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politiche demografiche e natalita'

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

politiche demografiche e natalita'

Messaggioda pagheca il 14/08/2009, 14:36

Recentemente si e' discusso sui giornali italiani e a livello di governo di politiche demografiche, di bonus bebe' e del costo di allevare i figli. Vorrei condividere con chi e' interessato alcune riflessioni un po' pedanti e tecniche forse, ma vi assicuro con risultati molto interessanti.

Non e' facile spiegarsi perche' alcuni Paesi hanno, a parita' di condizioni, un indice di natalita' elevato e altri meno. Perche' gli indici di natalita' di Hong Kong (7.37 nati all'anno ogni 1000 abitanti), Giapppone (7.87), Germania (8.18) e Italia (8.36) sono i piu' bassi del mondo (dati 2008)? Che cosa hanno in comune fra loro questi 4 Paesi? Se uno va oltre trova Austria, Macau (!), Bosnia Erzegovina, Jersey, Repubblica Ceca etc. Tutti paesi come vedete diversissimi fra loro. Praticamente tutti i paesi europei hanno indici inferiori a 12, con il massimo in Norvegia - molto interessante, come vedremo piu' tardi - di 11.12.

Io credo che le politiche di aiuto ai nuovi nati, ai bambini e ai loro genitori siano estremamente necessarie per ovvi motivi, ma non credo sia facile "convincere" una nazione a incrementare sensibilmente l'indice di natalita'. Ci piacerebbe, ma non sembra SOLO una questione di asili nido, di rispetto sul lavoro per le madri (cosa che dalle molte testimonianze mi sembra sia sotto le scarpe in Italia...), di aiuti economici o di parchi giochi ben tenuti. Tutte cose estremamente necessarie per la qualita' della vita, ma chi si illude che un bonus possa innalzare gli indici di natalita' ha capito male la legge della domanda e dell'offerta. Questo al di la' del fatto se un basso indice di natalita' non sia una cosa positivo.

Ultimamente, comunque ho letto un articolo sull'argomento pubblicato di recente dall'Economist (ma ripreso da uno studio originale pubblicato su Nature), per chi e' interessato ad affrontare la questione scientificamente e al di la' delle "sensazioni" personali.

Essenzialmente, alcuni ricercatori della Univ. of Pennsylvania, USA, hanno analizzato l'andamento della natalita' in tutti i Paesi del mondo. Dati risalenti al '75 mostrano che la natalita' era allora inversamente proporzionale al cosiddetto indice di sviluppo umano (HDI, o Human Development Index), parametro usato dall'ONU per misurare il benessere, che dipende dai salari, dalla speranza di vita e dal livello di istruzione.

Nei Paesi dove questo indice e' piu' basso l'indice di natalita' raggiunge gli 8 figli per donna. Mano a mano che l'HDI, e quindi il "benessere" aumenta, la natalita' per donna diminuisce, fino a raggiungere 1.3 (figli per donna), una quota incapace di sostenere i livelli attuali di popolazione per il quale e' necessario superare i 2.1 (su questo tornero' piu' tardi). Questo fatto sembra apparentemente difficile da spiegare. Siamo infatti gli unici "animali" la cui prolificita' tende a diminuire quando le probabilita' di sopravvivenza crescono.

In realta' esistono due strategie per massimizzare le capacita' di sopravvivenza dei propri cromosomi. La prima, quella adottata da quasi tutti gli animali, e' quella di generare un gran numero di figli, sperando che almeno alcuni di essi riescano a sopravvivere. Questo e' quello che accade dove le risorse "di famiglia" sono scarse o nulle, cioe' in natura e nei paesi poveri delle societa' umane. L'altra strategia e' quella di generare 1-2 figli, e concentrare su di loro tutte le risorse disponibili. Questo e' il modello riproduttivo adottato inconsciamente nelle societa' umane ricche, dove i genitori investono nei figli tutte le proprie risorse per garantirgli il successo. Personalmente mi sono ritrovato molto in questo modello, cosi' come, immagino, molti di voi. Ma le sorprese dell'articolo non finiscono qui.

Lo studio ha preso quindi in considerazione i dati del 2005. E qui e' risaltata una novita' inattesa. In questo periodo infatti, l'HDI dei paesi piu' ricchi e' aumentato ancora, e in certi casi ha raggiunto il suo valore massimo, che per definizione e' 1.

I risultati sono mostrati nella figura seguente:
Immagine

In questi Paesi diciamo cosi' "super-ricchi", la natalita' ha ripreso a crescere proporzionalmente all'HDI. Ovvero: in questo gruppo di Paesi, PIU' SI E' RICCHI E PIU' IL NUMERO DI FIGLI CRESCE, al contrario di quello che sembrava accadere finora. Una spiegazione possibile e' che in questi Paesi il benessere ha raggiunto un livello tale da permettere di allevare 3-4 figli senza esaurire le risorse familiari disponibili, e senza quindi ridurre le probabilita' di successo di ognuno di loro.

