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Il vicolo cieco della sinistra.

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 31/08/2009, 17:25

lucameni ha scritto:Ma è tanto difficile rinunciare al marxismo?

Caro lucameni, evidentemente si'.
Anche se nessuno si professa piu' marxista (o ammette di esserlo mai stato) è chiaro che si rinuncia a qualche cosa solo se si ha un valido sostituto. In psicologia è noto il problema del "disacco", non solo nell'infanzia.
Per staccarti da qualche cosa devi avere un sostituto (un qualcosa che faccia da trasfert).
Chi è abituato ai forti paletti idelogici se ne abbandona uno deve trovarne un altro, altrettanto solido. Altrimenti non si stacca.
Il problema della sinistra italiana, che diversamente da quella tedesca non ha mai apprezzato la socialdemocrazia, è che l'abbandono del marxismo prima, del leninismo dopo, dello stalinismo etc era possibile solo fintanto che esistevano forti personalità carismatiche, come Berlinguer, che davano loro stessi un forte segno catalizzante ed erano figure di riferimento.
Morto Berlinguer, personalità come Natta, Occhetto, D'Alema e Veltroni sono stati assolutamente insignificanti sul piano teorico e si sono dedicati solo (malamente) al piccolo cabotaggio della tattica politica.
Venendo meno le figure di riferimento, in mancanza di un costrutto teorico moderno, crollato il modo comunista di riferimento ecco che parte della sinistra cerca terze vie, alcuni ora rivalutano in ritardo la odiata socialdemocrazia ed altre si rifiutano di archiviare del tutto Marx, per ora nel cassetto, perché in fondo potrebbe venire ancora buono.

Si', è oggettivamente difficile.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda mariok il 31/08/2009, 18:44

Caro Franz

prendere singole frasi di un discorso per attaccarle e ridicolizzarle non mi sembra il massimo della corretteza dialettica.

Spero che possiamo dare per scontato che non siamo tanto interessati a scontrarci come al bar dello sport tra tifosi di Marx e tifosi del capitalismo, quanto ad un confronto che ci arricchisca reciprocamente e ci aiuti a superare almeno in parte gli infiniti dubbi che su questi temi è giusto, se non additittura doveroso avere.

Mi dispiace dirlo, ma ai miei dubbi, forse anche dovuti, come mostri di ritenere, ad ignoranza delle teorie che ormai spiegherebbero e darebbero risposte a tutto, non fai altro che contrapporre certezze tipiche dei fondamentalismi e dei miti che dici di voler combattere.

Mi sembra di aver parlato di dubbi sugli effetti che può avere la equiparazione del lavoro ad una qualunque altra merce. L'esempio dell'idraulico non mi sembra calzante da questo punto di vista, per la banale ragione che in tal caso stiamo parlando della “vendita” di un servizio, non di lavoro venduto a qualcun altro perdendone totalmente il controllo sull'uso e sul valore che esso apporta ad un processo produttivo posseduto totalmente da altri.

E' la stessa differenza che passa tra il contadino che vende i prodotti della sua terra ed il bracciante agricolo che vende il suo lavoro ad un latifondista o, se vuoi, tra il medico ed un lavoratore interinale. Non mi sembrano proprio la stessa cosa.

A proposito poi della “ineluttabilità” al pari delle leggi naturali della ineguale distribuzione della ricchezza, mi sono solo permesso di avanzare qualche dubbio. Ho parlato poi di “misura” e di trend del fenomeno, posto anche che esso sia ineliminabile. Ed anche su questo, non mi sembra di aver ricevuto risposte pertinenti.

C'è poi una considerazione di fondo che mi sembra decisiva. Anche volendo accettare che i processi di produzione quali storicamente determinatisi con il capitalismo, siano parte della realtà naturale, sottoposta a leggi equiparabili a quelle della gravità e del ciclo vita-morte, da che mondo è mondo l'aspirazione dell'uomo è sempre stata non solo quella di conoscerle, ma anche quella di misurarsi con esse cercando talvolta anche di sfidarle e vincerle.

