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«Scappo. Qui la ricerca è malata»

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

«Scappo. Qui la ricerca è malata»

Messaggioda franz il 29/06/2009, 9:00

Cervelli in fuga - Rita Clementi, 47 anni, 3 figli: sistema antimeritocratico
«Scappo. Qui la ricerca è malata»
Lettera della precaria che scoprì i geni del linfoma

Una laurea in Medicina, due spe­cializzazioni, anni di contratti a termine: borse di studio, co.co.co, consulenze, contratti a progetto, l’ultimo presso l’Istituto di geneti­ca dell’Università di Pavia. Rita Cle­menti ( foto a sinistra), 47 anni, la ricercatrice che ha scoperto l’origi­ne genetica di alcune forme di lin­foma maligno, in questa lettera in­dirizzata al presidente della Re­pubblica Napolitano racconta la sofferta decisione di lasciare l’Ita­lia. Da mercoledì 1˚luglio lavorerà come ricercatrice in un importan­te centro medico di Boston.

Caro presidente Napolitano, chi le scrive è una non più giovane ricercatrice precaria che ha deciso di andarsene dal suo Paese portando con sé tre figli nella speranza che un’altra nazione possa garantire loro una vita migliore di quanto lo Stato italiano abbia garantito al­la loro madre. Vado via con rab­bia, con la sensazione che la mia abnegazione e la mia dedi­zione non siano servite a nulla. Vado via con l’intento di chie­dere la cittadinanza dello Stato che vorrà ospitarmi, rinuncian­do ad essere italiana.

Signor presidente, la ricerca in questo Paese è ammalata. La cronaca parla chiaro, ma oltre alla cronaca ci sono tantissime realtà che non vengono denun­ciate per paura di ritorsione perché, spesso, chi fa ricerca da precario, se denuncia è auto­maticamente espulso dal «siste­ma » indipendentemente dai ri­sultati ottenuti. Chi fa ricerca da precario non può «solo» contare sui risultati che ottie­ne, poiché in Italia la benevo­lenza dei propri referenti è una variabile indipendente dalla qualità del lavoro. Chi fa ricer­ca da precario deve fare i conti con il rinnovo della borsa o del contratto che gli consentirà di mantenersi senza pesare sulla propria famiglia. Non può per­mettersi ricorsi costosi e che molto spesso finiscono nel nul­la. E poi, perché dovrebbe adi­re le vie legali se docenti dichia­rati colpevoli sino all’ultimo grado di giudizio per aver con­dotto concorsi universitari vio­lando le norme non sono mai stati rimossi e hanno continua­to a essere eletti (dai loro colle­ghi!) commissari in nuovi con­corsi?

Io, laureata nel 1990 in Medi­cina e Chirurgia all’Università di Pavia, con due specialità, in Pediatria e in Genetica medica, conseguite nella medesima Uni­versità, nel 2004 ho avuto l’onore di pubblicare con pri­mo nome un articolo sul New England Journal of Medicine i risultati della mia scoperta e cioè che alcune forme di linfo­ma maligno possono avere un’origine genetica e che è dun­que possibile ereditare dai geni­tori la predisposizione a svilup­pare questa forma tumorale. Ta­le scoperta è stata fatta oggetto di brevetto poi lasciato decade­re non essendo stato ritenuto abbastanza interessante dalle istituzioni presso cui lavoravo. Di contro, illustri gruppi di ri­cerca stranieri hanno conferma­to la mia tesi che è diventata ora parte integrante dei loro progetti: ma, si sa, nemo profe­ta in Patria.

Ottenere questi risultati mi è costato impegno e sacrifici: mettevo i bambini a dormire e di notte tornavo in laboratorio, non c’erano sabati o domeni­che...

Lavoravo, come tutti i precari, senza versamenti pen­sionistici, ferie, malattia. Ho avuto contratti di tutti i tipi: borse di studio, co-co-co, con­tratti di consulenza... Come ul­timo un contratto a progetto presso l’Istituto di Genetica me­dica dell’Università di Pavia, fi­nanziato dal Policlinico San Matteo di Pavia.

