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“Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

“Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda lucameni il 07/08/2009, 23:06

Forse un piccolo lapsus. Piccolo, s'intende.


http://nicoloblog.wordpress.com/2009/08 ... e-di-papi/
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda mariok il 08/08/2009, 8:56

Immagine
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda mariok il 15/08/2009, 14:43

13 agosto 2009, in Peter Gomez

Privacy, democrazia e feudalesimo

L'ultima edizione di "Chi", il settimanale trash diretto da Alfonso Signorini, è stata un successo. Le foto segrete, scattate all'interno di un golf club, dell'amore tra Elisabetta Canalis e George Clooney spopolano sulle spiagge. Nelle casse della Mondadori, la casa editrice presieduta da Marina Berlusconi, sono entrati alcuni milioni di euro. Le stesse immagini sono state rilanciate dalle reti Mediaset che hanno così convinto molti telespettatori a correre in edicola per acquistare il rotocalco.

Nonostante l'exploit editoriale, Marina e il suo papi, il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi, sono però di cattivo umore. A Villa La Certosa, durante la cena per il compleanno della figlia, il premier è sbottato: «Ora basta, quello del rispetto della privacy è un tema sempre più urgente che dobbiamo risolvere». Tra i presenti pare che sia calato il gelo. Qualcuno ha immaginato un licenziamento in tronco del fido Signorini, l'uomo che in pieno caso D'Addario aveva osato intervistare il capo del governo ponendogli a muso duro una serie di domande scomode. Roba del tipo: «Come convive il Berlusconi nonno con il Berlusconi superman?»; «Bisogno di vacanze? Dove andrà questa estate?»; «Qual è il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi?»; «E il primo pensiero della giornata?». Altri ospiti sono invece arrivati a ipotizzare una chiusura di "Chi" e delle numerose trasmissioni di gossip in onda sui canali del biscione, a partire da Studio Aperto, il tg diretto da Mario Giordano.

Poi, fortunatamente, Berlusconi ha chiarito il suo pensiero. Signorini e Giordano possono stare tranquilli. Il premier non ce l'aveva con loro, ma con quattro fotoreporter bloccati all'esterno della villa dai carabinieri. «Pensate, tutti voi siete stati fotografati. È una cosa intollerabile. Dobbiamo difendere la privacy delle persone, dovunque, soprattutto a casa loro», ha spiegato Berlusconi ad amici e parenti.

Resta però da chiarire chi siano le «persone» che avranno garantita la privacy (peraltro già oggi tutelata da una serie di severissime norme). Tutti i cittadini o solo alcuni di essi? La domanda non è provocatoria. Nel 2003, nei mesi delle polemiche sulle leggi ad personam, Berlusconi aveva detto: «In una democrazia liberale chi governa per volontà sovrana degli elettori è giudicato, quando è in carica e dirige gli affari di Stato, solo dai suoi pari, gli eletti dal popolo». Un concetto estratto in fotocopia dalla Magna Charta di Giovanni Senzaterra che all'articolo 21 recita: «I conti e i baroni non siano multati se non dai loro pari». Era il 1215. Le macchine fotografiche non erano state ancora inventate. Altrimenti Giovanni Senzaterra avrebbe certamente pensato anche a quelle.
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda pianogrande il 17/08/2009, 1:45

Ma ci siamo!
Il puttaniere è stato registrato da una .... escort.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda mariok il 22/08/2009, 11:54

20 agosto 2009, in Marco Travaglio

Se non son servi non li vogliamo

Mosca tzé tzé
da Antefatto.it

Un mese fa, quando sono partito per 15 giorni di vacanza all’estero, mi sono detto: finalmente due settimane senza televisione italiana. Invece, appena arrivato, ho scoperto con raccapriccio che nel villaggio turistico arrivavano Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Italia1, TgLa7. Ogni tanto ci davo un’occhiata, per tenermi aggiornato sull’Italia: a parte la notizia che faceva caldo (ovviamente record, come ogni anno a memoria d’uomo) e la gente andava in vacanza - fenomeni inediti, soprattutto d’estate - e quella che Berlusconi garantiva una brillante uscita dalla crisi e una pronta entrata degli abruzzesi nelle case che sta costruendo con le sue mani, per non parlare dell’ennesimo colpo a vuoto del Superenalotto, non ho saputo altro. Mi è persino venuta un po’ di nostalgia per i giornali italiani, almeno finchè in paese non ne ho trovato uno, vecchio di tre giorni: poi è passata. Me lo sono portato in spiaggia, circondato dall’invidia di altri italiani in astinenza, e sfogliandolo ho appreso che in Italia faceva caldo, che gli italiani erano in vacanza e che presto l’Italia sarebbe uscita dalla crisi e gli abruzzesi sarebbero rientrati nelle case eccetera. Niente da fare, invece, per il Superenalotto.

