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Il vicolo cieco della sinistra.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 01/09/2009, 11:24

Caro Piero,
comprendo che solo sentire idee cosi' diverse come le mie possa apparire offensivo ma questo è un caso soggettivo (tuo o eventualmente di altri) a cui non posso trovare rimedio, se non eventualmente sparendo.
Le tue ironie sulla mia persona invece sono oggettive e ti invito espressamente a cessare questo comportamento.
Se poi non sono stato convincente mi dispiace ma anche qui posso farci ben poco.
Il thread diventa noioso se si insiste sulle stesse cose e non vorrei poi sentirmi dire che spiego le cose come ai bambini.

Quanto al definire "stravaganti" certe idee, da parte di chi esprime teorie marxiste che oggi a livello politico hanno un gradimento da "prefisso telefonico" (nemmeno bertinotti da qualche anno ritene valido Marx) è tutto dire.
Per me la stravaganza è sostenere ancora la validità del marxismo (in toto o in parte) ma ognuno ha le sue opinioni lecite e legittime. Almeno qui da noi per idee stravaganti non si finisce in una clinica psichiatrica per la rieducazione dei dissidenti.

Comunque per lo meno siano riusciti a stabilire che chi ritiene che il lavoro non debba essere una merce ritiene che oggi lo sia mentre altri dicono che non solo non deve essere, ma nemmeno lo è.
Per il resto siamo in un vicolo cieco, come dice il thread, e ci rimarremo fintanto che non elimineremo il marxismo ed i suoi miti e credenze.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda pierodm il 01/09/2009, 12:37

Caro Mariok, le ragioni per le quali non mi sono mai sentito "marxista" sono molto simili alle tue.
Ma i limiti del marxismo che individuavo non m'impedivano di vedere le sue qualità, anche se non le ho mai considerate come un'illuminazione assoluta - forse perchè sono strutturalmente incapace di credere in qualcosa di assoluto, in queste categorie di pensiero e probabilmente in qualunque altra categoria.

Mi sembra, per altro, che tu poni la questione correttamente - come correggere le storture attuali? - ma il fatto è che ci sono correnti ideologiche in questo centro-sinistra che queste storture non le vedono, o se le vedono le considerano ineluttabili, o se non le considerano ineluttabili pensano che si possano corregere confidando negli stessi meccanismi, appena marginalmente differenti, nei quali confida la destra.
Cosa ancora più grave - ma qui andiamo sul complicato - è che non si tratta soltanto di prospettive di metodo, ma di giudizi di valore sulla natura e il significato di queste "storture", i quali lasciano intendere che serve a poco discutere e arrovellarsi sperando di trovare una sintesi.

A Franz dico solo che le sue idee non sono affatto "così diverse": diverse da che e da chi?
Sono idee che sento profferire in varie forme da quando sono ragazzino, e che leggo da quando adolescente ho divagato qua e là per la letteratura delle varie epoche dell'ancien regime. Niente di più diffusamente banale, insomma, sia pure messo in bella copia infiocchettata "scientificamente".
Un'avvertenza: spesso scambi per ironia il semplice riflesso di ciò che tu stesso hai detto, nel momento in cui ti viene riproposto sotto un'altra luce.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda annalu il 01/09/2009, 12:42

Sto leggendo solo ora il forum, ed arrivata a questo punto non riesco a non intervenire. Poi leggerò come è proseguito il dibattito, quindi forse dirò cose che altri hanno già detto, ma lo faccio ugualmente.
franz ha scritto:
mariok ha scritto:Il fatto che vi siano teorie “matematiche”, che sinceramente ignoro, che dimostrerebbero “l'ineluttabilità” della distribuzione ineguale della ricchezza, non mi sembra che basti a rendere per questo sostenibile ciò che appare come insostenibile.

