Riporto per chi non lo conosce il pensiero di Morando per il Congresso.
E' lungo e quindi lo divido in piu' invii.
Vittorio
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Da pietroichino.it :
IL CONTRIBUTO DI ENRICO MORANDO PER IL CONGRESSO DEL PDLA NUOVA ALLEANZA TRA MERITO E BISOGNI. IL PARTITO DI CENTROSINISTRA A VOCAZIONE MAGGIORITARIA: PARTITO APERTO, DEGLI ISCRITTI E DEGLI ELETTORI. LA MADRE DI TUTTE LE RIFORME: QUELLA DEL MERCATO E DEL DIRITTO DEL LAVORO
L’imminente Convenzione nazionale del PD è chiamata a scegliere leader e linea politica del partito, dopo la convulsa fase della sua costituzione (ottobre 2007), della sconfitta elettorale e del primo anno di opposizione al Governo di centro-destra. In questo documento Enrico Morando - senatore del P.D. - prova a riassumere, dal suo punto di vista, i termini essenziali del confronto. Con i primi cinque punti (la nuova alleanza tra merito e bisogni; partito di centrosinistra a vocazione maggioritaria; partito aperto, degli iscritti e degli elettori; un nuovo internazionalismo democratico; una scelta chiara tra linee alternative) egli si propone di illustrare i cardini del posizionamento politico - funzione, natura e linea politica - che ritiene preferibile per il PD.
La seconda parte del documento non ha la pretesa di essere un programma di governo. Sono solo degli esempi, per orientare la discussione congressuale e mostrare all’opera i principi illustrati nella prima parte.
1) LA NUOVA ALLEANZA DEL MERITO E DEI BISOGNI
Il PD è un partito di centrosinistra, nato per cambiare l’Italia, secondo i principi di libertà, eguaglianza e solidarietà, attraverso una nuova alleanza del merito e dei bisogni: le componenti più dinamiche della società unite a quelle più esposte al rischio di esclusione da un credibile progetto di cambiamento, che promuova la coesione sociale anche per raggiungere più elevati traguardi di efficienza economica e metta la crescita del reddito nazionale al servizio di una maggiore giustizia e mobilità sociale.
Per far ripartire l’ascensore sociale, ridurre progressivamente le aree dello smaccato privilegio e della disperata emarginazione, far crescere in modo stabile e duraturo la ricchezza nazionale, colmare il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno, diffondere il benessere e irrobustire la classe media, cambiare lo Stato Sociale per renderlo davvero capace di aiutare chi resta indietro a camminare con gli altri, il progetto di cambiamento del Paese deve aggredire ogni forma di chiusura corporativa, creare dispari opportunità positive a favore delle donne e dei giovani, portare concorrenza dove non ce n’è o non ce n’è abbastanza, valorizzare il lavoro in quanto tale, dipendente o autonomo che sia, imporre alla Pubblica Amministrazione - dalla Giustizia agli apparati per la sicurezza -, insieme ai principi di trasparenza e valutazione indipendente, anche tempi, risultati e costi tratti dalle migliori esperienze europee e mondiali, iniettare nella società, nell’economica e nello Stato robuste dosi di meritocrazia, ridare prestigio alla politica riducendone i costi e riconsegnando nelle mani dei cittadini il potere di decidere, col voto, sulla rappresentanza e sul governo.
L’Italia che da quindici anni cresce meno dell’Europa, che è il Paese con minore mobilità sociale, con più elevati livelli di disuguaglianza, e con il più rapido invecchiamento della popolazione, ha un drammatico e urgente bisogno di questo cambiamento.
Il centro-destra fa leva sulla paura e alimenta il suo populismo con la politica dell’annuncio rassicurante. Il centro-sinistra può prevalere - nella competizione democratica - solo se allontana da sé (e dalla sua immagine) la tentazione di reagire in chiave meramente tattica, promuovendo un “suo” conservatorismo. Volto ad affermare interessi diversi rispetto a quelli tutelati dal centro-destra, ma pur sempre conservatorismo.
La missione del PD coincide con l’interesse di fondo del Paese: dare alla Politica italiana la forza necessaria per piegare la resistenza dei difensori dello status quo, impegnando la maggioranza del popolo nel sostegno a un progetto di cambiamento che riconosce e tutela gli interessi delle generazioni presenti, ma li compone in un ordine gerarchico che assegna priorità a quelli delle generazioni future.
L’evidenza dei guasti provocati dall’estremismo liberista, dalla disordinata de-regolazione di istituzioni bancarie e finanziarie da cui dipende la stabilità dell’intero sistema economico, non deve indurre ad una reazione altrettanto estrema a favore dell’intervento statale in ogni ambito e per ogni problema. Da un lato è necessario essere vigili per impedire che gli interessi e le concezioni economiche che hanno provocato la deregolazione e la crisi non ostacolino progetti di intervento e di regolazione decisi e severi quanto basta per risolvere le difficoltà attuali e impedire che insorgano crisi analoghe in futuro: ostacoli in tal senso già si intravedono e li denunciano autorità come Paul Volcker, Warren Buffett e Gorge Soros, non certo degli statalisti.