Dopo qualche giorno di black out totale, sono rientrato in Italia e all’aeroporto ho subito fatto incetta di quotidiani: caldo record, esodo dei vacanzieri, prossima uscita dalla crisi ed entrata nelle case, Superenalotto. L’altra sera riaccendo un tg dopo tre settimane: il Tg1, per la precisione. Fuffa politichese con le solite figurine che esternano a turno per pochi secondi ciascuna, visibilmente abbronzate e circondate da scenari turistici (a parte Capezzone, sempre pallidissimo col Transatlantico sullo sfondo e le piaghe da decubito, a far la guardia al bidone). Poi gli esteri (credo, gli short di Michelle Obama e, più di fretta, qualche carrettata di morti in Irak e Afghanistan). Poi l’inutilmente ridanciano Attilio Romita annunciava nell’ordine (non sto scherzando): “Nuovo colpo di scena nel giallo della ragazza rom uccisa da un’auto pirata”; primo collegamento con i Monopoli di Stato per l’estrazione del Superenalotto; “tutti i rischi per i cercatori di funghi” (con preziosi consigli dell’esperto, tipo “portare calzature idonee” e “se vi perdete, cercate di orientarvi”); “caldo record, allarme in nove città”; secondo collegamento con Superenalotto; le vacanze di Madonna a Portofino; il nuovo trend delle spiagge attrezzate per cani; terzo collegamento con il Superenalotto; sigla.

Intanto, sulla Stampa, un circostanziato articolo di Maurizio Molinari con varie frasi virgolettate di analisti e uomini del Dipartimento di Stato rivelava che l’amministrazione Obama è furibonda per l’asse Berlusconi-Putin-Erdogan sul gas e a Washington si ipotizzano (sempre fra virgolette) “interessi particolari di Berlusconi nell’aumentare i legami energetici con la Russia”. Dove “particolari” sta per “personali”: insomma, secondo gli americani, Al Pappone si starebbe facendo - tanto per cambiare - gli affari suoi. La notizia ovviamente, a parte i lettori della Stampa, non l’ha saputa nessuno. Il Tg1, per dirla col suo direttore Scodinzolini, “non fa gossip”. E gli altri nemmeno (infatti sono scatenati appresso alle voci su George Clooney gay). Ma Al Pappone la notizia l’ha notata eccome, infatti ha fatto sparare dai suoi sgherri contro il direttore della Stampa, Mario Calabresi, con una volgarità finora sconosciuta financo ai suoi sgherri, il che è tutto dire.

E’ accaduto che un distratto redattore del quotidiano torinese abbia pubblicato la foto di una prima pagina dell’Avvenire tratta da internet, senz’accorgersi che il titolo del giornale dei vescovi era un fotomontaggio beffardo come i tanti che girano in rete (“Il Papa a sorpresa: Silvio, ora basta”). Appena scoperto lo svarione, La Stampa s’è scusata con i lettori e con l’Avvenire. Cose che càpitano. Ma l’house organ berlusconiano, che di falsi d’autore se ne intende visto che ne fabbrica da anni in quantità industriali, ha sparacchiato la cosa addirittura in prima pagina, attribuendola a una scelta dolosa, a un complotto del giornale di casa Agnelli, notoriamente comunista. Titoli: “Così si fabbrica un falso scoop anti Cavaliere”; “L’odio in redazione”; “La Stampa crea un falso per attaccare il premier”; “Copia, incolla e tarocca: il bersaglio è sempre il Cav”.