Senti, mariok, anche la gravità puo' essere insostenibile per uno che pesa 140 Kg ma oggettivamente per risolvere i suoi problemi dimagrisce, non è che dice che la teoria dei gravi è insostenibile.
La relatà va accettata, anche quando non ci piace.
Anche il fatto di dover morire per molti è insiotenibile, eppure non ce la prendiamo con le teorie, anzi abbiamo inventato teorie che cercano di indorarci la pillola (con un ipotetico aldilà) mentre la scienza (con ben altre teorie) concretamente ha aumentato la nostra aspettativa di vita. magari non sappiamo come (lo ignoriamo) ma io credo che sapendo bene le cose anche cio' che inizialmente non è accettato diventa piu' comprensibile.
Accettiamo le cose che comprendiamo. Rifiutiamo le cose che ignoriamo.
Franz


Questa discussione tra Franz e Mariok mi sembra basata su una lettura distorta di dati scientifici.
Quello che è stato dimostrato, è che, se in una qualsiasi situazione si pongono una serie di individui in condizioni di partenza identici, poi nel tempo questi individui si diversificheranno. Se si prende in considerazione il fattore ricchezza, alcuni diventeranno più ricchi altri meno.

Questo è il risultato della ricerca.
Direi che, come spesso accade nel mondo scientifico, è stata scoperta l'acqua calda, solo precisandone le caratteristiche e le modalità.
Scoperta dell'acqua calda, perchè sappiamo bene che nella vita, in ogni occasione, il caso gioca un ruolo importante.
Hanno un bel essere partiti tutti dalle stesse condizioni di partenza: uno si ammala e altri no, uno trova un percorso da segire che lo porta su un percorso più agevole ... e via così, fantaticando.

Nel caso delle società umane poi, lae "identiche potenzialità" alla nascita sono una pura utopia, le condizioni di partenza sono diverse da individuo a individuo ... ma ...

Qui intervengono le scelte, e l'utilità di certe ricerche.
Sappiamo che, anche se le condizioni di partenza fossero realmente uguali per tutti, poi le casualità della vita porterebbero a differenze anche enormi: ad esempio, una carestia che distrugga i raccolti può portare alla fame una popolazione rurale, mentre la scoperta di una matreria prima importante può arricchire un'altra popolazione.

Dunque, sappiamo che il caso è importante.
E allora che facciamo? Stiamo a veder morire chi si è impoverito, ed arricchirsi chi ha avuto fortuna?

Il compito della civiltà, il compito di chi "crede" nella sostanziale uguaglianza di tutti gli esseri umani, è quello di ridurre al minimo l'incidenza del caso sulla vita dei singoli.

Dato per accettato che una certa diversificazione è inevitabile ed anche positiva, la società civile opera perché queste differenze si mantengano entro certi limiti, e perché nessuno scenda sotto una soglia, che noi definiamo come soglia di povertà.

Poi, come ottenere questo risultato, è compito della politica e degli studiosi di politica.
Marx ha fatto un lavoro fondamentale, ha elevato la politica al livello di scienza. Ha elaborato una teria che dava dignità alle classi più umili, e questo, quasi due secoli fa.

nel '900 ci sono stati tentativi di applicare le teorie di Marx che si sono rivelate terribili dittature. Su questo non c'è dubbio, come non c'è dubbio che una teria così antica non può essere riteuta valida e applicabile nel presente.

Quando si discute di una teoria, se ne valuta l'importanza dalle ricadute che ha avuto nel seguito.
Per me il marxismo è superato, ha provocato catastrofi in chi ha preteso di darne un'applicazione forzata, ma ha anche modificato molto il modo di pensare di tutti, e praticamente tutte le società occidentali, soprattutto europee, hanno recepito in qualche misura il messaggio del socialismo democratico.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 01/09/2009, 13:25

annalu ha scritto:Questa discussione tra Franz e Mariok mi sembra basata su una lettura distorta di dati scientifici.
Quello che è stato dimostrato, è che, se in una qualsiasi situazione si pongono una serie di individui in condizioni di partenza identici, poi nel tempo questi individui si diversificheranno. Se si prende in considerazione il fattore ricchezza, alcuni diventeranno più ricchi altri meno.

