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La lezione di Prodi

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

La lezione di Prodi

Messaggioda mariok il 10/09/2009, 15:06


La lezione di Prodi: «Ci rubano gli ingegneri, l’Italia non innova più»
di Bianca Di Giovanni

Quando in Confindustria comincia a parlare Romano Prodi inizia un «film» sul mondo e sull’Italia radicalmente diverso da quello «proiettato» fino a un minuto prima da Maurizio Sacconi. Tutto cambia: analisi e prospettive. A cominciare da quelle ampie, che hanno per orizzonte gli equilibri geopolitici. Il ministro del lavoro parla di un «patto transpacifico» che gli Stati Uniti stanno imbastendo con la Cina. Per lui sarebbe la fine del patto Atlantico, e l’inizio per l’Europa di nuove alleanze. Quelle con Russia e arabi (leggi Libia). Il governo è «amico di Putin» (come il premier) e nemico degli «anglo-cinesi ». Per l’Italia è uno stravolgimento, un gioco pericoloso che isola la penisola del consesso occidentale.

Per Prodi invece proprio il rapporto con la Cina è la formula per battere la crisi. «State attenti che la Cina è inarrestabile - avverte Prodi – Meglio averla come alleata e prendere i vantaggi». Per aver detto questo, l’ex premier si è preso «molte legnate» in passato. Ma oggi quel messaggio è più vero che mai. Perché nella storia «si è usciti dalle crisi o con le guerre, o con le grandi innovazioni (tipo elettricità o telefonia), o con l’inflazione – osserva prodi - Stavolta abbiamo un solo strumento: che il miliardo e 300 milioni di consumatori diventino cinque miliardi». Serve l’espansione dei Paesi in via di sviluppo, servono nuove opportunità per miliardi di persone (il contrario di quel che fa il governo con i respingimenti). Servono buone relazioni internazionali. La conclusione è opposta, perché opposta è l’analisi su priorità e percorsi. Il ministro invita i giovani ad «andare a lavorare, a fare anche lavori umili. Basta con la retorica della precarietà, basta con quelle lauree forzate che arrivano a 30 anni». Su questo la reazione di Prodi e secca. «Quale genitore direbbe a suo figlio: fai il mungitore. E poi bisogna mungere tutte le mattine». L’ex premier parla di giovani ingegneri che «la Germania ci ruba perché costano quasi la metà dei colleghi tedeschi,ma sono bravissimi». Cervelli sottopagati, merito non riconosciuto, mobilità ferma. Questa la condizioni dei giovani, che meriterebbero una scuola diversa. «La riforma della scuola è quella più importante - dice Prodi - vale il 90%».

Visioni diverse anche sullo sviluppo del Paese. Per Sacconi è il terziario che avanza, per Prodi l’unico vero punto di forza dell’Italia è la struttura produttiva, la manifattura. Solo la Germania supera l’Italia in Europa quanto a peso della produzione industriale. per uscire dalla crisi non si può ignorare il tessuto produttivo,con le sue peculiarità di milioni di piccole imprese. Prodi lo sa, e decide di continuare a visitare, fabbrica per fabbrica, questo mondo del lavoro. Oggi è quasi una rarità per gli economisti, che producono più su modulistica astratta che su osservazione empirica. Studiare, analizzare, osservare. Un lavoro faticoso e «pericoloso». «Una volta - rivela il Professore - Cuccia mi disse: non vada tanto in giro per le industrie, perché ci si affeziona». «La manifattura è il sostegno dell’economia italiana - spiega - ed è l’unica voce che abbiamo ancora nel mondo». Per uscire dalla crisi serve una politica industriale che segua tutte le fasi: domanda, produzione e ricerca. Poi occorre puntare sui settori del futuro: le scienze della vita e l’ambiente. Su questi terreni c’è molta ricerca da fare, molto da investire, molto da creare. Il suo governo - ricorda - aveva iniziato creando la domanda nel settore dell’energia rinnovabile. Poi doveva seguire la produzione e la ricerca: ma il percorso è stato interrotto. Non si sta facendo molto, e l’Italia resta al palo: non ricerca più, non innova più, non inventa più. «Negli ultimi 20 anni non abbiamo creato neanche un prodotto innovativo - dichiara - eppure eravamo il Paese che con Olivetti ha fatto da battistrada sui computer».
10 September 2009

http://www.unita.it


Il video: http://www.radioradicale.it/scheda/2866 ... -economica
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda franz il 11/09/2009, 17:10

L’ex premier parla di giovani ingegneri che «la Germania ci ruba perché costano quasi la metà dei colleghi tedeschi,ma sono bravissimi». Cervelli sottopagati, merito non riconosciuto, mobilità ferma.

