IL COMMENTO
Parole fuori luogo: la politica
e l’usanza di accusare i giornali
Berlusconi dovrebbe indicare anche qual è l’Italia che, a suo giudizio, la stampa dovrebbe raccontare
Dice il presidente del Consiglio che la stampa «dipinge un’Italia che non è quella reale». L’affermazione è, come sempre, un po’ perentoria, ma contiene un elemento di verità: se mai un giorno venissero convocati, gli stati generali dell’informazione italiana farebbero bene a rifletterci su. Non sarebbe male, però, se nel frattempo Silvio Berlusconi ci dicesse pure, anche per capire meglio di che cosa stiamo parlando, qual è l’Italia vera che i giornali dovrebbero, a suo giudizio, raccontare. Perché quella che ha raccontato lui ai giovani industriali troppo vera non sembra. Almeno a prima vista. Nessuno si era accorto, per esempio, che, mentre il governo (secondo Berlusconi, uno straordinario consiglio di amministrazione dell’azienda Italia) faceva miracoli, tra veline, Noemi, voli di Stato e caso Mills stesse prendendo corpo sui giornali, o su alcuni giornali, un complotto. Anzi, un «progetto eversivo» contro il premier, al fine di sostituirlo con qualcuno che, a differenza di lui, non è stato eletto dal popolo. Una specie di golpe bianco, fortunatamente sventato dal voto popolare. Come suol dirsi: urgono chiarimenti.
In ogni caso: nell’Italia che vorremmo, e dovremmo, raccontare ci piacerebbe non dover registrare appelli più o meno obliqui agli imprenditori di un capo del governo, fa nulla se di destra di centro o di sinistra, perché neghino la pubblicità alla stampa «catastrofista», complice o magari mosca cocchiera(in altre occasioni Berlusconi aveva preferito definirla scendiletto) di un’opposizione anch’essa malata di inguaribile disfattismo. È vero che poi Palazzo Chigi ha corretto il tiro, spiegando che lo strale polemico era rivolto a Franceschini e non ai giornali. Ma, anche a voler prendere per buona la precisazione (peraltro smentita poche ore dopo), non ci siamo: il presidente del Consiglio intendeva forse dire che i giornali dovrebbero concedere meno spazio o non concederne proprio, al leader del più grande partito di opposizione?
Non è solo questione di gaffe e, a guardar bene, non è nemmeno solo questione di Berlusconi. La politica (la politica di governo in primo luogo, ma anche quella di opposizione) non riesce a dimettere una volta per tutte l’usanza, antica e consolidata, di scrutare i giornali per scoprirvi più o meno ogni giorno ambigue trame, torbidi intrighi, oscuri complotti in suo danno; e di dividere i giornalisti in corifei da premiare e in nemici da stroncare. E fatica, oggi più di ieri, a tenere nel dovuto conto quelle libertà fondamentali di una democrazia moderna che sono la libertà di opinione e la libertà di informazione. Anche quando ha buoni motivi per ritenere che vengano coscientemente esercitate in suo danno. Anche quando la tentazione di passare ai modi bruschi rischia di farsi irresistibile. Eppure da noi i giornali non fanno cadere i governi e, a quanto pare, non spostano nemmeno voti: per quanto possano essere vicini all’opposizione, se questa è politicamente latitante non bastano a surrogarla.
Non è il caso di gridare al fascismo alle porte e alla stampa imbavagliata. Ma è il caso di ricordare che il clima è dei peggiori, e che il varo alla Camera del disegno di legge sulle intercettazioni, che la libertà di informazione senza dubbio la riduce, non lo migliora davvero. Proprio nelle stesse ore in cui Berlusconi parlava a Santa Margherita, ai valori fondamentali di cui abbiamo detto faceva aperto riferimento, a Napoli, intervenendo al vertice Uniti per l’Europa, il capo dello Stato. Per esprimere piena fiducia «nell’attaccamento delle opinioni pubbliche ai principi liberali, particolarmente a quelli della libertà e del pluralismo dell’informazione». Non sappiamo che cosa farà il capo dello Stato quando la legge sarà approvata definitivamente. Ma quella fiducia abbiamo il dovere di condividerla fino in fondo.
Paolo Franchi
14 giugno 2009
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