Questo è il risultato della ricerca.

Quello che è stato dimostrato è appunto quello che hai riassunto e sono perfettamente d'accordo con la tua sintesi.
Essendo d'accordo posso eventualmente sollolinearare che forse hai travisato la lettura che secondo te io ho dato di quei dati scientifici. Forse per mie carenze espressive o cos'altro non so ma le conclusioni, date allora in quel thread e che intendo ribadire ora, sono identiche alle tue, che hai riassunto ora.
annalu ha scritto:Qui intervengono le scelte, e l'utilità di certe ricerche.
Sappiamo che, anche se le condizioni di partenza fossero realmente uguali per tutti, poi le casualità della vita porterebbero a differenze anche enormi: ad esempio, una carestia che distrugga i raccolti può portare alla fame una popolazione rurale, mentre la scoperta di una matreria prima importante può arricchire un'altra popolazione.

Dunque, sappiamo che il caso è importante.
E allora che facciamo? Stiamo a veder morire chi si è impoverito, ed arricchirsi chi ha avuto fortuna?

Appunto. Come sostenevo, lo sviluppo crea disegualianze e disparità (solo la mancanza di sviluppo lascia una povertà univorme e distribuita equamente). Come ho sempre sostenuto solo lo sviluppo crea pero' le risorse che possono essere distribuite, anzi ridistribuite, per alleviare le citate disparità. Spetta quindi alla politica ridistribuire (e ci sono tanti modi, ... occorre trovare quello migliore, questo non è falcile ma è tutto un altro discorso).

Tuttavia c'è un dato importante. Qualcuno ha vissuto (e qualcuno vive tutt'ora) nel mito di un sistema futuribile di sviluppo che non generi disparità. Non si tratterebbe quindi di fare, come oggi, ridistribuzione per riparare ad uno sviluppo disomogeneo. Credo che quasi nessuno pensi realisticamente che il marxismo sia implicato in questa possibilità di "sviluppo senza disparità", visto che nella realtà dei fatti le performances di sviluppo del socialismo reale sono state di molto inferiori a quelle dei paesi occidentali. Rimane pero' una speranza fideistica. Quella che è sempre l'ultima a morire. Una speranza quasi religiosa.

Qualcuno è convinto che possa esistere un "modello di sviluppo" che non crea disparità già di suo, come caratteristica intrinseca. Invece quello studio, alla faccia dell'acqua calda, mostra che ogni sistema di sviluppo basato sull'investimento (quindi su una spesa oggi per avere un frutto domani) genera "per forza di cose" una disparità casuale. Poi volendo possiamo aggiungerci una disparità non casuale, dato che alcune persone sono piu' brave di altre nel campo degli investimenti, cosi' come altri sono piu' bravi a cercare funghi, giocare a pallone, riparare computer, costruire mobili,dirigere aziende (o sparare cazzate sugli economisti come fa Tremonti).

A me non pare affatto acqua calda, tanto è vero che quello studio ha sorpreso non pochi (anche se sono pochi coloro che lo conoscono). Lo studio ovviamente dimostra sul piano del modello matematico cio' che noi, razionalmente possiamo capire anche senza fare enormi calcoli. In questo senso, solo col senno di poi, è acqua calda. Ma cosi' è facile.
Non ci voleva tanto a capire prima (ma è piu' facile dopo, quando te lo hanno spiegato) che il concetto stesso di rischio genera eventi diversi per cui alla fine a qualcuno è andata meglio ed altri è andata peggio. E che dopo migliaia di anni (o anche solo centinaia) questo genera disparità crescenti, anche se l'innovazione mischia costantemente le carte.

Ora questa scoperta è negativa sia per chi, a sinistra, dice che le disparità sono il male del capitalismo (evitabile con il comunismo) sia per chi a destra sostiene che esse sono dovute solo al merito (giusto) dei migliori.
Sbagliano entrambi.