Se così non fosse, non avremmo avuto roba come le scienze balistiche o spaziali. Così come l'ineluttabilità della morte non ci ha impedito di tentare di combatterla attraverso la ricerca e le scienze mediche.

E di motivi che dovrebbero spingerci a “sfidare” le presunte leggi immutabili del mercato e del profitto mi pare che ce ne siano molti. A meno di non voler considerare per esempio del tutto normale il numero compreso tra i 5 ed i 20 milioni di morti annue per fame, 24.000 al giorno nella sola Africa. Mi dispiace, ma non trovo nulla di naturale e di ineluttabile in dati come questi!

Ci si chiede poi perchè appaia ancora tanto difficile liberarsi dai miti del marxismo.

Innanzitutto va detto che nella situazione attuale, ci sono ben altri miti e fondamentalismi che rappresentano minacce ben maggiori di quelle ormai passate prodotte dal marxismo. Il fondamentalismo islamico, e non solo esso, ne costituisce un esempio drammaticamente lampante.

E poi mi sembra alquanto superficiale individuarne il motivo nell'ignoranza e nella dabbenaggine della gente, che sarebbe disposta a liberarsi di un'ottusa ideologia solo a patto di rimpiazzarla altrettanto ottusamente con figure carismatiche dalle quali trarre illusorie sicurezze.
Tutto ciò per non riconoscere che al di là del superamento di certe teorie in virtù di nuovi strumenti di conoscenza, gran parte dei problemi ai quali il marxismo ha tentato di dare una risposta sono ancora tutti davanti a noi. E ciò che ci serve, come ho già detto, non è la pretesa di inutili abiure, ma l'indicazione di soluzioni.

Ed anche su questo fronte non mi sembra di cogliere nessuno spunto utile dalle tue pur dotte considerazioni.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 31/08/2009, 20:32

mariok ha scritto:Caro Franz

prendere singole frasi di un discorso per attaccarle e ridicolizzarle non mi sembra il massimo della corretteza dialettica.

Non mi pare di aver "ridicolizzato" ma se è questo il risultato soggettivo percepito, chiedo scusa.
Sempre che tu abbia capito bene.
mariok ha scritto:Mi dispiace dirlo, ma ai miei dubbi, forse anche dovuti, come mostri di ritenere, ad ignoranza delle teorie che ormai spiegherebbero e darebbero risposte a tutto, non fai altro che contrapporre certezze tipiche dei fondamentalismi e dei miti che dici di voler combattere.

No, vedi, su questo dimostri di non aver capito. Non darebbero risposte a tutto ma ad un particolare problema.
Se tu allarghi il discorso a "tutto" allora la dialattica da bar sport la stai conducendo tu.
mariok ha scritto:Mi sembra di aver parlato di dubbi sugli effetti che può avere la equiparazione del lavoro ad una qualunque altra merce. L'esempio dell'idraulico non mi sembra calzante da questo punto di vista, per la banale ragione che in tal caso stiamo parlando della “vendita” di un servizio, non di lavoro venduto a qualcun altro perdendone totalmente il controllo sull'uso e sul valore che esso apporta ad un processo produttivo posseduto totalmente da altri.

Ma che gioco stai gocando? E' l'unica domanda possibile.
Vedi, l'equiparazione tra lavoro e merce non è una tesi liberista/capitalista ma è una critica marxista.
Io la trovo errata ma capisco che si tratti del classico artificio dialettuico dell'affermare una cosa come se fosse proposta dall'altro, per potela negare. Solo che l'altro non l'ha mai affermata.
Ma come tale - se tu la neghi, e la nego anche io - stai negando il marxismo che l'ha sempre avanzatta. Non il liberismo.

