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Kompagno Tremonti

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

E Giulio minaccia le dimissioni

Messaggioda franz il 21/10/2009, 8:28

RETROSCENA. Il Cavaliere per ora cede. "Ma a marzo serve una soluzione"
Il Cavaliere teme che le mosse del suo ministro puntino al "dopo"

E Giulio minaccia le dimissioni
"Se non mi difendi me ne vado"

di CLAUDIO TITO

"O blocchi subito le polemiche oppure io non posso più stare qui". Di buon mattino Giulio Tremonti aveva letto la prima pagina di "Libero" e aveva capito che qualcosa stava accadendo. Poi era stato avvertito della contestazione in corso tra molti dei "big" del Pdl. Quell'evocazione del "posto fisso" stava insomma scatenando un pandemonio. E il ministro solo in parte se lo aspettava. Allora ha alzato il telefono e ha chiamato Silvio Berlusconi. Minacciando a chiare lettere le dimissioni.

I rapporti tra i due, del resto, sono ormai quelli di due "separati in casa". I "duelli" in consiglio dei ministri si ripetono quasi ogni settimana. Non è la prima volta che il superministro agita l'addio. Lo ha fatto anche nell'ultima riunione di governo. "Preparate le valige - è il refrain che Tremonti ripete come un mantra ai suoi collaboratori - perché tanto da qui ci cacciano". Domenica scorsa, poi, visitando la Fiera del Tartufo a Pecorara, in provincia di Piacenza, si era lasciato andare ad una espressione simile: "Non vedo l'ora di andare in pensione...". Berlusconi, invece, lo segue "con sospetto". Non sopporta quelle riunioni dell'Aspen Institute con tanti, "troppi", esponenti dell'opposizione. Compresa quella fissata per il prossimo 23 novembre a Lecce.

Stavolta, inoltre, le parole del capo dell'Economia sono state colte come una "invasione di campo, una provocazione". Come l'ennesimo tentativo di uno strappo" al di là del merito della questione. Ieri, infatti, la tensione era altissima. Tremonti temeva "l'accerchiamento". Il titolo in prima pagina del giornale diretto da Maurizio Belpietro ha fatto scattare il campanello d'allarme al ministero dell'Economia. E in effetti, il colloquio tra "Silvio e Giulio" non è stato affatto distensivo. "Non capisco - è stato il ragionamento del Cavaliere fatto ad Arcore con i fedelissimi - perché se ne è uscito in questo modo proprio ora. C'è qualcosa dietro?". Il capo del governo teme il tentativo di imporre un'agenda "dialogante" con il centrosinistra. Dopo un giro di consultazioni con Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, alla fine ha deciso di ridimensionare con una nota ufficiale la polemica scoppiata nel centrodestra. Ma solo per evitare che "Giulio faccia colpi di testa". Durante la sessione di bilancio, mentre la Finanziaria fa il suo corso in Parlamento, sarebbe troppo rischioso aprire un buco nella gestione della politica economica.

Eppure il "caso Tremonti" resta aperto. Basti pensare che la scorsa settimana, poco prima dell'ultimo consiglio dei ministri, il premier si era sfogato con il sottosegretario Letta - alla presenza di altri ministri - invocando una "soluzione definitiva". Una formula che tutti hanno interpretato come la richiesta di un vero e proprio allontanamento.

E già perché i fattori del conflitto tra Presidenza del consiglio e Via XX Settembre si stanno moltiplicando. Per ultimo lo scudo fiscale. Secondo il Cavaliere è stato confezionato in modo da "penalizzare le banche e il risparmio". Non solo. Il premier ha chiesto di utilizzare subito il gettito proveniente dai capitali "scudati". Ma la risposta è stata un secco "niet". "Non siamo in grado di affrontare altre uscite - è la posizione di Tremonti - non possiamo non tenere conto dell'andamento dei nostri conti pubblici".

Ma quel che più sta facendo montare la rabbia del Cavaliere, è la linea del confronto con il centrosinistra. Una ragnatela di contatti che per il premier sta diventando troppo fitta. Il dialogo con D'Alema, i rapporti con Casini, il feeling ritrovato con Gianfranco Fini. Un quadro che fa aleggiare su Via del Plebiscito uno spettro: che sia già iniziata la corsa al "dopo-Berlusconi". E che anche "l'amico Giulio" si stia attrezzando. Anche perché nella "campagna del dialogo" sta entrando perfino la Cgil di Guglielmo Epifani.

