Le riforme da fare: lavoro e inclusione
Chi pensa che le proposte di Brunetta per il pubblico impiego (a partire da quel Piano Industriale per la PA) e quelle di Sacconi (il libro verde alias comunitario su Welfare, Lavoro e Sanità) siano un temporale estivo o semplici raffigurazioni delle ideologie portanti del Centro Destra sbaglia.
Siamo infatti davanti ad una strategia che, dimenticate le vendette sull’art.18 e i feticci delle pensioni e della spesa sociale (Berluscono 1^ e 2^), ora si misura (berlusconi 3^ ), avendo capitalizzato larga parte dei voti delle quote più deboli, con obbiettivi di riforma strutturale del rapporto tra lo stato e il cittadino, e tra il lavoro e le prestazioni sociali ad esso tradizionalmente collegate, una strategia spinta da una oggettività portata dalla crisi stessa del Welfare State e della Pubblica Amministrazione.
Pensare che queste impostazioni possano arrivare poco lontano è da ingenui (non per altro per il consenso sociale che stanno raccogliendo e per il crescente logoramento delle istituzioni di welfare e lavoristiche tradizionali), e che tutto possa restare nella PA e nel Lavoro (e sulla Povertà…un terreno ancora vergine per il nostro modello sociale) come nelle attese del blocco sociale che l’area riformista ritiene di esprimere e rappresentare ancora di più.
Molto probabilmente il Centro Destra non adotterà una vera e propria strategia d’attacco (esclusa un po’ di propaganda ovviamente necessaria, ma sicuramente ha in mano la piena capacità di governare tutti quei fenomeni carsici che hanno garantito il suo successo e relegato all’opposizione il centro-sinistra.
Il fatto è che quello che i due ministri propongono (e ammiccano con grande disinvoltura) fa parte dell’attuale stagione politica in cui il declino e la regressione sociale e politica si intrecciano con una richiesta di salvaguardia dei propri interessi che ritiene sempre di più di poter fare a meno dello Stato (anche perché sempre più numerose categorie sociali da esso poco ricevono e da esso molto subiscono e sembrano voler rinnegare valori di solidarietà e trasferimento di ricchezza tipici dell’era della ricostruzione.
Tutto questo si intreccia con la caduta di tutta una serie di garanzie e diritti di protezione sociale che oramai per altro tipicizzano un’area sempre più ristretta del mondo del lavoro (garantiti a tempo pieno nella pubblica amministrazione e in parte delle aziende coperte dallo statuto dei diritti dei lavoratori di media-grande stazza).
Cosi’ la sinistra corre il rischio di sottovalutare la popolarità delle proposte del centro destra (i tifosi di Brunetta oramai sono tanti..e anche Sacconi ha già prodotto numerose semplificazioni che ne rendono comprensibile l’intera filosofia), e di sottovalutare la fase di difficoltà delle istituzioni pubbliche che presidiano il welfare e il lavoro, preferendo continuare a lodarne le magnifiche sorti senza aprire veramente gli occhi sugli indici di copertura dei servizi e di efficienza degli stessi.
La sinistra puo’ ritrovarsi (o forse già si trova?) ristretta in una opera di resistenza a favore di ceti e categorie per altro in via di riduzione se non estinzione (anche se interpreti della migliore stagione “socialdemocratica” , in realtà catto-comunista, di questo Paese) e corre il rischio di essere disattenta nei confronti di quei ceti che maggioramente sono in difficoltà negli attuali scenari (partendo dai poveri, e passando dalle precarietà per arrivare al lavoro autonomo bord line…..che hanno ben altri problemi oltre quello della quarta settimana dei salariati o pensionati fissi).
Per poter sfidare il Centro Destra sulle riforme che propone, e che negli intenti dei due ministri finiranno di realizzarsi tra pochi mesi, occorre spostare politicamente le questioni in campo.
Invece dell’assenteismo degli impiegatucci (bombardati con un insieme di tagli salariali e minacce regolamentari che vanno ben oltre l’introduzione di trattenute per le assenze), occorre misurarsi sul terreno della efficienza e dell’efficacia della pubblica amministrazione a partire dalla riforma delle istituzioni, dalla loro razionalizzazione, dalla qualità degli apparati pubblici, e dalla distinzione tra politica e amministrazione e tra ruolo della pubblica amministrazione e quello dei mercati.
