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Caso Cucchi: "Lesioni e traumi sul corpo"

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Caso Cucchi: "Lesioni e traumi sul corpo"

Messaggioda franz il 29/10/2009, 19:41

Denuncia del garante sul caso Cucchi
Manconi: "Lesioni e traumi sul corpo"

Due prese di posizione e una denuncia sulle circostanze che hanno portato alla morte di Stefano Cucchi, 31 anni, arrestato per possesso di droga e poi morto all'ospedale Pertini. Il garante dei diritti dei detenuti Marroni annuncia una denuncia alla Procura, l'ex sottosgeretario Luigi Manconi parla di "lesioni e traumi"

Ad una svolta la vicenda del 31enne romano Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre nellastruttura sanitaria protetta dell'Ospedale "Sandro Pertini dopo un arresto per droga. "Auspico che le indagini avviate dalla Procura della Repubblica, di cui ha parlato il ministro della Giustizia, contribuiscano a fare piena luce sulla morte di Stefano Cucchi, una vicenda che presenta lati oscuri non ancora del tutto chiariti che meritano un approfondimento". E' questo il commento del garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni dopo aver ascoltato la riposta del ministro della Giustizia Angelino Alfano all'interrogazione presentata dai parlamentari Bernardini e Giachetti. Sul caso, il garante dei detenuti ha preannunciato anche l'invio di un suo esposto alla Procura della Repubblica di Roma.

Nel suo esposto alla Procura il Garante ripercorre, per sommi capi, la vicenda del giovane Cucchi, arrestato nella notte tra il 15 e 16 ottobre per possesso di una modesta quantità di stupefacente e morto una settimana dopo. Dalle verifiche condotte dall'Ufficio del Garante presso le autorità sanitarie e quelle penitenziarie risulterebbero, in particolare, due punti definiti "importanti": il pomeriggio precedente alla morte, i medici dell'ospedale Pertini avrebbero avvisato con una relazione allegata alla cartella clinica, il magistrato delle difficoltà a gestire le condizioni del paziente, che avrebbe tenuto un atteggiamento di rifiuto verso i trattamenti terapeutici. Inoltre, il personale sanitario non sarebbe mai venuto a conoscenza, se non dopo la morte, della richiesta di colloquio dei familiari, per altro ritenuto dai medici fondamentale in ogni caso. "Ora - ha concluso Marroni - attendiamo l'esito degli esami autoptici per comprendere cosa è esattamente successo a questo ragazzo. Al di là tutto, io credo che aver impedito ai genitori di vedere il figlio per giorni è un fatto di una gravità estrema, così come è grave, se vera, la circostanza riferita dai parlamentari secondo cui al perito della famiglia sarebbe stato impedito di assistere all'autopsia".

Sul caso interviene anche Luigi Manconi, già sottosegretario alla Giustizia, presidente dell'associazione A Buon Diritto, annunciando una conferenza stampa con Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e con l'avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia. "Ho avuto modo di vedere le foto della salma di Cucchi. E' difficile trovare le parole per dire lo strazio di quel corpo, che rivela una agonia sofferta e tormentata". "E' inconfutabile - aggiunge - che il corpo di Stefano Cucchi, gracile e minuto, abbia subito a partire dalla notte tra il 15 e 16 ottobre numerose e gravi offese e abbia riportato lesioni e traumi. E' inconfutabile che Stefano Cucchi, come testimoniato dai genitori, è stato fermato dai carabinieri quando il suo stato di salute era assolutamente normale ma già dopo quattordici ore e mezza il medico dell'ambulatorio del palazzo di Giustizia e successivamente quello del carcere di Regina Coeli riscontravano lesioni ed ecchimosi nella regione palpebrale bilaterale; e, la visita presso il Fatebenefratelli di quello stesso tardo pomeriggio evidenziava la rottura di alcune vertebre indicando una prognosi di 25 giorni.

E' inconfutabile - dice ancora Manconi - che, una volta giunto nel reparto detenuti dell'ospedale Pertini, Stefano Cucchi non abbia ricevuto assistenza e cure adeguate e tantomeno quella sollecitudine che avrebbe imposto, anche solo sotto il profilo deontologico, di avvertire i familiari e di tenerli al corrente dello stato di salute del giovane: al punto che non è stato nemmeno possibile per i parenti incontrare i sanitari o ricevere informazioni da loro. Ed è ancora inconfutabile che l'esame autoptico abbia rivelato la presenza di sangue nello stomaco e nell'uretra.