Per analizzare in concreto la portata di questa scoperta quindi sia a destra devono liberarsi di certe credenze errate, sia a sinistra. Quelle della destra se vuoi ci interessano meno. Le piu' pregnanti per noi sono quelle di casa nostra.
Quindi ripeto che per uscire dal vicolo cieco occorre liberarci del tumore del marxismo.
Non a livello nominale (già oggi si fa a gara nel dichiararsi "non marxisti") me a livello sostanziale.

Ciao,
Franz
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda annalu il 01/09/2009, 15:05

Sono rientrata ora, ho visto che il dibattito è molto acceso, ma non ho ancora fatto in tempo a leggere, però rispondo intanto alla tua risposta a me.
franz ha scritto:Quello che è stato dimostrato è appunto quello che hai riassunto e sono perfettamente d'accordo con la tua sintesi.
Essendo d'accordo posso eventualmente sollolinearare che forse hai travisato la lettura che secondo te io ho dato di quei dati scientifici. Forse per mie carenze espressive o cos'altro non so ma le conclusioni, date allora in quel thread e che intendo ribadire ora, sono identiche alle tue, che hai riassunto ora.
annalu ha scritto:Qui intervengono le scelte, e l'utilità di certe ricerche.
Sappiamo che, anche se le condizioni di partenza fossero realmente uguali per tutti, poi le casualità della vita porterebbero a differenze anche enormi: ad esempio, una carestia che distrugga i raccolti può portare alla fame una popolazione rurale, mentre la scoperta di una matreria prima importante può arricchire un'altra popolazione.

Dunque, sappiamo che il caso è importante.
E allora che facciamo? Stiamo a veder morire chi si è impoverito, ed arricchirsi chi ha avuto fortuna?

Appunto. Come sostenevo, lo sviluppo crea disegualianze e disparità (solo la mancanza di sviluppo lascia una povertà univorme e distribuita equamente).

Appunto cosa?
Dove mai trovi che io sia d'accordo col fatto che lo sviluppo (che tu intendi come sviluppo economico) crea disparità, mentre in assenza di sviluppo c'è omogeneità nella miseria?
Io ho detto che l'esperimento dimostra che il "tempo che passa" (e il caso) crea comunque disparità. In una società povera, sarà una disparità tra meno poveri e miserrimi, in una società ricca le differenze saranno più ampie.
Quando parli di redistribuire, parli di uno dei modi possibili di porre un freno alle disparità, ma non l'unico.
La politica può anche limitare il crearsi di disparità ... ma questo a te suona socialismo, credo. E non più semplicemente regole sociali condivise.

franz ha scritto:Qualcuno è convinto che possa esistere un "modello di sviluppo" che non crea disparità già di suo, come caratteristica intrinseca.

Qualcuno spera che esita la possibilità di una società che "limiti" il formarsi di diseguaglianze eccessive, cosa ben diversa da un generico egualitarismo. E quello studio non dimostra nulla riguardo ad una simile possibilità.
Perché i fenomeni naturali sono una cosa, gli obiettivi che noi umani civili ci poniamo sono una cosa differente.
La civiltà, nelle società umane, è anche, se non soprattutto, un modo per imbrigliare e limitare gli effetti degli eventi naturali, che siano un terremoto od uno tzunami, oppure anche una situazione personale.
Perché una cosa è premiare dovutamente il merito, una cosa è pagare salari al di sotto della soglia della miseria a chi svolge lavori umili, ma utili. E chi sta morendo di fame, accetterà anche una paga misera, pur di comprarsi da mangiare. Quello che in una società civile dovrebbe essere vietato per legge, è proprio che qualcuno possa approfittare della miseria altrui, arricchendosi alle sue spalle.

franz ha scritto:Non ci voleva tanto a capire prima (ma è piu' facile dopo, quando te lo hanno spiegato) che il concetto stesso di rischio genera eventi diversi per cui alla fine a qualcuno è andata meglio ed altri è andata peggio. E che dopo migliaia di anni (o anche solo centinaia) questo genera disparità crescenti, anche se l'innovazione mischia costantemente le carte.