Il problema è che in Italia le facoltà di ingeneria sono purtroppo scadenti sul piano dei laboratori e delle attrezzature tecniche. Nessun politecnico italiano figura nella lista dei primi 100 nel mondo o dei primi 50 in Europa.
Il rovescio della medaglia è che in questo modo preparare un ingegnere italiano costa meno (la metà, racconta Prodi) e che la preparazione è essenzialmente teorica. Molta teoria, a livelli ottimi .... e la pratica vanno a farla in Germania.
Vero quindi che i nostri migliori ingegneri sono veramente preparati ed hanno solide basi teoriche.
Vero anche che hanno piu' tempo per prepararsi (possono andare fuori corso e ripetere gli esami).
E lo possono fare perché tanto allo stato costano poco, visto che è praticamente tutta teoria e l'unica pratica la faranno con il lavoro finale di master (a meno che non sia teorico anche quello).

Nei politecnici a nord delle alpi le cose invece cambiano.
Il costo procapite è elevato e l'investimento in laboratori ed attrezzature è imponente.
Per questo non è possibile ripetere (causando costi) piu' di un anno. Non esiste il fuori corso.

Ciao,
Franz
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda Loredana Poncini il 11/09/2009, 19:59


Anche il Politecnico di Torino non è quotato a livello internazionale ? Mi pare il contrario!
Cmq la visione di Prodi merita tutta la nostra attenzione e ci indica un varco, per sbloccarci dall'ipnosi del "tanto non c'è niente da fare " propinatoci da coloro che traggono tutto il loro tornaconto dal "tanto peggio, tanto meglio" ! (un conservatorismo gretto, insomma, tipo quello che è arrivato a consigliare ad una giovinetta di sposare uno ricco come i suoi figli, per assicurarsi il futuro...! )
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda franz il 11/09/2009, 20:56

Loredana Poncini ha scritto:
Anche il Politecnico di Torino non è quotato a livello internazionale ? Mi pare il contrario!

Essere quotato significa apparire in una lista in una certa posizione.
I due poli di milano e di torino sono quotati, ma nelle parti basse della graduatoria.

http://iriospark.splinder.com/post/10199918
Quelle italiane non brillano:

Classifica mondiale delle migliori università

La SJTU, Shanghai Jiao Tong University ha pubblicato l'edizione annuale delle "Top 500 world universities", la classifica delle migliori università del mondo per l'apprendimento delle scienze fisiche, matematiche e ingegneristiche.

Come nei due rapporti precedenti l'inserimento e la graduatoria sono stati fatti in base a indicatori di notorietà, quali il numero di professori o di ex allievi che hanno ricevuto il premio Nobel o la medaglia Fields (il più alto riconoscimento scientifico per le matematiche), il numero di docenti più citati nei 21 settori delle scienze esatte e sociali, il numero d'articoli pubblicati nelle riviste "Nature" e "Science", il numero di citazioni di articoli nelle riviste scientifiche e un 10% di valutazione ponderata, legata alla quantità e alla soddisfazione degli studenti.

58 università americane, 34 europee e 8 asiatiche sono classificate tra le prime 100.

Al primo posto c'è l'Harvard University, al secondo l'University of Cambridge, che con l'University of Oxford, in decima posizione, è una delle due università inglesi presenti tra le diciassette americane e la giapponese Tokyo University nelle prime 20.

Le università italiane inserite nella classifica "Top 500 world universities" sono 23.

Roma - La Sapienza è 100ª. E' la prima italiana e la trentaquattresima europea.

Tra la posizione 101 e la 201 ci sono l'Università Statale di Milano 138ª, quella di Pisa 141ª, di Firenze 174ª, di Padova 189ª e quella di Torino 195ª.