E' inconfutabile, infine - aggiunge - che un cittadino, fermato per un reato di entità non grave, entrato con le proprie gambe in una caserma dei carabinieri e passato attraverso quattro diverse strutture statuali (la camera di sicurezza, il tribunale, il carcere, il reparto detentivo di un ospedale) ne sia uscito cadavere, senza che una sola delle moltissime circostanze oscure o controverse di questo percorso che lo ha portato alla morte sia stata ancora chiarita".
(28 ottobre 2009)
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Re: Caso Cucchi: "Lesioni e traumi sul corpo"

Messaggioda franz il 29/10/2009, 19:44

Caso Cucchi, foto choc
I parenti: "Vogliamo la verità"

La verità sulla morte di Stefano Cucchi. La implorano i familiari del trentunenne arrestato per possesso di droga e poi deceduto all'ospedale Pertini. Il padre e la sorella hanno distribuito le immagini del corpo di Stefano scattate dopo l'autopsia

Verità su Stefano Cucchi. E in tempi rapidi. La invocano la famiglia, i legali e la politica. Tutti insieme hanno convocato una conferenza stampa in senato per chiedere di fare luce sulla morte del 31enne romano, fermato giovedì 16 ottobre nel parco degli Acquedotti perché in possesso di venti grammi di sostanze stupefacenti, e morto nel reparto detentivo dell'ospedale sandro pertini giovedì 22, dopo essere passato per il tribunale, il Regina Coeli e il Fatebenefratelli. Otto interminabili giorni durante i quali la famiglia ha tentato invano di vedere il loro caro e di parlare con i medici che lo avevano in cura.

Per sollecitare l'opinione pubblica, il padre Giovanni e la sorella Ilaria hanno distribuito le foto del corpo di Stefano scattate dall'agenzia funebre dopo l'autopsia. Immagini "drammaticamente eloquenti", come le ha definite luigi manconi, presidente dell'associazione 'a buon diritto' e promotore dell'iniziativa: "Da sole dicono quanti traumi abbia patito quel corpo- aggiunge- e danno una rappresentanza tragicamente efficace del calvario di stefano. La famiglia ha pensato molto se distribuirle, perchè oltre ad essere scioccanti fanno parte della sfera intima".

Si vede così un corpo estremamente esile (dai 43 chili del fermo è passato ai 37), con il volto devastato, l'occhio destro rientrato nell'orbita, l'arcata sopraccigliare sinistra gonfia e la mascella destra con un solco verticale, segno di una frattura.

Al momento è stata aperta un'inchiesta D'ufficio. Il legale della famiglia, Fabio Anselmo, spiega che "l'atto di morte è stato acquisito dal pm, per cui non abbiamo in mano nulla se non queste foto e un appunto del nostro medico legale". Dal quale si evince che "sul corpo non sono stati riscontrati traumi lesivi che possano aver causato la morte, ma escoriazioni, ecchimosi e presenza di sangue nella vescica. Aspettiamo gli esiti dell'esame istologico".


L'avvocato, poi, ci tiene a precisare che "noi non accusiamo nessuno. Stefano è uscito di casa in perfette condizioni di salute e non è più tornato. Chiediamo che non ci sia un valzer di spiegazioni frettolose e spesso in contraddizione tra loro e di risparmiare alla famiglia un processo su quello che è stato stefano". Il prossimo passo sarà la costituzione di un pool di medici esperti in grado di "vagliare criticamente il poco materiale che abbiamo".

Anche il mondo della politica farà la sua parte. Così promettono Emma Bonino, Flavia Perina, Renato Farina e Marco Perduca, presenti oggi alla conferenza stampa. "Cose di questo genere- ha detto perina- succedono nel far west e non in uno stato di diritto". Secondo Bonino, poi, "è in gioco la credibilità delle istituzioni. Lo stato deve rispondere all'opinione pubblica". Marco Perduca, infine, annuncia che "come commissione parlamentare sui diritti umani prenderemo in considerazione una missione ispettiva al reparto detentivo del pertini". Farina, che ha visitato il nosocomio, ha riferito infine di "una struttura peggio del carcere".
(29 ottobre 2009)
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Re: Caso Cucchi: "Lesioni e traumi sul corpo"

Messaggioda ranvit il 29/10/2009, 20:38

Queste sono cose allucinanti che non dovrebbero mai accadere in nessun Paese a maggior ragione se democratico.