A me sembra invece sempre più acqua calda.
E dovresti ricordare che nulla è più rischioso di nascere e vivere: qualsiasi gesto, anche il più insignificante, comporta un pericolo potenziale difficile da quantificare.
Ora noi facciamo di tutto per ridurre il rischio delle nostre attività quotidiane, aggiungendo al gas di cucina una "puzza" che ci fa riconoscere una perdita di gas, allacciandoci le cinture di sicurezza in auto ... Poi c'è chi guida meglio e chi guida peggio, c'è chi si ricorda sempre di chiudere il gas e chi no. Il più bravo, il più prudente, rischierà di meno, ma le regole della società impongono a tutti di prendere un minimo di precauzioni.

E questo dovrebbe valere anche in campo economico. Il capitale di rischio è a rischio per definizione, ma gli ammortizzatori sociali e le regole del mercato (o di quello che ti pare) devono porre un freno al rischio, di modo che nessuno venga portato al di sotto della soglia di povertà, soprattutto quando non ha fatto personalmente alcuna scelta rischiosa.
E il lavoro che descrivi, che mi pare una quantizzazione di un fenomeno noto, non vedo proprio cosa dimostri nel sociale.
E soprattutto, se è certo che è sempre un bene liberarsi di schematismi e miti, non vedo il pericolo del "tumore" del marxismo. Un'idea economico-sociale molto innovativa, ormai in larga parte superata dalla storia.
Poi gli studiosi possono andare a separare gli elementi di progresso dalle utopie diciamo quasi-millenaristiche, con un mondo intero che si trasforma in un mondo di eguali senza conflitti sociali. Ovvio che questo non è e non può essere.
Ma resta, per fortuna, che chi è di sinistra aspira ad un mondo nel quale la disparità delle condizioni di vita tra le persone sia limitata, e tutti abbiano diritto a non essere "poveri".

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 01/09/2009, 15:50

Bisogna vedere, annalu, se limitando artificialmente il rischio si limita lo sviluppo e quindi si limita il volume generale di reddito generato. Quindi si', forse hai ragione che ci possono essere tentativi di limitare le disparità emergenti col tempo con un sistema di sviluppo meno pompato (e con invenstimenti meno importanti) ma questo a mio avviso genera anche una contrazione della riicchezza e del reddito prodotti. È il caso dell'Italia dove infatti sono scarsi gli invenstimenti e la ricerca. naturalmente altre nazioni o "sistemi paese" investono di piu' e vedono crescite tumultuose (e disparità crescenti).

Secondo me non è compito della politica intervenire sul rischio, limitandolo.
Esistono già, nel mercato, gli strumenti di gestione del rischio. Pur imperfetti, per esempio ci sono le assicurazioni.
Ovviamente non tutti i rischi sono assicurabili ma buona parte si'. Direi che le assicurazioni sono un sistema di ridistribuzione privato.

Il compito della politica in economia (oltre alle infrastrutture) è dettare le regole comuni di competizione economica, la contrattualistica civile, le disposizioni sui fallimenti (altro rischio) ma non è compito (secondo me) dire "caro imprenditore, questo rischio è troppo grosso e non puoi prenderlo".
Non credo nemmeno che ci siano in politica le compentenze per simili "consigli".
Poi il rischio è tutto sommato una componente ... diciamo inferiore al 50% per cui la maggior parte delle operazioni di investimento porta benefici al sistema. Limitandole avremmo solo una contrazione della ricchezza prodotta e ridistribuibile.

Poiché le disparità nascono principalmente con l'esito casuale del rischio di investimento, l'unico ruolo della politica, tra l'alto già in atto anche se con scarsi risultati, in Italia) è operare sulle disparità che possono nascere dalle differenze di bravura.
Un sistema scolastico ben fatto che dia pari opportunità, minimizza questa componente.
Ma anche se fosse azzerata la nostra "acqua calda" (ormai chiamiamola pure così) ci dice che le disparità si ripresentano con tempo. Oltre alle disparità si genera anche ricchezza, pero'. Qui il modello che ha funzionato meglio, sul piano redistributivo, è quello socialdemocratico (che non è socialista e non è tantomeno comunista) e puo' darsi che in futuro ce ne siano altri. Ma sempre sul piano della qualità e del volume della ridistribuzione.

