L'ex presidente del Consiglio: da masochisti continuare a dilaniarsi
La fine dell'Ulivo ha significato il crollo dei riformisti e il trionfo di Berlusconi
Pd, Prodi più vicino a Bersani
"Ma il congresso ci vuole subito"
di MARCO MAROZZI
ROMA - "Congresso subito", così la pensa Romano Prodi. "Per non lasciare la gente disorientata e non dare l'ennesima immagine di dilaniarci fra di noi. Solo un masochista può pensare si possa continuare con una vecchia strada che tanti danni ha fatto. Gran confronto, poi tutti uniti. Congresso per decidere, subito. Congresso vero, in cui si parli di programmi e non di nomenclature attorno a cui poi imbastire un programma. Congresso che non guardi al nostro ombelico, non si concentri sulla lotta per spartirci quel che abbiamo già. Ma congresso rivolto all'esterno. La gente normale, che è disgustata, vuole un'Italia diversa, non giochetti romani che non capisce. Se ci identifica con il Palazzo, è una rovina. Bisogna conquistare forze, voti, volti nuovi, non dividerci sempre fra i soliti per conquistare spezzoni di una forza ogni volta in calo".
Romano Prodi ripete il suo consiglio ai tanti che lo cercano. "Guardate che è l'ultima speranza degli italiani, se non cambiamo finiamo tutti equiparati". Non ha nessuna intenzione di partecipare alla battaglia congressuale del Pd sui nomi. Anche se il suo cuore batte in primis - pur con qualche problema - per Pierluigi Bersani, che lui portò dalla Regione Emilia-Romagna a ministro, alla dimensione nazionale. Il suo amico Bersani, intelligente e spiritoso, simbolo di un'Emilia di governo come il presidente Vasco Errani. Vicini, vicinissimi a D'Alema. Con cui Prodi ha ricostruito un rapporto di stima e comunanza, anche se non ha gradito la sparata sulle "scosse" di Berlusconi: temuta come egocentrico avviso al Cavaliere per mettersi in guardia, rischio per Bersani di vedere la sua autonomia anche nel rush congressuale limitata rispetto all'ex ministro degli Esteri. Va bene Bersani, D'Alema è intelligente, ma bisogna essere prudenti: ecco la linea prodiana.
Non veramente antagonista rispetto a quella di Dario Franceschini, anche se supportata da Veltroni (a cui Prodi continua ad addebitare parte delle responsabilità della sua caduta) e dall'ultra-votato David Sassoli - e magari Debora Serracchiani - su cui punta per ragionare in qualche modo su una sinistra europea in crisi e in ridefinizione e con qualche carisma che non sia quello di Sergio Cofferati. Stesso discorso sul movimentismo ancora da definire di Rosy Bindi, mentre ormai sono obsoleti tutti quelli che si definiscono prodiani, gli amici antichi mandati in Parlamento ma di nessun peso. Unico rapporto quello con Sandra Zampa, la portavoce.
Prodi non si scandalizza delle divisioni, cerca di spiegare che possono essere occasioni "di dialettica arricchita, nuova", non spartizioni "fra poveri". Padre nobile, più che arbitro tirato per la manica. Guarda con noncuranza alle ire di Francesco Rutelli convinto che non abbia spazio politico al di là del dato personale. L'ex sindaco di Roma è contrario all'adesione del Pd in Europa all'Alleanza dei democratici e dei socialisti. "E' un'alleanza partecipe del grande cambiamento di cui c'è bisogno su scala europea. - risponde Prodi - In politica, quando una decisione va in direzione del buon senso è necessario essere favorevoli".
Guarda, sempre più orso-panda con nemmeno il bisogno di tirare fuori gli artigli. Lui si chiama fuori e gli altri lo cercano, fra un viaggio in Francia, in Libano, il corso di lezioni in Usa. In Belgio lo riscoprono per la vittoria dell'Ulivo. "L'esaurimento del modello dell'Ulivo in Italia - dice a Le Soir - ha significato il crollo totale delle forze riformiste e il trionfo di Berlusconi. E questa è una buona prova della sua utilità. Spero potrà ricostituirsi in seno al Pd".
(18 giugno 2009)
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