Speriamo si possano punire le bestie che l'hanno fatto!

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Caso Cucchi: "Lesioni e traumi sul corpo"

Messaggioda franz il 30/10/2009, 18:30

Morte Cucchi, restano i misteri
l'accusa è omicidio preterintenzionale

La Russa: "Carabinieri corretti". Oggi sit in davanti a palazzo Chigi

ROMA - L'unica certezza è il corpo martoriato di un giovane di 31 anni. Si chiamava Stefano Cucchi e la sua morte misteriosa è diventata di dominio pubblico dopo che la famiglia ha deciso di divulgare le foto del cadavere. "Vogliamo capire che cosa è successo" chiede una madre che dopo avere visto il figlio uscire di casa in buone condizioni di salute, si è vista riconsegnare un corpo irriconoscibile. Oggi la procura di Roma ha deciso di procedere per il reato di "omicidio preterintenzionale", al momento a carico di ignoti. Il pm Vincenzo Barba vuole vederci chiaro e sta indagando per capire se il ragazzo 31enne sia stato effettivamente vittima di un pestaggio.

Nel frattempo i familiari non si danno pace. Vogliono capire come mai sia morto in carcere dopo l'arresto dei carabinieri che lo hanno sorpreso con una ventina di grammi di droga. Vogliono una spiegazione a quelle fratture alla spina dorsale, al coccige, alla mandibola, a quei lividi in volto e su tutto il corpo. Per questo hanno deciso di divulgare le foto, mostrando il corpo dopo l'autopsia. Una scelta difficile, fatta per un unico motivo: di fronte a quelle immagini la giustizia non potrà girare la testa, dovrà dire la verità.

La Procura di Roma ha aperto un'inchiesta per ricostruire la vicenda ed eventualmente dare un nome e un volto a chi, a due settimane dal suo arresto (Cucchi è stato catturato la notte del 15 ottobre, è morto in prigione il 22), potrebbe aver massacrato il trentenne. E magari capirne il perché, ammesso che esista. "Fino all'ultima goccia di sangue, fino all'ultima goccia di vita io e mia moglie ci batteremo perchè si faccia chiarezza su mio figlio" giura Giovanni cucchi, padre di Stefano, in un'intervista sul blog di Beppe Grillo.

D'altronde, dopo la diffusione delle foto, la vicenda è esplosa in tutta la sua gravità. "Non ho strumenti per dire come sono andate le cose, ma sono certo del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione" dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa.

Ma la voce di chi chiede verità e nessuna copertura, si fa sempre più forte. "Verità e legalità per tutti, ma proprio tutti: in fondo è semplice" si legge in un corsivo di ffwebmagazine, il periodico online della Fondazione Farefuturo presieduta da Gianfranco Fini.

"Uno stato democratico non può nascondersi dietro la reticenza degli apparati burocratici - continua il corsivo - Perché verità e legalità devono essere 'uguali per tutti', come la legge. Non è possibile che, in uno Stato di diritto, ci sia qualcuno per cui questa regola non valga: fosse anche un poliziotto, un carabiniere, un militare, un agente carcerario o chiunque voi vogliate. Non può esistere una 'terra di mezzo' in cui si consente quello che non è consentito, in cui si difende l'indifendibile, in cui la responsabilità individuale va a farsi friggere in nome di un 'codice' non scritto che sa tanto, troppo, di omertà tribale".

E mentre l'avvocato di Stefano parla di "omicidio preterintenzionale", la vicenda coinvolge anche la politica. Il Pdci e Rifondazione chiedono al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di intervenire "perché un Paese civile non può permettersi l'ennesimo caso di 'sospensione' della democrazia". E oggi sit in della federazione giovanile del Partito dei comunisti italiani, dei giovani comunisti di Rifondazione comunista e dell'Unione degli studenti.

Per Marina Sereni, vicepresidente dei deputati Pd non si può certo parlare di "caduta accidentale": "Le foto mostrate ieri dalla famiglia, che non ha potuto vederlo neanche in ospedale, ora sono sotto gli occhi di tutti. Tutti aspettano verità sulla morte di un ragazzo di 31 anni. Noi continueremo a chiederla". E anche per il portavoce del Pdl l'accertamento dei fatti "è interesse di tutti".