Sospetti che presto potrebbero gonfiarsi. I riflettori verranno puntati sul prossimo convegno organizzato, attraverso Tremonti, dall'Aspen Institute. Il 23 novembre, a Lecce, si terrà infatti un incontro dal titolo "Nuovi paradigmi di progresso e capitalismo". Con una lista di ospiti piuttosto indicativa. I "mediatori" sono Giuliano Amato e lo stesso ministro. Tra gli invitati non c'è nemmeno un esponente del Pdl. C'è però Massimo D'Alema e Guglielmo Epifani. Nel campo della maggioranza c'è solo un leghista, Giancarlo Giorgetti. Poi una sfilza di imprenditori e boiardi di Stato, di banchieri e professionisti. Il direttore generale del Tesoro Grilli e il presidente della Banca Popolare di Milano Ponzellini, l'Ad della Cassa Depositi e Prestiti Verazzani e il presidente di Rcs Marchetti, il garante Catricalà e l'ad di Vodafone Colao, il capo di Fasteweb Parisi e il presidente della Lega delle Cooperative Poletti. Un analogo seminario, tenutosi l'8 ottobre scorso, aveva mandato Berlusconi su tutte le furie.

Forse, allora, non è un caso che di recente si sia attivata la diplomazia di Palazzo Chigi. Contattando alcune cancellerie europee per porre sul tappeto la candidatura dell'Italia alla presidenza dell'Eurogruppo. Una poltrona disponibile a marzo e idonea al ministro dell'Economia. E marzo sarà il mese più adatto per un eventuale "rimpasto". Dopo le regionali qualche altro ministro potrebbe lasciare l'esecutivo per un "Governatorato".

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La destra zelig

Messaggioda franz il 21/10/2009, 8:39

IL COMMENTO
La destra zelig
di MASSIMO GIANNINI

Come il leggendario Leonard Zelig di Woody Allen, Silvio Berlusconi torna per un giorno presidente-operaio, e fa improvvisamente sua l'"apologia del posto fisso" azzardata il giorno prima da Giulio Tremonti. È il principio fondativo del populismo autoritario: nulla di ciò che interroga e investe il rapporto messianico con le "masse" deve sfuggire al dominio e al verbo del capo. Anche a costo di produrre solo demagogia, condizione fisiologica per il populista, a qualunque latitudine si trovi a governare.

Ma quando l'identificazione mimetica si spinge a coprire tutto e il contrario di tutto, fino a generare forme di vera e propria "apostasia", allora si sfocia in una dimensione diversa, chiaramente patologica. È quello che succede oggi, al governo del Paese. La sortita del ministro dell'Economia, che dopo anni di esaltazione del lavoro flessibile riscopre le virtù sociali di quello stabile, è un caso da manuale. Ha due significati di fondo.

1) Il primo è un fattuale significato politico. È vero che questo clamoroso "ripudio" del liberismo applicato ai rapporti di lavoro è in parte coerente con l'evoluzione anti-mercatista del Tremonti di quest'ultimo anno e mezzo. Ma è altrettanto vero che, se all'ultimo elogio del posto fisso si aggiungono la crociata contro i banchieri privati, le "dodici tavole" contro gli speculatori mondiali, il prefetto che controlla le banche, la rievocazione delle vecchie "Bin" (gli istituti misti "di interesse nazionale"), la riedizione della Cassa per il Mezzogiorno, allora non siamo più a Colbert. Siamo al Leviatano di Hobbes. Forse siamo già in pieno Gosplan. Il superministro, partito dalla brillante critica agli eredi del Pci disinvoltamente transitati "from Marx to market", compie il passaggio inverso: va lui, direttamente, "from market to Marx". Ma quando il "revisionismo" intellettuale si spinge fino al punto di rinnegare tutti i capisaldi della sedicente "filosofia" modernista e anti-statalista in nome della quale il Pdl ha stravinto le elezioni, allora c'è un problema. Può darsi che il diabolico Giulio "spiazzi" anche il centrosinistra, come qualcuno ha detto. Ma è più probabile che, nel frattempo, disorienti prima di tutto il centrodestra.