Elegante la chiusa dell’editoriale di Paolo Granzotto: “Lascia un po’ disorientati che un esempio così palese del sonno della ragione, del gioco sporco, della mascalzonaggine intellettuale venga da un giornale diretto da Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi Calabresi. Egli, difatti, dovrebbe ben sapere quale ne sia la caratura etica e dove conducono le orchestrate campagne d’odio che procedono per isterismi, per rabbiosi luoghi comuni, per falsi teatrali e carte truccate nel mazzo. Egli più di ogni altro”. Qualcuno potrebbe pensare che questa sconcezza sia uscita per volontà di Mario Giordano: Invece no: lo Jervolino di casa Berlusconi è stato appena giubilato per fare, anzi per rifare posto a Vittorio Feltri. Qualcun altro potrebbe dunque pensare che quella sconcezza sia stata commissionata da Vittorio Feltri. Invece no: il popolare Littorio s’insedierà al Giornale soltanto domani. La verità è che quella sconcezza è il frutto spontaneo della gara al servo più servo che è in corso negli house organ alpapponici. Perché al bulimico padrone non basta più nemmeno la piaggeria di un Giordano nè l’obbedienza di un Belpietro (anch’egli trasmigrato a Libero, dopo la promessa non mantenuta del Tg1): ora Al Pappone pretende, se possibile, di più. E Granzotto ha voluto dimostrare che tutto è possibile: anche superare in servilismo Mariolino Linguadivelluto. La stessa gara è in corso alla Rai: non per nulla hanno nominato i direttori che sappiamo; non per nulla nessun tg, nemmeno il Tg3, ha mai osato intervistare la signora Patrizia D’Addario, notissima e popolarissima in tutte le tv del mondo fuorchè in quelle italiane.
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda mariok il 23/08/2009, 12:10

22 agosto 2009, in Marco Travaglio

Feltri. Uahahahahahah

Mosca tzé tzé
da Antefatto.it

Scrive Littorio Feltri nell’editoriale d’esordio sul Giornale che è tornato a dirigere dopo averlo lasciato nel dicembre del 1997: “Con il cuore, non me n’ero mai andato”. Uahahahahahah. Feltri se ne andò 12 anni fa dopo che il Cavaliere aveva definito “incidente gravissimo” il suo articolo di prima pagina in cui chiedeva scusa a Di Pietro per averlo calunniato per due anni con le fandonie su inesistenti tangenti di D’Adamo e Pacini Battaglia: “Caro Di Pietro, ti stimavo e non ho cambiato idea”. Seguivano due paginoni in cui il Giornale di Feltri si rimangiava quei due anni di campagne antidipietriste: “Dissolto il grande mistero: non c’è il tesoro di Di Pietro”, “Di Pietro è immacolato”, “dei famigerati miliardi di Pacini” non ha visto una lira, dunque la campagna del Giornale era tutta una “bufala”, una “ciofeca”, una “smarronata” perché la famosa “provvista” da 5 miliardi non è mai esistita. Insomma Feltri confessava di aver raccontato per ben due anni un sacco di balle ai suoi lettori. E lo faceva proprio alla vigilia delle elezioni suppletive nel collegio del Mugello, dove Di Pietro era candidato al Senato per il centrosinistra contro Giuliano Ferrara e Sandro Curzi. In cambio di quella ritrattazione e di un risarcimento di 700 milioni di lire, l’ex pm ritirò le querele sporte contro il Giornale, tutte vinte in partenza. Furente Ferrara, furente Berlusconi. Così Feltri, spintaneamente, se ne andò. Non a nascondersi, come gli sarebbe capitato in qualunque altro paese del mondo. Ma a dirigere altri giornali: il Borghese, il Quotidiano nazionale di Andrea Riffeser (sei mesi prima aveva dichiarato all’Ansa: “Per carità! Conosco Riffeser da una vita e ogni volta che ci vediamo mi dice 'Sarebbe bello se tu venissi con noi', ma tutto finisce lì. Non sto trattando con nessuno. Ma tanto so già che nessuno ci crederà, comunque è così”).