Invece di farsi rinchiudere in una riforma a costo zero del Welfare come propone sacconi (in una scorretta confusione tra Welfare assicurativo e previdenziale e Protezione Sociale di ultima istanza e in cui nemmeno si accenna alla priorità della riforma degli ammortizzatori sociali), occorre cercare di costruire un circuito virtuoso tra azione inclusiva di ultima istanza dello stato e politiche per l’inclusione sociale e la collocazione al lavoro, e le garanzie assicurative e sociali date dalla legislazione sociale obbligatoria integrate con le modalità contrattuali innovative di copertura di aspetto previdenziali e assistenziali che sempre più sono esplicitamente o implicitamente consegnati alla volontà delle parti sociali o degli individui per la necessità oggettiva di integrare e migliorare le azioni di tutela garantite dallo stato.
Per riporre al centro dell’agire e del vivere sociale il lavoro (la sua dignità, i suoi diritti e le sue tutele), occorre prima di tutto unificare il mercato del lavoro pervenendo a modalità contrattuali più unitarie e con costi diretti e indiretti graduati sulla penalizzazione della precarietà (ben difficilmente da limitare con le sole normative lavoristiche) e non come ora sulla permanenza o meno nell’area dei garantiti (i quali oggettivamente e soggettivamente guadagnano e costano di più rispetto alle tante tipologie di precarietà che sono nate nel nostro diritto dei lavori siano essi subordinati, parasubordinati o autonomi, e hanno numerosi vantaggi sociali rispetto ai lavoratori parasubordinati e autonomi in tema di ammortizzatori sociali).
Tutte cose impossibili da risolvere se non si intende pagare lo scotto delle grandi riforme (e i rischi sociali e di consenso che vi sono collegati), e se non si riesca ad affrontare il costo delle riforme (chiaramente non realizzabili nel medio periodo con semplici redistribuzioni di risorse negli stessi settori oggetto delle stesse riforme o con la moda che si insegue dalle leggi Bassanini, del costo “zero” contabile).
Questo è vero specialmente se si affrontano agende nuove e sconosciute per il nostro paese e espansive dei ruoli pubblici tradizionali come la riforma della PA e l’introduzione di una protezione sociale inclusiva e legata ai diritti di ultima istanza.
E’ forse utile ricordare che la mancata realizzazione di queste riforme che sono in agenda da almeno trent’anni, contribuisce a determinare l’impaludamento del nostro paese, in quanto condiziona fortemente gli squilibri sociali, peggiora la coesione sociale e la partecipazione al benessere specialmente nelle fasi di crisi, in cui si allarga la forbice tra ricchi e poveri e in cui l’incertezza sociale tende a diffondersi.
E’ anche evidente la scelta strategica di qualcuno che vede non tanto nella infrastrutturazione e qualificazione del sistema le carte per la ripresa della sua competitività, ma in una scelta malthusiana di adattamento e intensificazione della competizione tra strati sociali la scelta capace di rinnovare i nostri equilibri sociali, riscoprire le competività di sistema, allentare sempre più il vincolo redistributivo e di governo delle opportunità in mano alle istituzioni.
Sono queste evidentemente scommesse che ne’ il Centro Destra (Berlusconi 1^ e 2^) e il Centro Sinistra (Governo Ciampi; Prodi 1^; D’alema; Prodi 2^) sono stati in grado di affrontare, con il risultato di aggravare queste criticità, di rendere ancora più difficili queste riforme (dagli studi della Commissione Onofri nel 97-98 ad oggi, tutti quelli che si sono cimentati su questi temi hanno confermato non solo la cresciuta delle criticità sociali, ma anche la crescente ingiustizia di un welfare che oggi copre malamente sono i lavoratori più garantiti e assolutamente si disinteressa, tolta un po’ di carità e qualche pensioncina, dei poveri, arrivando ad escludere dai suoi canoni proprio la missione di essere strumento di inclusione.
La destra ora le grandi riforme non le annuncia più nemmeno ma le sta realizzando. La sinistra riformista invece continua a sognarle con l’evidente difficoltà di saper governare il consenso e le relazioni necessarie per poterle realizzare, e di poter chiaramente esplicitare i propri intendimenti rispetto alla propria base politica e sociale fin troppo conservatrice.
Chi pensa che il Lavoro e le Tutele Sociali (la lotta contro l’esclusione sociale e non certo l’assistenzialismo passivo e categoriale!) siano parte del nostro modello sociale, deve mettere mano a queste riforme con la piena convinzione di garantire il carattere aperto della nostra società e quella mobilità e ricambio sociale che uniscono alle liberta’ formali quelle civili e sociali.
Paolo borghi livorno x
www.libertaeguale.eu 12/8/2008