Non è un caso, ma sui temi dell'economia capita a Tremonti quello che sui temi sociali capita a Fini. Parlano di una destra radicalmente "altra" da quella che Berlusconi e i suoi fedelissimi hanno rappresentato e rappresentano nella storia di questi ultimi 15 anni. Perché lo fanno? Il peggio che si possa dire (e che probabilmente il Cavaliere paventa) è che si preparino a un dopo Berlusconi nel quale maggioranza e opposizione dovranno ricominciare a parlare un linguaggio comune. Il meglio che si possa pensare (e che palesemente i fatti dimostrano) è che questo centrodestra incarnato dall'uomo solo al comando manifesta un pauroso deficit di identità politica. Il "blocco sociale" esiste, è vasto, radicato nella società e probabilmente ancora maggioritario nel Paese. Ma ancora una volta è tenuto insieme dagli interessi, molto più che da un progetto culturale definito e da un impianto valoriale condiviso.

2) Il secondo è un potenziale significato economico. Sarebbe sbagliato liquidare le parole di Tremonti solo come il banale inizio della campagna elettorale per le regionali. Se la riflessione del ministro non è stata solo una sparata fatta per prendere un po' più di voti, e se il presidente del Consiglio è convinto davvero che quella posizione sia giusta, allora la sfida va raccolta e rilanciata. Senza rifugiarsi nel comodo passatismo anacronistico di certa sinistra radicale, che adesso chiede "un decreto legge per bloccare tutti i licenziamenti nel settore privato", neanche fossimo in Unione Sovietica e dovessimo passare "dalla Nep all'economia di guerra". Ma cercando, ancora una volta, di scavalcare questo centrodestra sul difficile terreno del riformismo. Purtroppo nessuna economia, nemmeno quella pianificata, può garantire il posto di lavoro a tutti.

Ma signori del governo: credete davvero che in questi anni si sia ecceduto nella flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, e che la nuova "variabile indipendente" del sistema, invece del salario, sia diventato il precario? Se la risposta è sì, allora aprite subito un tavolo con le parti sociali. Si deve riformare (senza buttarla tutta alle ortiche) la famosa legge 30, che una destra settaria e ideologica ha voluto intestare a Marco Biagi, mentre il piano del giuslavorista assassinato dalle Br era ben altro. Si deve ripensare la struttura dei contratti collettivi, per modificare le regole di ingresso nel mercato del lavoro e avvicinare quanto più possibile le tutele tra chi ha un contratto permanente e chi ha un contratto temporaneo. Ci sono già diverse proposte sul tappeto: dal contratto unico di Tito Boeri al piano Flexsecurity di Pietro Ichino. Se ne discuta, senza pregiudizi. Infine si deve accompagnare, a quella modica ma necessaria quota di flessibilità che il mercato del lavoro deve comunque conservare, la grande riforma degli ammortizzatori sociali che proprio Biagi sognava, a corredo della sua proposta. Per evitare, come ha detto il governatore della Banca d'Italia Draghi, che ben 1 milione 200 mila lavoratori dipendenti si ritrovino senza alcuna indennità se perdono il posto, che ben 450 mila para-subordinati siano già oggi privi di alcun sussidio, e che un disoccupato su 5 sia tuttora scoperto dal sistema di protezione sociale. E qui sul tappeto non c'è proprio niente, se non le chiacchiere di Sacconi che promette miliardi di cui nessuno sa più la provenienza, e Brunetta che ripete "il nostro è il miglior sistema di Welfare del mondo".

Eppure, proprio questo sarebbe il campo per una magnifica battaglia di riforme. Servirebbero un governo capace, una destra responsabile, una sinistra consapevole, una Confindustria lungimirante, un sindacato coraggioso. Ma c'è una traccia di tutto questo, nell'Italia di oggi?