Tra l'altro quando io assumo un lavoratore, lo faccio per il servizio che mi dà. Esattamente come quando pago un idraulico.
Se poi tu pensi di poter assumere un ingnegnere o un operaio per poi fargli pulire i cessi ed i lavoretti in casa, provaci.
Ovviamente anche quando pago un idraiulico o un informatico questi personaggi non hanno alcun controllo sull'uso che io faro' delle tubature e dei programmi installati e quindi anche loro sarebbero .... "alinenati"?
Ma per favore, la discussione finisce qui (in un vicolo cieco) per mancanza di serietà.
Visto che tu stess non cogli nessun spunto utile, non vedo perché entrambi dovremmo procedere nella discussione.
Come disse il poeta, <<è stato breve ma intenso>>.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda mariok il 31/08/2009, 23:42

Come vuoi.

Mi dispiace che l'abbia presa in questo modo.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 31/08/2009, 23:52

Non è un dramma.
I drammi sono ben altri.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda pierodm il 01/09/2009, 3:30

Franz in questo genere di discussioni dà il peggio di sé - e mi ritengo in diritto di dirlo con brutale sicerità, dato il tono aggressivo e dottorale che ha assunto, ingiustificatamente, di fronte ai pacatissimi ragionamenti di Mariok, per altro sensatissimi.

Innanzi tutto il popperismo un danno l'ha provocato: quello di aver provocato in Franz una caduta da cavallo che in confronto quella di Paolo di Tarso è meno di un sospiro.
Franz è comunque liberissimo di adorare i santini che vuole, ma non di propinarceli come se fossero i dieci comandamanti, e ipotizzando che noi siamo il popolo migrante in atesa ai piedi della Montagna.

In attesa di sapere in quale categoria Franz intenda assegnare il pensiero di Popper, intanto lo condìsideriamo un pensiero come un altro: in contraddizione con se stesso, in quanto non porta alcuna "prova scientifica" di se stesso, ed essendo stato criticato, e per certi versi perfino minimizzato (secondo me giustamente), ossia in qualche modo "falsificato".

Mariok non commette alcun errore, quando parla del lavoro come merce, ovvero non l'errore o imprecisione attribuitagli da Franz: Marx parla di lavoro come merce, non in quanto ritiene che debba essere tale, ma perché nella sua analisi constata che il capitalismo considera il lavoro come merce.
Un valore mercificato che per altro è confermato da tutta la "scienza" economica e aziendalistica di stampo capitalistico, nelle sue teorizzazioni, anche attuali, senza alcun infingimento.

Tra l'altro quando io assumo un lavoratore, lo faccio per il servizio che mi dà. Esattamente come quando pago un idraulico. Se poi tu pensi di poter assumere un ingnegnere o un operaio per poi fargli pulire i cessi ed i lavoretti in casa, provaci. - dice Franz.
Ebbene, sarebbe carino che Franz ci spiegasse il senso di queste frasi, o meglio, la connessione tra le prime due e la terza', e di tutt'e tre con il discorso.
Quello che capisco è che Franz considera i propri interlocutori degl'imbecilli, ai quali rivolgere degli esempi terra terra, elementari, come si fa con i bambini di sei anni, solo che purtroppo gli esempi sono meno chiari di quello che dovrebbero esemplificare. Insomma, una roba che in genere si cancella ad una eventuale seconda lettura. In genere.

Le cose, purtroppo, si chiariscono subito dopo: Ovviamente anche quando pago un idraiulico o un informatico questi personaggi non hanno alcun controllo sull'uso che io faro' delle tubature e dei programmi installati e quindi anche loro sarebbero .... "alienati"?
Non è una questione, allora, di frasi riuscite male. Sono frasi riuscite benissimo, per esprimere concetti nati male, o invecchiati peggio.
Dopo aver liquidato la storia - o lo storicismo, come puntualizza il credente - adesso facciamo giustizia anche del concetto di alienazione, e con esso di qualunque problematica sociale, esistenziale, economica inerente al lavoro: e poi era Marx - l'obsoleto Marx - quello che considerava il lavoro una merce ...

