Mi prendo rassegnato il carico di fare l'antipatico.
Potrei dire che non capisco di cosa si stia parlando, ma non sarebbe vero: leggo e capisco le parole, e le parole organizzate in frasi. Le capisco e le condivido, soprattutto quelle di Pino.
Quello che mi rende l'intero discorso incomprendibile è la data, A.D. MMIX.
C'è qualcosa di agghiacciante in questa data, associata a certi discorsi.
Le cose che stiamo trattando - come concetti, intendo - erano già ben chiare trenta o quaranta anni fa: trattate da sociologi e psicologi, filosofi ed esperti della comunicazione di massa. Chiare, acquisite e accertate.
Anzi, ben prima di trent'anni fa avevano cominciato ad essere analizzate da scuole sociologiche, che avevano studiato i fenomeni della comunicazione e della persuasione (più o meno "occulta") nella società allora più avanzata nel campo, ossia gli USA.
Il fatto che adesso sembra di dover ricominciare a scoprire l'acqua calda è sintomatico di una "cultura" che è allo stesso tempo immiserita e presuntuosa.
Immiserita, perchè ritiene d'aver fatto una mossa paraculissima buttando a mare e vituperando decenni di cultura progressista, solo perché passava per "egemonia della sinistra": grande cazzata, ovviamente, dato che quella cultura era sì complessivamente di sinistra, ma era non solo cultura vera ma anche cultura nient'affatto appartenente alla genìa partitica.
Presuntuosa, perché pretende di ricostruire in quattro e quattr'otto analisi, idee, elaborazioni come se fossero uno scoop dell'ultima ora, e usando comunque strumenti ideologici e intellettuali nemmeno confrontabili con le competenze e le intelligenze che nel secolo e mezzo precedente si erano esercitate su quegli stessi temi.
Il problema vero che si pone oggi - oggi inteso come decennio e più - non è quindi quello di decidere se e quanto abbiano influenza i massa media, Tv compresa, ma di come questa influenza può essere combattuta o forse utilizzata, e di capire quali valori siano diffusi e quali conseguenze politiche abbiano, e a vantaggio di chi, etc: discorso anche questo, a ben vedere, ampiamente datato, dal momento che anche in tempi ormai lontani la questione era percepita con molta chiarezza.
Era percepita, e infatti qualunque politico e chiunque s'interessasse di politica dava per scontato che fosse necessario, direi ovvio, saper ben comunicare, e che la possibilità di poter dire impunemente qualche cazzata su vasta scala influenzasse la pubblica opinione.
E' rimasto ovvio e ben percepito, questo fatto, fino ai primissimi tempi dell'avvento di Papi Cucù: poi alcuni settori centristi del campo progressista, poi ulivista, poi piddino hanno scoperto la "demonizzazione", e sulla scia delle Tv berlusconiane la questione si è intorbidita.
Per quanto riguarda, in particolare, il problema della "capacità" dei politici del CS di parlare e di trasmettere, siamo allla quintessenza dell'ovvio.
Qualunque mezzo di comicazione ha bisogno di capacità nell'utilizzarlo, a cominciare dalla conversazione personale e materiale, per continuare con la radio, la televisione, internet, le lettere, il tam-tam e i segnali di fumo.
Anni fa ho speso un sacco di tempo e di Kb per dire che i discorsi chiari dipendono dalle idee chiare, e solo in parte dal talento puramente dialettico.
Sulle idee chiare del CS stendiamo un velo pietoso, a patto però che ci ricordiamo delle faticose discussioni (anche queste paradossali e retrograde) sull'importanza dei "contenuti" rispetto ai "contenitori", etc.
Il talento dialettico è una dote individuale che però può essere affinata, o almeno perfezionata, se il cursus honorum dei personaggi è adeguato al compito: chi pensa, per esempio, che l'abilità rischiesta da un confronto televisivo sia molto alta, ha evidentemente poca esperienza di quello che può essere una riunione o un comizio sindacale, di fronte a cento o a mille operai incazzati.
Anche allora - al tempo di una selezione naturale di politici della sinistra temprati sul campo, intendo - c'era un uguale problema: chi, come, dove e con chi si erano "temprati" i Rumor e i Moro, e più tardi i Forlani e i Goria, che pure avevano una audience notevolissima presso il loro "pubblico"? Si trattava evidentemente di buoni comuniacatori per "quel" pubblico, adatti a comunicare "quelle" cose, esattamente come Berlusconi oggi.
Insomma, non ho voglia di farla troppo lunga.
Ho ascoltato pochi giorni fa una lunga intervista di Zdenek Zeman, uno che passa per innovatore e anticonformista, e lo è davvero.
Però anche Zeman confermava: ci sono dei "fondamentali" che non si possono ignorare, che hanno a che fare col fatto che lo strumento del gioco del calcio è un pallone, ossia un oggetto rotondo che scappa da tutte le parti e che bisogna saper controllare.
Nella smania - spesso ridicola, talvolta davvero stupida - di volersi presentare come "rinnovatori", a sinistra hanno smontato tutto, hanno voluto remare senza remi e fare i biscotti senza farina.
Berlusconi non ha inventato niente, e tanto meno è uno speciale "comunicatore", e meno ancora un "grande comunicatore", e non ha offerto "sogni", come pure si dice: ha solo applicato le vecchie, ineludibili regole della propaganda e della comunicazione, e dell'organizzazione politica.
Ha sfruttato le suggestioni della "nuova religione" consumistica, tanto quanto la vecchia DC aveva sfruttato le suggestioni e il "ricatto" della vecchia religione vaticana.
Ha saputo leggere bene il "suo" pubblico, e ha calcolato che era in quantità sufficiente a farlo vincere: degli altri - quelli che ridono di lui, quelli che leggono i libri e i giornali, quelli che si vergognano dei cucù - non gliene frega niente, perché non servono.
Nel CS non sanno bene nemmeno quale sia il proprio "pubblico": ma non perché siano stupidi, ma perché hanno voluto mettere insieme dieci cose diverse che insieme non possono stare, politicamente e nella dialettica della comunicazione.
Io, insieme a tanta gente che conosco, abbiamo votato CS, ma nessuno ci ha mai persuaso con i suoi discorsi: anzi, personalmente, ho votato CS nonostante certi discorsi, e senza avere alcuna stima delle idee che qua e là trasparivano, per non parlare delle azioni e delle omissioni che sono state praticate.