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Re: Kompagno Tremonti

Messaggioda Robyn il 21/10/2009, 22:30

Tremonti ci ha visto bene.Sono Brunetta e Sacconi che vivono nel passato liberista.Quanto alla Mercagaglia e vero che serve una flessibilità tutelata e regolata,ma è il cs deve avere la capacità di proporre una sua idea.Esiste l'economia globale,ma non è vero affatto che in questo contesto non si possa creare stabilità nel lavoro.Bisogna analizzare bene le cose e dar vita ad un'archidettura della legge molto diversa dall'attuale legge Biagi.E vero,la stabilità del lavoro favorisce la stabilità familiare,lo stimolo dei consumi,la possibilità di fare progetti per il futuro.La precarietà può invece demolire un'intera generazione ed un'intero sistema economico Ciao Robyn
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Re: Kompagno Tremonti

Messaggioda Robyn il 22/10/2009, 9:07

La flessibilità non è eliminabile del tutto,può essere fisiologica ,ma bisogna combinare flessibilità e sicurezza sociale,e fare tutti quegli interventi tesi a creare stabilità nel lavoro.Non bisogna mai dimenticare che lo stimolo dei consumi è un'investimento che si fà sull'economia.Questa cosa una volta era garantita dalla stabilità del lavoro.La precarietà fà mancare i consumi e i contributi previdenziali.Se con la precarietà i giovani di oggi avranno pensioni da fame questo significherà in futuro che ci sarà una quota non marginale di popolazione che non potra contribuire con i consumi alla crescita dell'economia.Se invece un qualsiasi cittadino potrà aquistare significherà che guadagnerà il commerciante e l'industria che potrà incrementare la produzione e quindi l'occupazione.La precarietà non favorisce la stabilità familiare e quindi quel tessuto che stimola e fà camminare l'economia Ciao Robyn
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Tremonti: chiarire o sono pronto a lasciare

Messaggioda franz il 23/10/2009, 7:53

Tremonti, telefonata con Berlusconi: chiarire o sono pronto a lasciare
Il ministro dopo le critiche: no alla linea della spesa pubblica

ROMA — È stato un collo­quio tesissimo.
Durante il qua­le Giulio Tremonti ha chiesto a Silvio Berlusconi una scelta di campo netta e definitiva. O la linea europea, quella del rigore e della ragionevolezza sui con­ti pubblici, o quella della spe­sa. Ben interpretata, secondo il ministro dell’Economia, dai concetti espressi da Gianfran­co Fini ieri sul Corriere della Sera . È stato quasi superfluo aggiungere che lui, Giulio Tre­monti, non rimarrebbe un mi­nuto di più al suo posto nel go­verno se il premier dovesse scegliere la via facile della spe­sa pubblica. Doveva essere una telefona­ta distensiva, quella fatta ieri a tarda sera al ministro dell’Eco­nomia dal presidente del Con­siglio, che dalla Russia tornerà solo questa mattina. Il tentati­vo di rassicurarlo dopo l’an­nuncio improvviso, affidato a Gianni Letta, di una «graduale riduzione dell’Irap fino alla sua soppressione». Che dire sia sta­to accolto con sorpresa dal tito­lare dell’Economia è forse un eufemismo.

Dopo il ritorno in campo di Fini sulla politica economica e il documento dei dieci punti che chiede un cambio di pas­so, smentito da tutti ma segno evidente del clima che si respi­ra nella maggioranza, la sortita sull’Irap è stata la classica goc­cia di troppo nel bicchiere. Va bene che la riduzione «gradua­le e progressiva» dell’Irap è prevista dal programma eletto­rale del Popolo della Libertà. Ed è pure vero che lo stesso Tremonti, non più di una setti­mana fa a Milano, parlava del­­l’Irap come di «una delle critici­tà del sistema». A differenza della Francia, che ha finito con il mettere tre nuove tasse, dice­va il ministro dell’Economia, «se noi eliminiamo l’Irap la eli­miniamo e basta». Il problema sta in quel «se», pronunciato dal titolare del Tesoro. Perché una discussione sui tempi, la quantità e le modalità tecniche dell’operazione non c’è mai sta­ta all’interno del governo o del­la coalizione di maggioranza. E abbattere l’Irap non è un’operazione semplice. Ogni anno quella tassa, per quanto odiata, porta nelle casse dello Stato una quarantina di miliar­di di euro. Perché il taglio sia sensibile, ed avvertibile dalle imprese che ieri si sono subito lanciate in grandi apprezza­menti al premier, servono ri­sorse che oggi è impossibile trovare nel bilancio. A disposizione ci sarebbe­ro pure il gettito dello scudo fiscale, che potrebbe anche arrivare a oltre 5 miliardi di euro, ed una parte dei fondi per i Tremonti Bond alle ban­che, che avanzano.