Venendo meno le figure di riferimento, in mancanza di un costrutto teorico moderno, crollato il modo comunista di riferimento ecco che parte della sinistra cerca terze vie, alcuni ora rivalutano in ritardo la odiata socialdemocrazia ed altre si rifiutano di archiviare del tutto Marx, per ora nel cassetto, perché in fondo potrebbe venire ancora buono.
Ora - a parte il tono sfottente, che non essendo "scientifico" non prendiamo in considerazione - Franz ci dice che il marxismo è ancora tenuto in considerazione perché alcuni pensano che c'è del buono: esattamnte ciò che stiamo dicendo sia io, sia Mariok, solo che non lo diciamo solo noi, e non lo pensano solo quei branchi di deficienti, orfani di Berlinguer che descrive Franz, ma lo pensano anche la gran parte degli studiosi di economia, i quali hanno tratto da Marx una delle più complete analisi del capitalismo industriale e alcuni concetti che nessuno si sogna di rinnegare, anche se non ne fanno il fondamento delle loro teorie.

Il termine "mercato del lavoro" credo che lo usiamo abbastanza normalmente senza farcene grossi problemi. Quando tu chiami un elettricista o un idraulico e lo paghi non stai merficicando il loro lavoro cosi' come non lo mercifica chi assume un operaio. La nostra società ha bisogno di idraulici e di operai e li paga sulla base di un "mercato" e delle loro capacità, nel senso ovvio di domanda ed offerta. Dire che il lavoro è assimilato ad una merce è pura demagogia (chiunque lo abbia detto) una frase ad effetto. Fa parte del "populismo della sinistra".
La merce è cosa che compro e di cui posso liberamente disporre. Posso comprare un televisore, rivenderlo, regalarlo, distruggerlo. Questo ovviamente non succede con il lavoro ed i lavoratori, con cui ho rapporti invece contrattualistici con altre persone viventi sulla base del codice civile e dei contratti generali vigenti.


Una esemplare descrizione di mercificazione del lavoro, della quale si nega la natura semplicemente dicendo che non è mercificazione.
Forse Franz non si fa problemi ad usare il termine di "mercato del lavoro, ma a me ogni volta che lo sento mi viene in mente sempre qualcosa di sgradevole, ma soprattutto in questo mercato i problemi sono proprio esattamente quelli che derivano dal considerare merce ciò che merce non dovrebbe essere: poi, questi problemi possiamo chiamarli anche in tanti modi, ma quelli sono.
Per esempio, il lavoro viene abitualmente, sistematicamente, tranquillamente comprato, rivenduto, regalato, distrutto, come il televisore di cui sopra. Ovviamente, tanto per usare il termine usato da Franz.
Che poi la contrattualistica sia un esimente è un'idea curiosa: come se la merce - proprietà, disponibilità, scambio - non fosse anch'essa sotto una giurisdizione contrattualistica.

Ma tanto non ti interessa nulla che spiegi oggettivamente perché lo sviluppo genera disugualianza. Prendo la frase finale, per non citare tutto il brano.
Che lo sviluppo generi disuguaglianza ce n'eravamo accorti: per questo c'è chi lo sviluppo lo guarda con molta cautela, preferendo il concetto di "progresso" - e ho anche la sensazione che quel "oggettivamente", oltre all'accenno taumaturgico ai "computer ad alta velocità" sia un po' come la "scientificità" del materialismo marxista, o forse meglio, del latinorum manzoniano.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda Loredana Poncini il 01/09/2009, 7:55