Mentre usciva dal Giornale, Littorio sparò a palle incatenate contro i fratelli Berlusconi: “Provo un certo fastidio: per la causa comune mi sono esposto (alla transazione con Di Pietro, ndr), poi gli altri si sono ritirati e io sono rimasto con la mia faccina e tutti ci hanno sputato sopra. La cosa non ha fatto per niente piacere. Così si rompe un rapporto di fiducia… Mi sono trovato da solo e ho le ferite addosso e il morale a terra” (Ansa,10 novembre 1997). E il Cavaliere gli diede del bugiardo: “Feltri ha detto ultimamente qualche piccola bugia, però è ampiamente scusato” (Ansa, 7 dicembre 1997).

Feltri ora ricorda la sua prima esperienza (dal 1994 al ’97) di direttore del Giornale, “ereditato da Indro Montanelli” e si appella ai “lettori che già furono miei e di Montanelli prima che cedesse a corteggiamenti progressisti”. Uahahahahahah. In realtà Montanelli non cedette ad alcun corteggiamento progressista: rimase l’uomo libero che era sempre stato. E Feltri non ereditò un bel niente: semplicemente prese il suo posto (dopo averlo a lungo negato) quando Berlusconi mise in condizione Montanelli di andarsene perché “non volevo trasformarmi in una trombetta di Forza Italia” né Il Giornale che aveva fondato “nell’organo di Forza Italia”, come il Cavaliere pretendeva e come Feltri voluttuosamente accettò di fare. Montanelli, lungi dal ritenere Feltri il suo erede, lo disprezzava profondamente. Infatti il 12 aprile 1995 dichiarò al Corriere della sera: “Il Giornale di Feltri confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!”.

Ma il meglio Littorio lo dà quando racconta che ora “Il Giornale mi si è offerto garantendomi la libertà della quale ho bisogno per lavorare”, perché lui sarebbe “insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico”, e poi “questo non è mai stato un foglio di partito e il Pdl si illude se pensa lo possa diventare. La famiglia Berlusconi e gli altri azionisti da me si aspettano molto tranne una cosa: che trasformi Il Giornale in un megafono di Berlusconi. Non sarei in grado. Mi manca la stoffa del cortigiano”. Uahahahahahah. Prima di lasciare Il Giornale nel 1997, Feltri chiese provocatoriamente a Berlusconi di venderglielo: “Ho fatto una proposta organica per l'acquisto del Giornale perchè non sono disposto a fare un quotidiano di partito. Se la famiglia Berlusconi la accetterà, bene, altrimenti potrei pensare di lasciare. Rimarrei solo a condizione di poter fare un giornale indipendente e non, come qualcuno evidentemente sperava, l'organo di Forza Italia o del Polo, di cui non mi frega niente. Se un deputato di Forza Italia come Roberto Tortoli chiede le mie dimissioni e nessuno lo smentisce, vuol dire che non è il solo a pensare che Il Giornale debba essere il quotidiano di Forza Italia. Sono stato costretto a questo passo dopo le ultime vicende che hanno umiliato la redazione e rischiano di far sentire al lettore l'esistenza di un cordone ombelicale che lega Il Giornale a Forza Italia. Io invece voglio fare un quotidiano indipendente e lo dimostrerò, quando ne avrò occasione, anche in modo clamoroso” (Ansa, 14 novembre 1997).

Oggi, nella fretta, Feltri dimentica di spiegare come mai a richiamarlo al Giornale sia stato un signore che non possiede nemmeno un’azione del Giornale, cioè il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, scavalcando l’editore, il fratello Paolo, informato come al solito a cose fatte. Se l’è lasciato sfuggire, come se fosse un dettaglio insignificante, lo stesso Littorio l’altra sera nella rassegna di regime di Cortina Incontra: “Il 30 giugno scorso ho incontrato Silvio Berlusconi. Ogni volta che lo vedevo mi chiedeva: ‘Ma quand'è che torna al Giornale?’. E io: ‘Sto bene dove sono’. Ma quel giorno entrò subito nei dettagli, fece proposte concrete e alla fine mi ha convinto”. Materiale interessante per le Authority che dovrebbero vigilare sui conflitto d’interessi, se non fossimo in Italia.