Ma nono­stante quel che dice qualche ministro, con le «una tantum» non è proprio possibile finan­ziare una riduzione strutturale delle tasse, come sarebbe in ogni caso il taglio dell’Irap. Si potrebbe fare in deficit, ma la tenuta del bilancio per Tre­monti è la condizione indi­spensabile per il rilancio del­l’economia, ma anche per con­tinuare a collocare tutti i mesi gli enormi quantitativi di ti­toli di Stato che servono per finanziare il debito pubbli­co. Non a caso, ieri, le agen­zie di rating hanno soppe­sato la proposta del pre­mier con grande perples­sità, parlando di «un cambio di rotta sorpren­dente ». «Finora l’Italia non ha preso misure di­screzionali di taglio delle tasse — sottolineano gli analisti dell’agenzia di ra­ting Fitch — tenendo un comportamento responsabile dato l’elevato debito pubbli­co ». Per il taglio dell’Irap servi­rebbero altrettanti tagli di spe­sa pubblica. Una scelta va fatta. Oggi Berlusconi e Tremonti, at­teso in serata a Lecce per la due giorni a porte chiuse del­l’Aspen, si parleranno. Gianni Letta, che ieri sera ha vestito di nuovo i panni del mediatore, dopo una giornata di forte ten­sione, fa intendere un certo ot­timismo. Il colloquio avverrà subito prima del Consiglio dei ministri durante il quale, sem­mai il faccia a faccia tra il pre­mier e il ministro avesse esito positivo, tutto dovrà esser mes­so ben in chiaro sul tavolo.

Mario Sensini
23 ottobre 2009
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Re: Kompagno Tremonti

Messaggioda Robyn il 23/10/2009, 18:08

A proposito di riforma della legge Biagi bisogna fare una valutazione circa la proposta del giuslavorista Ichino.La proposta prevede un contratto unico in cui si viene assunti a tempo indeterminato e in cui c'è la flessibilità in entrata dopodiche c'è la stabilizzazione Ciao Robyn
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Lite al telefono tra Berlusconi e Tremonti

Messaggioda franz il 24/10/2009, 9:12

Oggi chiarimento ad Arcore tra il premier e il ministro. "Ma non portare i leghisti"
"L'austerità" di Tremonti irrita il Cavaliere, che alle Regionali punta su un calo delle tasse

"Fammi vicepremier". "No, ora basta"
lite al telefono tra Berlusconi e Tremonti

di CLAUDIO TITO

ROMA - "Io le dimissioni le ho presentate. Stanno sulla tua scrivania di Palazzo Chigi. Tocca a te decidere. Ma per quanto mi riguarda, un modo per arrivare al chiarimento c'è. Nominami vicepresidente del consiglio con deleghe piene". "Vicepremier? Non esiste. E poi cosa dico a quelli di An? Stai esagerando. Con te non ce la faccio più". La linea tra Roma e San Pietroburgo è rovente. Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sono ai ferri corti.

I colloqui tra i due sono tesissimi
. A tratti scorbutico. Chi ha assistito alle due telefonate intercorse sulla direttrice Italia- Russia, le definisce drammatiche. Con un elemento che mai era emerso in passato: il deterioramento dei rapporti personali.
E a poco è servita la mediazione di Gianni Letta. Le incomprensioni restano. Il capo di Via XX Settembre vuole "un chiarimento definitivo" e ai suoi ha confidato: "Non so se la prossima settimana sarò ancora ministro". Così, la rabbia del Cavaliere è arrivata al punto di dover inventare una scusa meteorologica (la neve in Russia) pur di non partecipare al consiglio dei ministri di ieri mattina e di non incontrare "l'amico Giulio". "Se vado adesso - ha spiegato a Letta - succede il finimondo. Parleremo a freddo. Ma il Chiarimento, a questo punto, lo pretendo io". Oggi dovrebbe esserci un faccia a faccia nella villa di Arcore. Ma l'appuntamento, secondo l'inquilino di Via del Plebiscito, deve avere una condizione: avvenire senza la "scorta" leghista. Senza, insomma, la difesa di Umberto Bossi.