Sia chiaro: nessuno mi impo­neva questi orari. Ero spinta dal mio senso del dovere e dal­la forte motivazione di aiutare chi era ammalato. Nel febbraio 2005 mi sono vista costretta a interrompere la ricerca: mi era stato detto che non avrei avuto un futuro. Ho interrotto una ri­cerca che molti hanno giudica­to promettente, e che avrebbe potuto aggiungere una tessera al puzzle che in tutto il mondo si sta cercando di completare e che potrebbe aiutarci a sconfig­gere il cancro.

Desidero evidenziare pro­prio questo: il sistema antimeri­tocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa Nazione. Una «buona ricerca» può solo aiuta­re a crescere; per questo moti­vo numerosi Stati europei ed extraeuropei, pur in periodo di profonda crisi economica, han­no ritenuto di aumentare i fi­nanziamenti per la ricerca.

È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no. Se il malcostu­me non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica con­seguenza quella di potenziare le lobby che usano le Universi­tà e gli enti di ricerca come feu­do privato e che così facendo distruggono la ricerca.
Con molta amarezza, signor presidente, la saluto.

Rita Clementi
29 giugno 2009
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Re: «Scappo. Qui la ricerca è malata»

Messaggioda pagheca il 29/06/2009, 21:49

Sinceramente non la capisco questa signora...

In italia ho lavorato in 4 gruppi diversi all'Universita' di Roma prima di dimettermi e andarmene via all'estero. In 3 di essi il docente di ruolo era amante o marito o compagno di una donna che si e' creata cosi' una carriera grazie a lui. Donne un po' tignose, antipatiche, incompetenti o semplicemente stupide (in un caso anche paranoiche), che creavano un sacco di problemi a tutti e che hanno costretto fior di persone ad andarsene dopo anni e anni di problemi.

La caratteristica di queste 3 era di essere indiscutibilmente racchie. Dico cio' perche' un posticino di amante moglie nelle universita' italiane non si nega a nessuno. Non e' che bisogna presentarsi col fisico da cubista come alle feste di certi dittatorielli da Repubblica della Banana (no, non e' un refuso) che conosciamo. La signora Clementi poteva fare uno sforzo, che diamine. Possibile che non abbia trovato un prof libero e disponibile in grado di garantirgli una brillante carriera? Troppo facile lamentarsi ...

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Re: «Scappo. Qui la ricerca è malata»

Messaggioda franz il 29/06/2009, 23:16

sarcasmo acidello ma efficace.
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Re: «Scappo. Qui la ricerca è malata»

Messaggioda trilogy il 30/06/2009, 13:00

La lotteria della ricerca
che danneggia sempre i migliori


Il nostro Paese soffre di periodi­ci salassi e di una cronica depri­vazione di cervelli impegnati nella ricer­ca scientifica di punta. Qualcuno di quel­li che hanno già intrapreso con successo la carriera della ricerca di tanto in tanto se ne fugge all’estero dove sa, spesso per esperienza diretta, che il mondo della ri­cerca è un’altra cosa. È quanto accaduto con Rita Clementi, la studiosa che ha an­nunciato al presidente Napolitano il suo addio all’Italia.

Ma ancora più grave è il fatto, cronico, che molti di quelli che potrebbero dare un contributo decisivo all’avanzamento della ricerca non intraprendono proprio questa carriera e si danno ad altri mestie­ri, certamente altrettanto degni ma diver­si. Perdiamo così occasioni su occasioni e, se è vero che la ricerca di punta è or­mai un’impresa internazionale, è anche vero che i bilanci materiali e intellettuali poi si finiscono per fare nazione per na­zione. E noi arretriamo sempre.

Si dice spesso che i finanziamenti per la ricerca non sono adeguati, e questo è certamente vero, ma non è di sicuro tut­to lì. Oltre ai soldi manca spesso un’ade­guata organizzazione e un debito, e dove­roso, riconoscimento del merito. E que­sto è grave. Se premiare il merito è im­portante in ogni attività, nella ricerca è fondamentale. Altrimenti sarebbe come mettere insieme una nazionale di calcio estraendo a sorte i nomi dei convocati. Perché quasi a sorte vengono decisi i fi­nanziamenti e le assunzioni.

