Manuela ha scritto:Queste primarie, coi suoi (quasi) 3 milioni di elettori, ha, purtroppo, ratificato la classe dirigente che, arrivata da DS e Margherita, non aveva segnato (come era naturale fare) la minima discontinuità con la nascita del PD.
E anche per questo, ritengo, il PD non ha trovato negli elettori, quella credibilità che il progetto, nelle sue linee teoriche, meritava.
Ora, credo che le cose sarebbero state le stesse, anche se avesse vinto Franceschini: parlare di rinnovamento in presenza di tutti i vecchi arnesi che hanno guidato la politica almeno da 20 anni a questa parte (qualcuno anche di più) è del tutto velleitario. E lo è anche se è entrato in campo un certo numero di giovani "cooptati" da una delle due maggiori mozioni; giovani che non hanno mai ambito a "uccidere il padre", prendendo il suo posto - con parole meno cruente: non hanno mai veramente conteso il partito ai vecchi dirigenti - ma si accontentano di aspettare che qualcuno faccia loro un po' di posto. Stanno sugli strapuntini in attesa che veng ail loro momento: l'esempio più eclatante è la Serracchiani, acclamata da molti come campionessa del rinnovamento, che, invece di candidarsi lei stessa si è ben accodata al suo potente riferimento.
Quindi, anche le critiche di Rutelli (che pure nel merito sono in gran parte condivisibili) non hanno la minima credbilità, perché hanno come riferiettno un'appartenenza che andava, a suo tempo "superata", non rivendicata. Ma il superamento delle appartenenze, di tutte, è possibible solo in presenza di una classe dirigente nuova.
L'elettorato del PD ha avuto l'occasione di dare un segnale forte in direzione del cambiamento e dell'innovazione: l'ha perduta, peccato, in favore del mantenimento delle proprie, peraltro fragili, sicurezze.
Questo è, e, democraticamente, lo si deve accettare. Fino alla prossima occasione, se ci sarà.
Anch’io mi auguro che l’appartenenza vada superata (sempre di più).
Per superarla, però, bisogna averla avuta e sono soprattutto coloro che hanno “annullato” le rispettive storie politiche, e che hanno dato vita al nuovo soggetto politico, che dovrebbero mettersi continuamente in discussione.
Gli innovatori veri ci dovrebbero riuscire facilmente, gli altri del “notabilato” saranno, probabilmente, più restii e seguiranno per “inerzia” e per calcolo.
La discontinuità, penso, non può che essere graduale.
Una discontinuità netta (quale poteva apparire, a suo tempo e per certi versi, anche la candidatura di Grillo o di personaggi similari) con una nuova classe dirigente sarebbe stata un’assoluta novità, senza un passato condiviso, ma solo con storie personali.
A quali basi (idee) si sarebbero rapportati questi nuovi protagonisti? Tanto valeva che si mettevano in proprio.
Una nuova classe dirigente avrebbe rappresentato un’incognita e noi avremmo faticato a capire se diceva qualcosa di nuovo “sperato” o se portava le pecche di quella che l’ha preceduta?
“Cambiare tutto per non cambiare niente” poteva essere un rischio possibile. Chi avrebbe tenuto fuori gli opportunisti e i voltagabbana (sempre con il “vestito più nuovo alla moda”) dal nostro scenario?
Mi sembra ingeneroso non riconoscere meriti agli artefici (buoni) del PD, banco di prova per innovatori politici veri, vecchi o nuovi che siano, incluso Marino.
Ecco, i 378.211 consensi ricevuti da Marino sono significativi (12,54%) e non possono essere ignorati. I suoi elettori, secondo me, sbaglierebbero se si considerassero sconfitti e senza più voce in capitolo.
Lo stesso per gli elettori di Franceschini.
Il futuro del PD (e nostro), richiamando pierodm, rimane sempre affidato alle
“idee che nascono da libertà di pensiero, ossia dalla prospettiva di avere la facoltà di immaginare e di poter proporre obiettivi "eretici" e in qualche modo scandalosi - politica come trascendimento dell'esistente”, che non sono prerogative di nessuno, né di ceto né di età.
Manuela, io penso che la maggioranza dell’elettorato non abbia perso
“l'occasione di dare un segnale forte in direzione del cambiamento e dell'innovazione”, perché la sua larga partecipazione è legata a questo fine.
Adesso sta ai dirigenti realizzare la politica che vogliamo tutti indistintamente (rappresentati e non) e che va ben oltre il
“mantenimento delle proprie, peraltro fragili, sicurezze”, a cui è incline il nostro “notabilato” nazionale e locale.