"L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro" recita l'Art.1 della Costituzione.
Nel MERCATO del lavoro (non dei lavoratori, grazie al Cielo !), il lavoro è UNA MERCE.
Noi, grazie anche alla nostra Costituzione, vogliamo che non sia SOLO una merce, il lavoro.
L'errore, fonte di molti vicoli ciechi, è il riduttivismo, che nutre tutti gli "ismi" di questo mondo.: positivismo, liberismo, economicismo, marxismo, etc. etc.
Nei vicoli ciechi non ci finisce solo la sinistra, ma ci finiamo tutti se ci lasciamo prendere la mano dall'appassionarci ad un'idea che ci facciamo della realtà, scartando tutte le altre dimensioni che la compongono.
L'ascoltare che ne pensano gli altri, su quel problema che ci ostacola il cammino, è un primo passo, ma non ci conduce da nessuna parte, se ci fermiamo a discutere tra noi, e se non facciamo un ulteriore passo, cioè, se non cerchiamo di capire che ne pensano, di quel problema, quelli che stanno sulla sponda opposta del fiume .
Non va esluso nulla e nessuno, nella ricerca sincera della sapienza !
Infine, un terzo passo è andare ancora oltre, chiedendoci: "Che sto facendo ? Chi voglio convincere, e perché ? "
Loredana Poncini
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 01/09/2009, 8:51

pierodm ha scritto:Franz in questo genere di discussioni dà il peggio di sé - e mi ritengo in diritto di dirlo con brutale sicerità, dato il tono aggressivo e dottorale che ha assunto, ingiustificatamente, di fronte ai pacatissimi ragionamenti di Mariok, per altro sensatissimi.

Vedo che, vista l'attitudine di criticare ed attaccare le persone, la discussione si sposta non sugli argomenti ma sulle caratteristiche mentali dei parlanti. Non mi meraviglio. È consuetudine generale, anche di quei comunisti che, per carità, non lo sono mai stati, tantomeno marxisti.
Fatta la tara all'ironia sulla mia persona, rimane ben poco "ad rem". Solo qualche cosa da ribadire.
pierodm ha scritto:Mariok non commette alcun errore, quando parla del lavoro come merce, ovvero non l'errore o imprecisione attribuitagli da Franz: Marx parla di lavoro come merce, non in quanto ritiene che debba essere tale, ma perché nella sua analisi constata che il capitalismo considera il lavoro come merce.

È esattamente quello che ho scritto. Il lavoro come merce è una mistificazione populistica della sinistra comunista.
La quale non vuole che sia cosi' ma dice che è cosi' per colpa del capitalismo. Da notare che dove si è tentato di attuare le teorie di marx il lavoro era piu' simile allo schiavismo che alla "merificazione capitalista".
Ho anche spiegato che il rapporto che abbiamo con la merce è di proprietà mentre nel mondo libero occidentale il lavoro ha un rapporto contrattualistico. Poi per chi è in vena di generalizzazioni tutto puo' assomigliare. Il lavoro pero' piu' che merce è un servizio, con buona pace di tutti ed ovviamente il valore delle prestazioni è soggetto alle dinamiche della domanda e dell'offerta. Cosa che non basta a considerarlo una merce.

Ora sono consapevole di essere antipatico, visto che nego la mercificazione e pure l'alienazione, a chi un giorno si' e l'altro pure nega di essere marxista ma crede ancora nelle sue fondamenta teoriche.
Una cosa molto strana. È come dire di non credere in Dio ma credere nell'ascensione della Madonna.
E' il casi quindi di fare il punto. Nego (e sono pronto a discutere) anche il valore, odierno, delle teorie marxiste sul valore. Che sono la base teorica in economia. Sul piano politico poi la piu' grande invenzione di Marx è la dittatura del proletariato e la collettivizzazione degli strumenti di produzione (logica conseguenza delle teorie economiche) che poi abbiamo visto a cosa hanno portato.
Quindi per me non c'è nulla da salvare di Marx. Nulla che oggi possa avere un valore attuale. Ha solo un valore storico.

Spero di poter esprimere qui dentro queste idee senza essere oggetto di ironia meschina, che ricorda come in ben altri contesti avrei fatto una brutta fine in qualche gulag, speditoci da qualche altrettanto meschino funzionario.
Se posso discutere con chi è interessato, per me va beenissimo.
Chi non è interessanto si astenga pure dall'ironia di bassa lega.