Qualcuno dice che in Italia vengono premiati i peggiori. Ciò non è completa­mente vero; talvolta vengono premiati anche i migliori, ma per caso, come sot­toprodotto di una gigantesca lotteria che premia un po’ tutti e finisce così per danneggiare i migliori. E certamente i più giovani, meno conosciuti, per defini­zione, e meno «appoggiati». Da chi? Un po’ da tutti, perché tutti hanno un peso, maggiore o minore, in questo gioco. Co­sì è ancora peggio del clientelismo dei «baroni» di una volta: è un clientelismo diffuso del quale nessuno è responsabile e dal quale tutti si chiamano fuori, an­che se per tutti c’è un obbiettivo conflit­to di interesse, piccolo o grande che sia. Tutti convengono nel dire che così non si può continuare, ma la colpa è sempre degli altri. E non succede nulla.

Edoardo Boncinelli
30 giugno 2009
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Perotti - L'universita' truccata - Einaudi

Messaggioda pagheca il 30/06/2009, 14:50

vorrei suggerire a chi non l'ha ancora fatto la lettura del saggio di Roberto Perotti "L'universita' truccata", Einaudi Struzzi. Perotti, docente alla Columbia di NY e alla Bocconi, si occupa prevalmentemente, nel suo lavoro di ricerca, della valutazione della qualita' delle universita' e della ricerca.

La lettura di questo libro suscita spesso una serie di reazioni negative e quasi imbarazzate, soprattutto all'inizio. Il motivo e' che l'autore parte dal principio, e si basa su una ricerca pratica, basando le sue conclusioni su dati reali piuttosto che sull'appartenenza a questo o quel partito politico. Le conclusioni (e i dati presentati) da Perotti sulla qualita' dell'Universita' italiana sono innanzitutto sconvolgenti. La situazione e' gravissima e il mito secondo il quale "nonostante questo" la ricerca italiana e' apprezzata nel mondo ne esce distrutto. In realta' l'italia non puo' essere confrontata alla gran parte degli altri paesi. Da sempre. Basta andare a guardare la lista dei premi nobel italiani per scoprire che ce la battiamo piu' o meno alla pari con paesi come la Danimarca, mentre siamo indietro di un abisso da Francia, Germania e UK.

Prima di dire di no e di gridare all'offeso amor di patria, leggersi il volume. E leggerlo con mente aperta e senza pregiudizi. Anche il luogo comune della mancanza di fondi ne esce distrutto. In realta' la quantita' di fondi disponibili per la ricerca in generale (sebbene qui stiamo parlando di universita', che non la comprende tutta) sarebbe piu' che sufficiente e la permanente lamentela della mancanza di fondi e' priva di fondamento.

Ma dove il lettore si sente ancora meno a suo agio e' quando Perotti, sulla base di questi dati reali, propone gli elementi fondanti della sua proposta di riforma. Soprattutto per chi, come me, viene da sinistra, e' difficile digerire certe conclusioni. Naturalmente lo spirito critico deve rimanere sempre pronto, e io non sono tuttora affatto convinto di certe conclusioni, ma e' importante il fatto che questo testo affronti il problema sistematicamente, senza pregiudizi e soprattutto sforzando di trovare qual'e' il problema alla radice dei mali dell'universita', incluso l'effetto che spinge una Rita Clementi a decidere - finalmente - di fare le valigie.

Ho sentito molti, a destra come a sinistra, liquidare con un "tutte stupidaggini" le conclusioni di Perotti, che invece sono basate su un'analisi reale e che non imbarazzerebbero nessuno in buona parte del mondo civilizzato, come invece avviene in Italia. Il punto e' che siamo cresciuti e vissuti in un mondo talmente viziato da una concezione perversa dell'universita' (dalla sua struttura antiquata alla nota presenza delle baronie, dal mito del concorso a quello della riforma basata sulle idee del ministro di turno) che poi ci riesce difficile andare a vedere dove stanno le vere cause alla radice dei suoi mali.

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Re: «Scappo. Qui la ricerca è malata»

Messaggioda ranvit il 30/06/2009, 15:44

Pagheca scusa, potresti sintetizzare cosa dice il Perotti, in particolare in riferimento alle tue affermazioni che riporto sotto. Il mondo universitario non è il mio, ma ho la sensazione di pensare da sempre le stesse cose del Perotti....