Altre 17 università sono collocate tra la 250ª (Bologna) e la 492ª (Trieste), passando per il Politecnico di Milano in 335ª posizione, la Normale di Pisa 358ª e il Politecnico di Torino in 441ª .



Ovviamente si puo' contestare la statistica.
Come spesso facciamo.
In questo siamo bravi. :cry:

Franz
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda mariok il 12/09/2009, 15:29

Avendo lavorato per molti anni in una multi-nazionale, ho avuto regolari rapporti con colleghi di altri paesi, tra i quali anche la Germania.

Per quanto possa valere ogni generalizzazione, ho potuto sperimentare che gli ingegneri ed i tecnici tedeschi in genere si contraddistinguono per la loro sistematicità e la loro capacita di pianificazione ed ingegnerizzazione dei processi. Quasi nulla è lasciato al caso e ciò è alla base di una notevole efficienza e qualità dei risultati. Se però si verificano situazioni impreviste o fibrillazioni del contesto viene quasi sempre fuori una certa incapacità di adattamento.

Noi italiani siamo alquanto diversi. A parte la creatività, che è talvolta solo un luogo comune, ma non sempre, ci contraddistingue una notevole capacità di adattamento, che ci consente di integrarci rapidamente in un contesto diverso come per esempio quello tedesco; mentre è estremamente difficile, al contrario, che un tedesco si integri in un contesto italiano.

La prova di tali diversità si ha guardando ad esperienze impensabili in Germania, come quelle di realtà come Ferrari, Maserati, Lamborghini o Ducati. (Non dimentichiamo che Prodi è emiliano e conosce soprattutto quel tipo di contesto).

Ciò si riflette anche nella scuola e nell'università italiane, dove convivono standard generali poco esaltanti con punte di eccellenza di assoluto rilievo, a livello non di università, ma magari a livello di singolo istituto o dipartimento.

Sembrerebbe per esempio impensabile che a Napoli ci fosse uno dei migliori istituti dei motori o un eccellente dipartimento di ingegneria areonautica. Eppure è stato (non so se ancora è) così.

Naturalmene vi è un rapporto territoriale molto stretto tra scuola e tessuto economico. Non a caso, infatti, nell'esempio napoletano che riportavo, un ruolo essenziale lo ha giocato la presenza di un'industria come l'Alenia.

Mi sembra che, da questo punto di vista, il messaggio di Prodi fosse proprio quello di basare le politiche industriali e dell'educazione guardando alle concrete realtà produttive del paese, piuttosto che a modelli astratti che parlano vagamente di terziarizzazione, di economia post-industriale ecc.
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda franz il 12/09/2009, 18:32

mariok ha scritto:Noi italiani siamo alquanto diversi. A parte la creatività, che è talvolta solo un luogo comune, ma non sempre, ci contraddistingue una notevole capacità di adattamento, che ci consente di integrarci rapidamente in un contesto diverso come per esempio quello tedesco; mentre è estremamente difficile, al contrario, che un tedesco si integri in un contesto italiano.

Esattto. L'organizzazione e la capacità di pianificazione ingengneristica sono sistematici (sono "sistema") in germania (ma anche olanda, svizzera, austria, in alcuni distretti francesi e belgi) mentre da noi prevale la capacità di adattamento e di arrangiarsi.
Questo è pregevole quando possiamo adattarci ad un sistema che funziona (quando emigriamo) ma è una fregatura quando ci adattiamo all'andazzo italico che abbiamo in patria.
Adeguarsi e adattarsi è un pregio quando questo ci fa migliorare ma è un grave difetto quando finiamo con l'accettare la mala situazione casalinga.

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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda mariok il 13/09/2009, 10:53

franz ha scritto:Questo è pregevole quando possiamo adattarci ad un sistema che funziona (quando emigriamo) ma è una fregatura quando ci adattiamo all'andazzo italico che abbiamo in patria.
Adeguarsi e adattarsi è un pregio quando questo ci fa migliorare ma è un grave difetto quando finiamo con l'accettare la mala situazione casalinga.

Franz


Non sarei così drastico. Il nostro destino non è solo quello di emigrare.