L’ultima parte dell’editoriale feltriano è una grandinata di insulti a Gianni Agnelli (possibile “furfante”, “vero peccatore”) per le ultime rivelazioni sui fondi neri in Svizzera. Una prova di coraggio da vero cuor di leone, visto che l’Avvocato è morto da tempo. Per la verità, che la Fiat e la famiglia Agnelli avessero montagne di soldi all’estero era già emerso nel processo intentato dai giudici di Torino ai vertici Fiat a metà degli anni 90, concluso con la condanna definitiva dell’allora presidente Cesare Romiti per falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti. Ma all’epoca Agnelli era vivo e potente, dunque Feltri e il Giornale difendevano a spada tratta casa Agnelli e attaccavano i giudici che osavano processarla.

Visto che Il Giornale non è l’organo di Forza Italia né, men che meno, il megafono di Berlusconi, Littorio Feltri sul Giornale difende appassionatamente Papi dalle inchieste del gruppo Repubblica-Espresso. Che strano. Nel ’97, lasciando Il Giornale, lo stesso Feltri si profondeva in salamelecchi verso il gruppo Repubblica Espresso e il suo editore Carlo De Benedetti: “Non ho mai litigato con nessuno, tantomeno con De Benedetti, che ho sempre stimato e di cui credo di potermi definire da sempre amico. Quando si sposò, fummo l'unico giornale italiano a pubblicare la sua foto con signora. Ho ottimi rapporti anche… con Carlo Caracciolo e Eugenio Scalfari” (Ansa, 13 novembre 1997). Come passa il tempo.

La chiusa dell’editoriale di oggi è un capolavoro: “I neopuritani laici - scrive Feltri - non muovono un dito per deplorare quanto sta avvenendo sul fronte fiscale” a proposito dei presunti fondi neri di Agnelli in barba al fisco. Invece - aggiunge - “se un simile sospetto gravasse sulla testa di Berlusconi, i giornali non si occuperebbero d’altro”, anche perché “i soldi sottratti al fisco sono un danno allo Stato, ai cittadini che sono costretti a versare puntualmente denaro all’Agenzia delle Entrate”. Uahahahahahah. Il fatto è che un simile sospetto grava eccome sulla testa di Berlusconi, rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Milano per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita per svariate centinaia di milioni di euro nascosti nei paradisi fiscali. Processo sospeso dal lodo Al Fano. Perché Littorio Feltri, questo campione della libertà di stampa “insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico”, questo pezzo d’uomo a cui “manca la stoffa del cortigiano” non se ne occupa con una bella inchiesta sul suo Giornale libero e bello? Uahahahahahah.
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda mariok il 26/08/2009, 10:08

repubblica.it ha scritto:Lo scontro al settimo piano di Viale Mazzini è aspro
Sotto tiro i programmi di Fazio, Dandini, Gabanelli

Pdl all'attacco di RaiTre
spuntano Minoli e Mentana

di MAURO FAVALE

ROMA - All'attacco di Raitre. Con l'obiettivo di ammorbidire l'unica rete Rai sgradita a Palazzo Chigi e mettere da parte Fabio Fazio, Luciana Litizzetto, Milena Gabanelli e Serena Dandini. Un disegno che prevede il cambio del direttore di Raitre Paolo Ruffini con Giovanni Minoli. Sembra questo l'obiettivo di Berlusconi e del direttore generale di Viale Mazzini Mauro Masi. Ed è ai "colpi di mano" che il Partito Democratico prova a trovare un argine.

Lo scontro al settimo piano di Viale Mazzini è aspro. Masi annuncia che le "nomine devono restare slegate dal congresso Pd", adombrando l'ipotesi che i "frenatori" al cambio dei vertici di Tg3 e RaiTre siano proprio i consiglieri di opposizione in Cda. Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten rigettano al mittente le accuse.

La quiete sulla Rai è durata il tempo di un temporale estivo. Nemmeno due settimane di tregua. E ora si ritorna a parlare di nomine in vista del prossimo Cda del 9 settembre. Obiettivi puntati sulla terza rete. Diretta da Paolo Ruffini dal 2002, aspramente criticata da Silvio Berlusconi nelle sue ultime uscite oggetto, pare, di un tentativo di "normalizzazione". Che il direttore generale proverebbe ad attuare portando in Cda un nome solo: Giovanni Minoli. Su di lui puntano Berlusconi e Masi. Ma il direttore di Rai Educational e Rai Storia, storico volto tv, ha una controindicazione di carattere anagrafico: è a otto mesi dalla pensione, visto che nel maggio del 2010 compie 65 anni. I più maliziosi, poi, ricordano le telefonate intercettate un anno fa ad Agostino Saccà che, da direttore di Rai Fiction, vicinissimo al Cavaliere, cercava di tessere una tela per portare Minoli alla direzione generale.