Questa analisi ha delle conseguenze importanti anche sulle politiche demografiche dei vari paesi. In particolare, quegli Stati dove il livello di nascite e' inferiore a quello necessario al mantenimento dei livelli di popolazione attuale, hanno bisogno, lo si desideri o no, di importare immigrati. Altrimenti vi sara' un momento, previsto intorno al 2050, in cui vi sara' un esplosione del rapporto tra pensionati e persone attive sul lavoro, creando il rischio di una catastrofe nella spesa pensionistica. E' noto che per scongiurare questo rischio un Paese a bassissima natalita' come l'Italia deve importare *ogni anno* immmigrati per circa l'1.5% della popolazione residente, ovvero circa 900.000 persone, proprio quello che sta accadendo automaticamente. L'altra conseguenza, se i risultati di questo studio verranno confermati, e' che se la ricchezza delle nazioni del Mondo Sviluppato continuera' ad aumentare, si assistera' ad una inversione di tendenza nella natalita'. Se e' quindi vero che la ricchezza non comporta necessariamente un aumento del numero dei figli (con buona pace di chi pensa di risolvere il problema con un bonus bebe'), e' anche vero che se la ricchezza aumenta oltre un certo livello, il problema si risolve da solo. La terza conseguenza e' che per risolvere il problema della sovrappopolazione bisognerebbe risolvere quello dell'estrema poverta' di certe regioni del mondo, in modo da diminuirne automaticamente la natalita'.

saluti,
pagheca

l'articolo originale e' disponibile a http://www.economist.com/sciencetechnol ... d=14164483.
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Re: politiche demografiche e natalita'

Messaggioda franz il 15/08/2009, 17:46

Si parla di natalità e per una definizione del termine rimando alla scheda di wikipedia.
Li', oltre ad una bella formula, trovate questa considerazione.

Il tasso di natalità è diverso da paese a paese, perché su di esso incidono i seguenti fattori:

* lo sviluppo economico
* il grado di modernizzazione del paese
* fattori politici
* fattori sociali
* fattori strutturali
* fattori culturali.

Ad esempio, per comprendere i vari tassi differenti è necessario rifarsi alla struttura per età e per sesso di una popolazione: una popolazione strutturalmente giovane presenterà tassi di natalità più elevati rispetto a quelli di una invecchiata; analogamente, se in una popolazione ci sarà un elevato numero di presenza femminile in età fertile il tasso di natalità dovrebbe essere elevato. Nei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo il tasso di natalità sarà pertanto elevato a differenza di quello di paesi industrializzati.


Secondo me la scheda dimentica i fattori medici, che sono strettamente responsabili della esplosione della popolazione nei paesi in via di sviluppo. Come giustamente pagheca ricorda, ci sono due strategie per massimizzare la sopravvivenza della progenie ma la scelta non è di quelle che si fanno consapevolmente. La società contadina ha bisogno oggettivamente di molte braccia ed è soggetta a carestie, epidemie, guerre (per la difesa dei campi). Quindi si fanno tanti figli. Senza andare in luoghi lontani, mio padre, veneto, era l'ultimo di nove tra fratelli e sorelle, mentre mia suocera aveva ne aveva sette. parliamo dei primi decenni del 1900. Non di 2000 anni fa.

Poi sono successe due cose, abbastanza contemporaneamente:
La prima è il successo della meccanizzazione dell'agricoltura, cosa che ha portato ad una produzione superiore di cibo, come quantità (quindi il calo delle epidemie) e l'altra è il successo della medicina e della scenza agraria che ha abbatto la mortalità infantile ed ha aumento la produttività dei raccolti, con il contrasto ai parassiti. Il numeri dei figli fatti in quel periodo NON è aumentato o diminuito ma sono diminuiti i figli morti per problemi medici o di scarsità di cibo. La Spagnola le due guerre mondiali hanno lasciato (ancora oggi) il segno nella piramide della popolazione ma di fatto in un secolo la popolazione mondiale è quadrupicata. Una cosa mai successa in tutta la storia dell'umanità.

Noi ce la siamo cavata emigrando, tanto che fuori d'Italia ci sono piu' italiani che in patria. Altrimenti saremmo 120 milioni, non sessanta ed avremmo assistito ad una competizione spietata.
La società industriale invece ha bisogno di meno braccia (ha una maggiore produttività) per cui puo' garantire una vita piu' dignitosa, con migliore istruzione e " indice di sviluppo umano". Qui si' che il numero dei figli è calato, anche perché oggi portare un figlio alla maturità costa molto di piu' (università) di 100 anni fa. Noi quindi ci siamo assestati ad un basso indic e di natalità e mrtalità.

Il problema riguarda i paesi "giovani" come l'India in cui la metà della poplazione ha meno di 25 anni (Iran = 27 anni, Cina = 34 anni . mentre in Italia l'età mediana è 43.3 anni) perché qui ci sono tanti giovani che anche se facessero ciascuno pochi figli ne fanno in tutto centinaia di milioni.

Il problema della ricrescita della natalità credo sia legato alla rivoluzione post-industriale.
Come a dire che abbiamo una strategia di figliazione nelle società agricole (che riassumendo è "fanne tanti, poi ci pensa la provvidenza"), una in quelle industriali (pochi e ben seguiti) ed una in quelle post industiali che sono dotate di un buon welfare, che tende a trovare un equilibrio tre la due.

Franz
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