"Prima di dire di no e di gridare all'offeso amor di patria, leggersi il volume. E leggerlo con mente aperta e senza pregiudizi. Anche il luogo comune della mancanza di fondi ne esce distrutto. In realta' la quantita' di fondi disponibili per la ricerca in generale (sebbene qui stiamo parlando di universita', che non la comprende tutta) sarebbe piu' che sufficiente e la permanente lamentela della mancanza di fondi e' priva di fondamento.

Ma dove il lettore si sente ancora meno a suo agio e' quando Perotti, sulla base di questi dati reali, propone gli elementi fondanti della sua proposta di riforma. Soprattutto per chi, come me, viene da sinistra, e' difficile digerire certe conclusioni. Naturalmente lo spirito critico deve rimanere sempre pronto, e io non sono tuttora affatto convinto di certe conclusioni, ma e' importante il fatto che questo testo affronti il problema sistematicamente, senza pregiudizi e soprattutto sforzando di trovare qual'e' il problema alla radice dei mali dell'universita', incluso l'effetto che spinge una Rita Clementi a decidere - finalmente - di fare le valigie."



Grazie, Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: «Scappo. Qui la ricerca è malata»

Messaggioda pagheca il 30/06/2009, 16:34

Vittorio,

le tue conclusioni possono essere le stesse ma il punto e' che l'analisi di Perotti e' - cosa molto rara in questi casi - basata su un'analisi scientifica del problema, basata sui dati reali, non sulle sue "opinioni". Voglio dire che io non avrei problemi a cambiare la mia, di opinione, se venissero fuori dati diversi.

Perotti innanzitutto costruisce una analisi dettagliata delle relazioni di parentela fra accademici delle varie universita' italiane. Il risultato e' sconvolgente, ti assicuro. Non si tratta di casi "limitati", ma di un malcostume diffuso che ha creato letteralmente ovunque discendenze baronali.

Ma l'analisi non si ferma alla solita lamentela. Innanzitutto dimostra che le spese per studente in Italia sono in linea - quando corrette per il fatto che un certo numero di studenti non lo e' a tempo pieno come altrove - con paesi come la svezia o la svizzera, cioe' le piu' elevate in assoluto.

Il punto cruciale della sua proposta e' pero' - contrariamente all'approccio sposato anche dall'Ulivo, per esempio - che con un controllo a monte della competizione (ovvero una qualche riforma del meccanismo dei concorsi, oppure con l'intervento della magistratura) si possa risolvere il problema. Il punto e' che anche quando le denunce hanno fatto il loro corso, e' risultato di fatto impossibile arrivare ad un risultato concreto (docente arrestato, dipartimento bonificato, vincitori dei concorsi squalificato). Il punto, sostiene Perotti, e' che solo attraverso la creazione di universita' A PAGAMENTO il problema si puo' risolvere. Universita' a pagamento ma in competizione tra loro, lasciate praticamente libere di decidere le proprie regole interne (corsi, assunzione, destinazione dei fondi) ma finanziate in base alla loro capacita' di produrre risultati e di attrarre studenti secondo meccanismi sperimentati altrove.

Sento gia' qualche mugugno, ma il punto e' che l'autore dimostra come il meccanismo dell'universita' "gratuita" per tutti ha costruito il sistema piu' iniquo del mondo, in quanto coloro che di fatto possono REALMENTE usufruirne sono proprio i piu' ricchi, cioe' quelli che se la potrebbero permettere. Non mi soffermo su questa deduzione, ma rinvio al volume. Che anzi mi andro' a rileggere presto.