E chiarezza la chiede anche Leo Beneduci
, segretario generale dell'Osapp, il secondo sindacato della polizia penitenziaria: "Stefano sarebbe arrivato a Regina Coeli direttamente dal tribunale già in quelle condizioni, e accompagnato da un certificato medico che ne autorizzava la detenzione, come di solito si fa in questi casi".

Durissima, infine, la posizione degli avvocati della Camera Penale di Roma: "Non puo' essere consentito, non può semplicemente accadere, che Stefano abbia potuto subire una fine così orrenda, mentre era sotto la tutela prima della polizia giudiziaria che lo ha tratto in arresto, poi del pm, del giudice, poi ancora della direzione di Regina Coeli e del suo personale penitenziario e dei medici ed, infine, dell'ospedale.
Siamo indignati".

(30 ottobre 2009)
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Re: Caso Cucchi: "Lesioni e traumi sul corpo"

Messaggioda pianogrande il 31/10/2009, 1:13

Fa (ancora) un certo effetto, parlando del nostro paese, vedersi presentare in modo così frustrante lo spregio dei "diritti umani".
Fatemi sapere se Bruno Vespa farà un "plastico" anche su questa storia.
Forse, per la prima volta, guarderò quella trasmissione.
Ma quando un procedimento è contro "ignoti" vuol dire che non è ancora indagato nessuno?
Vuol dire che in tutta la "filiera" in cui quel ragazzo è passato (non indenne) non ci sono persone individuate come responsabili?
Nel mio lavoro ho visto gente prendersi condanne penali per incidenti successi mentre erano in ferie.
Non funziona così dappertutto?
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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Re: Caso Cucchi: "Lesioni e traumi sul corpo"

Messaggioda franz il 31/10/2009, 9:35

pianogrande ha scritto:Ma quando un procedimento è contro "ignoti" vuol dire che non è ancora indagato nessuno?
Vuol dire che in tutta la "filiera" in cui quel ragazzo è passato (non indenne) non ci sono persone individuate come responsabili?

Immagino voglia dire che ancora non si sa (tralasciando l'ipotesi inverosimile della caduta accidentale) chi abbia usato violenza contro quel ragazzo. Proprio perché è passato in tanti ambienti in cui si sono forze dell'ordine ma anche altri detenuti.
Parlando per ipotesi, secondo me non è da escludere che il ragazzo sia stato rinchiuso all'inizio in uno stanzone comune con altre persone appena arrestate e che abbia avuto problemi con uno con cui aveva un vecchio conto in sospeso.
La brutalità delle lesioni e delle fratture indica molto di piu' l'azione di un delinquente che della Polizia o dei CC.
I poliziotti brutali, ce ne sono in tutto il mondo, sanno come fare per non lasciare segni di quello che fanno.
Un delinquente che ha un conto in sospeso lo regola appena ne ha l'occasione e se ha una certa autorità verrà coperto dagli altri suoi simili. L'atteggiamento reticente del tragazzo stesso (che pare abbia inventato la scusa della caduta) nel denunciare il fatto e farsi curare indica piu' il timore di ulteriori conseguenze da parte della criminalità che della polizia.
Se questa fosse la verità, non per questo scemerebbe la responsabilità di chi ha in custodia un detenuto.
Sappiamo tuttavia come è l'affollamento nei luoghi di detenzione. Spazi previsti per 450 persone che ne contengono poi' di 900. Non è possibile ipotizzare la detenzione singola per ogni persona. In questo caso le reponsabilità sarebbero piu' "politiche" che altre (ed infatti Maroni è il ministro piu' silenzioso). Daremmo la responsabilità a polizia o guardia carcerarie per aver introdotto Stefano in uno stanzone con decine di altri, senza guardarlo a vista per tutta la notte?

Allora "contro ignoti" significa che qualcuno è stato e poi con le indagini si cercherà di capire "chi".