Ripeto, se andiamo a vedere gli "standard" a livello paese, ne esce un quadro spesso desolante. Guardando a singole realtà, scopriamo notevoli livelli di eccellenza.

Ho già fatto gli esempi di piccole realtà come Ferrari, Ducati ecc. Ma anche i progettisti della Fiat, cosa hanno da invidiare a quelli di altri paesi?

Tornando alla "lezione" di Prodi, penso che abbia pienamente ragione quando afferma che occorre far leva sui punti di forza del nostro sistema produttivo, aiutandoli a crescere ed irrobustirsi attraverso adeguate politiche fiscali, sostegno alla ricerca ed alla formazione: non a pioggia, ma settore per settore, distretto per distretto.

Pensare che il destino del paese risieda solo nel terziario e nel turismo è un errore colossale. Così come è folle promuovere ed incentivare un'occupazione "qualsiasi" a prescidere dalla qualità e dai contenuti professionali. Che è un pò la logica del centro-destra e della legge 30 impropriamente detta legge Biagi.

Un altro nostro punto debole, secondo me, è la finanza. Non a caso, gli esempi che ho citato prima (Ferrari, Maserati, Lamborghini) hanno dovuto, per sopravvivere, essere acquisiti da gruppi più grossi.

E qui credo che il problema si sposta sul nostro mercato mobiliare, che è asfittico e dominato dalla speculazione di pochi.

Eppure in Italia c'è denaro in cerca di investimenti, lo dimostra l'elevata richiesta di titoli di stato a rendimento zero, ma sicuri. Quando ero giovane mi dicevano che le vecchiette americane investivano i loro risparmi nelle azioni della IBM!

Basterebbero regole ed istituzioni di controllo più autorevoli ed efficaci per dare fiducia e dirottare risorse dai "beni rifugio" come il mattone (che non a caso da noi non è mai veramente in crisi) verso le imprese, a patto però che siano gestite in maniera trasparente e ben controllata.

Anche sul piano fiscale, mi sembra un'assurdità tassare gli utili di impresa più dei profitti speculativi come il capital gain o i derivati.

Ma il discorso diventa lungo...
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda pierodm il 13/09/2009, 12:44

Mariok, hai ragione: il discorso diventa lungo, ma è il solo discorso che vale la pena fare.
Se non si approfondisce questo discorso, si rimane sempre sulla banalità teorica della "impresa" e del "mercato" che virtuosamente cura e risolve tutti mali, e si continua a chiacchierare di "riformismo" senza capire bene di quali riforme si sta parlando.

Reduce, da pochi minuti, dalla lettura di ciò che sta affrontando Obama negli USA - la veemente campagna ostile alla sua riforma sanitaria, orchestrata dai repubblicani e dalle lobbies interessate - intendevo aprire un argomento su questo tema, ma va bene anche inserire qui ciò che ho da dire a questo proposito.
Leggendo gli slogan e le invettive usate contro la riforma di Obama, mi è venuto spontaneo metterle a confronto con le obiezioni che da diversi anni percorrono il centro-sinistra contro i "massimalisti" e contro in definitiva la "sinistra" da parte dei centristi - vedi per esempio le pretestuose argomentazioni di Rutelli di questi giorni.
Forse solo la violenza ingiuriosa degli slogan fa la differenza tra la campagna americana e la contrapposizione italiana, ma la cosa è spiegabile sul piano "stilistico" col fatto che negli USA si tratta di due fazioni opposte, che fanno capo a partiti opposti e a interessi opposti.
La sostanza però è molto simile. In particolare il fatto che si ricorre con grottesca faciloneria all'accusa di stalinismo, statalismo, comunismo, per il solo fatto che una riforma abbia un sapore "sociale", ossia che appaia in effetti come una riforma vera e non un aggiustamento tecnocratico del sistema esistente.
A parte il fatto che il lato grottesco non è meno grave perché si tratta di schieramenti opposti, negli USA, tuttavia è certamente assai meno spiegabile e concepibile che aspetti molto simili del confronto siano presneti all'interno di un centro-sinistra italiano.
Tra l'altro, esiste anche una questione di merito.
Sul tema della sanità, ma anche di altri servizi e istituti di pubblica utilità, esiste nel nostro centro-sinistra una serpeggiante corrente d'idee che vede di buon occhio una declinazione "privatistica" - non solo limitata ad un ruolo integrativo del privato rispetto al pubblico, ma proprio come base di una vera riforma generale dei diversi settori di servizi e gestione di beni (vedi per esempio le acque).