Notare che Perotti sta sulle scatole un po' a tutti. Ovviamente non esistendo una destra veramente liberale in questo Paese le sue opinioni vengono viste come fumo negli occhi da chi usa le universita' per creare piccoli feudi, dai professori ordinari che - unici tra il personale delle universita' stesse - godono di salari comparabili o superiori a quelli stranieri, ma senza controllo alcuno sulla produttivita'. Mentre gli altri (associati, ricercatori, "precari", personale ATA, postdoc) devono accontentarsi di salari da accattoni. Anche a sinistra ovviamente non e' molto amato. Il mito dell'universita' gratuita (che gratuita non e' in quanto non c'e' nessuno di quei meccanismi di compensazione come i prestiti d'onore, le borse, gli alloggi e i servizi gratuiti, garantiti ed efficienti per gli studenti, etc., che invece esistono altrove) e' comunque ben saldo nella testa di noi italiani. L'idea di dover pagare per l'universita' e' vista con orrore. Anche se poi risulta che la destinazione delle risorse premia molto piu' che altrove le classi piu' abbienti, come dimostrato dal livello di reddito di coloro che usufruiscono dell'universita' in Italia comparato con tutti i paesi stranieri.

Il discorso e' complesso e articolato e molte delle obiezioni di questo mio "bignamino" trovano le loro risposte nel libro stesso. Io, come ripeto, non sono convinto al 100% di tutti gli aspetti della proposta di riforma. Per esempio ricordo che l'universita' britannica, pur essendo fino a pochi anni fa totalmente gratuita, non soffriva dei problemi di quella italiana. Ma penso che ci sia un principio generale sul quale ci si puo' basare: perche' reinventare il manico dell'ombrello? Perche' non basarsi sull'esperienza di tanti altri paesi che hanno abbandonato da tempo il meccanismo dell'universita' gratuita per tutti e hanno ottenuto risultati molto migliori della nostra ma non per questo meno giusti ed equi?

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Re: «Scappo. Qui la ricerca è malata»

Messaggioda Gab il 01/07/2009, 9:55

Alcuni dati sono disponibili in questo intervento
LE RETRIBUZIONI PERVERSE DELL'UNIVERSITA' ITALIANA
di Roberto Perotti, Andrea Ichino, Giovanni Peri e Stefano Gagliarducci 27.06.2005

Altri sono in questo articolo
The Italian University System: Rules vs. Incentives (2002)

Poi puoi metterci anche alcuni dati presentati nel
Capitolo 4 : Il sistema di potere nell’università italiana nelle storie di vita dei giovani ricercatori
del
URG : Urge ricambio generazionale
Primo rapporto su quanto e come il nostro Paese si rinnova
che avevo indicato in questo post viewtopic.php?f=17&t=1206&p=10546#p10546
(ma che ora non e' piu' disponibile online)

oppure come diceva pagheca
Roberto Perotti "L'universita' truccata", Einaudi Struzzi

cosi' hai tutto ben rilegato! ;-)

ciao
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Io, ricercatore (contento) tornato in Italia

Messaggioda franz il 03/07/2009, 8:39

LA LETTERA
Io, ricercatore (contento) tornato in Italia
Abbiamo mantenuto uno standard più che accettabile di qualità e lasceremo un’eredità a chi vorrà continuare per migliorare ancora, auspicalmente in Italia

Caro Direttore, ho avuto il privilegio di stringere la mano del presiden­te della Repubblica Napolitano in occasione di due premi che mi so­no stati conferiti dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla Fondazione Italia­na per la Ricerca sul Cancro. Questi riconosci­menti sono stati molto importanti, per me e per il mio gruppo, perché hanno premiato ri­cerche condotte quasi integralmente in Italia, dopo il mio rientro dagli Stati Uniti. Hanno an­che confermato che la scelta di rientrare in Ita­lia per continuare le mie ricerche, pur tra di­verse difficoltà, è stata una scelta giusta. Alme­no, ne è valsa la pena.

Nei momenti di maggio­re difficoltà in questo lavoro non semplicissi­mo, mi consola il pensiero che abbiamo contri­buito a formare giovani che hanno condiviso la passione per la ricerca, abbiamo mantenuto uno standard più che accettabile di qualità e lasceremo un’eredità a chi vorrà continuare per migliorare ancora, auspicalmente in Italia. L’Italia ha un rapporto piuttosto singolare con la ricerca: a fronte di un finanziamento pubblico fra i più bassi in Europa vi sono risul­tati di eccellenza scientifica innegabili, com­provati dalle pubblicazioni internazionali. A fronte di salari bassissimi per i ricercatori, ci sono istituzioni private come Airc che raccol­gono incessantemente donazioni. Airc distri­buisce questi fondi sotto forma di borse di stu­dio e finanziamenti, attraverso il sistema del peer review, che implica il coinvolgimento di 300 revisori stranieri. Quando scrivo un pro­getto per avere finanziamenti da Airc, so che devo impegnarmi al massimo, che il mio pro­getto sarà giudicato da miei pari, che non fa­ranno sconti e non terranno conto dei premi ricevuti ma solo della qualità ed innovazione della ricerca proposta.