Grazie,
Franz
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda mariok il 01/09/2009, 9:58

Talvolta, nella foga di una discussione, si finisce per essere fraintesi e per ritrovarsi su posizioni non proprie.

Qui per esempio, sembra che io sia un marxista “incallito” testardamente impegnato a difendere l'indifendibile, anche di fronte alla supposta evidenza di argomentazioni contrarie.

Giusto per la chiarezza , vorrei far presente che sono da molti anni contro il marxismo ed i movimenti politici che ad essi esplicitamente si sono ispirati.

Non perchè esso sia un cumulo di sciocchezze che solo delle menti condizionate dai miti possono prendere per buone. Padroni altri di sostenerlo, possibilmente dimostrandolo senza facili semplificazioni, ma non sono le mie motivazioni.

Il mio è un motivo più semplice e “dirimente”, che qui, a causa della piega data alla discussione, nessuno ha sollevato.

Ed è quello del giudizio che Marx ed Engels danno delle cosiddette “libertà borghesi”, considerate come espressioni (negative) della difesa dei diritti “dell'individuo ripiegato su se stesso”, del “suo interesse privato” e del “suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità”, cui essi contrappongono una presunta autentica libertà umana realizzabile solo nella dimensione sociale della “società comunista - e non nell'anarchica ed egoistica  «società civile» borghese” .

Bisogna tuttavia dire che l'argomento, qui da noi, è ormai da decenni patrimonio della sinistra (anche quella ex-comunista) e delle classi lavoratrici, che hanno dimostrato con i fatti, che valgono ben più di parole o di pretese abiure, di aver assunto le libertà individuali come valori costituenti della nostra società. E mi sembra davvero superfluo doverlo ricordare dopo 60 anni dalla resistenza e dalla costituzione repubblicana, anni nei quali da tutt'altra parte sono venuti e vengono i veri pericoli alla nostra democrazia (argomento peraltro di drammatica attualità).

Il secondo punto che mi interessa sottolineare e sul quale ho tentato, per la verità con ben scarsi risultati, di sollecitare un confronto, è quello relativo a quale futuro possiamo oggi immaginare per le nostre società ed attraverso quali politiche riteniamo di correggerne o almeno limitarne le storture sulle quali più o meno e con motivazioni diverse tutti concordiamo.

Sarà perchè ce lo dicono i modelli matematici che simulano il mercato, sarà per gli enormi problemi che la realtà ci ripropone ciclicamente con le crisi ricorrenti, sarà per la constatazione evidenziata da numerosi istituti più o meno indipendenti della crescita delle distanze sociali sia all'interno delle singole nazioni sviluppate, sia tra il nord ed il sud del mondo, il problema dell'ineguale distribuzione della ricchezza è un problema reale, a prescindere da ciò che pensiamo di Marx e delle sue teorie.

E qui mi piacerebbe che almeno concordassimo su alcune domande prima ancora che sulle risposte, da introdurre magari anche nella discussione congressuale di questi mesi.

Riteniamo che il problema sia se non risolvibile, almeno reso meno acuto semplicemente attraverso lo sviluppo? Questa è più o meno la tesi della destra: quella cioè secondo la quale basta garantire le condizioni per la crescita dell'economia, magari intervenendo anche con strumenti pubblici quando si rende necessario qualche “aiutino”, per ottenere, pur nelle diseguaglianze, un miglioramento generale delle condizioni di tutti.
Basta questo o servono anche politiche che intervengano in qualche modo non solo sulla “quantità” dello sviluppo ma anche sulla “qualità” e sulla distribuzione/redistribuzione della ricchezza?

Riteniamo che la risposta alla domanda precedente debba caratterizzare in maniera nettamente distinta una politica di “sinistra” da una di “destra”, distinzione quindi che, sia pure in forma aggiornata, continua ad avere un senso?