Per esempio, Rutelli e altri come lui - anche quelli che non hanno in animo di spostarsi verso l'UDC o una Nuova DC - dovrebbero spiegare che cosa intendono quando parlano di una deriva verso sinistra, inaccettabile, etc etc etc: quali cose, quali atti, quali riforme, intendono.
Quello che vedo e che leggo, invece, sono solo fumosità, accenni vaghi e retorici, che possono significare tutto e il contrario di tutto, e che puzzano solo di confessionalismo.
Si può fare su queste basi, secondo voi, un partito serio e forte?
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda franz il 13/09/2009, 17:15

pierodm ha scritto:Si può fare su queste basi, secondo voi, un partito serio e forte?

Non si puo' fare nulla da nessuna parte, destra come sinistra o centro, se prevalgono i massimalismi di ogni fronte.
Questo vale sia quando si tacita di "stalinismo, statalismo, comunismo" ogni misura sociale, sia quando si tacita di neoliberismo selvaggio, fascismo e ogni altra nefandezza attribuibile alla destra per ogni misura in cui il mercato abbia piu' prevalenza di quanto ne abbia oggi in Italia.
Preso atto di questo, ammesso di essere d'accordo, abbiamo fatto passi avanti?
O ne faremmo se fossimo d'accordo?

Franz
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Re: La lezione di Prodi

Messaggioda pierodm il 13/09/2009, 19:24

Allora, cambiamo la domanda.
Si possono fare discussioni serie, se ogni volta diamo un colpo al cerchio e uno alla botte? Se di fronte alla necessità di affrontare un problema c'inventiamo l'acqua calda degli "opposti estremismi"? - facciamo la casa non tanto grande ma nemmeno troppo piccola, spendiamo più soldi per la sanità ma non tutti quelli che abbiamo per la sanità soltanto, organizziamo meglio l'accoglienza per gl'immigrati ma non mettiamogli in mano le chiavi delle nostre case, etc.
Discorsi del genere non è che non servono a niente perché si è d'accordo o in disaccordo, ma perché sono discorsi stupidi, nel senso proprio di "non intelligenti", ossia che non entrano minimamente nel merito dell'argomento ma mirano solamente a non concedere all'interlocutore quello che viene considerato un "vantaggio". Puro espediente dialettico.

... neoliberismo selvaggio, fascismo e ogni altra nefandezza attribuibile alla destra per ogni misura in cui il mercato abbia piu' prevalenza di quanto ne abbia oggi in Italia -dice Franz.
In questa frase ci sono due anomalie, rispetto al nostro discorso.

La prima. "La destra": infatti io non ponevo il problema di ciò che si dice, esagerando o meno, tra schieramenti opposti, ma ponevo il problema di ciò che si dice all'interno di uno stesso schieramento, o peggio ancora di uno stesso partito.
Si presuppone che in un partito democratico - italiano o americano, o un partito socialista/socialdemocratico europeo - ci sia più attenzione verso le riforme sociali, rispetto a quelle classicamente liberiste: rimane da capire se questo solo fatto sia sufficiente a giustificare la qualifica di "statalismo".

La seconda. Il mercato. Franz, con molta superficiale approssimazione, attribuisce alla destra una posizione automaticamente favorevole al mercato, laddove in realtà non è così, né in Italia, e spesso nemmeno in America, dato che l'idea di mercato che ha la destra è molto più vicina al monopolismo o all'oligopolismo che ad un mercato realmente libero.
Questo implica che le stesse forze e le stesse correnti di pensiero che lavorano per le riforme sociali, devono anche lavorare per il libero mercato - un libero mercato democratico, ossia non quello delle multinazionali, delle lobbies e della finanza libera da ogni controllo.

Quindi, torniamo alla casella di partenza: invece che discettare sugli opposti estremismi, sarebbe bene capire che genere di riforme vogliamo fare, a favore di chi e in vista di quale tipo di società.
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