Se ci sono altri sistemi in uso (e funzionanti) per porre un freno alle disparità (all'origine) senza bloccare lo sviluppo e senza ostacolare la libertà d'impresa, a me non vengono in mente. Anzi di solito si studiano incentivi statali allo sviluppo, incentivi agli investimenti (detassandoli) e non mi risulta che ci siano progetti in senso opposto.

Tu dici che ci sono altri modi possibili (oltre alla ridistribuzione) per porre freno alle disparità ed attendo un elenco.

Ciao,
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda mariok il 01/09/2009, 22:33

Un recente rapporto dell'OCSE riporta una ricca serie di dati e di analisi sulle diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza in 30 paesi. (Growing Unequal? Income Distribution and Poverty in OECD Countries).

Uno degli indici più noti è il coefficiente di Gini che misura, in una scala da 0 a 1, l'ineguaglianza nelle distribuzione del reddito in un paese. Idealmente, un coefficiente uguale a 0 sta ad indicare la “perfetta eguaglianza” (ad ogni percentuale di popolazione corrisponde la stessa percentuale di reddito); un coefficiente uguale ad 1 indica invece la "perfetta diseguaglianza" (tutto il reddito ad un solo individuo).

L'Italia (con un coefficiente, prima di tasse e trasferimenti, di 0.86) si colloca al terzo posto dopo Slovacchia e Repubblica Ceca. E' da notare che il coefficiente scelto, essendo relativo ai valori prima di tasse e trasferimenti, non è influenzato dalle redistribuzioni delle politiche fiscali.

Per dare un'idea del nostro posizionamento rispetto ai paesi solitamente di riferimento, va osservato che la Francia si colloca al sesto posto con un coefficiente di 0.83, la Germania al nono con 0.76, la Danimarca al quattordicesimo con 0.68, la Svezia al sedicesimo con 0.64, UK e USA subito dopo con 0.60.

Agli ultimi posti si collocano Svizzera, Irlanda, Portogallo, Corea e Finlandia con coefficienti che vanno dallo 0.53 allo 0.39.

Se raffrontiamo tali dati con la classifica mondiale dei paesi per PIL procapite, adeguato alle parità dei poteri di acquisto e quindi tenendo conto del diverso costo della vita dei diversi paesi , possiamo notare:

Slovacchia e Repubblica Ceca, con i più alti coefficienti di diseguaglianza, si collocano a bassi livelli di PIL procapite (rispettivamente 41° e 36° posto);

tutti i paesi, cosiddetti di riferimento con un più basso coefficiente di diseguaglianza, rispetto al nostro, (Francia, Germania, Danimarca, Svezia,UK e USA) hanno un PIL procapite superiore al nostro;

la Svizzera, agli ultimi posti per coefficiente di diseguaglianza, si colloca invece ai primi posti per PIL procapite.

Mi sembra quindi di poter dire che l'equazione maggiore diseguaglianza = più alto sviluppo e viceversa maggiore eguaglianza = minore sviluppo sia tutt'altro che dimostrata.

P.S. Il fatto che l'Italia si ponga ai primissimi posti della diseguaglianza, misurata prima delle tasse, sfata un'altra leggenda metropolitana: quella secondo cui i redditi da lavoro qui da noi sono tra i più bassi dei paesi sviluppati a causa dell'eccessivo peso fiscale.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 01/09/2009, 22:47

mariok ha scritto:Mi sembra quindi di poter dire che l'equazione maggiore diseguaglianza = più alto sviluppo e viceversa maggiore eguaglianza = minore sviluppo sia tutt'altro che dimostrata.

