L'altro giorno riflettevo su questo fatto: che un modello di sviluppo "dinamico", in cui se si raggiunge l'equilibrio si entra in crisi, non puo' durare, per definizione, all'infinito. Ora, visto che come tutti sanno un livello di inflazione zero, o un PIL stazionario, portano con se una crisi economica, ci dev'essere qualcosa che non va. Questo senza toccare l'aspetto "risorse limitate del pianeta" che contiene in se il problema che nessuno puo' veramente dire se questo pianeta puo' contenere 1 miliardo o 10 miliardi di persone piu' o meno "felici".
Mi piacerebbe se riuscissimo a discutere di questo senza barricarci dentro a schemi come la fiducia incondizionata nel liberismo o nel socialismo. Al di la' del fatto che abbiamo (e probabilmente avremo anche in futuro) periodi di benessere crescente grazie a entrambi questi paradigmi, un problema c'e': cosi' non si puo' continuare all'infinito. Supponiamo infatti che anche la gran parte dell'Asia e del Sud America vadano "a regime", cioe' arrivino ad un livello di sviluppo simile al nostro, senza catastrofi ambientali ed economiche finali (poco probabile, ma teoricamente possibile). Supponiamo che per un qualche miracolo anche l'Africa e il Medio Oriente, quei grandi buchi neri cosi' vicini a noi, arrivino ad un livello di condizioni economiche simili al nostro e dimentichiamo per un attimo che forse il nostro livello di vita si basa proprio sulla loro poverta'. E poi? Anche se questi miracoli poco credibili si verificasseero, si puo' continuare all'infinito sperando in un inflazione del 2%, in un incremento annuale positivo del prodotto interno lordo?
pagheca
L’USCITA DALLA CRISI E LA SUA EREDITÀ/3
Utopie dannose e utopie utili
Un illuminato governo mondiale che avesse il compito di trarci fuori dalla crisi ragionerebbe pressappoco così: non basta arrestare il crollo dell’economia e della finanza, obiettivo perseguito finora; uscire davvero dalla crisi significa porre il mondo sul sentiero di una crescita che possa durare nel tempo senza sfociare in una nuova catastrofe: una crescita, come dicono gli economisti, sostenibile.
L’aggettivo «sostenibile» è stato molto approfondito negli ultimi venti o trent’anni e ha almeno tre significati. Il primo è economico- finanziario : per tutti i soggetti pubblici e privati ci deve essere un equilibrio durevole tra risorse impiegate e risorse disponibili. Il secondo è sociale : disparità di vita troppo grandi tra i popoli o i ceti offendono la solidarietà umana e minacciano pace e sicurezza. Il terzo è ambientale : la natura stessa, un tempo imperturbabile come Giove Olimpo, è diventata fragile e chiede protezione. La crescita ante-2007 era insostenibile sotto il profilo economico-finanziario, oltre che sotto gli altri due. Ignorarlo ha portato al disastro, che ha distrutto molta della ricchezza creata negli anni grassi. Sarebbe irresponsabile farvi ritorno; il tentativo, se compiuto, probabilmente fallirebbe.
Si può allora chiedere: perché mai «crescita»? Non sarebbe meglio la cosiddetta «crescita zero», proposta decenni fa dal Club di Roma? La risposta è no, perché non sarebbe sostenibile socialmente; non basterebbe a migliorare la condizione dell’oltre metà del genere umano priva di scarpe ai piedi, di acqua potabile, di cure mediche adeguate, per non dire del miliardo a rischio di morte per fame. No, quindi, alla crescita zero per il mondo intero; ma sì (o quasi) per il mondo ricco, che scarpe ne ha in abbondanza, lascia aperto il rubinetto dell’acqua, getta molte delle medicine ottenute gratis e da solo produce gran parte del degrado ambientale. In breve: crescita mondiale moderata, concentrata nei Paesi emergenti di Asia e America latina, presidiata da un sistema mondiale di leggi, tasse, spese, incentivi, aiuti, norme ambientali che la rendano sostenibile sotto i tre profili.
Le questioni irrisolte e le difficoltà concettuali non sono da poco, ma un modello di crescita sostenibile non è, per l’economista, terra incognita. Indirizzarvi l’economia- globale-di-mercato, mobilitando i normali strumenti di governo propri di ogni stato moderno non sarebbe impossibile. Politicamente e tecnicamente difficilissimo, sì, ma non impossibile. Sappiamo bene che l’illuminato governo mondiale di cui stiamo parlando non esiste. E allora? Dedurne che il mondo s’incamminerà spontaneamente sul sentiero qui descritto è un’utopia dannosa, al pari del credere che fuori da quel sentiero tutto possa filar liscio. Il pianeta ospita circa duecento Stati che si dicono sovrani, ciascuno intento a promettere l’uscita dalla crisi e a trarre vantaggio da ogni errore o debolezza degli altri. Sono in agguato inflazione, conflitti commerciali, nuove crisi, per non dire guerre minacciate e guerreggiate. Non la mano invisibile di Adamo Smith, ma il caos descritto da Hobbes.
Pensare una crescita mondiale sostenibile è, invece, un’utopia utile, perché anche se il governo mondiale è assai lontano e se il G20, il Fondo monetario internazionale, le Nazioni Unite ne sono solo simulacri pallidissimi, essi sono pur sempre gli unici luoghi dove cercare i frammenti di un’azione responsabile.
Tommaso Padoa-Schioppa
19 agosto 2009