisti. Però Togliatti pensava ad un altro concetto di popolo. E ad altri strumenti per incanalare la volontà popolare.
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Re: Alla frutta?

Messaggioda franz il 15/12/2009, 12:29

pinopic1 ha scritto:Io penso che Berlusconi grazie alla sua assoluta incultura istituzionale e costituzionale abbia avuto il merito (o la colpa) di mettere a nudo il limite e la contraddizione della democrazia. Le conseguenze negative della legittimazione popolare del potere. Come qualcuno ha ricordato l'altra sera all'Infedele, lo stato costituzionale è nato per impedire l'assolutismo. L'assolutismo tout court, non soltanto l'assolutismo ereditario. L'intenzione di quei liberali non era quella di sostituire all'assolutismo ereditario legittimato dalla grazia di Dio l'assolutismo legittimato dal popolo. (infatti non pensavano al suffragio universale).

Permettimi di dissentire ampiamente. Berlusconi mette a nudo il fatto che quella che alcuni ritengono essere la migliore costituzione del mondo invece è una pessima carta costituzionale, che disegna uno stato di diritto inconcludente, farraginoso, con una imperfetta e non imperfettissima divisione dei poteri. La democrazia non va confusa con lo stato di diritto, con la Repubblica. Questa confusione, che quasi tutti fanno in Italia (frutto composto di una esaltazione della costituzione come conquista democratica, nascondendone le lacune istuituzionali, e di una inesistente educazione civica a scuola) comporta di addossare alla democrazia i guasti dello stato di diritto, di uno stato di diritto che contempla centinaia di migliaia di leggi (nessuno sa con precisione quante) e decinee di migliaia di enti decisori, borocratici, amministrativi (anche qui il conto esatto sfugge). Berlusconi mette a nudo il fatto che tutto sommato il nostro stato fa acqua da tutte le parti e che nessuna democrazia puo' essere migliore del suo popolo.
Poi qualcuno già lo sapeva, qualcuno lo scopre solo oggi.
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Re: Alla frutta?

Messaggioda Stefano'62 il 15/12/2009, 12:40

Vero che il nostro Stato fa acqua da tutte le parti,e che le conseguenze di questo non devono essere invece imputate alla democrazia in sè.
Però una cosa è lo Stato,altra cosa è la Costituzione che di esso costituisce solamente lo scheletro,infatti le inefficienze di uno Stato organizzato da migliaia di leggi poco opportune non vanno imputate alla Costituzione bensì al modo con il quale gli uomini (politici) ne hanno applicato e a volte stravolto lo spirito.

Dunque il nostro Stato piuttosto è come un uomo con un buono scheletro,ma pessimi muscoli che non sono in grado di riuscire a muoverlo,oppure come un culturista che allena in modo inopportuno e spropositato solo l'inutile,e trascura il resto con enormi guasti posturali.
Se invece si fosse lavorato in modo opportuno seguendo il dettato costituzionale probabilmente avremmo ottenuto una democrazia migliore,in grado anche di plasmare,nel tempo,un popolo migliore.
Dunque penso che la relazione popolo-democrazia corra in entrambi i sensi,non in uno solo.

Ciao
Stefano'62
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Re: Alla frutta?

Messaggioda pinopic1 il 15/12/2009, 13:02

Ma io non mi riferivo in modo specifico al nostro paese e alla nostra Costituzione. Lo Stato Costituzionale viene prima anche storicamente della democrazia. La nostra costituzione può essere la migliore del mondo o la peggiore, poco importa. E del resto si può modificare con le procedure previste dalla stessa costituzione. Il fatto è che il dibattito si articola intorno alla questione della legittimazione popolare. Della legittimazione del potere. Alla base di tutte le dittature che l'Europa ha conosciuto, c'è proprio l'estremizzazione dell'idea che il potere risiede nel popolo. Le istituzioni di garanzia vengono irrise perché non sono espressione della volontà popolare. Anche il Parlamento è meno espressione della volontà popolare di quanto lo sia il premier eletto dal popolo. Specialmente se è proprio il premier eletto dal popolo a scegliere i candidati. E poi ogni parlamentare è al massimo espressione del popolo del suo collegio. Il premier eletto invece è espressione di tutti.
Questo è un limite della democrazia, che può essere ignorato fino a quando qualcuno non pensa di sollevare il problema.

In Italia comunque il suffragio universale maschile è arrivato pochi anni prima del fascismo. Lo so che è brutto dirlo: ma il fascismo è stato una conseguenza (indiretta) dell'ampliamento della democrazia.

Non vorrei essere frainteso: non è che io sia contro la democrazia, ne sto soltanto analizzando le debolezze.
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Re: Alla frutta?

Messaggioda cardif il 15/12/2009, 13:51

Valerio Onida (giurista italiano e giudice costituzionale) ieri sera da Lerner ha ben spiegato che la Costituzione è uno strumento per conservare la democrazia e serve proprio a limitare l'accentramento del potere derivante da un plebiscito popolare.
Ma oggi se ne parla solo perché c'è questo aspirante dittatore in carica, che vuole ancora più poteri.
Solo che è falso che li voglia per poter governare meglio, come viene detto dai suoi.
Appena tre anni fa, nel 2006, ha fatto perfino un opuscolo alla fine del suo precedente governo, per vantarsi di aver fatto "36 grandi riforme", con la Costituzione vigente.
Se volesse governare, lo potrebbe fare anche con la Costituzione così com'è.
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Ma mo' mi so' capito bene?
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