franz ha scritto:incrociatore ha scritto:Di fatto, a parte la Legge 297 del 1994 (che lo prevede in modo surrettizio... quanti Presidi sarebbero in violazione della Legge... a questo punto... perché le aule non sono dotate di lavagne, o banchi o gessetti a sufficienza?... visto il fatto che il crocefisso ad un gessetto è stato parificato), non esiste nessun obbligo ad esporre un crocefisso nei luoghi pubblici... anche la successiva nota del Ministero del 2002 che doveva dare l'interpretazione autentica... non è mai stata pubblicata.
Non sono addentro nel sistema delle circolari ministeriali e non so nemmeno come reperirle tutte, comunque mi risulta che esista una (o più d'una) circolare che imponga il crocefisso in aula (per le scuole).
Ora una circolare non è una legge ma essa è tuttavia un obbligo per i dipendenti dalla P.A.
I cittadini sono tenuti a rispettare le leggi, non le circolari mentre i dipendenti pubblici devon rispettare (pena sanzioni) le circolari.
In rete ne ho trovata una, cercando "circolare ministeriale crocefisso" ma non so se ne eistono altre.
http://www.edscuola.it/archivio/norme/c ... 57_88.htmlCiao,
Franz
la circolare in questione è antecedente alla sentenza della Corte Costituzionale n.203 del 1989, che per altro non si riferiva al Crocefisso
(perché non esiste una Legge in Italia che imponga l'obbligo di affiggerlo), ma alla Legge di ratifica del protocollo addizionale del 1984 del Concordato del 1929 relativamente all'insegnamento religioso. Quella Sentenza è conosciuta come "pietra miliare" sulla giurisprudenza in materia di "laicità dello Stato".
http://www.giurcost.org/decisioni/1989/0203s-89.htmlin essa si afferma:
Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale. Il Protocollo addizionale alla legge n. 121 del 1985 di ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede esordisce, in riferimento all'art. 1, prescrivendo che <Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano>, con chiara allusione all'art. 1 del Trattato del 1929 che stabiliva: <L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell'art. 1o dello Statuto del regno del 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana é la sola religione dello Stato>.
La scelta confessionale dello Statuto albertino, ribadita nel Trattato lateranense del 1929, viene cosi anche formalmente abbandonata nel Protocollo addizionale all'Accordo del 1985, riaffermandosi anche in un rapporto bilaterale la qualità di Stato laico della Repubblica italiana.
nella sentenza (relativa all'insegnamento... non al Crocefisso) si legge:
7. -Esaurito il ciclo storico, prima, della strumentale utilizzazione della religione come sostegno alla morale comune, poi della opposizione positivistica tra religione e scienza, quindi della eticità dello Stato totalitario, allontanati gli ultimi relitti della contesa risorgimentale tra Monarchia e Papato, la Repubblica può, proprio per la sua forma di Stato laico, fare impartire l'insegnamento di religione cattolica in base a due ordini di valutazioni: a) il valore formativo della cultura religiosa, sotto cui s'inscrive non più una religione, ma il pluralismo religioso della società civile; b) l'acquisizione dei principi del cattolicesimo al <patrimonio storico del popolo italiano>.
Il genus (<valore della cultura religiosa>) e la species (<principi del cattolicesimo nel patrimonio storico del popolo italiano>) concorrono a descrivere l'attitudine laica dello Stato- comunità, che risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato-persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini.
L'insegnamento della religione cattolica sarà impartito, dice l'art. 9, <nel quadro delle finalità della scuola>, vale a dire con modalità compatibili con le altre discipline scolastiche.
8. - La seconda proposizione dell'art. 9, numero 2, della legge n. 121 del 1985 (<Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, é garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento>) é di gran lunga la più rilevante dal punto di vista costituzionale.
Vi si richiama, in tema di insegnamento della religione cattolica, il rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, che trovano tutela nella Costituzione della Repubblica rispettivamente agli artt. 19 e 30.