Potrebbe passare dall'inventore di Mixer il ridimensionamento di "Report", "Che tempo che fa", "Parla con me"? Rizzo Nervo si guarda bene dal commentare quelli che definisce "nomi d'agosto". Però conferma: "Prima di qualsiasi cambio Masi ci deve dire esplicitamente che non ha intenzione di toccare né la satira né l'inchiesta di RaiTre. Se non ci dà questa garanzia ogni nome che propone diventa discutibile". Senza trascurare il fatto che, da sempre, le nomine per la Terza Rete, per consuetudine assegnate al centrosinistra, sono sempre state concordate.

La quadratura del cerchio, per il Pd, sarebbe mantenere Ruffini alla Rete e promuovere Bianca Berlinguer alla direzione del Tg3. Trovando una collocazione adeguata (probabilmente all'estero) per l'attuale direttore Antonio Di Bella. Proposte che il Pd afferma di aver avanzato al dg già prima della pausa estiva, per fugare i dubbi di voler attendere il congresso e i nuovi equilibri interni ai democratici. Masi, però, avrebbe detto di no, puntando ad un cambio di Ruffini e proponendo per l'attuale direttore di Rete una ricollocazione al Gr Parlamento. Una proposta definita dal Pd "indecente".

Il totonomine impazza e vedrebbe alla direzione del Tg3 anche Enrico Mentana o Barbara Palombelli. Il primo "epurato" da Canale 5 dopo aver denunciato che Mediaset era diventata "un comitato d'affari". La seconda è giornalista e scrittrice. La destra attacca parlando di "lottizzazione". Vincenzo Vita, Pd, membro della Commissione di Vigilanza risponde: "C'era una volta la lottizzazione. Ora, invece, c'è la berlusconizzazione della Rai". Con Di Pietro che accusa: "Ormai il servizio pubblico è una costola di Mediaset. Chiamiamola Raiset".


(26 agosto 2009)


Spero che il nome di Barbara Palombelli sia una battuta di spirito, per altro di cattivo gusto!
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda mariok il 27/08/2009, 7:48

La Rai rifiuta il trailer di Videocracy
"E' un film che critica il governo"
di MARIA PIA FUSCO



ROMA - Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c'è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent'anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo.

"Come sempre abbiamo mandato i trailer all'AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film", dice Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film. Netto rifiuto anche da parte di Mediaset, in questo caso con una comunicazione verbale da Publitalia. "Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset".

A lasciare perplessi i distributori di Fandango e il regista sono infatti proprio le motivazioni della Rai. Con una lettera in stile legal-burocratese, la tv di Stato spiega che, anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.

"Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un "inequivocabile messaggio politico di critica al governo" perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi", prosegue Procacci "ma quei dati sono statistiche ufficiali, che sò "l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità"".

A preoccupare la Rai sembra essere questo dato mostrato nel film: "L'80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione". Dice la lettera di censura dello spot: "Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata", non solo viene riproposta la questione del conflitto di interessi, ma, guarda caso, si potrebbe pensare che "attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso". "Mi pare chiaro che in Rai Videocracy è visto come un attacco a Berlusconi. In realtà è il racconto di come il nostro paese sia cambiato in questi ultimi trent'anni e del ruolo delle tv commerciali nel cambiamento. Quello che Nanni Moretti definisce "la creazione di un sistema di disvalori"".

Le riprese del film, se pure Villa Certosa si vede, è stato completato prima dei casi "Noemi o D'Addario" e non c'è un collegamento con l'attualità. Ma per assurdo, sottolinea Procacci, il collegamento lo trova la Rai. Nella lettera di rifiuto si scrive che dato il proprietario delle reti e alcuni dei programmi "caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo".

"Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re - dice Procacci - Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come "Viva Zapatero" o a "Il caimano", che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l'Italia è cambiata".