Le parole lanciate dalla dacia di Putin verso la Capitale, sono durissime. "Ormai - si è lasciato andare con un ministro - Giulio assomiglia sempre più a Padoa-Schioppa. Non ce la faccio più. Sembra quasi che stia remando contro. Se potessi, lo manderei via subito". Ecco, il punto di svolta. L'ipotesi di un "licenziamento" non è più esclusa. Una sacrificio da consumare sull'altare di quello che ormai viene chiamato il "Predellino fiscale". Ma quel "se potessi", fa capire che la scelta non è per niente facile. Una "voglia" mai manifestata nemmeno nei momenti più bui, quelli del 2005. Eppure qualche nome, per la successione, già circola dalle parti di Palazzo Chigi. Quello di Renato Brunetta, ad esempio. Per ammansire la Lega e separarne il destino da quello di Tremonti, un altro candidato è stato suggerito al Cavaliere: Giancarlo Giorgetti, il presidente lumbard della commissione Bilancio della Camera.

Un pressing, insomma, che ha trasformato il "chiarimento" in un passaggio "imprescindibile" per il capo dell'Economia. "Il Pdl organizza la fronda contro di me. Molti ministri tramano alle mie spalle. E soprattutto si prospetta una politica economica ben diversa da quella sostenuta in questi mesi. Diversa da quella "sostenibile"". Il riferimento è all'intenzione di tagliare l'Irap. Prima annunciato dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, e poi confermato dal sottosegretario Letta. Un intervento non concordato. Tant'è che ieri arrivavano i report delle agenzie di rating con un comune denominatore: giudizio negativo sul taglio delle tasse. Non è un caso che per rasserenarlo, Letta - davanti alla Conferenza Stato-Regioni - abbia definito "impossibile" la soppressione di quell'imposta.

La mediazione del sottosegretario, però, è un'iniziativa autonoma. Per il Cavaliere, invece, non è affatto "impossibile". Non solo. Il premier si è fatto scappare un progetto che ha letteralmente terrorizzato l'Economia: la riduzione dell'Irpef. L'imposta sulle persone fisiche. E già, perché Berlusconi si sente in un angolo. In vista delle regionali - che considera un voto sull'esecutivo - spinge per una sorta di "Predellino fiscale". Una svolta maturata dopo le elezioni in Germania. Quando il Cancelliere Merkel, una volta formata l'alleanza con i liberali, ha annunciato il taglio delle aliquote. Da sempre, del resto, il Cavaliere vagheggia una sistema con due solo aliquote: al 23% e al 33%.

Il titolare del Tesoro, allora, si sente sempre più isolato. Con tanti ministri del Pdl infastiditi dall'atteggiamento del "collega", con Gianfranco Fini irritato per la scarsa propensione a alimentare i consumi, con la Confindustria decisa a sostenere le proprie ragioni "fiscali" e con il mondo delle banche pronto al regolamento dei conti. La mossa di ieri, poi, di mettere sul tavolo delle Regioni ben 3 miliardi per la spesa sanitaria ha colto di sorpresa un po' tutto l'esecutivo. "Fino a ieri non c'era una lira - si lamenta un ministro Pdl - e ora spuntano tre miliardi. Non è che c'è un tesoretto nascosto che Giulio vuole usare per il futuro? Per il suo futuro politico?". Un dubbio che avvolge pure Berlusconi: "Se qualcuno pensa di farmi fuori, la risposta saranno le elezioni anticipate". Forse il vero obiettivo del premier.

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...
Il premier, rimasto bloccato in mattinata a San Pietroburgo «a causa di una tempesta di neve» - questa giustificazione era stata diramata dalle agenzie di stampa che l'avevano attribuita all'entourage del premier ma era poi stata smontata in tempi brevi dal popolo del Web che aveva controllato sulle webcam e sui siti di meteo worldwide -, è giunto nel primo pomeriggio all'aeroporto della città russa per rientrare in Italia, atterrando però a Milano e non a Roma. ...
Ulteriori dettagli sulla bufala meteorologica: viewtopic.php?f=25&t=2045
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