La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

La ricetta di Savona per risanare il debito.

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

La ricetta di Savona per risanare il debito.

Messaggioda ranvit il 19/08/2009, 18:09

19/08/2009

da ilmattino.it :



Paolo Savona

Circolano in questi giorni stime sul patrimonio immobiliare degli enti locali: ammonta a 100 miliardi di euro secondo i dati di bilancio, ma il valore di mercato è considerato pari a tre volte tanto. Un'indagine promossa dal quotidiano Il Sole-24 Ore su 46 capoluoghi di provincia indica che sono in corso piani di alienazione di immobili pari a poco meno di 2 miliardi e non cessano le pressioni per avere dalle Regioni e dallo Stato centrale maggiori disponibilità anche se in deficit.
Le dichiarazioni che accompagnano queste cessioni, e che sembrano ispirare questa accensione di interesse per l'entità della proprietà pubblica locale, sono connesse con il desiderio di effettuare altri investimenti e tra questi quelli volti a dare attuazione a una politica per la casa. Salvo poi aggiungere che non si possono alienare le sedi dove si svolgono le attività istituzionali così come gli uffici pubblici e i centri dove si prestano servizi sociali e culturali. Il perché non si capisce, considerato lo stato di degrado o i costi elevati di gestione di questi immobili.
Non una parola viene spesa per inquadrare il problema delle cessioni di patrimonio pubblico in una strategia di politica economica capace di allentare il vincolo europeo alla crescita dovuto al mancato rispetto dei parametri di bilancio e di debito pubblico. E che riguarda indistintamente ogni cittadino e ogni articolazione istituzionale. Non solo perché tutti devono essere coscienti della responsabilità solidale che li lega al debito dello Stato in circolazione, ma anche e soprattutto perché con questa corda al collo l'Italia non è in condizione di gestire neanche quel poco spazio di azione nazionale che ci lascia la concorrenza europea e globale.
Chi negli anni ottanta si oppose alla crescita dell'indebitamento uscì politicamente sconfitto. Sarebbe istruttivo fare un censimento delle idee dei rigoristi odierni che allora consideravano «sopportabile» l'espansione e l'onere del debito pubblico. Che altro non è se non una tassa differita che da decenni paghiamo, ponendo il nostro reddito al suo servizio e non a quello del benessere e dello sviluppo (che, infatti, si sono entrambi ridotti). Finora le cessioni di patrimonio pubblico hanno riguardato in larga parte lo Stato centrale e hanno toccato soprattutto le partecipazioni nell'industria, dall'Iri, cedute per la totalità, alle partecipazioni in Enel e Eni, cedute in parte; nello stesso periodo vennero alienate anche le banche di interesse nazionale ancora in mano allo Stato. La motivazione era quella di farla finita con abusi e cattive gestioni della mano pubblica, laddove si annidavano, e di rilanciare il mercato contando sulla sua efficienza. Fin dai primi passi di queste privatizzazioni la legge indicò lo scopo: destinare il ricavato alla riduzione del debito pubblico. Di ciò non si fa menzione nel caso del patrimonio locale, che presentava e presenta gli stessi e talvolta più gravi problemi del patrimonio centrale. Attorno a esso restano avvinghiati l'abusivismo e l'inefficienza. Non si raccoglie più, o quanto meno non si divulga, il gettito proveniente dalle cessioni, che pochi anni orsono aveva superato i 100 miliardi di euro, ma si trattava quasi interamente del patrimonio dello Stato centrale. Né se ne conosce il suo uso: ma è facile appurarlo, perché l'indebitamento pubblico è cresciuto incessantemente, nonostante il concomitante incremento della pressione tributaria.

Con la scusa della crisi, la marcia delle due variabili è ripresa alla grande, ma la politica pare insensibile al problema anche perché lo è la pubblica opinione, compresa quella (cosiddetta) qualificata. Il debito pubblico in essere non è un problema dello Stato centrale del quale le organizzazioni locali possono disinteressarsi. Il patrimonio pubblico centrale e locale è un «collaterale» di questo debito, ossia rappresenta la garanzia della sua restituzione. Non è pensabile, sul piano economico, che sia rimborsato facendo leva sulle entrate tributarie perché questo causerebbe una grave crisi; né lo è sul piano etico-sociale, continuamente invocato, perché la responsabilità del rimborso coinvolge anche persone e politiche delle città e delle Regioni.
È errore grave che le regole di attuazione del federalismo fiscale prescindano dalla sistemazione di questa corda al collo dello sviluppo italiano. Se gli enti locali dispongono di 300 miliardi di soli immobili e lo Stato centrale ne dispone secondo altre stime di 400, queste cessioni, se gestite con tecniche finanziarie adeguate e buone ristrutturazioni, potrebbero consentire di abbattere il debito pubblico in misura significativa. Aggiungendo a questo patrimonio da cedere anche le partecipazioni finanziarie in società possedute dallo Stato centrale e da enti locali, non solo si darebbe una svolta democratica e di serietà alle gestioni «politiche» del patrimonio pubblico, ma si potrebbe rientrare nel parametro del 60% del debito statale concordato a Maastricht, compiendo un'opera che la storia ricorderebbe e conferendo all'Italia un prestigio senza precedenti.
A questo progetto sono state mosse due obiezioni.
La prima è che lo Stato finirebbe con pagare di più, dovendo prendere in affitto le sedi cedute. Se così fosse, significherebbe che attualmente l'uso di questi immobili è fuori mercato con conseguenze contabili che la Corte dei Conti dovrebbe considerare e conseguenze economiche negative non facilmente valutabili.
La seconda è che il Fisco perderebbe il gettito derivante dalle sue partecipazioni gestite in condizioni di vantaggio «posizionale». Trovo questo assai più grave, perché significherebbe non solo che non c'è sufficiente concorrenza a causa della presenza dello Stato, ma anche che i cittadini pagano tasse occulte sotto forma di maggiori prezzi per i beni di largo consumo prodotti e venduti dalle società partecipate.
Paolo Savona
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
ranvit
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10669
Iscritto il: 23/05/2008, 15:46

Torna a Economia, Lavoro, Fiscalità, Previdenza

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 7 ospiti