(27 agosto 2009)
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda franz il 27/08/2009, 8:25

"Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re - dice Procacci - Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come "Viva Zapatero" o a "Il caimano", che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l'Italia è cambiata".

Spot a parte, non mi risulta che le televisioni italiane, pubbliche o private, abbiano tramesso il Caimano.
Io l'ho visto in TV sulla TV Svizzera, alcune sere fa.
Una delle prime cose fatte da Berlusconi, per affermare il suo dominio televisivo negli anni 80, è stato disfarsi dei concorrenti "liberi" che trasmettevano a coloro dall'estero, come Capodistria, Telemontecarlo e la Svizzera, agendo sui ripetitori che portavano il seglale anche fino a Roma.
Bye,
Franz
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Re: “Non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione".

Messaggioda mariok il 29/08/2009, 11:55

28 agosto 2009, in Marco Travaglio

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Da quando il fisco indaga sulle denunce di Margherita Agnelli a proposito del presunto miliardo e mezzo nascosto in Svizzera dal padre Gianni, gli house organ di casa Berlusconi e dintorni hanno scoperto all’improvviso gli orrori dell’evasione. Dal Tg5 al Giornale, da Libero a Panorama al Riformista, è tutto un gongolare: evviva, l’Avvocato era peggio del Cavaliere. Sono soddisfazioni. In verità Agnelli non risulta aver corrotto giudici o testimoni, né ospitato mafiosi in casa sua e pare non sia mai stato capo del governo. Ma sono dettagli. Sul suo cadavere s’è subito avventato Vittorio Feltri, appena tornato al Giornale, con la leggiadria che gli è propria: “furfante”, “peccatore”, “cattivo maestro”, “modello per gli evasori”, “derubava gli azionisti” e “il popolo”. Tutto questo Agnelli, mentre quell’educanda del premier si limita - scrive il nobiluomo bergamasco - a “toccare il sedere a una ragazza cui va a genio farselo toccare”. Ergo: “Se un simile sospetto (le evasioni agnelliane, ndr) gravasse sulla testa di Berlusconi, i giornali non si occuperebbero d’altro”, perché “i soldi sottratti al fisco sono un danno allo Stato e ai cittadini”.

Purtroppo, un simile sospetto grava eccome sulla testa bitumata del suo padrone, imputato al Tribunale di Milano per aver sottratto a Mediaset 280 milioni di euro (appropriazione indebita), non averci pagato le tasse (evasione per 60 milioni) e aver falsificato i bilanci, ma improcessabile per Lodo ricevuto. Eppure i giornali, a cominciare dal suo, parlano d’altro. Come a metà degli anni 90, quando la Fiat era alla sbarra a Torino per fondi neri e tangenti ai partiti. Faceva eccezione Il Giornale di Feltri, che seguiva appassionatamente il processo. Ma per difendere dai giudici cattivi l’azienda di colui che oggi chiama “furfante”: a raccontare le udienze per l’organo feltriano erano la moglie del capufficiostampa Fiat e il pio Renato Farina, non ancora passato ai servizi segreti.

Ecco Betulla nel ’95 alle prese con l’interrogatorio di Cesare Romiti, puro rapimento mistico: “Ho visto Romiti nell’istante di eternità in cui ha varcato la porta degli uffici giudiziari e si è trovato nel sole del lavoro… con gli occhiali che dicono forza e la mascella quadrata del Colleoni rinascimentale… E’ un nonsenso. Mentre l’economia rialza la testa, ci si rivolge contro la gran madre di tutte le aziende in ripresa, cioè la Fiat…Come fa a saper tutto chi (Romiti, ndr) è alla testa di 1103 imprese, di cui 4 o 5 hanno pagato tangenti? A Roma i giudici han ragionato e prosciolto. Ma a Milano, ma a Torino?… Speriamo si cominci a ragionare e la si smetta, per togliere le macchie dal pavimento, di picconare la casa in cui viviamo tutti”. Feltri completava l’opera con titoloni del tipo: “I giudici spendono 14 miliardi per incastrare Fiat e Fininvest. E per i delitti più impressionanti non ci sono mezzi”. Era il 1996. Chissà cos’è cambiato, da allora a oggi, per l’impavido direttore del Giornale. A parte il fatto che Agnelli è morto, s’intende.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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