D’altro lato occorre essere consapevoli che lo Stato conosce fallimenti altrettanto seri quanto quelli del mercato, e in Italia, coll’inquinamento partitico e la debole qualità dell’amministrazione pubblica che ci contraddistingue, dovremmo saperlo bene. Il Partito Democratico, per la sua cultura e le sue ambizioni maggioritarie, respinge posizioni ideologiche pregiudizialmente favorevoli all’uno o all’altro polo della regolazione, allo Stato o al mercato, e ambisce a esercitare, per ogni caso concreto, una discrezione intelligente. Resto dunque convinto, per il caso italiano, che una posizione liberale equilibrata come quella espressa nel discorso del Lingotto sia quella più adatta ad attuare la visione del merito e dei bisogni che ho appena illustrato, l’unica adatta a un partito di centrosinistra.
2) IL PD, PARTITO DI CENTROSINISTRA A VOCAZIONE MAGGIORITARIA
Un progetto così radicale di rinnovamento del Paese può essere solo il frutto di un lungo ciclo di governo riformista. Il PD è nato per renderlo possibile. È stato proprio il PD - con il suo atto di nascita, rifiutando la “divisione del lavoro” tra centro e sinistra; con la posizione che ha assunto prima delle elezioni Politiche del 2008, respingendo la logica delle coalizioni “contro”, troppo larghe e troppo disomogenee per garantire cambiamento nella stabilità - a rafforzare il gracile e malcerto bipolarismo italiano, favorendone la riorganizzazione attorno a due grandi formazioni politiche a vocazione maggioritaria.
Il PD non è un partito di sinistra, ma di centrosinistra. È il soggetto politico perno del centro-sinistra italiano, in quanto partito a vocazione maggioritaria. Nel duplice senso che è dotato di una leadership individuale e collettiva, di un radicamento sociale e territoriale, di una cultura politica, di un profilo ideale e programmatico tali da poter credibilmente aspirare ad interpretare le esigenze e le speranze della maggioranza del popolo e a raccoglierne il consenso. E che ispira la propria iniziativa, le proprie posizioni politico- programmatiche, la propria organizzazione e vita democratica interna allo svolgimento di questa funzione: costituire “naturalmente” l’asse della alternativa di governo al centro-destra. Vocazione maggioritaria non è sinonimo di pretesa di autosufficienza: il PD può ritenere utile - al fine della realizzazione del suo progetto di cambiamento del Paese - la costruzione di coalizioni con altri partiti di centro-sinistra. Si tratterà, in quel caso, di coalizioni del tutto diverse da quella dell’Unione, perché caratterizzate dalla presenza, al loro interno, di un partito egemone, il cui leader è automaticamente leader dell’intera coalizione; e il cui programma è perfettamente compatibile - anche se non coincidente - col programma della coalizione stessa.
È la regola democratica cui si ispirano le coalizioni in tutta Europa. Ferma restando la pari dignità politica di ciascuno dei partiti contraenti l’accordo, sono gli elettori a decidere i rapporti di forza al suo interno. Antidemocratica, e foriera di instabilità e fibrillazione delle coalizioni, è semmai la soluzione opposta, di cui l’Italia ha fatto esperienza nella fase finale della Prima Repubblica. Mentre la soluzione diarchica - il capo del governo appartiene al principale partito di governo, ma non è il leader del partito stesso - è tipica di democrazie bloccate, che non conoscono l’alternanza.
Il PD intende dunque costruire alleanze elettorali e di governo con altri partiti e movimenti politici, ma rifiuta la logica della divisione del lavoro tra le forze che le compongono: all’uno il compito di rappresentare gli orientamenti e le istanze più tradizionalmente raccolti dalle forze “di sinistra”, all’altro la rappresentanza “del centro moderato”, e così via, fino a partiti personali o espressione di una singola issue. Il PD assume su di sé il compito di rappresentare direttamente l’intero arco dei valori e degli interessi del centro-sinistra: dalle istanze dei ceti più dinamici dell’imprenditoria, della scienza e della conoscenza, fino all’operaio monoreddito con due figli a carico e l’affitto da pagare. Per questo, riconosce priorità al suo progetto di cambiamento, non al sistema delle sue alleanze politiche.
È infatti la credibilità della leadership e del progetto del principale partito del centro-sinistra il fattore che può realizzare - attraverso un lungo e sicuro lavoro nella società italiana e nei diversi territori - una profonda incursione nell’elettorato oggi maggioritario del centro-destra, per acquisire il consenso delle sue componenti più sensibili al sistema di interessi e valori tipici dell’alleanza tra merito e bisogni. L’obiettivo del PD è dunque chiaro: entro il 2013, e partendo dai rapporti di forza elettorale scaturiti dal voto del 2008, deve mettersi in grado di strappare due milioni di voti al centro-destra. Un compito che nessun altro, piccolo partito di centro può seriamente proporsi.
Scaturisce dalla consapevolezza di questa funzione la scelta di far nascere il PD da un atto costituente come quello del 14 ottobre 2007, che ha visto protagonisti più di tre milioni di cittadini italiani. È la volontà di assumere effettivamente questa funzione che ha spinto all’identificazione - fissata nello Statuto - tra la figura del Segretario e quella del candidato Presidente del Consiglio. Ed è in perfetta coerenza con questa identificazione che il PD ha deciso - una volta per tutte - di far scegliere il suo leader non dai soli iscritti al partito, ma da tutti i cittadini italiani che vogliono farlo, senza alcuna limitazione che non sia la pubblicità di quella loro partecipazione.