La migliore è quella di Marino, ma solo per demerito delle altre due.
Una definizione, comunque, le accomuna tutte e tre: sono dei compiti in classe.
Il livello è quello dei compiti in classe di alunni bravini.
Tutte e tre sono poi accomunate ai documenti congressuali tradizionali da una caratteristica: non riescono a fare a meno di fare una descrizione del mondo "all'alba del terzo millennio", e bisogna dare atto a Marino di essere quello che più ha limitato la perfida tentazione - per questo l'ho trovata la meno peggio.
Il fatto è che non ci si può improvvisare filosofi, o meglio ancora, non si può approntare una filosofia sulla soglia d'un congresso. I casi infatti sono due.
O pre-esiste una filosofia "oggettiva", cioè un solco consolidato nel quale il partito si colloca, presentandosene come una variante.
O la fondazione del partito ha dietro di sé una più o meno lunga gestazione culturale, nella quale la sua filosofia è stata elaborata, approfondita aspetto per aspetto, maturata e smussata nel suoi spigoli, e non rimane altro - in un congresso - che concentrarsi su qualche punto specifico di ordine organizzativo, o su qualche fenomeno di stretta attualità.
Nel PD non ricorre né un caso, né l'altro: ogni candidato - ma direi perfino ogni iscritto, ogni elettore - si presenta in postazione dotato del proprio personale zainetto ideale, filosofico e ideologico.
Franceschini sembra aver sentore di tutto ciò, e ha la bella idea di farne un punto di forza, una definizone del partito stesso: sembra di sentir riecheggiare la sciaguratissima "ricchezza delle diversità".
Marino anche in questo appare il più accorto: aggira l'ostacolo, dicendo in sostanza "bisogna fare queste cose, a prescindere da dove venite e da come la pensate", ma dice bene Franz, sembra un programma di governo non una mozione per la segreteria. Perché non si può prescindere da come si pensa, o meglio, un programma di governo che dev'essere sostenuto da un partito non può prescindere dalla natura e dalle idee che ci sono nel partito.
Bersani è il più irritante, perché ci si aspetterebbe da lui che fosse quello che più si avvicina alla prima ipotesi, ossia quella di una filosofia "oggettiva", mentre invece anche lui cede pesantemente alla tentazione di rifare una breve storia del mondo contemporaneo.
Come dicevo prima, la posizione di un partito nella storia e nel panorama politico non s'improvvisa con faciloneria.
Quando si parla di lavoro, di impresa, di economia, di scuola, sanità, innovazione tecnologica, si trattano argomenti su ciascuno dei quali decine e decine di persone hanno speso anni di studi, di incontri, di discussioni e di analisi.
Un partito politico recepisce questi indirizzi, li elabora e con essi costruisce un insieme coordinato: questa, anche questa, è ideologia, sia pure in forma pragmatica e non rivoluzionaria, diciamo pure semplicemente riformista.
Qui invece mi sembra che siamo all'ora del dilettante - come dicevo, al compito in classe dell'alunno bravino.
Però bisogna capirli. Fare qualcosa di serio mettendo insieme un'accrocco di "diversità" è praticamente impossibile.