Riteniamo che bastino le politiche fiscali per attuare una redistribuzione della ricchezza o che servano anche interventi sul mercato, che senza attuare forme di collettivismo, lo rendano in qualche modo più giusto e “democratico”? Una volta andava di moda il termine “democrazia economica”. Può ancora avere un senso tale termine e se sì, quale significato esso dovrebbe assumere oggi?

E mi fermo qui per non farla troppo lunga.

Forse sono fuori della realtà, ma sono questi i temi che mi appassionano molto di più di sterili diatribe su chi è marxista e chi non lo è, tanto più se esse sottintendono la divisione dell'umanità tra stupidi ed intelligenti.
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda pierodm il 01/09/2009, 10:25

Franz, insisti a piangere sul fatto che ti si attacca sulla "persona": cosa falsa, ma soprattutto dimentichi che sei tu per primo che in modi forse più tortuosi attacchi le persone - la loro intelligenza, la loro conoscenza delle cose di cui parlano, le loro presunte sindromi nostalgiche, etc - con accenni gratuitamente velenosi.
Ma lasciamo perdere.

[i]È esattamente quello che ho scritto. Il lavoro come merce è una mistificazione populistica della sinistra comunista.
La quale non vuole che sia cosi' ma dice che è cosi' per colpa del capitalismo
- tu dici.

Non ciurliamo nel manico: Marx dice una cosa, io dico una cosa (la stessa), tu ne dici un'altra, e la ribadisci anche nelle due righe citate.
Hai tutto il diritto di pensarla come credi, ma non non hai il diritto di fare il gioco delle tre carte facendoci passare per scemi.
Il lavoro considerato e trattato come merce è una realtà, ed è una realtà del sistema capitalistico. Punto.
Non è una "mistificazione" di chicchessia. Aripunto.
A te questo può piacere, o la puoi considerare un dato ineluttabile, ma non rigirare la fritatta nel modo polveroso che hai usato.

Ho anche spiegato che il rapporto che abbiamo con la merce è di proprietà mentre nel mondo libero occidentale il lavoro ha un rapporto contrattualistico - dici.

L'hai "spiegato" ma la tua spiegazione non è per niente convincente: anzi, più che una spiegazione è nient'altro che un'affermazione, che per altro ripeti para para come se io e altri non te l'avessimo già contestata.

Quanto all'antipatia, tu non sei per niente antipatico, in genere. Magari insopportabile, certe volte, questo sì.
Il fatto grave - non solo e non tanto per ciò che riguarda personalmente te, ma per l'intera questione della natura del PD o della sinistra in generale - è che una negazione così fanatica della mercificazione e dell'alienazione, con tutti i loro addentellati, è visibile e concepibile solo in un ambito di destra, e nemmeno di destra liberaldemocratica, ma di destra incarognita, iperaziendalistica e iperliberista.
Del resto, quando tu - giustamente - rimproveri ai vari D'Alema e veltroni, post-berlingueriani, di aver avuto uno spessore teorico e ideologico praticamente inesistente, li rimproveri di fatto di aver gestito un'evoluzione fondata sul nulla, ovvero fondata su un vago velleitarismo.
Un'osservazione questa che rientra nella critica più complessiva di una sinistra che non è stata capace di conservare e aggiornare la propria identità intellettuale e politica: ma in che cosa consiste questa incapacità, da parte di una sinistra che ha di fatto rinunciato alle proprie radici marxiste?
Radici, dico, non dogmi, non l'eredità leninista, non lo stalinismo, che già erano stati dismessi da tempo.

Se queste sono le prospettive, qui non si tratta di evoluzione, di aggiornamento, di smussamento e di revisione di alcuni punti estremi, datati, discutibili del marxismo, ma di un annullamento totale, o peggio ancora di un rovesciamento di valori e di analisi.
Che la società post-industriale possa porre la questione dell'alienazione e della mercificazione in modi nuovi e diversi dal passato è comprensibile e ovvio.
Ma negare la realtà di un'alienazione del lavoro e della mercificazione da parte del sistema capitalistico è una vera e propria stravaganza.
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