Franz
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I sei giorni di calvario di Cucchi

Messaggioda franz il 31/10/2009, 9:53

LA RICOSTRUZIONE
I sei giorni di calvario di Cucchi:
l’allarme dei medici mai spedito al giudice

L’ultima frase: dite a mia sorella di badare al mio cane. Stava digiunando dopo no all’invio in comunità

ROMA — «Signora, dica a mia so­rella Ilaria di tenermi il cane. Se lo ricor­di, mi raccomando...». È lunedì 21 otto­bre, la via crucis di Stefano Cucchi sta per compiersi. Il ragazzo, gracilissimo, scheletrico, con vistose ecchimosi sul volto e una vertebra lombare frattura­ta, esprime il suo ultimo desiderio a una volontaria che presta servizio tra i detenuti ricoverati all’ospedale Pertini. Morirà il mattino dopo, alle 6.20. Ora, però, bisognerà capire di che è morto. È stato pestato? È stato forse massacrato da qualcuno, nel suo viag­gio assurdo tra una caserma dei carabi­nieri e una cella di Regina Coeli? Per­ché da quando fu fermato dai carabinie­ri per spaccio e detenzione nel parco dell’Appio Claudio, la triste storia del geometra romano Stefano Cucchi, ap­pena trentunenne, diventa un grovi­glio di rapporti investigativi apparente­mente rassicuranti, referti medici allar­mantissimi e lettere di Sos mai arriva­te.

IL FERMO E LA DROGA - Dunque, vediamo. Tutto comincia al­l’una di notte tra il 15 e il 16 ottobre. I carabinieri dell’Appio Claudio fermano Cucchi: ha con sé 20 grammi di droga. Lo portano a casa sua a Torpignattara per la perquisizione, dove svegliano mamma Rita e papà Giovanni. Il ragaz­zo si siede sul divano, è tranquillo e al­meno a quell’ora non presenta ancora segni di violenza. Lo affermano senza ombra di dubbio i genitori. Alle 2 i carabinieri, senza usare le manette, lo portano alla caserma di via del Calice, ma lì non c’è posto per la notte, così mezz’ora dopo viene trasfe­rito in un’altra caserma: via degli Ar­menti, Tor Sapienza. Lo mettono in una cella, lui avvisa che è epilettico, po­co prima delle 5 il piantone sente Stefa­no che si lamenta, «tremo, ho mal di testa», allora chiama il 118, arriva l’am­bulanza e il medico lo visita. Nella me­moria presentata in procura dai carabi­nieri si annotano «una visita accurata» e «un referto che parla di epilessia e tre­mori senza però riscontrare ecchimosi o lesioni. L’uomo ha rifiutato ogni cura e anche il ricovero. Dopo la visita Cuc­chi ha detto 'voglio continuare a dor­mire'. E così ha fatto finché è stato por­tato in tribunale».

IL SALUTO CON IL PADRE - Quando lo svegliano sono le 8.40 del 16 ottobre. L’udienza di convalida in piazzale Clodio è fissata per le 12. Stefano arriva e c’è il padre ad aspettar­lo. I due si salutano, parlano su una panca per qualche minuto, il padre tro­va il figlio «molto gonfio in faccia», con «gli occhi neri». Ma il figlio non gli dice di aver subìto un pestaggio. Non dice niente. Però chiede comprensio­ne: «Sono epilettico, tossicodipenden­te e sieropositivo». Il giudice si accorge di quegli strani segni sul volto, così dispone che il me­dico del tribunale lo visiti. Il referto par­la di «lesioni ecchidomiche bilaterali in regione palpebrale inferiore» e «lesioni alla regione sacrale e agli arti inferio­ri». Il magistrato convalida il fermo, il ragazzo non ci sta, dà un calcio a una sedia, è scosso, contrariato, lui vorreb­be andare ai domiciliari oppure tornar­sene in comunità dove in passato ave­va provato a disintossicarsi. Niente. Viene portato in carcere, a Regina Coe­li. Racconta Giovanni Passaro, segreta­rio provinciale del Sappe (sindacato di polizia penitenziaria): «Il detenuto a quel punto viene visitato dal medico di turno, il dottor Rolando, che però date le sue condizioni ordina di portarlo su­bito in ospedale, al Fatebenefratelli...», dove gli fanno le lastre e uno dei medi­ci che lo visita, F.F., dice al Corriere: «Aveva una frattura a una vertebra lom­bare, lui mi ha detto che era caduto, era scivolato, non so dove, ma cammi­nava normalmente, anche le analisi del sangue non erano disastrose. Così gli ho consigliato il ricovero in ospedale con 25 giorni di prognosi, ma lui l’ha rifiutato, mi ha detto che voleva torna­re a Regina Coeli dove conosceva un medico che gli avrebbe dato più gior­ni... Così ha firmato e se n’è andato». Erano le nove e mezza di sera del 16 ot­tobre. Cucchi torna a Regina Coeli e ci dorme. Il mattino dopo lo visita un al­tro medico di Regina Coeli, il dottor Pe­tillo, così ricorda il dirigente del Sappe. Anche il referto di Regina Coeli è im­pressionante: «Ecchimosi sacrale cocci­gea, tumefazione del volto, algia della deambulazione». È successo qualcosa in cella, durante la notte? Cucchi torna al Fatebenefratelli, ma lo stesso medi­co che l’aveva visitato la sera prima, verso le 14 giura che «le sue condizioni erano invariate rispetto alla sera pri­ma... ».