Ma dinanzi ad un insegnamento di una religione positiva impartito <in conformità alla dottrina della Chiesa>, secondo il disposto del punto 5, lettera a), del Protocollo addizionale, lo Stato laico ha il dovere di salvaguardare che non ne risultino limitate la libertà di cui all'art. 19 della Costituzione e la responsabilità educativa dei genitori di cui all'art. 30.(che è esattamente il rilevo della Corte di Strasburgo... n.d.r.)
Torna qui la logica strumentale propria dello Stato-comunità che accoglie e garantisce l'autodeterminazione dei cittadini, mediante il riconoscimento di un diritto soggettivo di scelta se avvalersi o non avvalersi del predisposto insegnamento della religione cattolica.
Tale diritto ha come titolari i genitori e, per le scuole secondarie superiori, direttamente gli studenti, in base all'art. 1, punto 1, della legge 18 giugno 1986, n. 281 (Capacita di scelte scolastiche e di iscrizione nelle scuole secondarie superiori).
Siffatta figura di diritto soggettivo non ha precedenti in materia.
Nella legge Casati del 1859, all'art. 222, per i ginnasi e i licei era prevista la dispensa <dal frequentare l'insegnamento religioso e dall'intervenire agli esercizi che vi si riferiscono> per gli alunni acattolici o per quelli <il cui padre, o chi ne fa legalmente le veci, avrà dichiarato di provvedere privatamente all'istruzione religiosa dei medesimi>.
L'art. 374 della stessa legge riconosceva la dispensa per gli allievi delle scuole pubbliche elementari <i cui parenti avranno dichiarato di prendere essi stessi cura della loro istruzione religiosa>.
Nel 1865, con il regio decreto n. 2498 del 1o settembre (Regolamento per le scuole mezzane e secondarie del Regno), all'art. 61 si disponeva: <Gli alunni debbono assistere alle funzioni religiose, se non hanno ottenuta regolare dispensa dal Preside o Direttore, sopra domanda per iscritto del padre dell'alunno o di chi legalmente lo rappresenta>.
Dal 1888, con regio decreto 16 febbraio n. 5292 (Regolamento unico per l'istruzione elementare), l'insegnamento di religione diveniva non più obbligatorio, ma istituibile dai Comuni solo su richiesta dei genitori.
Nella restaurazione dell'insegnamento di religione nelle scuole elementari del 1923, ricompariva, all'art. 3 del regio decreto 1o ottobre n. 2185, la esenzione per i fanciulli <i cui genitori dichiarano di volervi provvedere personalmente>.
L'art. 112 del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare), aggiungeva l'ulteriore onere, per i genitori che chiedevano la dispensa cosi motivata, di indicare in che modo avrebbero provveduto alla istruzione privata di religione.
Il meccanismo della dispensa perdeva in seguito l'onere della motivazione, estendendosi il regime predisposto per i culti ammessi a tutti gli studenti.
L'art. 6 della legge 24 giugno 1929, n. 1159 (Disposizioni sull'esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi), stabiliva: <I genitori o chi ne fa le veci possono chiedere la dispensa per i proprii figli dal frequentare i corsi di istruzione religiosa nelle scuole pubbliche>. [cfr. anche l'art. 23 del regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289 (Norme per l'attuazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per il coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato)].
La legge 5 giugno 1930, n. 824 (Insegnamento religioso negli istituti medi d'istruzione classica, scientifica, magistrale, tecnica ed artistica), all'art. 2 disponeva, infine: <Sono dispensati dall'obbligo di frequentare l'insegnamento religioso gli alunni, i cui genitori, o chi ne fa le veci, ne facciano richiesta per iscritto al capo dell'istituto all'inizio dell'anno scolastico>.
E' palese il passaggio da motivazioni proprie dell'età liberale (essere la religione affare privato e l'istruzione religiosa compito elettivamente paterno) a quelle dello Stato etico (essere la religione un connotato dell'identità nazionale da farsi maturare nella scuola di Stato).