E questo vale ormai per quasi tutte le agenzie di finanziamento, in Ita­lia ed in Europa, sia pubbliche che private, ad essere onesti. Non condivido, pertanto, le visioni estrema­mente pessimistiche di un sistema ricerca allo sbando. Ci sono delle evidenti carenze che dobbiamo definire con chiarezza per poterle colmare. In Italia abbiamo raggiunto importan­tissimi traguardi e recenti statistiche indicano che l’Italia è ai primissimi posti se si considera la produttività scientifica in relazione agli inve­stimenti effettuati. La conclusione è che abbia­mo risorse umane di spicco e la ricerca nasce soprattutto da queste risorse, non dimentichia­molo. L’aspetto negativo è che investiamo po­co rispetto ad altri. Il nostro Paese deve cerca­re di realizzare le infrastrutture per attirare cer­velli, di qualsiasi nazionalità essi siano. Come disse un mio amico, uno scienziato italiano che lavora all’estero da diversi anni, il proble­ma reale non è il «rientro dei cervelli» ma «l’at­trazione dei cervelli». (..) Dobbiamo investire di più nella ricerca e colmare il divario con gli altri Paesi europei, anche e soprattutto nei mo­menti di crisi. Sarebbe un segno che il Paese crede realmente nel suo futuro. Basterebbero piccoli segnali, come potreb­be essere la riduzione dell’Iva sugli acquisti ef­fettuati con fondi assegnati a progetti di ricer­ca. Questo renderebbe utilizzabili, immediata­mente, cospicue risorse per chi gode dei finan­ziamenti, servirebbe a premiare i più meritevo­li (chi ha più finanziamenti avrà anche maggio­ri risorse) ed andrebbe nel solco dell’attuale tendenza già recepita da diversi Paesi dell’Ue.

Vincenzo Bronte
dirigente medico dell’Iov di Padova responsabile di ricerca presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare
02 luglio 2009
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Fuggiti' dall'Italia, scoprono gene per lo sviluppo

Messaggioda franz il 17/08/2009, 22:09

STAMINALI
'Fuggiti' dall'Italia per nepotismo
scoprono gene per lo sviluppo

Antonio Iavarone e Anna Lasorella hanno individuato una proteina fondamentale per lo sviluppo delle cellule adulte e per combattere il tumore al cervello
di ROSARIA AMATO

ROMA - Nel 2000 hanno lasciato l'Italia per gli Stati Uniti, in polemica con il sistema nepotista dell'università, che non permetteva loro di sviluppare adeguatamente le loro ricerche sui tumori al cervello dei bambini. Negli Stati Uniti hanno trovato i mezzi, lo spazio, il sostegno di due prestigiose università, prima la Albert Einstein e dopo la Columbia. E adesso Antonio Iavarone e Anna Lasorella annunciano la scoperta del gene che svolge un ruolo chiave nello sviluppo delle cellule staminali e che è coinvolto anche nel più aggressivo fra i tumori del cervello. Sono gli stessi ricercatori a parlare della loro scoperta in un articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Developmental Cell.

"Adesso - spiega Iavarone - abbiamo trovato una proteina capace di distruggere alcune delle proteine-chiave utilizzate per ottenere le Ips e di far ripartire quindi la trasformazione delle cellule staminali in cellule adulte". La proteina si chiama Huwe1 e la sua scoperta potrebbe in futuro portare anche a nuove terapie contro i tumori cerebrali.

"La molecola - spiegano i ricercatori - si è rivelata indispensabile per la corretta programmazione delle cellule staminali del cervello perché grazie ad essa si formano i neuroni durante lo sviluppo dell'embrione di topo. Ma abbiamo anche scoperto che la stessa proteina viene eliminata durante lo sviluppo del più maligno tumore del cervello che colpisce bambini e adulti, il glioblastoma multiforme".