Credo che tu abbia preso un notevole abbaglio.
Quello che va paragonato è il tasso di crescita, non il livello raggiunto.
Il ritmo di crescita, non l'altezza in un determinato momento.
La Svizzera, che indichi con un basso tasso di disugualianza ed elevata ricchezza, è in quella situazione (stabile) da decenni. Come stabile è l'inflazione ed ogni altro parametro.
Lo è come minimo da dopo la seconda guerra mondiale. Infatti ha tassi di crescita moderati e costanti ed una struttura federale che tiene basso l'indice di gini. Ha inoltre uno ottimo sistema di welfare (ridistribuzione) che contrbuisce (come in svezia, germania etc) a mantenere basso l'indice di disugalianza. Inoltre quelli sono notoriamente paesi sovrassicurati (altro sistema di mitigazione del rischio).

Per un confronto reale bisognerebbe osservare l'andamento delle disugalianza in paesi di forte crescita, come quello del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) perche li' si passa dalla povertà enedimica e diffusa (in modo omogeneo) alla situazione di massimo aumento delle disparità.
Di fatto si puo' osservere che la crescita impetuosa (con le sue distorsioni) colpisce chi è piccolo e cresce, non chi è grande ed è già crescito, tanto da aver adottato le misure di ridistribuzione che abbassano l'indice di gini.

Ovviamente l'indice di gini misura le disparità al netto (quindi dopo) delle misure di mitigazione delle stesse (welfare, assicurazioni, federalismo) e quindi non è un parametro adatto a misurare le disparità prima delle correzioni ridistributive.
con l'indice di gini quindi scopriamo che paesi ad alto reddito possono permettersi un ottimo sistema ridistributivo.
Anche questa, se vogliamo, è acqua calda. Anche se magari qualcuno non lo sapeva.

Ciao,
Franz

PS1:
a) paesi poveri, anzi poverissimi, hanno un basso indice di disuguialianza. Sono tutti poveri in modo uguale. Vogliamo imitarli?
b) paesi emergenti ed in crescita tumultuosa, hanno il massimo indice di disugualianza.
c) paesi stabilmente ricchi ed a crescita ormai moderata, con un buon welfare e sistemi assicurativi estesi, con benessere diffuso, hanno un basso indice di disparità.
Per passare da A) a C) ... non c'è scorciatoia che eviti di passare per B).

PS2: quello studio (lo affermi tu stesso) è sulle disparità di reddito. Il vero confronto va fatto sulle disparità di ricchezza (capitale) perché è quello che è investito ed è soggetto al rischio.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda pagheca il 01/09/2009, 23:07

franz ha scritto:a) paesi poveri, anzi poverissimi, hanno un basso indice di disuguialianza. Sono tutti poveri in modo uguale. Vogliamo imitarli?


Scusa Franz, ma o ti sei espresso male o sei tu ad avere preso un abbaglio stavolta: i paesi poveri sono quelli - di norma, ovvero con alcune eccezioni - con i piu' elevati indici di Gini, e quindi quelli con elevati indici di disuguaglianza. Sono quelli ricchi che in genere possono disfarsi delle piu' crudeli disuguaglianze.

http://www.nationmaster.com/graph/eco_g ... gini-index

un saluto,
pagheca
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda pierodm il 02/09/2009, 2:27

Mi sembra che, per essere scientifica e oggettiva, questa acqua calda genera un po' troppe interpretazioni, che si risolvono solo con l'intervento della dialettica e del compuer supervelocissimo dell'intelligenza umana.

Inutile dire che Annalu ha ragione - sono di parte, lo ammetto, avendo cercato di dire le stesse cose, affrontandole da un aspetto diverso.
La critica "scientifica" sostenuta da Franz sarebbe come dire che "liberté, egalité, fraternité" sono una stronzata obsoleta perché nessuno è libero fino in fondo, nessuno si sente fratello di chi gli sta antipatico, nessuno è esattamente uguale ad un altro, portando a prova di ciò studi fisiognomici, temi in classe dei ragazzini delle elementari, verbali di processi per rissa aggravata e di cause di divorzio e qualche chilo di tabulati statistici.