IL TRASFERIMENTO - Il pomeriggio del 17 ottobre, infine, viene disposto il trasferimento nel re­parto di medicina penitenziaria del Per­tini, diretto dal dottor Aldo Fierro. «Il ragazzo — ricorda il dottore — oltre al­la frattura della vertebra lombare pre­sentava una contusione del volto pe­riorbitale, cioè intorno agli occhi, ma insomma parlava tranquillamente con i nostri medici e non ha mai accennato a un pestaggio subito. Però ha conti­nuato fino alla fine a rifiutare acqua e cibo, accettava solo le medicine per cu­rarsi l’epilessia». Dopo 4 giorni passati di­giunando, sul letto d’ospe­dale, senza mai vedere i suoi genitori, bloccati alla porta dai secondini, Stefa­no Cucchi sta ormai moren­do. È sempre più debole. Così alle ore 18 del 21 otto­bre il dottor Fierro prende la decisione e prepara una lettera da inviare al magi­strato Maria Inzitari, la stessa che la mattina del 16 in piazzale Clodio aveva giudicato il ragazzo. La lettera del dot­tore suona, a posteriori, come un Sos: «...Per il persistere di tale atteggiamen­to di rifiuto rispetto ad approfondimen­ti diagnostici e agli aggiustamenti tera­peutici, visto l’ulteriore aumento dei se­gnali di disidratazione, il pomeriggio del 21 ottobre abbiamo avvisato il ma­gistrato con una relazione allegata alla cartella clinica nella quale facciamo pre­sente il nostro disagio a gestire le con­dizioni cliniche del detenuto...». Ma la lettera non partirà mai. Stefano Cucchi, il mattino dopo, è già morto.

Fabrizio Caccia
31 ottobre 2009
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Il calvario di Stefano, di ADRIANO SOFRI

Messaggioda franz il 31/10/2009, 12:50

COMMENTI
Il calvario
di Stefano

di ADRIANO SOFRI

PRIMA di tutto riguardiamo le fotografie di Stefano Cucchi. Quelle di un giovane magro, un geometra, che ha avuto a che fare con la droga e sa che gli potrà succedere ancora, e intanto vive, sorride, lavora, abbraccia sua madre, scherza con sua sorella. I giornali in genere hanno preferito pubblicare queste. E quelle di un morto, scheletrito, tumefatto, infranto, il viso che eclissa quello del grido di Munch e delle mummie che lo ispirarono, il corpo di una settimana di Passione dell'ottobre 2009. La famiglia di Stefano ha deciso di diffondere quelle fotografie.

Nessuno è tenuto a guardarle. Ma nessuno è autorizzato a parlare di questa morte, senza guardarle.
Per una volta, sembra che tutti (quasi) ne provino orrore e sdegno, e vogliano la verità e la punizione. È consolante che sia così. Ma è difficile rassegnarsi alle frasi generiche, anche le più belle e sentite. C'è un andamento provato delle cose, e le parole devono almeno partire da lì. Certo, le parole possono osare l'inosabile. Possono, l'hanno fatto perfino questa volta, dire e ripetere che Stefano Cucchi "è caduto dalle scale".

Non è nemmeno una provocazione, sapete: è una battuta proverbiale. Se incontrate uno gonfio di botte in galera, lo salutate così: "Sei caduto dalle scale". Hanno un gran senso dell'humour, in galera. Lo si può anche mettere per iscritto e firmare. Sembra che anche Stefano l'abbia messo a verbale presso il medico del carcere: "Sono caduto dalle scale". È un modo per evitare di cadere di nuovo dalle scale. Il meritorio dossier Morire in carcere curato da "Ristretti orizzonti" certifica che le morti per "cause da accertare" sono più numerose di quelle per "malattia".