Solo con l'Accordo del 18 febbraio 1984 emerge un carattere peculiare dell'insegnamento di una religione positiva: il potere suscitare, dinanzi a proposte di sostanziale adesione ad una dottrina, problemi di coscienza personale e di educazione familiare, per evitare i quali lo Stato laico chiede agli interessati un atto di libera scelta.
Con la terza proposizione dell'art. 9, numero 2, dell'Accordo (<All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione>) il principio di laicità é in ogni sua implicazione rispettato grazie alla convenuta garanzia che la scelta non dia luogo a forma alcuna di discriminazione.
Il punto 5, numero 2, del Protocollo addizionale, non contiene disposizione immediata pertinente alla questione di causa e pertanto la fonte della doglianza non e rinvenibile nella normativa impugnata.
9.-La previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a loro danno, perchè proposta in luogo dell'insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l'una e l'altro lo schema logico dell'obbligazione alternativa, quando dinanzi all'insegnamento di religione cattolica si e chiamati ad esercitare un diritto di libertà costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività di coscienza, ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche.
Lo Stato é obbligato, in forza dell'Accordo con la Santa Sede, ad assicurare l'insegnamento di religione cattolica. Per gli studenti e per le loro famiglie esso é facoltativo: solo l'esercizio del diritto di avvalersene crea l'obbligo scolastico di frequentarlo.
Per quanti decidano di non avvalersene l'alternativa é uno stato di non-obbligo. La previsione infatti di altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza, che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l'esercizio della libertà costituzionale di religione.
Come si può leggere sul concetto di laicità la Corte si è già espressa in maniera inequivocabile e ha anche ribadito in precedenti sentenze (alcune richiamate in quella stessa del 1989) che :
http://www.giurcost.org/decisioni/1988/1146s-88.htmlLa Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana.
Questa Corte, del resto, ha già riconosciuto in numerose decisioni come i principi supremi dell'ordinamento costituzionale abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare <copertura costituzionale> fornita dall'art. 7, comma secondo, Cost., non si sottraggono all'accertamento della loro conformitè ai <principi supremi dell'ordinamento costituzionale> (v. sentt. nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione del Trattato della CEE può essere assoggettata al sindacato di questa Corte <in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana> (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984).
Non si può, pertanto, negare che questa Corte sia competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei con fronti dei principi supremi dell'ordinamento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all'assurdo di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore.
Siccome la circolare citata è antecedente alla sentenza n.203/1989 della Corte Costituzionale e considerando le osservazioni sui "principi inalienabili" riportati sopra... credo che i Presidi abbiano buoni motivi per applicare la circolare con buon senso e non come soggetti burocraticamente inquadrati (la circolare, riproponendo un parere del Consiglio di Stato di una norma regolamentare tende a darle valenza di Legge... e, quindi, risulta essere di per sé illegittima... in Italia la potestà legislativa spetta al Parlamento o alle Regioni per quanto di loro competenza, non ce l'ha il Consiglio di Stato).
A noi le sentenze della Corte Costituzionale danno una certa speranza nel futuro visto che si profilano all'orizzonte revisioni costituzionali da pelle d'oca.
Un'altra cosa vorrei fare osservare su tutta questa babele sul "crocefisso sì, crocefisso no".
La Corte di Strasburgo non è un organo della UE. Ad essa aderiscono molti Paesi oltre a quelli UE... Svizzera, Russia, Turchia... ad esempio. Rendere, come al solito, da "provincialotti" la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo una questione italiana è una grande stupidaggine. Essa estende i suoi effetti sulle norme di tutti i Paesi che hanno sottoscritto l'autorità della Corte... faccio notare... anche la Turchia... ad esempio. E quando si parla di integrazione europea di un Paese a maggioranza islamica, forse anche i cattolici dovrebbero salutare la sentenza con altro spirito.