Per tornare solo un momento al marxismo, in altre occasioni ho già avuto modo di dire che il richiamo alle esperienze sovietiche e maoiste è assolutamente fuorviante e, in qualche modo, truffaldino.
Il marxismo, e il socialismo in genere, nacquero come risposta della cultura europea occidentale alla realtà della società industriale capitalista, prospettandone un'evoluzione e proponendo una volontà d'indirizzo che erano conseguenti alla cultura stessa che avevano generato quella risposta.
Nei paesi in cui questa concatenazione di fenomeni e di realtà era più pienamente corrispondente a questo schema, il socialismo e lo stesso marxismo hanno dato luogo alla democratizzazione della società, allo sviluppo dei diritti, ad una positiva evoluzione del concetto di "lavoro", al welfare, e insomma alle moderne società che, possiamo considerare liberal-socialiste. Non alla "caduta" del capitalismo, ma ad una significativa limitazione dei suoi meccanismi più perversi, o - per dirla con uno dei concetti più cari a Franz - ad un'idea di "sviluppo" che tenesse conto di alcuni parametri etici e di una qualche dimensione sociale dell'economia, di garanzie per l'ambiente, etc., e non rimanesse insomma quello tumultuoso e selvaggio della corsa all'oro e della colonizzazione del vecchio West.

Paesi diversi, per maturità economica, per evoluzione politica di tipo liberale, per ragioni legate a quella "storia" che qualcuno si affanna a dire che non significa nulla, paesi diversi e disomogenei alla cultura che aveva generato il socialismo, ne hanno tuttavia applicato artificiosamente le finalità, distorcendo sia la teoria (o magari riscrivendone una parte, come il leninismo) e reinventandosi una prassi, che però finiva per essere la prassi che inesorabilmente derivava dalla propria storia: autoritarismo, cucinato e infarinato in vari modi, mescolato ad antiche sindromi imperiali e a schemi consolidati di rapporti tra suditi e potere.
tra questi paesi "diversi" c'è anche l'Italia, naturalmente, con le sue conseguenti difficoltà a realizzare una democrazia pienamente europea.

La discussione sull'idea di "sviluppo", in realtà, è quella che più dovrebbe interessarci, anche in senso teorico e con riferimento alla storia culturale che ci portiamo dietro, marxismo compreso.
I postulati sviluppocratici di Franz non sono affatto così categorici e inoppugnabili, e mi risulta che non lo siano nemmeno sul piano puramente economicistico, oltre a non esserlo con ogni evidenza su quello etico e quello politico.
Come per i telefonini, la misura d'ogni cosa rimane sempre quella umana: utile fare telefonini più piccoli e leggeri, ma inutile e grottesco sprecare tempo e risorse per fare telefonini talmente piccoli che le dita di una persona normale non riescono a premere i tastini dei numeri.
C'è poi da discutere se mai sia ammissibile che l'unica guida dello sviluppo sia il mercato e il profitto: sul piano dell'efficienza a lunga gittata del sistema, prima ancora che sul piano etico-politico.
Ricordo un articolo di tanti anni fa, da parte di uno scrittore di fantasy sociologica, che si chiedeva se fosse lecito impegare quantità spropositate di alluminio per gli tubetti del rossetto e altri cosmetici, quando questo materiale cominciava già a prospettarsi carente e il suo reperimento implicava aspetti di sfruttamento colonialistico di alcuni paesi.
Il concetto di "sviluppo sostenibile", fa venire l'orticaria a molti, ma merita assolutamente di essere preso in considerazione.
Almeno a sinistra (o quello che è) di questo dovremmo parlare, invece di stare a giocare col secchiello nell'acqua tiepida, rinfocolando le discutibilissime glorie del "mercato" e dello "sviluppo ad ogni costo", ossia un retaggio culturale che ci porta a sostenere o cose ovvie, o cose assurde.
pierodm
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