Durante la formazione del cervello dell'embrione, spiegano i due ricercatori italiani nell'articolo che presenta la loro scoperta, "le cellule staminali che risiedono nel sistema nervoso si dividono ad una velocità molto alta prima di trasformarsi, dando origine alle cellule nervose mature, i neuroni. Perché questo processo avvenga in maniera corretta, le proteine che mantengono le cellule nello stato staminale ed immaturo devono essere eliminate".

Cosa accade invece nel caso di tumori al cervello? Secondo la scoperta di Anna Lasorella, "nel topo, in assenza di Huwe1, le cellule staminali si moltiplicano in modo incontrollato per cui la formazione dei neuroni è compromessa e lo sviluppo del cervello procede in modo anomalo". A questo punto, il dottor Iavarone ha ipotizzato che "l'attività di Huwe1 possa essere deficitaria nelle cellule dei tumori nel cervello dell'uomo", ipotesi che ha trovato ampio riscontro. "La perdita di Huwe1 potrebbe essere una importante tappa nello sviluppo dei tumori cerebrali più maligni, i glioblastomi multiformi, ed una modalità mirata di terapia per questo tipo di tumori potrebbe derivare se riuscissimo ad aumentare la funzione di Huwe1 nelle cellule tumorali", concludono i due ricercatori.

Combattere il tumore al cervello è l'obiettivo che Antonio Iavarone e Anna Lasorella, marito e moglie da molti anni, si sono posti dai primi anni di studio all'Università. "Siamo entrambi pediatri, io sono di Benevento e mia moglie di Bari, e ci siamo conosciuti al Policlinico Gemelli, all'inizio degli anni '90: lavoravamo tutt'e due al reparto di Oncologia pediatrica. Grazie alle nostre ricerche avevamo ottenuto un grande finanziamento da parte della Banca d'Italia. Ma a un certo punto ci siamo resi conto che non potevamo fare il nostro lavoro in Italia, e così ci siamo spostati in America, a New York, prima alla Albert Einstein, nel 2000, e poi alla Columbia nel 2002".

Iavarone non torna volentieri sulle ragioni che hanno spinto lui e la moglie a emigrare negli Stati Uniti. Ma Repubblica si è occupata con molta attenzione della loro vicenda, raccontata in un articolo del 5 ottobre 2000 da Elena Dusi, e ripresa successivamente da Curzio Maltese. "Da noi la bravura non paga", s'intitolava l'articolo che per la prima volta parlava della vicenda. "Il primario di oncologia, il professor Renato Mastrangelo, ha cominciato a renderci la vita impossibile - raccontava nel 2000 a Elena Dusi Iavarone - Ci imponeva di inserire il nome del figlio nelle nostre pubblicazioni scientifiche. Ci impediva di scegliere i collaboratori. Non lasciava spazio alla nostra autonomia di ricerca. Per alcuni anni abbiamo piegato la testa. Poi, un giorno, all'inizio del '99, abbiamo denunciato tutto".

E a quel punto, anche sulla scia di una denuncia per diffamazione effettuata dal professor Mastrangelo ("Abbiamo vinto la causa", dice Iavarone) ai due coniugi ricercatori non è rimasta che la via del volontario esilio. Che si è rivelata molto proficua, dal momento che lavorare negli Stati Uniti ha permesso loro di sviluppare nel migliore dei modi le loro intuizioni, dando una speranza a chi contrae questa terribile malattia.

L'unico commento che si riesce a strappare sulla vicenda che li ha allontanati dall'Italia (dove torneranno comunque a settembre, per presentare la loro scoperta), è che "il nostro caso è stato paradigmatico per quanto riguarda le caratteristiche, ma non è certo un caso isolato". "Però non mi chieda altro - conclude Iavarone - altrimenti ci dicono che facciamo sempre polemica. E invece noi adesso vogliamo parlare solo della nostra scoperta, che ci fa essere molto speranzosi per gli sviluppi futuri delle cure".

(17 agosto 2009)
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