Tuttavia bisogna guardarsi dall'assegnare senz'altro il calvario di Stefano al capitolo carcerario. Per due ragioni, già documentate a sufficienza. La prima: che fra la persona integra arrestata col suo piccolo gruzzolo di sostanze proibite e la persona cui vengono certificate nell'ambulatorio del tribunale "lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente", e che lamenta "lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori" (i medici del carcere le preciseranno come "ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione", e quelli dell'ospedale come "frattura del corpo vertebrale L3 dell'emisoma sinistra e frattura della vertebra coccigea") fra quelle due condizioni c'è stata solo una notte trascorsa in una caserma di carabinieri.

Il ministro della Difesa - un avvocato penalista - pur declinando ogni competenza nel caso, ha creduto ieri di dichiarare: "Di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione". Non so come abbia fatto. So che qualcuno vorrà ammonirmi: "Ci risiamo". Infatti: ci risiamo. I medici e la polizia penitenziaria che dichiarano che Stefano "è arrivato in carcere così" hanno dalla loro una sequenza temporale interamente vidimata.

Questa era la prima ragione. La seconda è che nell'agonia di Stefano - di questo si è trattato, questo sono stati i suoi ultimi sette giorni - sono intervenute tante di quelle autorità costituite da far rabbrividire. Carabinieri, dall'arresto fino al trasporto al processo e alla consegna al carcere. Magistrati, uno dell'accusa e uno giudicante, che in un processo per direttissima per un reato irrisorio e con un giovane imputato così palesemente malmesso da suggerire la visita medica nei locali stessi del tribunale, rinviano l'udienza al 13 novembre e lo rimandano in carcere ammanettato.

Agenti di polizia penitenziaria, che piantonano così rigorosamente il pericoloso detenuto nell'(orrendo) reparto carcerario dell'ospedale intitolato a quel gran detenuto che fu Sandro Pertini, al punto di impedire ai famigliari del giovane di chiederne una qualche notizia ai medici, facendo intendere che occorra un'autorizzazione del magistrato: espediente indecente, perché per parlare col personale sanitario non occorre l'autorizzazione di nessuno. (Sono stato moribondo e piantonato in un ospedale, e nessuno si sognò di dire ai miei che non potevano interpellare i medici: e vale per chiunque). Espediente, oltretutto, che costringe a chiedersi quale movente lo ispirasse.

Una sovrintendente e, a suo dire, un medico di turno, che, anche ammesso che non abbiano saputo delle visite ripetute e trepidanti dei famigliari, hanno dichiarato di non aver notato i segni delle lesioni sul volto di Stefano, "in quanto si teneva costantemente il lenzuolo sulla faccia"! Frase che insegue l'altra sulla caduta dalle scale: un detenuto malconcio al punto di essere tradotto in ospedale non viene visto da chi lo sorveglia e da chi lo cura perché si tiene il lenzuolo sulla faccia.

Non hanno visto "il volto devastato, quasi completamente tumefatto, l'occhio destro rientrato a fondo nell'orbita, l'arcata sopraccigliare sinistra gonfia in modo abnorme, la mascella destra con un solco verticale, a segnalare una frattura, la dentatura rovinata"... Non era un lenzuolo: era l'anticipazione di un sudario. Questo non ha impedito a un medico di turno di stilare un certificato in cui si legge che Stefano è morto "di presunta morte naturale".

Infine, c'è l'autopsia eseguita sul cadavere straziato, nel corso della quale si proibisce al consulente di parte di eseguire delle foto. (Quelle che guardiamo oggi, chi ne ha la forza, sono state prese per la famiglia dal personale delle pompe funebri). È stata, la settimana di agonia di Stefano, una breve marcia attraverso le istituzioni. Questo sono infatti, al dunque, le istituzioni: persone che per conto di tutti si trovano a turno ad avere in balia dei loro simili: persone delle forze dell'ordine, giudici, medici, e anche politici e giornalisti...

Tutti (quasi) chiedono giustizia e verità. Bene. Un pubblico ministero ha già imputato di omicidio preterintenzionale degli ignoti, ieri. I colpevoli non sono certo noti, e non lo saranno fino a prova provata: ma gli imputati sono noti. Quanto al preterintenzionale, è un segno di garantismo notevole, venendo da una magistratura che quando l'aria tira imputa di omicidio volontario lo sciagurato che abbia travolto qualcuno con l'automobile.

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